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Archivio per la categoria 'GuardaMilano'


sabato 19 Dicembre 2015, 17:16

La mia prima alla Scala

Ieri sono stato a Milano per un motivo ben preciso: nell’entusiasmo prenatalizio, in cui tutti dobbiamo essere più buoni, ho accettato uno scambio che da tempo dovevo fare con la mia consorte. Io sarei andato a sentire l’opera alla Scala, e in cambio lei sarebbe venuta a vedere il Toro all’Olimpico.

Che questo spirito di cooperazione fosse destinato al disastro dovevo capirlo subito, quando ieri mattina sono andato alla biglietteria dello stadio e ho scoperto che per Toro-Udinese la Maratona era già esaurita, facendo saltare la seconda parte dello scambio (si recupererà con l’Empoli dopo le feste).

Tuttavia, ogni promessa è debito e quindi ho onorato la mia parte, accettando di andare nel loggione della Scala – un investimento da ben quindici euro a testa – in occasione della rappresentazione della Giovanna d’Arco di Verdi (il compositore, non il centrocampista ex Milan).

Bene, è stata una scoperta: non pensavo che fosse possibile, ma a quarant’anni ho infine trovato qualcosa che fa abbioccare più dei Gran Premi di Formula 1.

Certamente a ciò ha contribuito il fatto che l’unica cosa che potessi vedere dal posto a me assegnato fosse il lampadario appeso al soffitto del teatro; però va detto che se mi alzavo e mi sporgevo sopra quelli della fila davanti riuscivo a vedere l’angolo sinistro della scena, purtroppo sempre vuoto perché il regista dev’essere un borghese reazionario e ha concentrato sempre tutto sul lato destro.

Comunque, a uso della vostra cultura, vi riassumerò brevemente l’opera in questione.

In pratica, l’intera opera di due ore e mezza ha solo tre personaggi: Carlo re di Francia, Giovanna d’Arco e suo padre. La prima parte è centrata sul fatto che Carlo ci prova con Giovanna, la quale è donzella purissima e affidata alla Vergine (ci sono un sacco di invocazioni di Cristi e Vergini in quest’opera, e dopo un po’ comincerete a invocarli anche voi sperando che facciano finire presto il tutto).

Per questo motivo Giovanna non gliela vuole dare, però a un certo punto pensa che sì, insomma, magari, una trombatina col re non ci starebbe male. Bene, solo per averlo pensato parte una mezz’ora di reprimende da parte del Verdi e del suo librettista Temistocle Solera, con tanto di esibizioni di diavoli e dannati e di disperazione del padre di lei, devastato dal dolore di aver messo al mondo una tale puttana, una che pensa prima o poi pure di fare del sesso, la svergognata. O almeno così credo, visto che Temistocle è uno a cui piace usare tutte le parole difficili del vocabolario e anche alcune inventate apposta per non farsi capire, prendendo di peso parole dal latino e italianizzandole come capita.

Comunque, a questo punto dormivo già da mezz’oretta e mi sono svegliato con le luci dell’intervallo, durante il quale sono spariti metà degli spettatori, a partire dal tizio russo seduto accanto a me che dopo un quarto d’ora dall’avvio dello spettacolo aveva già estratto il cellulare e stava chattando su whatsapp per scambiare foto di stangone russe seminude.

La seconda parte è a dire il vero più interessante, anche musicalmente, tanto è vero che non mi sono più addormentato del tutto.

Comincia col padre che, in ossequio alle nostre tradizioni cristiane, cerca di far ammazzare la figlia per punirla di aver pensato di poter prima o poi perdere la verginità (qui si dimostra come le nostre tradizioni cristiane siano in realtà indistinguibili dalle tradizioni pakistane del burqa). Lei peraltro è d’accordo, e autosvergognandosi desidera solo bere un calice di amaro Averno.

In qualche modo Giovanna finisce sul meritato rogo, ma lì, straziata dal senso di colpa e anche un po’ dall’incipiente profumo di arrosto, si prostra in penitenza nel tormento e giura al padre che mai più concepirà di utilizzare la sua vagina, anzi, piuttosto se la sigilla col Bostik.

A questo punto, ripristinata la moralità cristiana, parte una radiocronaca cantata (costava meno che mettere in scena una battaglia) che ci spiega che Giovanna viene liberata, sbaraglia gli inglesi e poi muore, perché comunque lei ci aveva pensato, al sesso, e quindi va bene redimersi ma neanche il Bostik può rimettere insieme la moralità di una donna. Però la Francia è salva e quindi chi se ne frega di Giovanna, son tutti contenti e l’opera finisce.

