La politica e la casa
Ultimamente odio la politica, non solo quella della casta ma anche quella di certi colleghi, per cui il problema fondamentale del momento è se Grillo faccia o meno togliere i video da Youtube o come organizzare la fronda contro il famigerato Casaleggio.
La odio perché so che i problemi veri sono altri; per esempio, dopo la vicenda dell’anziano senza casa morto in macchina a Lanzo, ora finalmente i giornali si accorgono che non è un caso isolato. A Torino – a tre isolati da casa mia, in una zona che si vanta spesso di non avere i problemi di Barriera o di Porta Palazzo – una intera famiglia, due anziani e figlia trentenne, vive in un parcheggio sotterraneo dopo lo sfratto (la storia intera è qui).
E’ la crisi che avanza; in passato, vi si è sempre fatto fronte con il blocco forzoso degli sfratti, scaricando il costo dell’assistenza sui proprietari. Ora però questo non è più possibile, perché sempre più spesso i proprietari hanno bisogno del reddito della casa per sopravvivere o per aiutare a sopravvivere i propri figli, e talvolta ne hanno bisogno perché sono loro stessi finiti in mezzo a una strada.
Rispondere è non solo possibile, ma doveroso. Nel caso della famiglia di via Lera, ad esempio, il problema è duplice: queste persone hanno un reddito, ma non riescono a mettere insieme i soldi per la caparra di un nuovo alloggio; inoltre, sono in attesa dei tempi burocratici per ottenere un assegno di invalidità .
Il Comune – invece di rispondere, come hanno fatto le assistenti sociali, che la casa non è una competenza del loro ufficio – può farsi carico di assistenza temporanea; magari non è nemmeno questione di soldi, ma di aiutare persone poco esperte a trovare e gestire l’ingresso in un nuovo alloggio. Servirebbe un ufficio che, previa la massima trasparenza, possa dare su due piedi piccoli aiuti pratici o economici a persone che si trovano all’interno di una serie di condizioni predefinite – senza casa e senza lavoro, innanzi tutto anziani, senza dipendenze e senza pendenze penali.
Resta comunque la questione di fondo: ha senso che a Torino esistano 50.000 alloggi vuoti e contemporaneamente persone che letteralmente muoiono di stenti per strada? Ovviamente no, ma domanda e offerta non si incontrano; il Comune, pur provandoci, non ha soldi per pagare affitti anche calmierati per tutti quelli che non hanno una casa (e tantomeno per costruire un numero apprezzabile di case popolari); i proprietari, in assenza di offerte di mercato, preferiscono tenere sfitte le case proprio per la paura di non riuscire più a cacciare gli inquilini, e per i nuovi quartieri c’è anche la paura di “svalutare la zona” accogliendo inquilini squattrinati.
Nel lungo periodo bisognerebbe arrivare, a livello nazionale, a una legge che permetta di recuperare forzosamente almeno gli stabili lasciati in abbandono, che già sarebbero sufficienti a tamponare l’emergenza. Nel breve, quel che si può fare è assumersi ognuno la propria responsabilità ; i proprietari potrebbero arrivare ad accettare affitti stracciati in cambio di garanzie assicurative su possibili danni e legali sugli sfratti; le fondazioni bancarie potrebbero metterci dei soldi. Il Comune dovrebbe essere efficiente nell’individuare e gestire i singoli casi, nel fornire soluzioni tampone per i periodi di passaggio, nel sollecitare le altre istituzioni a fare la propria parte.
Non è che non si faccia già , ma la dimensione del problema è destinata ad esplodere; o ci attrezziamo, o finiremo presto come negli Stati Uniti, dove in molte piazze e giardini delle città ci sono più barboni che foglie per terra.
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