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venerdì 13 Aprile 2007, 14:05

L’Italia del manganello

Non conosco in dettaglio la situazione dei cinesi a Milano; certamente non dubito che i commercianti cinesi compiano numerose infrazioni al codice della strada, e specificatamente a quelle norme di microgestione da paese socialpaternalista, tipo “i taxisti non possono usare il taxi per andare a fare la spesa” (davvero!) o appunto “è vietato il trasporto di merce all’ingrosso in veicoli ad uso privato”.

Allo stesso tempo, faccio fatica a non credere a ciò che raccontano oggi i cinesi stessi su tutti i giornali, cioè che molti ghisa milanesi, col beneplacito o perlomeno entrambi gli occhi chiusi da parte dei propri capi, abbiano preso a considerare via Paolo Sarpi come territorio di caccia: vado, faccio qualche multa, poi propongo la transazione… mi dai metà della multa in contanti, io me li intasco e ti straccio la multa. Tanto, i cinesi sono un popolo abituato ad obbedire all’autorità senza fiatare; quando mai si metteranno a denunciare, e nel caso chi li starebbe ad ascoltare?

Questo detto, ammettiamo pure che i cinesi abbiano torto, e che – pur chiaramente non ammazzando nessuno, a differenza di altri tipi di immigrazione e di relativi “lavori”, tipo il lavavetri o il mendicante, su cui i vigili urbani si guardano bene dall’intervenire a scanso di rogne – svolgano le proprie attività in modi non pienamente compatibili con le decine di migliaia di leggi e normative di questo Paese.

In questo caso, la prima considerazione che viene in mente è che “integrazione” non significa “questa è casa nostra quindi fate quello che diciamo noi”; vuol dire che le abitudini e le regole della comunità ospitante si modificano e si adattano per incorporare i nuovi arrivati, mentre essi accettano i valori fondamentali di chi li accoglie. Se quindi non è accettabile che una cinese che arriva qui cerchi di abortire dopo aver saputo che il nascituro è una femmina, non è nemmeno accettabile che i commercianti cinesi non possano lavorare come fanno da sempre in tutto il mondo, e chi se ne frega se il commercio all’ingrosso nel centro storico disturba il traffico.

Il problema maggiore è invece il modo in cui i nostri governi nazionali e locali, di qualsiasi colore, rispondono alle istanze di gruppi sociali minoritari e diversi: sempre, invariabilmente, con il manganello. Vale per i cinesi, ma valeva prima per gli ultras, e prima ancora per i no tav. Indipendentemente dalla validità o meno della causa o del tipo di comportamento che si rivendica, lo Stato italiano non dialoga più: reprime.

Ho il sospetto che questo derivi in buona misura dalla situazione di regime agli sgoccioli in cui vive la politica italiana: un regno dell’incompetenza e del privilegio che non parla più con il popolo, ma solo con se stesso. Al popolo, arrivano soltanto smaccati tentativi di autopromozione di questo o quel politico, editti di vario genere, proposte demagogiche; e poi, se manifesta disagio o dissenso, subito il manganello. Sparito il quale, lo Stato si ritira e tutto torna come prima, anzi peggio di prima, incancrenendo sempre di più.

La domanda, allora, è quanto tutto questo possa ancora durare.

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3 commenti a “L’Italia del manganello”

  1. .mau.:

    beh, potresti passarci un po’ di tempo da quelle parti… (non che mi sia mai capitato di vederli, i vigili)

  2. Lobo:

    in via Niccolini, dov’e’ successo il fatto, c’e’ uno dei miei locali milanesi preferiti (il saloon, si, sono molto alla buona), e il concessionario della Harley Davidson… insomma, uno dei due centri nevralgici della citta’ (l’altro e’ porta venezia/buenos aires, ossia la zona delle fumetterie) . Spero vada tutto a posto :)

    ciao
    FF

  3. mousse:

    Io invece lavoro in Corso Sempione (200 metri a dir molto da via Paolo Sarpi). Dunque, la via è piuttosto stretta e parte dei marciapiedi sono contornati dai paletti di ghisa per impedire che ci si parcheggi sopra. Quelli che non li hanno sono stretti e in 3 non ci si passa, e ovviamente accanto a quelli ci parcheggiano le auto. Nello spazio che rimane sulla carreggiata ci passano due linee di autobus urbani e un sacco di gente (la via è la “scorciatoia” per evitare il piazzale del Cimitero Monumentale, sempre intasato). Data la conformazione della strada è ben comprensibile cosa comporti una macchina in doppia (o tripla, pratica comune a Milano) fila, ovvero la congestione del traffico.

    E’ pur vero che nella stragrande maggioranza dei casi non danno le multe manco ai milanesi, e comunque anche i milanesi quando vengono multati non si limitano a pagare e star zitti ma iniziano a far casino ed insultare i vigili, quindi non dubito del motivo scatenante la rissa.

    Quello che mi fa strano è che MEZZ’ORA dopo che è successo quel che è succeso (e permettimi di dubitare del fatto che un “ghisa” abbia usato il manganello, che manco tutti ce l’hanno in dotazione) sia saltato fuori un corteo in piena regola con tanto di striscioni STAMPATI.

    Ho un paio di motivi di credere che fosse tutto organizzato e che si stesse cercando solo un pretesto per fare casino (più o meno come in Corso Buenos Aires con gli autonomi, i leoncavallini e quelli di forza nuova).

    Fossi nei milanesi organizzerei una bella manifestazione proprio in via Paolo Sarpi contro chi ne ha fatto un proprio territorio esclusivo.

 
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