Ora, come può reagire una persona normale che al giorno d’oggi si trovi di fronte a questa overdose di Dio, Patria e Famiglia, e a un’opera che, secondo Wikipedia, lo storico critico verdiano Carlo Gatti definì pacatamente “un cumulo d’incongruenze e un’offesa continua al buon gusto artistico e alla verità storica”?

Beh, uno può dormire, oppure può sperare che le continue invocazioni “Oh Franchi!” presenti nel libretto preludano all’ingresso in scena perlomeno di Franco Franchi o di Pippo Franco o di qualche altro Franco che salvi un po’ la serata, oppure può chiedersi se, invece di investire una montagna di soldi in questo evento, non potessero semplicemente mettere regista e direttore di fronte a una replica di 16 anni e incinta su MTV, che sostanzialmente è la stessa cosa ma in cinque minuti anziché due ore e mezza, e senza tanti gorgheggi e marcette di ottoni in stile Oktoberfest.

L’importante è solo non farsi trascinare invece dall’entusiasmo, perché se vi piace questa roba finirete per auspicare il ritorno dello Stato Pontificio e pure quello dei Savoia, e non solo a Ballando sotto le stelle.

Però ok, i cantanti erano bravi!

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sabato 12 Novembre 2011, 15:34

Ride for life, per la sicurezza ciclabile

Tutti i giornali hanno riportato la storia del povero bambino di Milano ucciso da una ragazza che, scendendo da un’auto appena parcheggiata in mezzo alla strada in doppia fila, ha aperto la portiera senza guardare facendolo cadere sotto le ruote del tram che sopraggiungeva. La mentalità autocentrica della nostra società si vede dal fatto che quasi tutti i titoli parlavano di “ucciso dal tram” e non di “ucciso da un’auto in sosta vietata”, anche se i rapporti di causa ed effetto sono chiari; eppure, perlomeno c’è stata un po’ di tardiva attenzione al problema delle auto ormai abbandonate selvaggiamente in qualsiasi angolo delle città.

Io non voglio fare il moralista, anzi pure a me è successo di fermarmi in doppia fila per scaricare o aspettare qualcuno; perlomeno però bisogna usare accortezza e responsabilità verso gli altri, ad esempio facendolo in larghe vie secondarie dove non crea pericolo e disturbo, e non nel mezzo di un viale ad alto scorrimento o di una stradina dove blocca il passaggio. Trovo invece ipocrita il fatto che d’incanto il sindaco Pisapia dopo l’incidente abbia mandato i vigili a multare le auto in quella via, e penso che andrebbe fatta prevenzione in anticipo nei potenziali punti neri.

Proprio per questo, negli ultimi tempi ho presentato alcune mozioni affinché la Città si impegni nella repressione di violazioni attualmente piuttosto tollerate, come ad esempio la svolta a sinistra dal viale centrale dove è vietata, oppure la doppia fila o l’abuso delle corsie preferenziali, e anche l’ingresso e il transito non autorizzato in zone pedonali come via Garibaldi. Al giorno d’oggi è possibile pensare a sistemi automatici di rilevamento delle infrazioni; in parte i vigili li avevano sperimentati, ma ho chiesto di sapere quante multe sono state fatte perché l’impressione è che non abbiano avuto grande applicazione.

Nel frattempo, giovedì sera un gruppo di ciclisti ha inscenato una toccante manifestazione in via Cibrario, una delle strade dove la sosta in doppia fila crea lo stesso pericolo di Milano. Una bicicletta bianca è stata depositata per ricordare l’accaduto e chiedere che si ponga più attenzione a questi rischi. L’unica vera soluzione è che chi guida un qualsiasi veicolo (ma anche chi si sposta a piedi) pensi meno a se stesso e più alla sicurezza anche degli altri; ma fin che questo non accadrà, le amministrazioni hanno il dovere di sorvegliare.

[tags]sicurezza stradale, bici, milano, torino, ride for life, incidente[/tags]

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mercoledì 23 Febbraio 2011, 15:48

Sogno e realtà nei trasporti milanesi

In questo veloce giro milanese mi è capitato di scontrarmi di nuovo con i trasporti pubblici lombardi, e di verificare con mano la differenza tra annuncio e realtà.

