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martedì 23 Giugno 2009, 10:08

Le provinciali torinesi e La Stampa

Il dato sull’affluenza di ieri è oggettivamente impressionante: il referendum si è fermato al 23%. Otto milioni di elettori erano per il sì e un altro milione e mezzo è andato a votare sì soltanto al terzo; gli altri sono andati bellamente al mare nonostante il weekend tempestoso.

Ancora più impressionante però è il dato sull’affluenza alle provinciali torinesi (ma credo sia così un po’ ovunque): se al primo turno l’affluenza era stata quasi del 70%, al secondo si è fermata al 40%. I tre candidati andati al ballottaggio (tre in quanto Vietti si era ufficialmente apparentato con Saitta) al primo turno avevano raccolto il 90% e 1.008.000 voti; eppure, anche dando per scontato che il residuo 10% del primo turno sia andato in blocco al mare facendo calare l’affluenza (e non è vero: per esempio, secondo i sondaggi una metà degli elettori comunisti è andata a votare Saitta), i voti validi al secondo turno sono stati soltanto 734.000.

In altre parole, quasi 300.000 (quasi un terzo) di coloro che al primo turno hanno votato Saitta, Vietti o Porchietto erano talmente poco convinti della loro scelta da non darsi nemmeno la pena di andare a rivotare il loro candidato al ballottaggio, pur in presenza di una elezione incerta, combattuta e caricata da entrambe le parti anche di risvolti politici nazionali.

Certo avranno pesato l’arrivo dell’estate, la scarsa voglia di andare a votare una seconda volta, e per l’elettorato di centrodestra anche le recenti vicende berlusconiane. Ma se facciamo 100 i voti presi al primo turno dai ballottanti, la situazione di partenza del ballottaggio era questa: Saitta + Vietti 54,0%; Porchietto 46,0%. Aggiungeteci il fatto che tra gli elettori delle altre liste la maggior parte erano di sinistra, e quello che sia il “dovere di votare” che il “voto contro” tendono a mobilitare più a sinistra che a destra, e il risultato finale – Saitta 57,3%, Porchietto 42,7% – vi sembrerà del tutto normale: l’epilogo senza sorprese di una campagna fiacchissima in cui è stato eletto quello che ha perso un po’ meno voti dal primo al secondo turno, e in cui il vero vincitore è il chiaro disgusto degli elettori per entrambi gli schieramenti.

E’ per questo che La Stampa se ne esce con un titolo sobrio, misurato e oggettivo:

screenshot_saitta_ballottaggio.PNG

Avendo visto i numeri, sembra che parlino di un’altra elezione, vero?

Tuttavia Saitta ha pagato pegno, ha imbarcato l’UDC (ricorderete che fin dal principio La Stampa ha promosso Vietti in vario modo, fino a farlo partecipare come unico terzo incomodo al confronto tra i due candidati prima del primo turno) e gli interessi che l’UDC rappresenta, e in cambio viene ripagato con un bel marchettone dal giornale cittadino. Noterete come la bassissima affluenza, record negativo di sempre, non venga nemmeno menzionata (questo va a tutti quelli che dicevano “non votiamo, così saranno costretti a fare qualcosa”). Del resto, anche nell’intero articolo la bassa affluenza viene menzionata solo una volta, solo avanti nel testo e solo come parte delle dichiarazioni della sconfitta Porchietto, in modo da farla passare non come un dato oggettivo ma come la classica scusa puerile del perdente.

C’è però un’osservazione interessante da fare: il fatto che non ci sia più il minimo ritegno nella manipolazione dell’informazione torinese, almeno quando si parla di politica o di grandi opere attorno a cui girano grandi interessi, vuol anche dire che le crepe sono sempre più evidenti; quei 300.000 torinesi di cui parlavamo sopra hanno chiaramente dimostrato di essere in cerca di qualcosa di un minimo più decente, nonostante tutte le campagne mediatiche. Considerato che in Italia il voto, così come la squadra di calcio, è ereditario – la maggior parte degli italiani eredita una fede politica dai propri genitori e la porta avanti con pochi cambiamenti per tutta la vita – vuol proprio dire che ci troviamo in un momento di eccezionale disponibilità al cambiamento.

[tags]politica, elezioni, referendum, provincia, torino, saitta, vietti, porchetto, informazione, la stampa[/tags]

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5 commenti a “Le provinciali torinesi e La Stampa”

  1. soloparolesparse:

    I drammatici dati dell’affluenza (referendum + ballottaggi) in tutta Italia, più che una voglia di rinnovamento, mi hanno convinto della più completa indifferenza da parte degli italiani verso la politica.
    Come se la gente non si rendesse conto che avere uno piuttosto che un altro al governo, che votare con certe regole piuttosto che con altre, influisce in maniera decisiva sulla vita di tutti i giorni.
    Ho l’impressione che l’80% degli italiani abbia detto: cosa me ne frega del referendum… l’importante è che possa bermi una birra e guardare un pò di tv!
    Italiani… guardate che la politica riguarda tutti… mica per passione, per necessità quotidiana!

  2. Alberto:

    Anch’io ho seri dubbi che i 300.000 che non hanno rivotato Saitta e Porchietto lo abbiano fatto per voglia di rinnovamento, altrimenti mi chiederei perché li avevano votati al primo turno, quando c’erano anche altre liste in gara. Ho paura che il motivo sia stato semplicemente l’indifferenza verso la politica per la quale andare a votare due volte in quindici giorni è già uno sforzo insopportabile.

  3. Mir:

    Sono ormai tutti autoreferenziali. Ma l’epoca dei dinosauri sta finendo..

  4. vb:

    Alberto: Potrebbe anche voler dire che quei 300.000 erano andati a votare il 6 giugno per le europee e delle provinciali gliene fregava poco, per esempio. Ma secondo me gli italiani non sono indifferenti per la politica a prescindere (altrimenti l’affluenza sarebbe bassa da sempre), sono invece indifferenti in questo periodo per rassegnazione: quelli che trovano un progetto in cui credere si mobilitano senza problemi. Almeno, questa è stata la mia esperienza con i nostri elettori; poi chiaro che il nostro 0,65% non è per forza rappresentativo del tutto.

  5. Mike:

    Hai dimenticato che l’altra volta c’erano le comunali oltre alle europee. Ed aggiungerei che ho sentito diverse persone che non sono andate a votare per non raggiungere il quorum del referendum, lasciando perdere le provinciali.

 
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