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domenica 23 Settembre 2007, 11:39

Slow food, fast money

Ieri sono andato a Bra, per Cheese: la fiera del formaggio organizzata da Slow Food. Bra è poco più che un paesello di campagna, sull’orlo del vallone del Tanaro; ieri era completamente invasa di gente, con il traffico ordinatamente bloccato a chilometri dal centro, navette e tutto il resto.

La fiera consiste di centinaia di bancarelle che vendono formaggi, provenienti da tutto il mondo, raggruppate in una piazza; in più, c’è una zona per assaggi di cibo tipico da varie regioni e stand di birra artigianale; e poi altre degustazioni e stand per tutta la città. Ieri era il giorno di punta, e la fiera era piena zeppa di gente: un successo insomma (finisce stasera).

Siamo tornati indietro con pile di ottimi formaggi mai visti e che non si trovano facilmente in giro; l’idea di mangiarli tutti subito è abortita quando ci siamo resi conto che ciò avrebbe distrutto il nostro fegato, ma ne abbiamo assaggiati vari e gli altri li faremo andare prossimamente in una apposita cena, cercando di farla sufficientemente presto da evitare che il mio frigo prenda vita.

Io però volevo fare qualche considerazione su questa fiera e in generale su tutto il movimento dello slow food, che ormai da vent’anni anima il Piemonte in particolare; ha iniziato con i presidi sul territorio, poi ha promosso le osterie d’Italia con apposita guida, poi sono nati il Salone del Gusto e Cheese, Terra Madre – il convegno dei campesinos mondiali – e ultimamente Eataly, iniziativa commerciale che non è proprietà di Petrini – il fondatore del tutto – ma di un suo buon amico, e si richiama esplicitamente all’idea.

Sono sicuramente iniziative encomiabili, che permettono di conservare produzioni di nicchia e di presentarle al grande pubblico, portando sulle nostre tavole prodotti di qualità, e insomma facendoci mangiare bene. Tuttavia, già da un po’ ho parecchie perplessità su tutto questo movimento, sia etiche che filosofiche, che derivano dall’osservazione di come l’idea, focalizzata inizialmente sul difendere una parte crescentemente povera della società come quella delle nostre campagne, si sia poi evoluta in una macchina da soldi per Petrini e compagni.

Delle Osterie d’Italia si sa: certo non costano come i locali della guida Michelin, ma l’idea iniziale di segnalare “vecchie osterie da trentamila lire a pasto” è stata man mano sfregiata dall’aggiunta di “osterie di nuova fondazione” – aka ristoranti appena aperti, apposta per finire sulla guida – e dall’abolizione di fatto del limite di prezzo, per cui ormai in quasi tutti i posti, indipendentemente dal prezzo dichiarato sulla guida, è difficile spendere meno di 30-35 euro, spesso 40-45.

Proseguendo, ieri a Cheese i prezzi erano più o meno il doppio di quelli di mercato: con poche eccezioni, gli stand vendevano a 25 euro al chilo i formaggi freschi, a 30, 35, 40 quelli stagionati. Anche la parte di cibo veloce, gestita direttamente da Slow Food, era vergognosa: con tre euro ti davano due panini costituiti ciascuno da uno gnocco di pane grande come mezzo dito, una spalmata di burro e una (1) acciuga. Con cinque euro ti davano un wurstel. Ottimo, eh, eccezionale; ma pur sempre un wurstel.

Finiamo con Eataly: anche lì, il cibo è spesso eccellente; i prezzi sono da gioielleria. Con l’aggravante che, oltre al cibo eccellente, si trovano anche prodotti da supermercato prezzati al doppio – come le patate Selenella che compravo regolarmente all’Ipercoop – e persino esposizione di roba che non c’entra niente, che viene gabellata per eticamente buona (come i televisori piatti: “Eataly ha scelto Sharp perchè sposa la filosofia del mangiare lento”??), ma che è lì solo perchè, pur di esserci, ha coperto Eataly di soldi; come peraltro molti degli stessi produttori agricoli che in teoria dovrebbero beneficiare del movimento. Insomma, Eataly è un contro-discount: se al discount compri (oltre a prodotti inferiori) le stesse cose ma le paghi la metà perchè non c’è il marketing, da Eataly compri (oltre a prodotti superiori) le stesse cose ma le paghi il doppio perchè c’è un marketing super raffinato.