Alle stazioni infatti sono ben visibili gli annunci di una serie di novità nel trasporto regionale: in pratica la regione ha introdotto un abbonamento “globale totale” che permette di usare qualsiasi mezzo pubblico in tutta la Lombardia, dal bus alle funivie, dai treni ai battelli, per 99 euro al mese. E mi sembra un’ottima idea per chi si sposta molto. Poi, la regione offre sconti sugli abbonamenti familiari: addirittura, se ho visto bene, dal terzo figlio in poi l’abbonamento è gratis e già il secondo lo paga pochissimo, e inoltre ogni abbonato adulto può portare con sè un figlio o nipote bambino gratuitamente. Tutto bellissimo. E poi, in tutti i capoluoghi di provincia viene introdotto l’abbonamento treno + mezzi urbani. Fantastico, il Piemonte prenda esempio.

Poi ti scontri con la realtà. E la realtà è che io dovevo andare da Porta Venezia a Porta Garibaldi senza prendere il passante, perché poi da Garibaldi dovevo proseguire in metro con il mio socio e così potevo usare un biglietto solo. A piedi ci va mezz’ora scarsa, è un percorso che ho fatto varie volte, ma non volevo presentarmi sudato stile maratona, e dunque ho pensato: ci sarà un mezzo di superficie che fa questo percorso, in cinque minuti son là.

Anzi, sapevo, per esserci passato davanti varie volte, che da Repubblica c’era un pullman intuitivamente denominato 29-30 Collegamento che andava a Garibaldi. Questo perché le linee 29/30 sono l’equivalente tramviario sulla circonvallazione interna di ciò che sono i filobus 90/91 sui viali esterni: sono due circolari e il numero distingue il verso di rotazione (noi torinesi invece usiamo la stessa numerazione nei due versi, 16 destro e 16 sinistro). Poi, per i lavori di Porta Nuova, hanno interrotto la circolare e dunque è rimasta una sola linea non circolare con un percorso a U, denominata 29/30, e appunto una navetta di collegamento per il tratto mancante.

Ora, alla stazione di Porta Venezia, nell’atrio del passante, c’è una cartina della città con i percorsi dei mezzi: sono andato a controllare e con mia sorpresa ho trovato il 29/30 ripristinato sul suo percorso. Bene, ho pensato, hanno finito i lavori e riattivato il tram, che efficienti. Fatta la mia commissione vado alla fermata, e trovo una situazione un po’ confusa: il pannello indica solo il 9, alla palina c’è scritto anche 29, ma non passa. Alla fine intuisco che qualcosa non va, prendo il 9 e vado fino a Repubblica.

Alla fermata del 9 in cui scendo c’è un’altra cartina: questa volta riporta la situazione che conoscevo io. Bene, mi basta attraversare la piazza e prendere il 29-30 Collegamento. Vado alla fermata, e trovo un cantiere che la circonda; tutto per aria, e soltanto un vecchio e arrugginito cartello di forma ottocentesca a indicare una fermata provvisoria, senza indicare che linee vi transitano. Perdo di poco un bus col numero 37: poco male, non è il mio. Aspetto, aspetto, aspetto… e arriva un altro 37: orribile sospetto. Chiedo all’autista: il 29-30 Collegamento non esiste più, è sostituito dal 37. Che non era indicato su nessuna delle due cartine.

E’ un po’ tutto così: per esempio, col nuovo orario hanno di nuovo rivisto le fermate a Rho dei treni regionali Torino-Milano. Sono treni pagati dal Piemonte per i pendolari piemontesi, e a noi piemontesi serve che fermino a Rho Fiera, da dove si può prendere direttamente la metropolitana. Ma ai pendolari milanesi fa comodo la fermata a Rho Centro, storicamente attiva da sempre, e allora giù di comitati e proteste. La soluzione? Col nuovo orario, circa metà dei treni ferma a Rho e l’altra parte ferma a Rho Fiera. Ma senza un pattern prevedibile: devi sapere a memoria quali fermano qui e quali fermano là. Se tu arrivi dal passante ferroviario e vuoi scendere per prendere il treno per Torino, devi sapere prima senza errori quale delle due è la fermata giusta per quell’ora lì: se no, scendi e ti vedi il regionale sfrecciare davanti senza fermarsi, e perdi un’ora. Ti succede una volta, e la volta dopo li mandi tutti a cagare e prendi l’auto. Geniale.

