Lavoro, giustizia, merito
Lunedì pomeriggio ho fatto una gita, lontano dal computer e dai faccioni dei candidati sui muri, e sono andato davanti ai cancelli di una fabbrica, la ZF Sachs di Villar Perosa, a farmi raccontare la loro storia (se poi sbaglio qualcosa mi perdoneranno, possono precisare nei commenti).
In questo periodo di crisi, la Sachs ancora se la cava: produce ammortizzatori e se quelli per auto (originariamente era una fabbrica Fiat) non tirano più, quelli per le moto vanno ancora bene. “Ancora se la cava” di questi tempi vuol dire magari mettere persone in mobilità o in cassa integrazione, ma almeno la fabbrica non chiude. Peccato che abbia da poco chiuso l’altra fabbrica che stava nello stesso capannone, la Stabilus, azienda dello stesso gruppo tedesco che ha lavorato qui per quindici anni e che non era affatto in crisi, ma che al primo stormir di fronde i tedeschi si son riportati in casa: dato che loro non son fessi, preferiscono licenziare comunque gli italiani e riportarsi il lavoro in Germania, a differenza degli imprenditori italiani, che preferiscono licenziare comunque gli italiani e portare il lavoro in Romania, salvo poi scoprire che non esiste più un mercato interno per i loro prodotti perché nessuno qui ha più una lira da spendere.
Chiusa la Stabilus, a catena rischia anche la Sachs: perché i costi per tenere attivo un capannone sono grandi e se chi ne occupa metà sparisce, i costi per l’altro raddoppiano. Così tutti – perché una fabbrica così è un patrimonio per tutta la valle, non solo per gli operai – si sono dati da fare per trovare qualche modo per migliorare la situazione, e invece di avere come unica idea quella di farsi dare fondi a babbo morto, hanno detto alla Regione Piemonte: aiutaci con dei fondi per ricoprire il tetto del capannone di pannelli fotovoltaici, così la fabbrica produrrà energia, taglierà i costi energetici e incasserà anche qualche lira vendendo l’eccesso.
E la Regione, naturalmente, non ha risposto; perché erano già tutti in fregola pre-elettorale. Cota o Bresso, Bresso o Cota, finché non finisce il derby dei faccioni non si muove foglia, e chissà per quanto tempo ancora dopo. Dopo, chissà se ci sarà ancora la fabbrica.
Racconto questa storia non solo perché è un dovere, perché di storie così ce ne sono tante ma arrivano al massimo fino all’Eco del Chisone, mentre i “grandi giornali” come La Stampa sono impegnati a raccontarci che un candidato alle regionali, sconosciuto ma con agganci al giornale, ha mandato una lettera a Obama (questa sì che è una grande idea per risolvere i problemi del Piemonte).
La racconto perché spesso ci dicono che siamo velleitari, che vogliamo creare lavoro ed eliminare la precarietà ma che non abbiamo la minima idea di come farlo. E invece vedete che chi lavora arriva da solo a capire la portata della rivoluzione energetica. Se fossimo un po’ più furbi ci saremmo messi da tempo ad aprire aziende su queste tecnologie; prima di quanto pensate, i nostri tetti dovranno coprirsi tutti di pannelli, le nostre case dovranno dotarsi di pompe di calore, i nostri impianti idraulici andranno riprogettati per non sprecare acqua e così via.
E vedete che, se in Italia ci fosse una amministrazione pubblica che funzionasse decentemente, la crisi non sparirebbe, ma la si potrebbe affrontare meglio; si potrebbero usare i pochi soldi che ci sono per aiutare le persone o per riconvertire le fabbriche a produzioni più vendibili, invece che sprecarli in grandi opere non particolarmente utili (quando non sono sprechi puri e semplici) e nei costi allucinanti della corruzione, delle clientele e della politica in genere.
Sarebbe comunque velleitario pensare di poter risolvere la crisi semplicemente cambiando la classe dirigente, perché la crisi è sia locale che globale; tolta quella locale, rimane comunque la crisi mondiale del modello di sviluppo adottato fino ad oggi. Tuttavia, un cambio di classe dirigente e di politiche del lavoro può permettere di affrontare la crisi con più giustizia, con regole eque e solidali per tutti.
Lo stesso concetto di precarietà, per esempio, può comunque essere affrontato rivedendo le regole. La globalizzazione da una parte (in sé fenomeno positivo, di incrocio, conoscenza e pacificazione mondiale) e l’immigrazione dall’altra sono stati usati per distruggere quel po’ di benessere, di diritti e di giustizia sociale che era stato faticosamente costruito in cent’anni di lotte operaie, a favore dell’arricchimento sfrenato di pochi.