Le perplessità etiche derivano da questo: alla fine, qualcuno si sta facendo i miliardi sotto la bandiera di Slow Food? Non c’è nulla di male nel far soldi nel campo alimentare, se non che tutti i sondaggi indicano che la gente non può più permettersi la carne e taglia gli acquisti di cibo, perchè – si dice – gli intermediari alimentari ci marciano, a danno sia dei contadini che dei consumatori. Allora, questi costi stratosferici sono poi così giustificati?

Perché io ho invece l’impressione che prendano gli stessi peperoni di Carmagnola che vent’anni fa ti tiravano dietro al mercato, li rinominino “peperone quadrato giallo del Presidio Slow Food” e te li vendano a quattro volte tanto; e non credo che questo sia nè etico nè eco-compatibile nè “un altro mondo possibile”, nè, perdipiù, meriti il flusso di soldi pubblici e collettivi (ieri c’erano enormi stand della Regione Piemonte e del Sanpaolo) che i politici destinano a queste operazioni.

Comunque, supponiamo pure che le acciughe di Slow Food, per essere così buone (come oggettivamente sono), abbiano costi di produzione tali da dover raddoppiare o quadruplicare il prezzo rispetto a quelle da supermercato. Il risultato è una produzione che è alla portata di una fascia limitata della società, insomma dei ricchi o perlomeno dei single in carriera con tanti soldi da spendere, come me. Certo non della famiglia con i figli da far crescere, e difatti ieri si vedeva tanta gente che si avvicinava agli stand, assaggiava, chiedeva il prezzo e scappava.

Filosoficamente, Slow Food è diventata una operazione aristocratica, che secondo gli schemi classici si definirebbe “di destra”; concentrata sul produrre cibo di gran pregio per chi può permetterselo, cioè una parte molto ridotta della società, quella dominante. L’operaio di Mirafiori o il nuovo schiavo dei call center certo non va a mangiare regolarmente nelle Osterie d’Italia e non compra i formaggi da trenta euro al chilo, nè i cioccolatini di Gobino da quindici euro a scatolina sugli scaffali di Eataly.

Confrontate questo modello con la bevanda più democratica del mondo, la Coca Cola: sarà americana e insalubre e tutto il resto, ma costa poco ed è uguale per tutti; anche se sei ricco, non puoi avere una Coca Cola migliore di quella del barbone sdraiato sul marciapiede. Sarà che ciò si può fare solo abbassando il livello, insomma producendo schifezze; eppure, dal punto di vista sociale, se fatto con cibo di qualità, sarebbe uno scenario molto più meritorio.

Io credo insomma che tutto questo movimento andrebbe sostenuto, anche dal pubblico, se lo scopo fosse quello di migliorare la qualità del cibo che le persone normali mangiano ogni giorno; se invece, come è ora, lo scopo è quello di produrre cibo molto ricercato per i ricchi, credo che dovrebbero farlo pagare interamente ai ricchi, senza chiedere appoggi pubblici, senza presentarcelo come il futuro progressista e alternativo, e senza utilizzare presunti principi etici come slogan pubblicitari.

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22 commenti a “Slow food, fast money”

  1. piemontese:

    tutta l’operazione slow food fin dall’inizio non era altro che una macchina per fare soldi sugli appetiti di chi ha soldi e vuole comprare roba oggettivamente buona. Questo credo fosse chiaro a chiunque.

    Io sono stato a cheese e devo dire che alcune cose a costo “umano” tra i formaggi le ho trovate cosi’ come birre di qualita’ a prezzi normali (4 euro la media, 3 la piccola). Di sicuro non vado a mangiare veramente nella mega zona ristorante dove la sensazione di essere spennati si sente nell’aria gia’ dall’inizio.