Ecco perché quando vedo i mirabolanti annunci sul trasporto pubblico sono contento, ma so che poi la realtà è un’altra cosa, fatta di tanti piccoli dettagli che però, se mal gestiti, rendono il sistema quasi inutilizzabile.

[tags]trasporti, lombardia, piemonte, treni, bus, milano, torino, rho[/tags]

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domenica 20 Febbraio 2011, 13:55

Mettiamo a fuoco Pisapia

Un commento volante sul “casa-gate” milanese di Pisapia, fatto ieri su Facebook, ha dato origine a una lunga e accesissima discussione… e allora vorrei condividere qualche riflessione e chiarire meglio il mio pensiero.

Innanzi tutto i fatti: a Milano si è scoperto che il Pio Albergo Trivulzio (proprio quello di Mario Chiesa), invece di affittare i propri appartamenti (molti nelle zone più eleganti e costose del centro) a prezzo convenzionato ad anziani indigenti, o di affittarli a prezzo di mercato per poi impiegare i soldi ricevuti per l’assistenza, li affittava a prezzo stracciato alla “bella gente” milanese: manager come Ariedo Braida (DG del Milan), politici come Testoni e Buonocuore (PDL), parenti di politici come il nipote dell’ex sindaco craxiano Pillitteri, parenti di manager come il fratello di Montezemolo, e infine anche la giornalista di Repubblica Cinzia Sasso, compagna del candidato sindaco del centrosinistra Giuliano Pisapia. Gente di ogni colore e pensiero accumulata da una cosa sola: far parte di una élite cittadina e avere per questo un privilegio economico di ingente valore.

Quanto sopra accade in ogni città e con ogni tipo di “amico degli amici”; anni fa a Roma c’era finito dentro pure D’Alema, anche perché tra i padroni di casa molto gentili e generosi ci sono non solo gli enti di beneficenza e gli enti pubblici, ma anche banche e assicurazioni di destra e di sinistra. Ovviamente quel che stupisce (gli ingenui) in questo caso non è il coinvolgimento di manager e politici di centrodestra, la cui furbetteria è data per scontata, ma il coinvolgimento della persona che si presenta per riportare moralità, legalità e giustizia sociale a Milano, un politico da sempre rosso che più rosso non si può.

Si sprecano in giro i commenti moralisti: è un corrotto perché avrebbe dovuto denunciare, avrebbe dovuto rinunciare. Avrebbe davvero dovuto dire alla compagna di lasciare la casa, peraltro ottenuta prima che si conoscessero e dunque, quasi certamente, senza il suo interessamento? No, secondo me no, non è questo che mi scandalizza. La responsabilità primaria di una situazione così è soprattutto di chi ha gestito l’ente, e non sappiamo nemmeno bene come e perché la signora Sasso abbia ottenuto l’alloggio; e quasi certamente Pisapia non c’entra nulla con l’assegnazione, e non aveva né la responsabilità né la possibilità di cambiare le politiche dell’Albergo Trivulzio.

La cosa che mi disturba è invece il commento di Pisapia sul suo blog. Invece di scusarsi, di riconoscere che effettivamente la sua compagna gode di un privilegio iniquo, di impegnarsi se diverrà sindaco ad azzerare tutti questi contratti d’affitto e far sì che il malcostume cessi, si lancia in un poco credibile grido al complotto, ai giornalisti prezzolati che ce l’hanno con lui. E’ questo per me lo scandalo! Sappiamo tutti come funziona l’Italia, come spesso il moralismo sia ipocrita e fuori luogo, come i media siano pilotati, ma io pretendo di affidarmi a persone che si impegnino a cambiare il sistema e non a perpetuarlo o a giustificarlo. Su questo, lui dice solo “state certi che contro quelle inefficienze mi batterò”, fallendo in due punti: primo, nel definirle “inefficienze” invece che, come sono, ingiustizie; secondo, nel non prendere alcun impegno concreto e credibile.

E’ probabilmente questa la cosa che più danneggerà Pisapia: molti, da oggi, pensano – anzi, no: sentono – che lui non sta dalla parte di chi vuole cambiare le cose davvero, ma dalla parte (ben affollata) di chi recita di volere il cambiamento solo per avvantaggiarsene. Pisapia ha dimostrato di essere un esponente di quella “sinistra col cachemire” che a parole vuol fare la rivoluzione, ma che poi ama i salotti e le belle case in centro. In questa vicenda Pisapia e la sua compagna non hanno commesso alcun reato, ma hanno dimostrato di far parte di quella cerchia di privilegiati il cui stile di vita è pagato anche con l’abuso e la privatizzazione dei beni comuni; una cerchia con cui i suoi potenziali elettori non vogliono avere più niente a che fare.

