La cultura, si sa, è importante. Lo è specialmente quella stampata, e lo è ancora di più per la sinistra italiana: la rivista, il quotidiano e il libro, in ordine crescente, sono considerati l’elemento distintivo delle persone intelligenti (di sinistra) rispetto ai buzzurri qualsiasi (di destra). Deve essere per questo che il governo Prodi ha destinato particolare attenzione all’editoria proprio in questi giorni.
Per prima cosa, la legge finanziaria, per uno di quei miracoli legislativi che esistono solo in Italia, contiene anche una piccola ma cruciale revisione della normativa sul diritto d’autore. E’ stato aggiunto di soppiatto il seguente testo:
“I soggetti che realizzano, con qualsiasi mezzo, la riproduzione totale o parziale di articoli di riviste o giornali, devono corrispondere un compenso agli editori per le opere da cui i suddetti articoli sono tratti. La misura di tale compenso e le modalità di riscossione sono determinate sulla base di accordi tra i soggetti di cui al periodo precedente e le associazioni di categoria interessate. Sono escluse dalla corresponsione del compenso le amministrazioni pubbliche di cui al comma 2 dell’articolo 1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.29.”
Cosa vuol dire? Ufficialmente, è un modo per “regolamentare” le rassegne stampa professionali, ossia quei servizi che ti mandano ogni giorno una selezione di articoli sugli argomenti che hai specificato di tuo interesse; essi dovranno pagare una quota – presumibilmente, per motivi pratici, proporzionalmente alla quantità di articoli riprodotti – che verrà poi spartita in qualche modo tra gli editori.
Tuttavia, se leggete, non c’è scritto in alcun modo che la questione riguarda solo chi lo fa per mestiere, o chi ne trae un guadagno, o chi lo fa in maniera consistente, o chi lo fa per terzi (gli unici esentati sono gli enti pubblici: se c’è una buona occasione per aggiungersi un privilegio, come farsela sfuggire?). Da adesso, in teoria, anche citare o fotocopiare un capoverso di un articolo di quotidiano è soggetto al pagamento di una tassa. Per dire, per fare un post come questo io avrei dovuto pagare, non si sa bene (ancora) come e quanto. Non parliamo poi, che so, di fotocopiare e conservare gli articoli che mi interessano.
Sulla stessa scia, sono in arrivo altre iniziative, naturalmente tutte mirate a promuovere la vera cultura, a danno dei contribuenti buzzurri. Il vicepremier piacione “Ciriaco” Rutelli, teso a contendere a Veltroni la leadership della romanità , ha tenuto nella capitale gli “Stati generali dell’editoria 2006”, chiamando attorno a un tavolo tutti gli interessati: lui, l’associazione degli editori e i sindacati dei giornalisti.
In tale occasione ha annunciato che il governo costituirà un “Centro per il libro”, in pratica un collettore di soldi pubblici per finanziare le iniziative autopromozionali degli editori; ma soprattutto, riproporrà la legge sul diritto di prestito.
Per chi non è pratico, si tratta dell’attuazione di una famigerata direttiva comunitaria che prevederebbe l’abolizione di un concetto secolare, quello delle biblioteche pubbliche aperte a tutti. Si stabilirebbe difatti il principio che anche una biblioteca pubblica, per quanto gratuita e senza scopo di lucro, deve corrispondere all’editore un compenso per poter dare in prestito i libri. Di conseguenza, le biblioteche pubbliche diverrebbero a pagamento, o, in alternativa, lo Stato dovrebbe remunerare ogni anno gli editori a botte di milioni di euro.
Di fronte a questa prospettiva, approvata dal Parlamento Europeo dopo la solita campagna di lobbying delle grandi aziende del settore, altre nazioni hanno detto no: Spagna e Portogallo hanno fatto ricorso alla giustizia europea. Noi, invece, ci appresteremmo ad implementarla in silenzio, naturalmente sempre per promuovere la cultura.
Peccato che, nella pratica, tutto questo crescente drenaggio di soldi dalle tasche degli italiani e dello Stato finisca nel solito vecchio imbuto, la SIAE, che redistribuisce il maltolto in base al criterio della quantità . Pensavate che i soldi raccolti in nome della promozione della lettura finissero ai piccoli editori e agli scrittori emergenti? Al contrario, come per la musica, finiranno per la maggior parte nelle tasche dei grandi editori, quelli che pubblicano i calendari delle veline, le riviste popolari e i quotidiani gratuiti, che già fanno profitti significativi ogni anno, e i cui prodotti aumentano scientemente la buzzurritudine degli italiani, anzichè diminuirla. Quelli che sono promotori di cultura quando c’è da farsi abbassare l’IVA e farsi finanziare progetti dalla collettività , ma che sono “aziende che devono stare sul mercato” quando c’è da offrire un servizio pubblico o diffondere contenuti non di massa.
In compenso, in tutte le discussioni di cui sopra c’è un grande assente: la rete. Non sono più soltanto quattro aziende specializzate a far ricircolare gli articoli di giornale, ma centinaia di migliaia di persone, ogni giorno nei loro blog. E non sono più solo gli editori a promuovere la lettura, ma – oltre alle biblioteche e alle università , che però, secondo Rutelli, non essendo nè editori nè giornalisti non sono interessate dalla questione – persone e gruppi che digitalizzano libri, li trasformano in audiobook per i ciechi, li traducono in lingue dove non sono mai stati disponibili, e via così, inventando ogni giorno nuovi modi per far circolare la conoscenza, e renderci tutti un po’ meno buzzurri.
Purtroppo, per la gran parte del nostro mondo politico, le persone della rete sono invisibili. O peggio, sono pericolose; perchè in rete non c’è nessun editore che, con un colpo di telefono, può essere “invitato” a modificare un editoriale o ridimensionare una notizia sgradita al politico di turno, o al contrario a dare visibilità alle sue fregnacce. I nostri blog, a colpi di poche decine di lettore per volta, fanno informazione decentralizzata, e quindi, nell’aggregato, non controllabile.
Se volete approfondire, qui trovate una petizione da firmare contro il provvedimento sulle rassegne stampa, mentre qui ne trovate un’altra contro l’esclusione di biblioteche, università e gruppi culturali dalla discussione sulla promozione del libro. A questo ultimo link troverete anche l’articolo del Corriere della Sera che spiega i dettagli della seconda questione… almeno finchè non approveranno la legge di cui alla prima.