    Una fiera del genere e’ l’occasione per comprare qualche formaggio “strano” e buonissimo sapendo di dover spendere il giusto, tutto il resto secondo me e’ buono solo se hai tanti soldi da spendere. Cosi’ come non andro’ mai a comprare nulla da Eataly che e’ palesemente una macchina da soldi e basta e cerchero’ di contattare direttamente i produttori (molti avevano anche i biglietti da visita con sito internet per gli acquisti diretti).

    L’unico modo per risparmiare su queste cose e’ andare direttamente dal produttore, ogni intermediare e’ li’ solo per specularci sopra (giustamente aggiungerei essendo commercio), facendo finta di fare cose etiche e buone.

  2. elena:

    infatti, ma è la finta di far cose etiche e buone che dà (molto) fastidio.
    Fare dell’etica non è obbligatorio, ma visto che la fai, che ti vanti di farla, almeno falla seriamente…
    Comunque, a proposito di feste popolari, in quella più grossa del pianeta, cioè l’Oktoberfest, il Paese dei Balocchi per adulti e bambini, (6 milioni di visitatori, un miliardo di euro di introiti dichiarati, fonte Sueddeutsche Zeitung), il litro di birra viene sui sette/otto euro, il bretzel intorno all’euro e cinquanta, mentre il wurst con patate intorno a 4.50 euro, ma le possibilità di trovare cibo grigliato e arrostito sono pressochè infinite, quindi anche i prezzi sono i più vari.

  3. sciasbat:

    Mixed reactions, come spesso capita oggi quando si cerca di appiccicare l’etichetta di destra o sinistra a qualcosa. Smettiamo di farlo, così evitiamo di renderci ridicoli. Sloow Food ha successo? Buon per Petrini & C. che hanno tirato su un’ottima impresa commerciale da un’idea originale, occupando una nicchia che le grosse multinazionali del cibo avevano trascurato. E’ solo per ricchi? Chi se ne frega e dai numeri delle persone coinvolte mi sembra che questi ricchi non siano così pochi… Forse occorrebbe ridefinire il concetto di povertà. Inoltre dove sta scritto che tutti hanno diritto a tutto? C’è anche molta roba patacca in mezzo? Di nuovo chi se ne frega, smettiamola di considerare i consumatori come marionette che agiscono a comando, possono sempre scegliere, mica siamo alla Lidl dove il tuo grande fratello commerciale ti offre solo l’offerta migliore tra cui scegliere. Se la qualità scadesse e Slow Food si trasformsse (elimenerei quasi il congiuntivo dubitativo) ci sarebbe spazio per un nuovo Petrini che con fantasia e capacità imprenditoriali. C’è molta ipocrisia dietro, visto la parte ideologica sbandierata e di fatto tradita? Me ne frega un po’ di più, visto che non sopporto la mancanza di coerenza, ma inciderebbe di più se dovessi votare Petrini per qualcosa (non lo farei) piuttosto che come suo cliente: da questo punto di vista conta solo cosa mi offre non come. In fondo si tratta di marketing, le merendine Ferrero si vendono con i pupazzetti di Shrek, Slow Food usa Terra Madre come testimonial: oguno è libero di farsi condizionare come vuole, così come ognuno è libero di vendere la propria faccia da mettere su un prodotto.

  4. Thomas Jefferson:

    L’esempio della Coca-cola dovrebbe essere illuminante (ah per inciso, al colmo dell’ipocrisia da Eataly c’è anche la sua imitazione). Quello è il vero mercato EQUO e solidale.
    Equo perché il prezzo è il frutto dell’incontro tra domanda ed offerta, cioé chi la compra spende quanto reputa giusto spendere per quel prodotto. Solidale, beh. Boh.
    Chi ha detto che debba essere solidale?
    Un altro mondo è possibile? Sì, quello in cui nessuno cerca di imporre un suo modello di vita e di mondo possibile agli altri. Esiste già, non ostacoliamolo: si chiama Libero Mercato.

