Fango, fumo e tanta m…
Forse non tutti sanno che – tecnicamente a Castiglione Torinese, ma dal lato del Po di Settimo – c’è una spianata grande come un aeroporto piena di vasche, pannelli fotovoltaici, pompe e gasometri. E’ il depuratore Smat di Torino, il più grande d’Italia, e serve a una cosa sola: filtrare il mare di m… che i cittadini di Torino e cintura producono giorno e notte. Tutte le fognature della città convergono su un grande condotto parallelo al Po, che riversa un fiume di liquami nell’impianto; lì ci sono dei filtri, poi delle vasche di decantazione, poi una serie di processi chimici et voilà , quello che avanza è sufficientemente pulito da finire nel Po.
Dove finisce la schifezza? Finisce in fango; e metà dell’immenso complesso è destinato a lavorarlo, recuperando calore ed energia e producendo 130.000 tonnellate l’anno di melma. Di queste, 20.000 vengono essiccate e portate alla discarica di Cassagna, mentre il resto viene riusato, rendendolo liquido al punto giusto e cedendolo all’agricoltura e/o al compostaggio. Il processo è altamente efficiente, e la stessa dirigenza Smat, durante un sopralluogo ufficiale, ci ha dichiarato che il sistema attuale è già ottimizzato, dato che praticamente tutto il fango viene riutilizzato anziché smaltito.
Perché vi racconto questo? Dovete anche sapere che il dinamico sindaco di Settimo Aldo Corgiat prova da anni ad attirare un inceneritore nel proprio Comune, perché bruciare la m… porta un sacco di soldi a chi gestisce l’impianto (e il cancro a chi ci vive accanto, ma questo pare non essere un problema). Peccato che alla fine si sia scelto di costruire l’inceneritore a Torino (ubi maior), accantonando il progetto di Settimo. Che fare? Basta aspettare un po’ e poi, in società coi privati, chiedere il permesso alla Provincia, il cui assessore all’Ambiente è dello stesso partito di Corgiat.
E’ sufficiente fare due conti per capire che un secondo inceneritore è inutile: la Provincia di Torino produce circa un milione di tonnellate di rifiuti l’anno, in calo per via della crisi e delle politiche anti-spreco. Più o meno metà viene riciclata, per cui avanzano 500.000 tonnellate; l’impianto del Gerbido ne può bruciare 420.000. Ne restano 80.000 che potrebbero tranquillamente andare in discarica, senza contare che in teoria – nonostante Torino abbia ottenuto una moratoria, dichiarandosi talmente piena di turisti da non poter reggere la spaventosa massa di rifiuti da essi generata – la legge, l’Europa e il buon senso planetario ci chiederebbero di arrivare subito a differenziare almeno il 65% dei rifiuti, il che ridurrebbe l’avanzo indifferenziato a 350.000 tonnellate in tutto.
Ma soprattutto, 80.000 tonnellate sono troppo poco per rendere un inceneritore economicamente sostenibile… cioé, l’inceneritore è per definizione economicamente insostenibile, dato che vive grazie alle tariffe che noi cittadini gli paghiamo per bruciare i rifiuti (circa 100 euro a tonnellata) più le sovvenzioni che noi cittadini gli diamo, come i certificati verdi (altri 100 euro per ogni megawattora prodotto); è una attività intrinsecamente in perdita per noi e in guadagno per loro. Ma se la quantità di rifiuti trattati scende sotto le 200.000 tonnellate l’anno, nemmeno le nostre laute sovvenzioni sono sufficienti a tenere in piedi la baracca; e questo ce lo confermò anche l’amministratore delegato di Amiat, Magnabosco.
Qual è stato allora il colpo di genio del “sistema Settimo” (la definizione non è mia ma dei dirigenti Smat)? Beh, se insieme alle 80.000 tonnellate di rifiuti avanzati bruciassimo anche una buona parte delle 130.000 tonnellate di fanghi del depuratore, opportunamente essiccate, allora si potrebbe giustificare sulla carta un secondo inceneritore e un secondo business. Peccato che nessuno l’abbia chiesto alla Smat, che stamattina ha decisamente negato che questa sia un’ipotesi per loro interessante.
E’ chiaro a tutti che in futuro, in un modo o nell’altro, ci saranno sempre meno rifiuti indifferenziati; e che Torino, regolarmente al top dell’inquinamento in Europa, avrebbe una grossa opportunità ambientale ed economica puntando sulle tecnologie e sulle pratiche del futuro, e costruendosi un know-how innovativo che potremmo poi andare a vendere in giro per il mondo. E invece no, siamo qui bloccati nel passato dalle scelte miopi e interessate della nostra classe dirigente, che ai cittadini sa proporre solo tanto fumo, spingendolo grazie all’informazione compiacente. E noi restiamo in un mare di merda.
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