Negli ultimi giorni si propaga per la rete un’ondata di sdegno – una delle tante, ormai sembra che la rete serva più che altro a propagare sdegno – derivante da questo articolo di Repubblica, in cui il giornale di De Benedetti (ormai equivalente di sinistra di Libero) denuncia con vibrante protesta il fatto che alcune società di assicurazione auto praticherebbero tariffe appositamente differenziate tra italiani e immigrati extracomunitari.
A prima vista una cosa del genere può effettivamente sembrare scandalosa, ma in realtà essa lo sarebbe soltanto se fosse il risultato di una scelta politica, indipendente dalla realtà delle cose. E invece, è il frutto di pura osservazione statistica: non solo secondo le compagnie, ma addirittura secondo l’associazione di categoria della polizia stradale, gli extracomunitari sono coinvolti in una quantità di incidenti proporzionalmente molto superiore agli italiani.
Da sempre, le assicurazioni auto variano le proprie tariffe in funzione dei propri modelli statistici, sviluppati da un punto di osservazione privilegiato – quello di chi può avere in mano un database di tutti o quasi gli incidenti stradali che avvengono in Italia. Non conta dunque soltanto il livello nella scala bonus/malus, ma la provincia in cui si risiede, il sesso, l’età , e un numero sempre più ampio di fattori.
Tutte queste differenziazioni potrebbero essere considerate discriminatorie: perché la stessa assicurazione deve costare molto di più se si vive a Napoli invece che ad Aosta? Non è una forma di razzismo contro i napoletani? E il fatto che le polizze costino di più ai giovani maschi e di meno alle donne anziane è il risultato ideologico di gerontocrazia e femminismo? Addirittura, una assicurazione, fattasi i propri conti, propone “70 giorni gratis a chi è nato negli anni ’70”: non è una ingiusta discriminazione verso chi è nato il 31 dicembre 1969?
In seconda analisi, dunque, il caso montato da Repubblica si rivela come il classico sensazionalismo da giornale politicizzato: si prende una cosa tutto sommato normale e la si sovraccarica di significati ideologici per infiammare le folle. Se è vero che gli extracomunitari presentano tassi di incidentalità più elevati degli altri, è addirittura più equo che paghino tariffe più elevate; e se proprio c’è del razzismo, vorrà dire che ad essere razzista è la statistica.
E però, anche così la questione non è sufficientemente approfondita. Infatti, il principio di base delle assicurazioni è quello di condividere il rischio; tanti pagano mentre pochi ricevono, in base a un principio di solidarietà preventiva per cui ognuno preferisce pagare una piccola cifra che va a vantaggio di altri in caso non faccia incidenti, piuttosto che rischiare di doverne sborsare una grande in caso l’incidente tocchi a lui.
In teoria, perché un sistema assicurativo sia in equilibrio, la somma di tutti i premi pagati dovrebbe coincidere con il valore di tutti gli indennizzi da corrispondere a chi subisce un danno (in pratica la somma dei premi deve essere superiore, per permettere di coprire i costi operativi dell’assicurazione e il suo margine di guadagno). La cifra complessiva da raccogliere per pagare tutti gli indennizzi viene poi suddivisa cercando di far pagare di più chi rischia di più; e qui interviene la statistica, analizzando i tassi di incidentalità dei singoli gruppi di persone e la loro numerosità . Ed è assolutamente normale che gruppi diversi presentino valori diversi in questi due parametri, e portino dunque a tariffe diverse.
Peccato che la scelta di come suddividere le persone sia però totalmente arbitraria! Io potrei decidere di dividere quelli con gli occhi neri da quelli con gli occhi azzurri; verrebbe magari fuori che chi ha occhi azzurri fa mediamente più incidenti, e a questo punto potrei affibbiare loro una tariffa più elevata. Sarebbe equo? Statisticamente sì, perché chi ha gli occhi azzurri fa più incidenti; e per la matematica ciò è sufficiente a stabilire una correlazione tra le due variabili.