  5. Luciano Mollea:

    Che ingenuità! Si sapeva fin dall’inizio che sarebbe finita così, bastava osservare bene!
    Tutti oggi dicono che bisogna mangare bene perchè
    – è uno status symbol (e per noi italiani è come le mutande di armani, se non le hai sei uno sfigato)
    – altrimenti finiamo per mangiare schifezze americane (e l’aggettivo vale più del sostantivo)
    – aiuti i “poveracci” del mondo con i progetti equi e solidali (salvo poi scoprire che di equo e solidale non hanno nulla)
    E’ la stessa cosa che succede con la “bioarchitettura” o quelle baggianate eco-compatibili che dovrebbero migliorarci la vita.
    E’ incredibile che il cosiddetto “popolo di sinistra” non si renda conto che tira regolarmente la carretta ai “ricchi-ricchi” (quelli che nell’ancien regime sarebbero stati definiti “aristocrazia”) aiutando a mettere i bastoni tra le ruote a quei pochi che cercano di risalire la scala sociale – i “borghesi” insomma – e che è interesse di tutti, “proletari” compresi, che abbiano successo solo per evitare che la società si sclerotizzi e si finisca per essere governati dai Lapi.
    Visto che hai tirato in ballo la “destra” (che in questo caso IMHO non c’entra nulla), ti ribalto il discorso dicendo che la “sinistra” per governare ha bisogno di creare una “elite” (con tanto di bollino come le liste civiche di Grillo), e di far credere al “popolo” che ha bisogno di essere guidato da quella elite. Magari privandosi dei soldi guadagnati lavorando. E tutto per difendere i lavoratori dallo sfruttamento.
    Curioso, n’est pas?

  6. carlo:

    Eataly, roba per ricchi? Mah, però è strano che al mattino verso le 10-11, se vi fate un giro, vi trovate non pochi pensionati (e vi garantisco che non sono ex banchieri o ex imprenditori)a comprare il pane e qualche altro genere (formaggio, salumi ecc).Possibile che siano tutti degli sprovveduti?

  7. bruno:

    In effetti può aver ragione Carlo. Eataly sarà caro in confronto alla grande distribuzione, ma magari è concorrenziale rispetto al classico negozietto sotto casa, dove il pensionato va a farsi rapinare pur di poter raccontare della nipotina con la varicella.

  8. sciasbat:

    O prendono troppo di pensione :D
    E’ vero, è caro, ma non è neppure esclusivo. E ha un senso: in quale altro banco dei salumi trovi tutto, dal semplice salame nostrano allo jamon s. miguel? E così vale per gli altri generi trattati, non è privo di costi offrire una varietà scelta simile e questa è una cosa che io apprezzo molto: si va in un posto come eataly anche solo per provare cose nuove e imparare.

  9. Bruno:

    Sarò un tradizionalista, ma meglio di Porta Palazzo non c’è nulla. Ci trovi tuttissimo e i salami sono meravigliosi. Se ti piace poi la cucina piemontese (o rumena) trovi tutto ciò che vuoi. Il pesce è fenomenale.

  10. carlo:

    Si, si , a Porta Palazzo ci trovi pure un certo “grana padano” che se tu provi a metterlo 20 minuti nel fono di casa, vedi cosa ti rimane. Però spendi poco.Di sicuro.

  11. carlo:

    Mi è scappata una r. (Forno di casa)

  12. BlindWolf:

    Uhm… Luciano, il tuo ragionamento mi sembra un po’ ideologico.

    Che la cosiddetta “sinistra” oggi sia molto snob penso che sia sotto gli occhi di tutti (a barca di D’Alema e l’abbigliamento di Bertinotti ne sono le icone). Ma che un politico debba essere “migliore” (più preparato, più intelligente, più ragionevole, più riflessivo…) della media del popolo mi pare doveroso.

