Dieci minuti fermo
Mi è successo ieri sera di trovarmi per dieci minuti fermo, ad aspettare, all’uscita di Milano Cadorna; in un angolo tra la stazione e la metro, proprio ai bordi del maggiore flusso di pendolari in esodo dalla città .
Non sarà come a Tokyo, ma il flusso in quel punto è davvero intenso; è un’esperienza interessante mettersi di lato e osservare le persone che camminano correndo. In qualche caso sono in gruppo, ma quasi tutti sono soli; si stanno spostando dal circolo sociale del lavoro a quello della famiglia, e nel mezzo sono in un non-stato. Pochi, infatti, sembrano aver l’aria di starsi godendo il viaggio, o di essere intenti a qualcosa; la maggior parte sembra soltanto intenta a non essere intenta a niente, se non a far passare il tempo e lo spazio.
Al non-stato corrisponde un non-luogo; e quelle poche decine di metri tra l’uscita dagli inferi della metro e i tornelli delle Nord devono essere il non-luogo più frequentato di Milano. Non so quanti tra coloro che passano ogni giorno di lì saprebbero descrivere il pavimento o le pareti, se non con una sensazione di indistinto grigiore.
Eppure ogni persona che passa è singola e diversa dalle altre; ha una storia, una identità , delle aspirazioni, delle emozioni. E’ in rapporto con altri e li definisce, così come loro definiscono lei. In queste situazioni, tuttavia, non siamo più individui, ma siamo soltanto utenti; utenti dei trasporti e della vita. L’identità non ci serve, anzi complica soltanto le cose, e già differenziare i biglietti per età e professione è una usanza ormai quasi perduta. E’, forse, la forma suprema di uguaglianza sociale; ciò nonostante, è anche piuttosto inquietante.
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