Non esiste nessuna ragione per cui dobbiamo accettare passivamente che i nostri “imprenditori” trasferiscano le produzioni in Cina per sfruttare la manodopera schiavizzata e senza diritti che possono trovare là, oppure che licenzino le persone regolarmente assunte per “esternalizzare” il lavoro a immigrati e giovani senza diritti. Il problema non sono tanto i dazi, non sono “gli immigrati che rubano il lavoro” (come ripete la Lega, che poi da vent’anni mantiene gli immigrati nell’illegalità perché possano essere sfruttati meglio, e se a forza di illegalità finiscono a delinquere tanto meglio, così si rafforza la paura), ma è la possibilità di aggirare le regole sulla salute dei lavoratori, sulla sicurezza dei prodotti, sul trattamento fiscale e assistenziale, mediante l’uso delle sacche di illegalità e di precarietà che vengono accuratamente mantenute in Italia, o portando il lavoro là dove i diritti non esistono.
Non esiste nessuna ragione per cui il mondo del lavoro italiano debba essere diviso tra finte partite IVA, di quelle che ogni mese fatturano la stessa cifra alla stessa azienda, e contratti a progetto – persone che per quanto lavorino non hanno mai welfare, cassa integrazione, assistenza, garanzie sul futuro – e poi un insieme di lavoratori intoccabili che possono anche rubare o non presentarsi a lavoro e, di fatto, quasi sempre restano al loro posto. Invece di avere una giungla di contratti diversi, in cui ognuno difende i propri piccoli privilegi mentre l’intero sistema economico affonda, basterebbe un contratto di lavoro uguale per tutti o quasi, in cui a tutti è garantita una tutela in caso di perdita del lavoro secondo il “sistema danese”: un vero e proprio sussidio di disoccupazione pari allo stipendio per i primi mesi, che poi decresce progressivamente incentivando la persona a trovare un nuovo lavoro.
Con un uso intelligente dell’informatica non è difficile scovare i dipendenti travestiti da professionisti e l’evasione fiscale; basta volerlo fare. I soldi in Italia ancora ci sono, le strade sono piene di SUV da 50.000 euro, i ristoranti sono pieni, i negozi eleganti pure. Ma se nel mondo civile la ricchezza è un indicatore di capacità, e chi si arricchisce viene ammirato perché vuol dire che ha lavorato molto e bene, da noi troppo spesso la ricchezza è un indicatore di furbizia, e manda il messaggio che per avere successo bisogna fregarsene degli altri e violare le regole. Questo è un messaggio devastante che va cambiato, va sostituito con la meritocrazia, con il premio alla preparazione, alla capacità, all’onestà.
E infine – ma non diciamolo troppo forte – bisognerà prima o poi affrontare il problema delle piramidi che esistono tuttora nella nostra società. Il loro simbolo sono le banche, accumuli di denaro prelevato dalle tasche di tutti e gestito per garantire potere e controllo. Ma la ricchezza collettiva dovrebbe essere al servizio della collettività, investita in ciò che serve a tutti, utilizzata anche per la solidarietà, anziché per lo strozzinaggio al primo segno di difficoltà economica di una persona o di una azienda. Il problema della proprietà del denaro, del controllo delle banche centrali, del futuro dell’Europa affidato a un Parlamento di trombati e di burocrati in modo che il vero potere sia in mano alle lobby, è un problema fondamentale per la costruzione di una nuova società futura. Non è una elezione regionale il momento per affrontarlo, ma bisogna comunque metterlo sul tavolo.
Mi sono dilungato e me ne scuso, ma le cose che non vanno sono tante. Almeno, noi abbiamo una lista, e la volontà di metterci mano non appena ne avremo l’opportunità. Attendo volentieri i commenti e i suggerimenti dei lettori.
[tags]economia, lavoro, assistenza, equità, giustizia sociale, meritocrazia, politica[/tags]
24 Marzo 2010, 12:55
*standing ovation*
24 Marzo 2010, 12:57
Per chiarezza, lucidità ed efficacia questo è uno dei migliori articoli su questi temi che mi sia capitato di leggere ultimamente.
Il mio commento è piuttosto superfluo e non aggiunge proprio niente, ma non mi piace neanche pensare di rimanere nel silenzio del lurking senza rivelare quanto apprezzi le persone che come te ragionano in modo sano.
Quindi, semplicemente, bravo. E grazie, ovviamente.
24 Marzo 2010, 18:01
Potrei darti 5 stelle di voto, ad esempio…
24 Marzo 2010, 18:12
eHM, SEI stato nominato… http://www.mantellini.it/?p=7812
25 Marzo 2010, 07:39
Bravo Vittorio. Proviamoci. È ovvio che le bacchette magiche non esistono, ma continuare a non fare una mazza è di sicuro la soluzione peggiore.
