Quattro maggio
La vera notizia, oggi, è che non solo non pioveva, ma c’era un sole che spaccava le pietre. C’è chi ha attribuito la cosa al fatto che la tradizione del quattro maggio prevede la pioggia solo se esso cade in prossimità di una partita casalinga del Torino, e invece stavolta si è giocato in trasferta.
Dev’essere però che Firenze per il granata è quasi una seconda patria, e quindi è successa l’ennesima magia: all’avvicinarsi dell’ora fatidica, improvvisamente dal nulla sono spuntate le nubi. Per qualche minuto, solo qualche minuto, è stato di nuovo il quattro maggio: una pioggia sporca e cattiva sputava giù dal Paradiso la rabbia del destino, ora e per sempre cinico e baro. Era quasi grandine, una grandine di frammenti e meteore e briciole di aereo e di vite – chi ha visto le foto della tragedia sa, un calzino qui, una maniglia là , una ruota strappata dal nulla.
Il cielo, insomma, ha onorato la ricorrenza con una breve e intensissima cerimonia, tanta acqua come nel fondo di un oceano, come nel mare di Lisbona. E poi ci ha lasciati liberi nel ricordo: il tempo di arrivare al Fila ed era già di nuovo una giornata estiva.
Visitare il Fila fa bene e male insieme; è come andare a visitare un vecchio nonno a cui tieni moltissimo ed essere contento di rivederlo, ma allo stesso tempo accorgerti con dolore di come ogni volta la sua salute sia peggiore, e abbia qualche acciacco in più, e sembri più anziano e malridotto, e si avvii inesorabilmente verso la sua fine. I poveri monconi che si sono salvati dallo scempio delle speculazioni politiche e di quelle edilizie sono sempre più sbriciolati e traballanti, e sempre più presi d’assalto dalla vegetazione.
Grazie agli sforzi immensi ed encomiabili di tanti tifosi, che hanno passato settimane a falciare l’erba e rimuovere l’immondizia, oggi l’area era pulita e piena di gente; eppure mi ricordo che anche solo tre anni fa (quando pure io, insieme alla mitica Lorena – una tifosa granata di Santiago del Cile che si era pagata sei mesi in Italia per vedere il Toro – e a tanta altra gente avevo passato giorni sotto la pioggia, a rimuovere macerie, tagliare arbusti e passare la candeggina nelle stanze scoperchiate, e poi, dopo la festa, a togliere frammenti di vetro dal terreno con un cucchiaio) il Fila sembrava più in salute.
Dev’essere l’effetto delle tremende barriere di lamiera volute dal Comune: che insiste con questa stupida idea che qualcuno possa farsi male sulle gradinate pericolanti. Che poi sono pericolanti per scelta e volontà del Comune stesso e dei suoi amici palazzinari di ogni ordine e grado, che in questi dieci anni di Fila a monconi hanno già tentato di costruirci sopra qualsiasi cosa, supermercati, parcheggi, case di lusso a quindici minuti dal centro, e poi certo anche un campo di calcetto, però sintetico e che costi tantissimo; meglio ancora un campo di subbuteo, che toglie meno spazio ai negozi.
E così, ogni qualche mese il potere piazza un nuovo giro di barriere, una nuova staccionata, un nuovo muro; e tempo qualche settimana magicamente ci si apre un varco, e i bambini tornano a correre sul prato dietro un pallone, e gli adulti a chiacchierare guardando i bambini, e i vecchi a sedersi sulle gradinate, taluni anche ricordando le partite viste là da ragazzi.
Non mi illudo che capiscano in tanti; moltissimi, a Torino, il Fila non sanno nemmeno dove sia (e mi dispiace per loro). Il Fila, a Torino, è una delle ultime zone di libertà ; invisibile agli assimilati, impenetrabile per l’ordine nuovo, scandalosa per gli sdegnati a comando, concupiscibile per il potere, invincibile fin che la forza tranquilla del suo popolo non la abbandonerà .
Sarà quando ci porteranno via il Fila del tutto, infatti, che Torino chinerà la testa.
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