Le provinciali torinesi e La Stampa
Il dato sull’affluenza di ieri è oggettivamente impressionante: il referendum si è fermato al 23%. Otto milioni di elettori erano per il sì e un altro milione e mezzo è andato a votare sì soltanto al terzo; gli altri sono andati bellamente al mare nonostante il weekend tempestoso.
Ancora più impressionante però è il dato sull’affluenza alle provinciali torinesi (ma credo sia così un po’ ovunque): se al primo turno l’affluenza era stata quasi del 70%, al secondo si è fermata al 40%. I tre candidati andati al ballottaggio (tre in quanto Vietti si era ufficialmente apparentato con Saitta) al primo turno avevano raccolto il 90% e 1.008.000 voti; eppure, anche dando per scontato che il residuo 10% del primo turno sia andato in blocco al mare facendo calare l’affluenza (e non è vero: per esempio, secondo i sondaggi una metà degli elettori comunisti è andata a votare Saitta), i voti validi al secondo turno sono stati soltanto 734.000.
In altre parole, quasi 300.000 (quasi un terzo) di coloro che al primo turno hanno votato Saitta, Vietti o Porchietto erano talmente poco convinti della loro scelta da non darsi nemmeno la pena di andare a rivotare il loro candidato al ballottaggio, pur in presenza di una elezione incerta, combattuta e caricata da entrambe le parti anche di risvolti politici nazionali.
Certo avranno pesato l’arrivo dell’estate, la scarsa voglia di andare a votare una seconda volta, e per l’elettorato di centrodestra anche le recenti vicende berlusconiane. Ma se facciamo 100 i voti presi al primo turno dai ballottanti, la situazione di partenza del ballottaggio era questa: Saitta + Vietti 54,0%; Porchietto 46,0%. Aggiungeteci il fatto che tra gli elettori delle altre liste la maggior parte erano di sinistra, e quello che sia il “dovere di votare” che il “voto contro” tendono a mobilitare più a sinistra che a destra, e il risultato finale – Saitta 57,3%, Porchietto 42,7% – vi sembrerà del tutto normale: l’epilogo senza sorprese di una campagna fiacchissima in cui è stato eletto quello che ha perso un po’ meno voti dal primo al secondo turno, e in cui il vero vincitore è il chiaro disgusto degli elettori per entrambi gli schieramenti.
E’ per questo che La Stampa se ne esce con un titolo sobrio, misurato e oggettivo:
Avendo visto i numeri, sembra che parlino di un’altra elezione, vero?
Tuttavia Saitta ha pagato pegno, ha imbarcato l’UDC (ricorderete che fin dal principio La Stampa ha promosso Vietti in vario modo, fino a farlo partecipare come unico terzo incomodo al confronto tra i due candidati prima del primo turno) e gli interessi che l’UDC rappresenta, e in cambio viene ripagato con un bel marchettone dal giornale cittadino. Noterete come la bassissima affluenza, record negativo di sempre, non venga nemmeno menzionata (questo va a tutti quelli che dicevano “non votiamo, così saranno costretti a fare qualcosa”). Del resto, anche nell’intero articolo la bassa affluenza viene menzionata solo una volta, solo avanti nel testo e solo come parte delle dichiarazioni della sconfitta Porchietto, in modo da farla passare non come un dato oggettivo ma come la classica scusa puerile del perdente.
C’è però un’osservazione interessante da fare: il fatto che non ci sia più il minimo ritegno nella manipolazione dell’informazione torinese, almeno quando si parla di politica o di grandi opere attorno a cui girano grandi interessi, vuol anche dire che le crepe sono sempre più evidenti; quei 300.000 torinesi di cui parlavamo sopra hanno chiaramente dimostrato di essere in cerca di qualcosa di un minimo più decente, nonostante tutte le campagne mediatiche. Considerato che in Italia il voto, così come la squadra di calcio, è ereditario – la maggior parte degli italiani eredita una fede politica dai propri genitori e la porta avanti con pochi cambiamenti per tutta la vita – vuol proprio dire che ci troviamo in un momento di eccezionale disponibilità al cambiamento.
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