Valentino Rossi
Volevo evitare la questione, perché so che su questo finirò per litigare con la maggior parte dei miei lettori, ma l’abbondanza di commenti a questo post – seppure a scoppio ritardato – mi spinge a chiarire meglio il mio punto di vista sulla questione di Valentino Rossi e della sua presunta evasione fiscale.
Che è una questione interessante, perché l’Italia si è abbastanza spaccata: una maggioranza a condannarlo in modo addirittura violento, mettendolo alla gogna su tutti i giornali; e una minoranza a farne una vittima e un eroe. Io credo che nessuno di noi abbia i dati per giudicare, ma tendo a stare dalla sua parte; per l’istintiva repulsione alle cacce alle streghe, e anche per altri ragionamenti.
Rossi deve pagare le tasse, su questo non ci piove; su questo le critiche hanno ragione. Le suddette critiche, però, partono quasi sempre dando per scontato il fatto che Rossi abbia veramente evaso le tasse, senza dargli alcun beneficio del dubbio: come mai? Io ho notato in moltissime delle invettive contro Rossi una componente aggiuntiva che svaria tra la frustrazione, l’invidia e il desiderio di vendetta; come se gli si dovesse far pagare il fatto di essere ricco e famoso, e in qualche caso anche quello di avere un commercialista più creativo del proprio.
Anche nei commenti che ho ricevuto, ho notato una preoccupante tendenza a strutturare la questione come “a lui 100 milioni di euro non servono davvero, per cui lo Stato è giusto che ne prenda 60”. Con lo stesso principio, però, si potrebbe dire che a lui per vivere bastano centomila euro l’anno, per cui lo Stato potrebbe tassarlo al 99.9%, no? Questo è il principio base delle società comuniste: tutto è dello Stato e ognuno riceve “ciò che gli serve” a giudizio del governo. La nostra società non dovrebbe funzionare così, e noto appunto alcune preoccupanti lacune collettive sulle basi filosofiche di una economia di mercato, sperando di non dover riaprire (nel 2007…) la discussione sul perchè l’economia comunista e la società moderna siano incompatibili.
Comunque, la questione di Rossi è legalmente complessa, perché esistono un accordo bilaterale per cui i cittadini italiani residenti in Inghilterra pagano solo le tasse inglesi, e una legge inglese che permette agli immigranti in Inghilterra di pagare le tasse solo sui redditi generati là e non sul resto. Vuol dire che Rossi deve pagare ad altri paesi le tasse sul resto del reddito? Non si sa, è una questione da avvocati; ovviamente Rossi sceglie l’interpretazione favorevole a se stesso, lo Stato italiano anche, e si vedrà in tribunale. Ma ciò non mi sembra poter giustificare la conclusione che Rossi ha volontariamente e consapevolmente evaso le tasse, tale da sbatterlo su tutti i giornali come un mostro; se mai, si è trasferito in una nazione che (oltre ad essere un paese molto più civile del nostro) gli praticava condizioni migliori: è un reato? Capirei fosse andato ad abitare alle isole Cayman, ma a Londra…
(In qualche caso ho letto qualcuno sostenere che sì, bisogna vietare ai ricchi italiani di trasferirsi altrove, per non privare il Paese del loro apporto fiscale. Era la stessa persona che sosteneva con fuoco e fiamme che non si potesse limitare la mobilità degli immigranti extracomunitari e il loro diritto a stabilirsi in Italia: evviva la coerenza.)
A me poi inquieta molto l’interpretazione fornita dal fisco italiano, secondo cui, anche se Rossi da anni abita a Londra, il fatto che abbia “affetti” e “interessi” in Italia autorizza l’Italia a prelevare la maggior parte dei suoi redditi. E’ una mentalità un po’ mafiosa, del tipo “puoi scappare, ma di noi non ti libererai mai”. Soprattutto a fronte dell’incapacità dello Stato italiano a gestire bene i soldi che gli affidiamo (altro che Svezia), per cui il piano strategico del fisco è centrato sull’aumento della pressione fiscale sulla parte produttiva del paese, invece che sull’eliminazione degli sprechi e delle spese inutili. Se poi l’esito di tutto questo è che la suddetta parte produttiva o emigra o evade o chiude l’attività , non vedo un grande futuro per l’Italia.
In questo senso, è appena normale che per la suddetta parte produttiva Valentino Rossi sia diventato un eroe: non è mica perché avrebbe evaso, se mai è perché questo caso, che da chi vede evasori e sfruttatori in ogni ricco è visto come il prototipo dell’arroganza del singolo, da chi invece si sbatte e crea ricchezza (per sè e per gli altri) è visto come il prototipo dell’arroganza dello Stato. In pratica, per questa fetta del Paese il signor Rossi è diventato il simbolo dell’italiano intraprendente che ha unito il talento ad anni di sacrifici, ha avuto successo, e invece di venire ringraziato ed apprezzato si trova fuori dalla porta la polizia, che a nome di raccomandati, assenteisti e politici gli porta via la maggior parte di ciò che ha guadagnato. Qualsiasi piccolo imprenditore del Veneto, qualsiasi manager milanese si è identificato con lui; ma anche gli istituti di insigni economisti come Sergio Ricossa.
Non so se sia più immorale il ceto che ci governa, o quello stuolo di gente che con la scusa degli evidenti sprechi, inefficienze e privilegi della politica evade (questa volta senza ombra di dubbio) le tasse. So però che l’immoralità dei secondi, unita alla pressione fiscale più alta d’Europa per molti versi, fa molto per aumentare l’evasione e solleticare l’immoralità dei primi.
In questo circolo vizioso, più le tasse aumentano e più cresce il numero di chi trova giusto evaderle, e più aumenta l’evasione e più aumentano le tasse per chi le paga. Non credo che sia possibile spezzarlo solo con la forza: gli unici dati che ho trovato sono del 1998 (ma ne avevo letti di simili per anni più recenti), in cui, per recuperare 2498 miliardi di evasione fiscale, lo Stato ha speso 2402 miliardi di lire in personale e strutture; quanti ne abbia spesi il resto d’Italia duranti gli accertamenti, compresi quelli a sproposito, non è dato sapere.
Insomma, l’unica strada è probabilmente un patto con gli italiani, basato su tasse decisamente più basse e su uno Stato che sia un esempio di moralità .
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