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martedì 1 Marzo 2011, 20:01

Dell’onestà dei disonesti

A voi forse sembrerà che l’onestà sia un concetto semplice e lineare: onesto è chi non mente e chi rispetta le regole date dalla società. Eppure poche cose dimostrano come l’onestà sia in realtà un concetto complesso quanto ciò che è successo in questi giorni in Germania.

Per i pochi che non lo conoscono, il caso è questo: si è scoperto che il ministro tedesco Guttenberg, brillante 39enne, ottenendo quattro anni fa il dottorato di ricerca, ha copiato da altri lavori più o meno metà della sua tesi. Nessuno mette in discussione la sua intelligenza o la sua preparazione, né la sua adeguatezza agli incarichi politici che ricopre, per i quali è invece molto apprezzato e amato dagli elettori; può anche darsi che l’espediente sia stato solo un modo per far prima, tra un impegno e l’altro. Eppure, non ci sono stati sconti: in Germania una persona che copia e mente sulla paternità di un proprio lavoro non è moralmente adatto a fare il ministro, e Guttenberg si è dimesso.

Ora, noi potremmo comparare questo caso con la ministra italiana Gelmini, 37enne dalle dubbie qualità, la cui preparazione e i cui meriti per il ruolo che ricopre non sono granché evidenti. La ministra, dopo un diploma di maturità ottenuto in una scuola privata cattolica dopo aver frequentato senza grande successo due diversi licei pubblici, e dopo una laurea in giurisprudenza nella sua natìa Brescia su cui anche le sue compagne di studi si mettono a ridere, ha ottenuto l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato trasferendosi a sostenere l’esame a Reggio Calabria, ed offrendo lei stessa in una intervista questa motivazione: “sono andata a farlo a Reggio Calabria perché a Brescia non si passava”.

Ecco, anche questa ammissione è un’altra forma di onestà, l’onestà dei disonesti, anche se suona più che altro come una presa in giro per chi in Italia ancora studia seriamente. Ma non è questo il punto; il punto è che da noi nessuno ritiene che questo, da solo, sia un motivo sufficiente perché questa persona non possa fare il ministro. Per chi ne chiede le dimissioni, questi fatti sono solo un rafforzativo per le critiche alle sue proposte, o al massimo una dimensione di distinzione umana, “noi siamo quelli che studiano e loro sono quelli che si arrangiano”. Ma se da noi qualcuno chiedesse le dimissioni di un ministro sulla sola base del fatto che ha scelto per dare l’esame il luogo “in cui si passava”, sarebbe preso per pazzo.

Il concetto di “onestà” è pesantemente culturale; ciascuno di noi valuta l’onestà in base al comportamento di chi gli sta attorno – della propria famiglia, nella prima fase della vita, e poi di tutta la società, e specialmente delle persone più conosciute e visibili. Ci vuole un grande sforzo per imporsi un criterio di onestà diverso da quello socialmente definito; è ciò che si chiama “coscienza”, e una persona la sviluppa solo quando diviene veramente adulta – il che, nell’Italia di oggi, spesso non avviene mai. In Italia, poi, la stessa idea di “regola” è un concetto complicato, poco chiaro, soggetto a continui doppi standard per cui la norma scritta non è quasi mai quella applicata, anzi è talvolta del tutto inapplicabile, tutti lo sanno e va bene così; una disonestà disonesta non è accettabile, ma una onesta disonestà è considerata normale, fa parte della vita.

Il danno devastante dunque è proprio questo: le ultime generazioni di italiani sono cresciute con un concetto di onestà completamente diverso da quello utilizzato nel resto d’Europa, e totalmente malato. Forse sarebbe ora di cominciare a pensare a come affrontare questo problema.

[tags]onestà, dimissioni, ministro, germania, guttenberg, gelmini, società, cultura[/tags]

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8 commenti a “Dell’onestà dei disonesti”

  1. ArgiaSbolenfi:

    Ultime generazioni? Secondo me il problema risale più o meno alla Controriforma ;-)

  2. Francesca:

    Mi sento chiamata in causa: ho copiato e lasciato copiare, usato bigliettini e trucchi, fatto esami per altri, tutto senza mai sentirmi in colpa o sentire di fare qualcosa di veramente sbagliato o disonesto.
    Se avessi pensato che le mie chance future sarebbero dipese dai miei voti e dalla differenza tra quelli miei e gli altrui avrei agito allo stesso modo?

  3. mfp:

    Quoto l’Argia Sbilenca…

  4. Piero:

    Io penso che là dove c’è la “coscienza” non ci può essere la “regola”, in quanto superflua, perché la regola è necessaria là dove non c’è la coscienza.
    Poi, secondo me, è il concetto di “onestà”, più che quello di “regola”, ad essere complicato, poco chiaro, soggetto a doppi standard.

