Conferenze spagnole
Anche oggi, alla fine, ho i miei cinque minuti di Internet cafe’ per dispensare pillole di saggezza.
Quella di oggi e’ che non bisogna far organizzare le conferenze agli spagnoli, specie se letterati. Non solo litigheranno continuamente con qualsiasi computer, rinunciando poi a mostrare le slide, peraltro orride e piene di testo; non solo si rifiuteranno pervicacemente di parlare in inglese, facendo infuriare la truppa tedesca che costituisce il nerbo dei partecipanti; non solo si lanceranno in eloquentissimi indirizzi di saluto a presenti, organizzatori, autorita’ e cittadinanza tutta, che porteranno via venti dei trenta minuti loro allocati, per poi sforare di altri quaranta.
Ma il secondo giorno, nel pomeriggio, costringeranno tutti a inerpicarsi su per la collina ripida, per tenere la sessione in un meraviglioso edificio-museo cinquecentesco, dove le seggiole sono scomode, non ci sono tavolini, non c’e’ interpretazione, non si puo’ avere il caffe’ al coffee break (coffeeless break?), e si deve subire un indirizzo di saluto del tipo sopra descritto da parte del direttore del museo; e si giustificheranno dicendo che si’, si rendono conto che in questo modo la mezza giornata di conferenza andra’ sostanzialmente sprecata, pero’ il museo era tanto bello e volevano assolutamente spacciarsi con te portandotici dentro.
(Comunque anche noi dovremmo tacere, che un dotto professore nordico a pranzo ci ha raccontato di come resto’ allibito quando, a una conferenza internazionale di linguistica da lui presieduta, professori del Nord Italia e professori del Sud Italia si presero a male parole davanti a tutti, in mezzo alla sala, al grido di “razzisti!” e “comunisti!”, sulla questione “il lombardo, il veneto e il piemontese sono lingue o dialetti?”. Non temete, comunque, lui concordava con me che sono lingue!)