Fischia il vento
Agosto è sempre un periodo politicamente interessante: proprio perché gli italiani sono già al mare, distratti e spensierati più del solito, è il momento in cui i politici si dedicano alle proprie faccende. Abbiamo così visto come la semplice minaccia della nascita del partito del magna-magna meridionale, con la fuoriuscita dal PDL della maggior parte dei suoi parlamentari del Sud, sia stata sufficiente a far calare le brache a Tremonti: e così via di altri faraonici stanziamenti per opere inutili (che in gran parte andranno nelle tasche di mafia e camorra) e per assistenza di vario genere, senza capire che l’esistenza di un terzo abbondante del Paese che vive in una economia di tipo africano, basata essenzialmente sugli aiuti a fondo perduto che provengono da fuori, non è più fisicamente sostenibile.
Un’altra notizia interessante è la rottura dell’accordo tra Rai e Sky per la trasmissione satellitare dei canali Raisat: l’ente pubblico ha preferito rinunciare a 350 milioni di euro (tanto mica sono suoi, sono nostri) pur di privare Sky di un po’ di contenuti e di spostarli sulla piattaforma satellitare Rai-Mediaset. Ormai le due aziende sono definitivamente una cosa unica; e il controllo sull’informazione è totale.
Giusto per fare un possibile esempio, ieri sera il TG5 apriva con un fantastico servizio sulla commemorazione della strage di Bologna con annessi fischi al ministro Bondi (peraltro le parole “ministro” e “Bondi” fianco a fianco fanno sempre un certo effetto), che conteneva due perle: la prima era quella in cui il giornalista dichiarava che la contestazione al governo è “una consuetudine che si ripete di anno in anno”, cercando di minimizzare il fatto che ormai i berluscones, in qualsiasi piazza vadano, vengono presi a fischi e pomodori da quella che sarà pure una minoranza ma è sempre più evidente ed agguerrita, anche se non ne vedrete mai mezza immagine in un telegiornale Raiset. La seconda invece era quella in cui un altro giornalista abbracciava le dichiarazioni di Capezzone (nel senso che riportava solo quelle o altre similari) e accusava i contestatori di intolleranza verso chiunque osi criticare il “dogma politico-giudiziario secondo cui la strage fu fascista”.
Ovviamente non è un dogma, ma una sentenza, giunta dopo lustri di indagini; la strage di Bologna fu commessa da terroristi di estrema destra, e se è vero che vi sono dubbi su chi fossero i loro mandanti, la loro responsabilità come esecutori materiali è stata accertata dalla legge. Qui, però, qualsiasi verità scomoda viene fatta passare come un complotto contro il regime, mentre qualsiasi falsità utile viene presentata come verità . Il dramma comunque non è tanto che loro ci provino, ma che milioni di italiani ancora vadano loro dietro; che quando qualcuno prova ad aprire loro gli occhi, anche presentando prove, filmati, immagini, testi che sono ormai ampiamente reperibili su Internet, ti rispondano docilmente con la verità del TG123456, cioè che è tutto un complotto, che i problemi sono ben altri, che anche chi protesta ha i propri scheletri nell’armadio, che protestare danneggia l’economia e il brillante futuro dell’Italia.
Concludiamo con l’ultima notizia: da domani La Stampa aumenta il prezzo del 20%, da 1 a 1,20 euro. Il neo direttore Calabresi in tre mesi è riuscito a fare un giornale pessimo, senza dignità nè indipendenza, sdraiato a sostegno di qualsiasi potere forte si possa immaginare (da Berlusconi al Vaticano), e pronto a raccontare mezze verità e intere bugie senza alcun ritegno. Io ne riporto solo una ogni tanto, quando mi capita, eppure finisce che ne smaschero in media un paio a settimana… Inserite tutto questo nello scenario di crisi senza ritorno dei quotidiani di carta, fate le somme (si dice qualche decina di milioni di euro l’anno in negativo, a seconda delle fonti) e capirete perché alla Stampa di carta io dia al massimo due o tre anni di vita, salvo radicali ripensamenti del suo ruolo, costo, stile e formato, o salvo che diventi completamente uno strumento di regime, mantenuto in vita dalle regalie dirette o indirette dello Stato (che già oggi ammontano a svariati milioni di euro annui per ciascun quotidiano) allo scopo di indottrinare i propri lettori.
Calabresi presenta la cosa con un editoriale strappalacrime: sotto il titolo “per difendere la qualità ” (involontariamente umoristico), ci dice “noi non taglieremo la redazione di Verbania, però voi fate la vostra parte”, come se dovessimo pagare noi la loro propaganda o i loro vecchi giornalisti, quelli che in qualche caso non vogliono nemmeno imparare a usare un computer e pretendono l’assunzione di appositi stagisti digitatori al loro servizio; figuriamoci poi dialogare per e-mail… A noi torinesi (me compreso) ci frega l’affezione, il restare attaccati a una Torino capitale culturale e industriale che fu e che oggi esiste solo nel nostro immaginario nostalgico e nella propaganda di Chiamparino & C.; e di questo la lettura regolare de La Stampa è una componente essenziale. Eppure, essendo razionali, da domani c’è un buon motivo in più per non comprare La Stampa.
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