Il business di ammazzare la gente
Ieri sera è finalmente arrivata la sentenza sul caso Thyssen-Krupp; ed è una sentenza storica, quella in cui speravamo in molti, ma che ci aspettavamo in pochi. Eppure è tutt’altro che immotivata.
Infatti, se – come pare confermato dalla sentenza – l’azienda ha coscientemente cominciato a smantellare o smesso di mantenere gli impianti di sicurezza in quanto pianificava di chiudere lo stabilimento a breve, pur conoscendo benissimo il rischio, c’è stata una volontà esplicita e cosciente (non una semplice sottovalutazione del rischio) di mettere in pericolo la vita degli operai; e dunque non è un omicidio colposo, ma volontario.
Che un’azienda si comporti così non mi stupisce; ormai è considerato normale calcolare i morti nei business plan. Le perdite di vite umane sono considerate danni collaterali necessari allo “sviluppo” e all’economia, quantificate a priori e “risolte” con una assicurazione o uno stanziamento preventivo di fondi per pagare i risarcimenti ai parenti dei defunti. Non vale certo solo per i privati; è lo stesso calcolo che hanno fatto Chiamparino e soci, con tanto di studio del Politecnico, per autorizzare l’inceneritore del Gerbido. Uccidere un po’ di gente e poi “ripagarla” costa meno e dunque, cinicamente, si fa così; ed è proprio per questo che il carcere duro ai dirigenti d’azienda e ai sindaci cancerofili è l’unico deterrente possibile.
Ora si dice che una sentenza così dura farà chiudere le aziende, farà scappare gli imprenditori stranieri. Lo si dice sempre, ogni volta che si chiede al capitalismo una responsabilità anche minima; del resto l’unico modo in cui buona parte degli italiani concepiscono il fare impresa è quello di fare ciò che gli pare: non pagare le tasse, trattare i lavoratori come carta igienica, corrompere politici e giudici, violare qualsiasi normativa ambientale. Di imprenditori così non abbiamo bisogno, e ve lo dice una persona che nella sua vita ha fondato sei aziende; fare impresa in modo normale, insieme ai propri dipendenti invece che contro di loro, non solo si può, ma è l’unico modo che può funzionare in un sistema economico sviluppato, in cui il capitale che fa davvero la differenza per il successo delle aziende è solo quello umano.
L’alternativa è diventare non la Cina, ma il retrobottega schiavizzato della Cina; poveri, sfruttati e vittime sacrificali di una idea malata di progresso.
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