Una correlazione matematica non implica un rapporto di causa ed effetto – entrambi i fenomeni osservati potrebbero essere effetti di qualcos’altro – ma qualche influenza ci dovrà pur essere, se no risulterebbe che, su un numero sufficientemente grande di casi, l’incidentalità delle persone con occhi azzurri sarebbe uguale a quella delle persone con occhi neri. Per essere equo, dovrei dunque calcolare quanto costano gli incidenti provocati dagli occhi azzurri, dividere per il numero di persone e trovare così il giusto premio per assicurare gli occhi azzurri; analogamente, calcolerei un premio diverso per le persone con gli occhi neri.
Ma a quel punto si potrebbe andare oltre: tra le persone con gli occhi azzurri, potremmo distinguere quelle alte e quelle basse; e all’interno di ogni categoria, distinguere ancora delle sottocategorie sempre più piccole, ad esempio per fasce di altezza di un centimetro alla volta; e poi introdurre altri fattori. Anzi, man mano che suddividiamo il campione in gruppi sempre più piccoli, probabilmente le differenze aumenteranno, perché il numero di casi a disposizione per calcolare le statistiche sarà sempre più ridotto, e la casualità avrà un peso sempre maggiore.
Ma supponiamo comunque di poter sempre disporre di un grande numero di casi, tale da fornire dati statisticamente affidabili: a quel punto, possiamo portare il ragionamento all’estremo. Per raggiungere la massima equità , dovremmo avere gruppi di una persona sola, la quale dovrebbe pagare un premio equo pari al totale degli incidenti da sè provocati diviso il numero di persone nel gruppo (uno). In pratica, la massima equità si ha se ognuno si paga da solo i propri incidenti, abolendo le assicurazioni.
Peccato che in questo modo venga completamente meno il principio che sta alla base dell’idea stessa di assicurazione: la solidarietà reciproca, o, come si sarebbe detto nell’Ottocento, la mutua assicurazione.
Potremmo dunque pensare che tutta questa suddivisione in categorie, distruggendo la solidarietà , sia in realtà ingiusta: e andare all’estremo opposto, ovvero quello di abolire qualsiasi distinzione e far pagare a tutti gli italiani lo stesso premio assicurativo, indipendentemente da dove vivono, quanti anni hanno… e soprattutto, da come guidano. Così, però, sarebbe evidente un’altra ingiustizia: perché io, guidatore coscienzioso e prudente, devo pagare cifre elevate per coprire i risarcimenti degli incidenti provocati da persone che non sanno guidare o che guidano in maniera incosciente?
C’è, infatti, un problema alla base di quasi tutti i tipi di assicurazione: in ogni sinistro c’è una componente di disgrazia imprevedibile e inevitabile, ma c’è anche una componente di capacità e di volontà del danneggiato. Senza arrivare al problema degli incidenti-truffa, messi in piedi o gonfiati per arricchirsi con il risarcimento, l’assicurazione deve comunque coprire gli effetti di entrambi questi fattori: uno che, essendo slegato dalla volontà personale, porterebbe alla massima solidarietà e dunque a un premio uguale per tutti; un altro che, dipendendo direttamente dal danneggiato, porterebbe a diversificare il più possibile il premio per categorie o addirittura ad abolire l’assicurazione stessa.
Qual è dunque un sistema oggettivo, scientifico ed equo di determinare i premi dell’assicurazione auto? Beh, mi sembra chiaro che non esiste: qualsiasi scelta sarà sempre arbitraria e contestabile. Nell’arbitrarietà , ci sta anche che si decida che certi criteri non possono venire usati per diversificare i premi, forzando dunque la solidarietà dei più virtuosi verso i meno. Basta che si sia coscienti che sono tutte scelte politiche, e che comportano tutte un danno economico per alcuni e un vantaggio economico per altri, mettendo direttamente le mani nelle tasche degli italiani.
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