25 Marzo 2010, 10:48
Capraro è il titolare di una grossa agenzia di comunicazione e immagine di torino, la Ideal Print, vuoi che la Stampa non gli faccia una marchetta quando lui fa i piani mezzi per i suoi clienti e decide se mettere le inserzioni su questo o quel giornale?
25 Marzo 2010, 14:38
Ciao Vittorio (se me lo consenti continuo a darti del tu),
sarei quello che aveva fatto alcune “precisazioni” in materia di autostrade in qualche tuo post precedente (però non mi hai ascoltato e hai scritto ancora qualche imprecisione in post successivi a cui non ho replicato).
Condivido in toto quanto hai scritto in questo post ed anche in altri precedenti (ti voterò e continuo a sponsorizzarti con chi sò che ti voterà a sua volta).
Però
Anche il Bossi di primo pelo parlava così ed hai visto come è andata a finire (pochi giorni fa mi è stato raccontato da un politico candidato a Montecalè che qui in Piemonte la Lega ha imposto dei “truschini” al PDL mettendo in lista cose che noi umani non possiamo nemmeno immaginare e la risposta alle obiezioni è stata “s’at va nen bin gaute da le bale” (però detto in lumbard).
Perché ti scrivo questo ?
A meno che TU (E SOTTOLINEO TU) non abbia un PROGRAMMA OMNICOMPRENSIVO di tutto quello che evidenzi (giustamente) come problemi da risolvere ed hai una squadra di FIDATISSIMI PULITI che esegue senza dubbi e tentennamenti il PROGRAMMA da TE (E SOTTOLINEO ANCORA TE) delineato, oppure, secondo il mio modesto parere, ti suggerirei di fare “un passo alla volta” ossia fare un microprogramma di pochi punti (anche solo 1!!!) che DICHIARI da subito di voler perseguire una volta eletto.
E QUANDO SEI ELETTO LO PORTI A COMPIMENTO !
Guarda che non è riduttivo e lo sai bene!
Di tuttologi che poi alla fine non sanno un fico di niente ma parlano e fanno affermazioni per sentito dire (non dico perché fà piacere alle folle perché non è il tuo caso mentre il primo si) nella mia vita ne ho incontrati e ne incontro ogni giorno e devo dirti che passare da tuttologi a politici il passo è breve, anche perché da politici, una volta dentro, diventa difficile privarsi di tutti quegli agi.
Scusa se te lo dico ma è come se scrivessi a me stesso questa reprimenda perchè, se me lo consenti, abbiamo un modo di approcciare le situazioni molto simili, solo che, purtroppo, non c’è tempo e risorse per porre rimedio a tutto e, soprattutto, non ci sono gli italiani!
Ossia non esiste una Coscienza di Stato che va aldilà della Nazionale di calcio e con questo “materiale umano” si fa poco in breve tempo. Ci vorrà almeno un 50anni se si parte ADESSO.
Quindi Ti chiederei di “lasciare il segno” almeno su una cosa, quella che conosci meglio e sai perfettamente come risolvere dopodiché i discorsi di circostanza lasciali agli altri che non hanno niente da proporre come soluzioni (non idee perché ce ne sono già troppe).
Quello che hai scritto sopra lo sappiamo già che lo pensi e lo difenderai perché è il tuo modo di essere però spesso è meglio rispondere “non sono informato in modo adeguato” piuttosto che comunque dire qualcosa (che spesso poi è a vanvera) come fanno molti TUOI colleghi politici ! (Scusa la battuta VB ma mi piaceva metterla e ti ci dovrai abituare).
PER ASPERA AD ASTRA!
25 Marzo 2010, 15:42
Stavo giusto pensando a quale sarebbe la prima proposta di legge presentata se fossi io ad entrare in Regione. Probabilmente sarebbe per ridurre gli stipendi dei consiglieri regionali, perché mi sembra doverosa e simbolica.
Sul lavoro, concordo, è meno facile, e nessuno avrà la bacchetta magica; molte delle cose che ho indicato richiedono interventi legislativi nazionali. Però è vera anche l’obiezione opposta a quella (comunque giusta) che fai tu, cioè che, se non si ha bene a mente qual è il modello di società che si vuole costruire nel lungo termine, diventa facile perdersi nel “piccolo cabotaggio” e non cambiare mai nulla in profondità.
Poi, ovviamente, spero che non ci faremo corrompere dal potere, ma qui dovete essere voi a prenderci a calci nel sedere se succede; un’altra cosa che cercheremo di fare sarà istituzionalizzare appena possibile le forme della democrazia partecipativa (es. il referendum deliberativo senza quorum o il bilancio partecipativo).
25 Marzo 2010, 15:51
…di far pagare le Tasse (quelle vere) al popolo delle partite IVA…gnanca a parlene ?