[tags]milano, pisapia, affittopoli, trivulzio, case, moralismo, privilegi[/tags]

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venerdì 24 Dicembre 2010, 17:08

Il museo del Novecento

Ieri mattina ero a Milano e ne ho approfittato per visitare l’appena inaugurato Museo del Novecento, gratuito fino a fine febbraio.

Bene, per prima cosa occorre specificare che al nome del museo mancano almeno un paio di parole. Io ero stato tratto in inganno dagli aerei in esposizione nel tendone all’ingresso (che peraltro devono essere un riciclo di una vecchia mostra torinese, dato che le didascalie ricordano come uno di essi sia stato costruito “negli stabilimenti Alenia Aeronautica in corso Francia”), pensando che il museo riguardasse tutto il secolo scorso nei suoi vari aspetti. In realtà, è il museo della pittura del novecento milanese.

Da questa piccola precisazione si può capire il succo della visita: il primo piano con le opere di Boccioni (assolutamente belle), un po’ di altro futurismo e una stanzetta con un paio di Picasso minori può meritare, ma il resto del museo è insignificante in maniera imbarazzante: se questa roba meritasse tutto lo strombazzamento mediatico che ha avuto, la GAM torinese sarebbe il Louvre. Si salva un po’ la sezione dentro Palazzo Reale, raggiungibile peraltro da una passerella nascosta al livello 2 di cui tre quarti dei visitatori non si accorgono nemmeno; è la sezione dell’arte contemporanea e dunque perlomeno ci parla con linguaggio moderno (non perdete la stanza piena di luci stroboscopiche per entrare nella quale vi fanno firmare una liberatoria scritta in burocratese e disponibile solo in italiano: mi son chiesto se facesse parte dell’opera d’arte). Ah, e c’è una scatoletta di merda d’artista, nel caso non ne abbiate mai vista una; e all’ingresso espongono Il Quarto Stato premettendo che non c’entra niente con tutto il resto, ma ce l’avevano in cantina e da qualche parte dovevano metterlo.

Una nota a riguardo dell’accoglienza: era un giorno piovoso e tutti avevano un ombrello, ma le signorine all’ingresso imponevano di lasciarlo lì per non sgocciolare nelle sale. Ma non di consegnarlo al guardaroba: proprio di buttarlo lì in un mucchio confuso di ombrelli su un lato dell’atrio. Una roba così l’ho vista solo allo stadio…

Anche la ristrutturazione dell’edificio non mi è molto piaciuta: della passerella già ho detto, e poi sappiate che l’unico bagno di tutto il museo (a parte un bagnetto preso d’assalto nell’ala di Palazzo Reale) sta alla fine di una lunga serie di corridoi labirintici nel sotterraneo. Funzionalità scarsa, ma architettonicamente molto elegante: alla fine più delle collezioni è interessante la vista dall’alto su piazza Duomo. Ma, si pagasse, non so se sarebbe valsa la pena.

[tags]milano, museo, pittura, novecento, boccioni, futurismo[/tags]

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martedì 12 Ottobre 2010, 16:43

Un progetto ben fatto

Dopo aver parlato di tante grandi cose, oggi ve ne mostro una piccola.

panchina-rhofiera.jpg

Questa foto è stata scattata la settimana scorsa, durante un temporale, nella nuova stazione ferroviaria di Rho Fiera Milano, aperta da poco più di un anno; una stazione importante, dato che dovrebbe costituire l’interscambio con la metropolitana e i treni suburbani per chi arriva a Milano da ovest, anche con l’alta velocità, nonché la stazione per la fiera e per i visitatori dell’Expo 2015.

Era buio e si vede male, ma adesso vi spiego: siamo al primo binario, e in alto a destra intravedete l’ampia, moderna e costosa tettoia che lo protegge dalle intemperie. Sulla sinistra tuttavia, la striscia più scura per terra vicino al muretto non è un’ombra, ma una fascia allagata ed esposta alla pioggia, perché evidentemente la tettoia non arriva a coprirla. Esattamente al centro di questa fascia, poco visibile perché di ferro nero, c’è la panchina che dovrebbe servire a chi aspetta il treno.

