Rifiuti
È parecchie settimane che voglio commentare sull’infinita vicenda dei napoli che vivono nella propria merda. E, come potete notare, intenderei farlo senza ipocrisie: per cui, non parlare di “cittadini della Campania che si oppongono alla localizzazione di nuove discariche per il conferimento dei rifiuti solidi urbani”, ma di “napoli che vivono nella propria merda”, esattamente come è.
Premetto chiaramente che la generalizzazione è sbagliata e che le categorie di cui parlerò sono geografiche solo in modo tendenziale: sicuramente a Napoli esistono moltissimi individui onesti, lavoratori e con il senso della collettività , così come anche a Torino esistono moltissimi napoli – il termine dialettale per indicare un immigrato campano privo di istruzione e poco avvezzo all’igiene personale – dalle origini più varie, Piemonte incluso.
Eppure, quel che è successo a Napoli, a Torino sarebbe inconcepibile. Anche qui ci sono proteste di piazza, anche estremamente intense, contro discariche e inceneritori, così come contro altre opere che nessuno vuole nel cortile, a partire dalla TAV. Tuttavia, non è mai successo che le proteste arrivassero a bloccare le discariche per più di qualche simbolico pomeriggio; e non è mai successo che le proteste continuassero in modo violento e menefreghista anche di fronte a mesi e mesi di monnezza accumulata per le vie, ai topi che montano, alla puzza che manda le persone all’ospedale, ai roghi improvvisati che generano ogni specie di fumo tossico e poi magari si attaccano alle auto, alle scuole chiuse per pericolo di epidemie.
Perchè, sempre per dirlo chiaramente, nessuno di noi vuole vivere nella propria merda: da persone educate, abbiamo un rigetto istintivo verso l’idea, e persino la discarica nel cortile, alla fine, ci appare per quel che è, ovvero un male molto minore rispetto all’avere l’immondizia per le vie.
Ma anche perchè, avendo raggiunto la maggiore età , siamo tutti in grado di capire che i rifiuti esistono, che qualcosa bisognerà pur farne, e che questo è un problema collettivo, da cui nessuno può chiamarsi fuori; e quindi, si protesta finchè si può, anche duramente, ma una volta che la decisione viene presa, tramite le procedure più o meno democratiche che come Paese ci siamo dati, la rispettiamo perchè è la decisione di tutti.
A Napoli, invece, regna il menefreghismo più totale: l’immondizia è un problema di qualcun altro, e la collettività non esiste, esiste solo l’io, confidando che prima o poi appaia San Gennaro, o più probabilmente qualcuno più fesso di noi, a farsi carico del problema; o festeggiando il ritorno della squadra di calcio in serie A colorando di biancoazzurro i batteri del colera. Vi è, insomma, il rifiuto della società , del vivere insieme, della legge e dello Stato: il rifiuto della civiltà .
Davanti al rifiuto della società , la società ha due gradi di reazione possibile: l’educazione prima, e la repressione poi. Tuttavia, l’educazione è lavoro difficile e di lungo termine; nel momento in cui la società viene attaccata frontalmente, essa può soltanto cedere, o imporre l’interesse collettivo con la forza.
E così, in un paese civile, ad Ariano Irpino come in tutti quei posti con la monnezza per strada e la gente in rivolta, avrebbero già mandato da tempo i carri armati. Si è deciso che la discarica deve riaprire? E la discarica riapra, a qualsiasi costo; perchè se non lo si fa, è segno che lo Stato non esiste. I politici che invece impediscono questa risposta – dal sindaco del paese a Bassolino e Pecoraro Scanio – sono quindi doppiamente responsabili: perchè come amministratori pubblici hanno il dovere di imporre il rispetto della legge e dell’interesse collettivo, e invece sono i primi a sabotarlo.
Tutto questo, naturalmente, verrà prontamente bollato da alcuni come fascismo, leghismo o razzismo; e invece è il discorso più di sinistra che c’è, perchè quelli che perdono, nell’assenza di regole, sono i più deboli e non i più forti; lo Stato esiste proprio a garanzia dei deboli. In questa come in tante altre cose (dall’evasione fiscale alla microcriminalità cittadina), lo Stato italiano ha provato di non esistere più: di essere soltanto uno zombie che cammina per inerzia.
E quindi, cosa ci stiamo a fare noi, persone oneste e con il senso dello Stato, in uno Stato che non esiste, che chiede tasse sempre maggiori per finanziare la corruzione, le clientele e le libagioni dei potenti – come in un qualsiasi feudo medievale – e non garantisce nemmeno il rispetto della legge?
Si è parlato tanto, quindici anni fa, di secessione. All’epoca, era una proposta da burla, con un pirla in canottiera che delirava di ampolle magiche. In questi anni, però, i politici di entrambi gli schieramenti hanno lavorato duro per renderla realistica; la situazione è degenerata silenziosamente, e non so se siamo prima o dopo il punto di non ritorno. Perchè il mio sospetto è che la secessione già ci sia: perchè io, con quei “cittadini” che vivono nella propria merda e con quei politici che li assecondano, non ho nulla da spartire. Non è questione di divergenza di vedute, ma proprio della mancanza delle basi minime per poter impostare una convivenza civile. Io, da questa Italia, dentro di me ho già seceduto, e sono certo che non sono l’unico.
Cosa succederà , non lo sa nessuno; o finiremo per emigrare tutti, e lasciare che gli altri completino la trasformazione dell’Italia in un immondezzaio; o finirà di consumarsi lo Stato, in mezzo a bancarotte e proteste di piazza, dando luogo all’anarchia; o scatterà una guerra civile (anche se, vista la narcolessia da Grande Fratello, credo non ci siano le premesse culturali).
In tutto questo, è dura dover constatare che, forse forse, il progetto leghista era ancora la cosa meno drammatica.