Non perdonarli, perché sanno quello che fanno
Ieri pomeriggio sono andato per la prima volta a uno dei mercoledì di Nexa, le riunioni mensili che il centro di Internet e società del Politecnico organizza invitando ogni volta ospiti diversi. Quelli di ieri erano Giovanni Battista Gallus e Francesco Micozzi, i due avvocati che quest’estate hanno difeso Pirate Bay contro l’assurdo “sequestro” operato da un GIP di Bergamo. E così, si è parlato in lungo e in largo della libertà della rete in tutte le sue forme, in particolare in relazione agli ultimi eventi (l’art. 50 bis “filtro anti-Facebook” e il comitato antipirateria).
Da quindici anni succede che il Parlamento, il governo o le autorità giudiziarie emanino provvedimenti strampalati, tecnicamente zoppicanti, culturalmente arretrati, socialmente incomprensibili. Da quindici anni partecipo a incontri di esperti di Internet in cui, pur con preoccupazione, la reazione prevalente è sghignazzare: ma guarda questi politici e questi giudici che non capiscono niente di Internet.
Bene, io invece sono sempre più convinto che al giorno d’oggi non si possa affatto pensare che queste misure vengano prese con leggerezza o senza capirne l’impatto. Partiamo dal caso di Bergamo: un giudice emana un provvedimento che non sta in piedi, proprio l’ultimo giorno prima di un mese e mezzo di sospensione dell’attività giudiziaria che impedirà il riesame immediato, dimenticandosi di notificare la misura agli indagati, basandosi acriticamente su una consulenza prodotta dai discografici, e ordinando ai provider di oscurare il sito: possibile che sia solo ripetuta incompetenza? E il fatto che pochi giorni dopo la Guardia di Finanza – quindi un soggetto altro e indipendente – decida di “eseguire” il sequestro ordinando ai provider di redirigere gli accessi verso un sito dei discografici in Inghilterra, è una coincidenza?
Veniamo allora ai filtri, e guardiamo bene i fatti: prima, tre anni fa, si introduce il filtraggio di Internet per la pedopornografia; e chi può opporsi? Allora si aggiunge anche il filtraggio dei siti di scommesse online. Poi, quest’estate, si alza il tiro e si prova a filtrare Pirate Bay; c’è una reazione e la magistratura risponde: non potete perché non c’è una legge che ve lo permetta. Detto fatto: quattro mesi dopo salta fuori l’articolo 50 bis, che renderebbe legale quello che si è tentato di fare quest’estate, ogni qual volta che si “istiga” a un qualche reato, anche se d’opinione. E’ solo una serie di sfortunate coincidenze e ripetuta incompetenza, o c’è un piano?
Ascoltate bene l’intervista di Gilioli al senatore D’Alia, proponente del 50 bis, che ha fatto il giro della rete in questi giorni:
Quasi tutti, partendo dallo stesso Gilioli e dai commentatori di Mantellini, hanno reagito dicendo che “poveri noi, in che mani siamo”, e “D’Alia non sa assolutamente di cosa sta parlando”. Ma non è vero: è soltanto un errore di prospettiva, dovuto al fatto che a noi l’idea di oscurare tutto Youtube per un singolo video illegale di un solo utente sembra assurda, e non riusciamo a concepirla.
A loro però no, anzi questo è esattamente ciò che loro vogliono, D’Alia e chiunque ne sia il mandante, che la storia parlamentare è ordinariamente fatta da leggi scritte da Tizio importante e presentate mandando avanti Caio peone, talvolta nemmeno dello stesso partito. Nell’intervista, il senatore D’Alia conferma che questa è proprio l’intenzione del governo e del Parlamento: o Youtube toglie i video sgraditi al governo italiano, oppure bisogna impedire agli italiani di accedervi. Noi, invece di indignarci, organizzarci, reagire, ridacchiamo e ci sentiamo superiori: massì, sono dei cretini, cosa volete che sia. E intanto loro, magari contando pure su questa nostra reazione, introducono censure su censure.
Perché lo fanno? Ufficialmente è per proteggerci. In realtà , è perché hanno capito che alle grandi e piccole piattaforme internazionali, motore di quella libera discussione in rete che indebolisce il loro controllo dell’informazione e del potere, non sono in grado di ordinare nulla: e allora vogliono metterle sotto ricatto, “o adotti le policy che voglio io, o ti oscuro completamente e in Italia non metti più piede”. Non ci sarà nemmeno bisogno della censura legale: passeremo direttamente alla censura privata, come per gli allattamenti di Facebook, ma per questioni un pochino più fondamentali.
Ora più che mai, urge che i principi di libertà della rete vengano riconosciuti per davvero, e che questi tentativi vengano fermati senza sufficienza e senza sottovalutazione: o sarà troppo tardi.
P.S. Segnalo in conclusione che NNSquad Italia ha aderito alla campagna europea contro il rischio che il “Telecoms Package” in discussione al Parlamento Europeo incorpori una serie di emendamenti liberticidi. Se altre associazioni vogliono firmare, sono le benvenute.
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