  5. Alberto:

    @Piero: a mio parere nella contrapposizione tra coscienza e regola hai colto il punto: la regola è diventata nelle società moderne prevalente sulla coscienza perché la coscienza è soggettiva mentre la regola si sforza, con tutti i limiti della giurisprudenza, di non esserlo. La nostra invece è una società nel suo profondo ancora confessionale, ed in essa quindi la coscienza ha ancora, nonostante tutto, il sopravvento sulla regola. Il problema è che la coscienza la si può piegare più o meno consapevolmente alle proprie necessità e quindi trovare sempre una giustificazione dei propri comportamenti o dei comportamenti di quelli che ci stanno simpatici o sono della nostra parte. Così si spiega il paradosso della coerenza che, non solo l’interessato, ma molti altri riscontrano tra il Family Day e le prostitute minorenni.
    Qual è il problema? Il problema è che un sistema regolato funziona meglio di un sistema con regole incerte e soggettive e questo è ciò che penalizza un paese come l’Italia…

  6. Piero:

    Alberto, sì, un sistema regolato è un sistema disciplinato e funziona meglio di un sistema senza regole e indisciplinato. Ciò vale per il traffico per esempio, ma anche in altri ambiti. Ma non è detto che sia un sistema migliore o se vogliamo, più giusto. Chi ha fatto il militare o si trova sotto un regime dittatoriale sa cosa vuol dire vivere in un sistema disciplinato dove il rispetto delle regole è ferreo e la libertà individuale è limitata.

    La coscienza, intesa come consapevolezza e conoscenza, invece è più soggettiva e tende ad essere libera, facendo a meno delle regole proprio perché dotata di quella conoscenza proveniente dall’esperienza. Forse funzionerà peggio, ma almeno viene garantita la libertà.

    Il Family Day e le prostitute non sono altro che la dimostrazione del fallimento di un sistema confessionale basato sulla regola e non sulla coscienza.

  7. Alberto:

    @Piero: ti avverto che l’individuo limita la sua libertà nel momento in cui entra in un’organizzazione sociale a prescindere da quale essa sia. Non c’è nessuna organizzazione sociale, dallo stato democratico al circolo del bridge, che non limiti la libertà del singolo.
    Un sistema non basato sulle regole ma sulla coscienza (come lo definisci tu), in quanto soggettivo, garantisce più libertà al più forte che può imporre la sua soggettività, e limita maggiormente la libertà del più debole. Quindi è più libero o meno libero a seconda della posizione che occupi nella classe sociale. Funziona meno bene non solo perché più disordinato, ma anche perché chi occupa gli ultimi gradini della scala sociale si sente danneggiato e sfruttato da questo sistema, che spesso gli impedisce tra l’altro di risalire la scala, e quindi sente l’organizzazione statuale come qualcosa di estraneo a sé e non perderà occasione per cercare di abbatterlo.

    Il Family Day e le prostitute non sono altro che la dimostrazione del fallimento di un sistema confessionale basato sulla regola e non sulla coscienza.
    Giusto. Quindi o torniamo ad un sistema confessionale deregolato, quindi sostanzialmente ad un modello borbonico, oppure saltiamo il fosso e abbandoniamo un approccio confessionale avvicinandoci ad un modello europeo. Io non ho dubbi su cosa preferire, tu?

  8. Piero:

    Alberto, interessante quello che dici: >”Un sistema non basato sulle regole ma sulla coscienza (come lo definisci tu), in quanto soggettivo, garantisce più libertà al più forte che può imporre la sua soggettività, e limita maggiormente la libertà del più debole.”

    Sì, è vero in molti casi, per esempio con la legge che permette l’aborto e legittima la proprietà privata. Ma chi è il più debole? Dal mio punto di vista, il più più debole è il feto e il nullatenente.

    Tuttavia è proprio il modello europeo e occidentale che legittima l’aborto e la proprietà privata, in barba alla tutela del più debole e del nullatenente, al quale viene negata la libertà di nascere e di soggiornare, per tutelare la libertà del più forte e di colui che è già nato ed è già proprietario.

    La regola, in questo caso, permette l’aborto indipendentemente dalla coscienza. La coscienza, intesa anche come sapienza o conoscenza, invece non lo permette perché la coscienza non ha bisogno di regole e punta alla libertà partendo per prima cosa dalla libertà del più debole (aspetto che va sottolineato) fino a risalire alla libertà del più forte, ma sempre subordinata alla libertà del più debole. Altrimenti non è coscienza, ma è incoscienza.

 
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