    Definisci Grillo “di sinistra”? I giornali ed i politici l’hanno definito con tutti i colori dello spettro visibile, con sconfinamento nell’infrarosso e nell’ultravioletto. Inoltre le liste civiche a mio parere non sono elitarie: è la “gente” (o la “ggente”) che entra direttamente in politica. Grillo ci mette un bollino elitario? Il comico genovese cerca la strada dell'”uomo qualsiasi” (volendo un po’ “qualunque”), che dovrebbe essere l’opposto dell’elitarismo. Un po’ come il Bossi coprolalico, il Maroni in canotta, il “presidente operaio”. E’ un atteggiamento (se vogliamo criticarlo) più populistico che elitario.

    Per quanto riguarda Slow Food & compagnia: Petrini non ti obbliga con la frusta a mangiare i prodotti dei suoi presidi. Sei liberissimo di spendere di meno e rifornirti al discount, di berti i mitici spremutoni misti tedeschi, di mangiarti le mele rivestite da un dito di cera ancora meno eque e meno solidali provenienti dal sud America o addirittura andare al “Mac”. Tutto dipende da quanto vuoi o puoi spendere, da come la pensi ideologicamente e da come sei influenzato da pubblicità e marketing (compresi quelli di Slow Food). Si chiama Libero Mercato, veramente.

  13. Alberto:

    Se non ideologizzi il tutto lo Slow Food è semplicemente un luogo nel quale puoi consumare o acquistare cibo di qualità a prezzo conseguente su vasta scala, una sorta di outlet della gastronomia. Chiaramente la qualità ha i suoi costi e così come la BMW costa più cara di un’utilitaria, il Castelmagno costa di più del Philadelphia.
    Se pensi a Petrini come ad una Madre Teresa di Calcutta gastronomica sarai deluso, ma se pensi a lui solo per quel che è, ovvero un imprenditore di successo, dici: buon per lui…

  14. Attila:

    Da consumatore occasionale di Eataly (quando passo da Torino ci entro), vedo un’operazione da “fai abboccare il radical chic” che c’è in ogni italico…
    Comunque nel ristorantino di carne si mangia una accettabile (buona è troppo) battuta al coltello ad un prezzo che può essere definito ragionevole…
    Ma da qui a “salvare” l’Italia vera…

  15. Attila:

    Comunque Slow Food è un ottimo “captatore” di aiutini comunitari… e indovina chi li paga?

  16. MCP:

    Credo si potrebbe scrivere un romanzo su quanto l’agricoltura e le iniziative correlate, in Europa, siano di gran lunga piu’ protette di qualunque altra attivita’ produttiva…

  17. Luciano Mollea:

    @BlindWolf: il mio ragionamento è ideologico perchè oggi tutto è ideologico. Anche Slow Food – nonostante io creda sia una geniale intuizione del libero mercato – viene presentato come “buono” (nel senso di buonista). Oramai tutte le grandi imprese mondiali, incluse le detestate case petrolifere, rimangono squali da libero mercato con la pelliccia dell’agnello buonista. Facci caso. Loro lo fanno per far più soldi ingannando i gonzi. Ed a me – liberomercatista per convinzione – l’ammantarsi di ideologie (oltretutto tendenzialmente ostili al libero mercato) per far più soldi fa parecchio schifo.

    Poi fai attenzione: non ho detto che Grillo è di sinistra (anche se ha chiaramente idee più socialiste che liberali). Ho detto che la “sinistra” cerca di mettere il bollino su quello che ritiene buono (e qui ho fatto come esempio il bollino che vorrebbe dare Grillo), se proprio vogliamo la “sinistra” (ma non solo) delle “elites” oggi sta mettendo il bollino di “cattivo” sulle liste di Grillo; Grillo sta facendo – a modo suo – il contrario. Se da questo deduci che Grillo sia di sinistra (cosa che non ho scritto) libero di farlo. Nei metodi, sta applicando gli stessi della sinistra (che deve definire in maniera manichea “bene” e “male”). Nel merito, ho già detto come la penso in altro post. Qui però non si parlava di Grillo. Qui si parlava di Slow Food e del fatto che viene descritto come “bene” anche se è una bellissima invenzione del libero mercato venduta con caratteristiche “buone” per poter rientrar nella categoria “bene” – e magari cuccarsi i finanziamenti della UE. Come ho detto è una cosa che a me fa schifo, perchè il “bene” ed il “male” me lo decido io, non ho bisogno e non mi piace che altri lo decidano per me (magari poi cercando di addossarmi sensi di colpa perchè non faccio come lorsignori hanno deciso che sia bene, un po’ come certi sguardi riprovevoli di certi preti).