Facciamo che a livello locale chi ha figli, indipendentemente dal reddito, possa essere aiutato ?
Facciamo che chi ha un parente ottuagenario in casa può essere aiutato ?
Facciamo qualcosa di tangibile non di simbolico.
Se lo fai sono al tuo fianco e cercherò in ogni modo di darti una mano (A TE non a chi ti circonderà e vedrai che saranno tantissimi)
25 Marzo 2010, 23:05
Oh finalmente. Parliamo di LAVORO. Hai ragione da vendere su un sacco di punti, quasi su tutto. Tanto che, se potessi permettermi un suggerimento, un movimento di cittadini come questo dovrebbe chiamarsi “Movimento Articolo 1”, con riferimento all’articolo della Costituzione Repubblicana che dichiarava “L’Italia è una Repubblica fondata sul LAVORO”. Infatti, se il secolo delle ideologie è chiuso, non credo affatto che le differenze siano scomparse, anzi. Credo invece che la differenza tra quelle che erano la destra e la sinistra passi oggi proprio dal tema del lavoro.
O stai dalla parte di chi lavora (che guadagni tanto o poco, come dipendente o come partita iva) o dalla parte di chi vive di rendita (leggi: come parassita), grazie ai meccanismi inventati dal capitale.
E se dovessi partire a scrivere un programma generale, a pensare alla società di domani partirei proprio dal lavoro e dalla sua centralità. Il resto si può tutto trarre da qui.
26 Marzo 2010, 16:58
>Peccato che abbia da poco chiuso l’altra fabbrica che stava nello stesso capannone, la Stabilus, azienda dello stesso >gruppo tedesco che ha lavorato qui per quindici anni e che non era affatto in crisi, ma che al primo stormir di fronde i tedeschi si son riportati in casa:
[…]
>Chiusa la Stabilus, a catena rischia anche la Sachs: perché i costi per tenere attivo un capannone sono grandi e se chi ne >occupa metà sparisce, i costi per l’altro raddoppiano.
La ZF Sachs fa parte di una multinazionale tedesca di dimensioni globali (http://www.zf.com/corporate/en/company/locations_worldwide/europe/italy_locations/italy.jsp) leader nel settore cambi ed altra varia componentistica per l’industria dell’automotive. Non sono riuscito a capire se la Stabilus fa parte dello stesso gruppo o meno, ma penso comunque che la storia che la Sachs possa rischiare perchè i costi raddoppino per l’altro occupante di metà capannone sia poco credibile per una azienda di queste dimensioni.
Come anche il fatto che un gruppo così globalizzato si voglia riportare il lavoro in patria (in un paese dove il costo del lavoro è paragonabile a quello italiano se non superiore) mi sembra poco realistico.
Forse il fatto che prima fosse un’azienda di Fiat può spiegare molte più cose anche relativamente alle sue attuali vicende. Ad esempio le possibili risposte alla domanda perchè Termini Imerese chiude (sarà l’ultima a chiudere?) potrebbero andare anche bene alla domanda perchè la ZF Sachs chiude….
Più che altro ci si potrebbe chiedere come mai in Italia non ci siano state le condizioni, in questi ultimi 30-40 anni, affinché si sviluppasse un gruppo industriale come la ZF tedesca, in un paese dove comunque il know how sul settore automotive non è (stato?) poca cosa.
Sicuramente un gruppo come ZF ha accesso a molti mercati esteri tra cui quelli emergenti dove già si sono trasferiti molti stabilimenti di assemblaggio di automezzi e dove piano piano si trasferiscono anche i vari attori presenti nella componentistica e nella subfornitura.
> Non esiste nessuna ragione per cui dobbiamo accettare passivamente che i nostri “imprenditori” trasferiscano le produzioni […]
Sono sicuramente d’accordo con quello che dici (e mi sembra che già ne parlammo molti anni fa): ma che ambiente economico (sto parlando in generale: tassazione, burocrazia, livello di costi diretto ed indiretto, ambiente scolastico-formativo) offre l’Italia oggi?
Evidenziare che buona parte di ciò che compone il cosiddetto “ambiente economico” (tassazione, burocrazia, ecc. ecc.) è in mano alla schizofrenica volontà della nostra attuale classe politica ci può già dare molte risposte.
E’ per questo che ti voterò (voterò te, ti conosco da tanto tempo, non faccio atto di fede verso Beppe Grillo); è per questo che forse le persone come te sono l’ultima speranza per il nostro paese: non perchè siete inca…ti e furibondi ma perchè bene o male cercate di voler ancora ragionare sui problemi e sui cambiamenti da intraprendere, senza essere dogmatici, ideologici e populisti.
In culo alla balena….