    Lascia stare l'”uomo qualunque”, che Giannini si rivolta nella tomba ogni volta che lo citano (sempre a sproposito).

    Aside: Io invece non sono convinto che un politico debba per forza essere “migliore” della media. Non ritengo avere N lauree o una cultura spaventosa la base per definire la “bontà” di un politico. Certo, la capacità di stare in un certo ambiente non ce l’ha un contadino della Val d’Aosta che vede mucche tutto il giorno. Ma ho conosciuto persone senza impressionanti titoli di studio con una cultura migliore e con vedute più ampie e più aperte di altri che avevano un curriculum studiorum da paura… Un politico deve avere la capacità di risolvere praticamente i problemi, non di fare teoria e basta. La pavimentazione di una piazza o un sistema sanitario funzionante non lo fai con la pura teoria di Marx o di Von Hayek.

  18. BlindWolf:

    Sul discorso Grillo di destra/di sinistra avevo frainteso il tuo post. (Comunque IMHO è un “battitore libero” e non è identificabile in nessuna ideologia tradizionale).

    Per politico “migliore” non intendo solo “più colto”, ma “più preparato”. I governi migliori che ho visto negli ultimi 20 anni sono stati i governi più tecnici. Comunque un minimo di conoscenza e rispetto delle Istituzioni non è male…

    Per quanto riguarda il libero mercato (premetto che io sono per una ragionevole regolamentazione del mercato: un mercato troppo libero rischia di diventare anarchico o oligopolista), Slow Food non fa che occuparne una nicchia. In quanto agente del mercato ha il suo marketing e sei libero tu di decidere se è “bene” o “male” (parole abusate un po’ da tutti…) e puoi infischiartene del parere della maggioranza. Per quanto riguarda i finanziamenti statali o europei: li prendono così tante ditte (anche meno “buone” all’apparenza) che potremmo usarli per chiudere (malamente) ogni discussione.

    Per concludere cito Travaglio: “oggi, ogni volta che un dito indica qualcosa la prima cosa che ci si chiede è se sia un dito di destra o di sinistra”. Ergo: guardiamo ai fatti e riduciamo l’uso delle ideologie. Anche perchè ormai le ideologie ottocentesche non sono più applicabili nel 2007.

  19. Nervo:

    Scusa l’OT, ma l’involontario ossimoro “la parte di cibo veloce, gestita direttamente da Slow Food” era assolutamente da evidenziare :-)

  20. carlo:

    @ attila
    Ma se metti in discussione la carne della Granda, magari la “battuta” , allora non ci siamo e no, no.

  21. gnomo:

    Eataly è solo l’ultima delle idee commerciali di Farinetti nata per fare cassa. Petrini ideologicamente puro, si è lasciato, strada facendo, contaminare dal business di re Oscar.
    A difesa di queste speculazioni basterebbe un po’ di intelligenza… aime!, per un popolo teledipendente come il nostro è una richiesta esagerata. La storia di questo impero dell’ottimismo ha radici oscure che nascono nell’immediato dopoguerra, stop!! come descrive il famoso proverbio: “si dice il peccato non il peccatore” nel mio caso ho nominato il peccatore e quindi mi fermo qua.

  22. carlo:

    Caro gnomo potevi anche fermarti prima. E’ facile sparlare e nascondersi dietro un proverbio.

 
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