In altre parole, nonostante la stazione progettata ex novo, sono riusciti a mettere le panchine nell’unico punto non riparato dalla pioggia, o, se preferite, a fare la tettoia troppo piccola rispetto alle dimensioni del marciapiede.

Questo non è l’unico problema della stazione: gli spazi commerciali sono deserti, e non vi è nemmeno una biglietteria, se si eccettua una macchinetta che vende solo biglietti regionali. Le scale mobili sono spesso rotte, così come i tappeti mobili che portano alla metropolitana, e non è raro vedere l’acqua che scende dentro il sottopassaggio. Come ascensore c’è un costoso modello con le porte su entrambi i lati, caratteristica di cui non c’era assolutamente bisogno – ma, per un errore di progetto, a livello del binario la cima della scala mobile finiva troppo vicino all’ascensore, per cui si è dovuto far aprire le porte sul retro dello stesso.

Questa non è nemmeno una vera stazione; tecnicamente lo è solo perché è seguita dal bivio con cui l’alta velocità si stacca dalla linea storica, ma di fatto sono tre linee a doppio binario parallele accanto a cui si sono limitati a mettere marciapiedi e tettoie per permettere la fermata dei treni, scendendo poi nell’ampio sottopassaggio che porta verso la fiera e la metropolitana. Non vi è alcun edificio, se non gli spazi ricavati nel sotterraneo. Eppure, l’intera opera è costata 80 (ottanta) milioni di euro, e funziona così.

[tags]ferrovie, trenitalia, milano, rho, fiera milano, stazione, appalti pubblici[/tags]

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venerdì 1 Ottobre 2010, 15:31

Simpaticamente Milano

Milano è una città che sa come farsi odiare.

Lo pensavo proprio ieri, a mezzanotte e mezza, nella Stazione Centrale completamente deserta, con un unico treno ancora da partire – la S11 delle 0:38 per Chiasso (nel dubbio i monitor la riportavano una decina di volte, per far sembrare che il traffico fosse molto di più). Ero appena sceso dal bus da Malpensa ed ero passato per la stazione per fare il biglietto del treno per Torino di oggi, dato che prendendolo dal passante non ci sono biglietterie né macchinette automatiche e dunque bisogna assolutamente farlo prima.

Nel corridoio sotterraneo davanti alle macchinette, oltre a me, c’erano due tizi: una era chiaramente una barbona o drogata, sui trent’anni (ne dimostrava cinquanta), e l’altro aveva l’aria straniera ed era pieno di valigie. Mi fermo davanti a una macchinetta; il tizio straniero, vedendomi in giacca e cravatta, viene da me con aria disperata e mi chiede “do you speak English?”. Alla fine mi racconta che è americano, è arrivato da Malpensa pure lui e che sta cercando di capire come andare al suo albergo, lì in zona, ma trova soltanto barboni e gente poco raccomandabile (una esperienza aliena per lui, dato che negli Stati Uniti se vedono un barbone per strada, che non stia accucciato nel suo angolino e che approcci la gente, spesso lo prendono e lo sbattono in galera).

Mi fa vedere l’indirizzo, io tiro fuori il cellulare col navigatore e controllo: è a una decina di minuti a piedi. Lui mi ringrazia, mi dice “I’ve been here for one hour and a half and you’re the first Italian that I like”, e mi chiede se secondo me è sicuro andarci a piedi, che non si fida. Io spiego che non sono di Milano ma di Torino, dunque non saprei: di giorno il quartiere è tranquillo ma comunque non è dei migliori, essendo vicino alla stazione, e non so come sia di notte. Lui mi dice “I should have come to Turin rather than to Milan, people here are horrible”, e conclude che nel dubbio prenderà un taxi.

A quel punto ci salutiamo, gli auguro buon giro, ed esco dall’ingresso principale per dirigermi verso la fermata del 5, per andare a casa. Sono stanco morto e ho solo voglia di andare a dormire, e che succede? Me lo vedo arrivare lì, dal lato della piazza, che scorre sui binari e si ferma al primo semaforo. Comincio a correre per il piazzale, penso che non ho voglia di aspettare altri venti minuti, che già mi sono dovuto puppare (oltre a tutto il viaggio da Londra) un’ora su un bus Autostradale ammuffito e strapieno, che doveva partire alle 23:15 e invece è partito alle 23:29 perché quello della concorrenza partiva alle 23:30 e facendo così gli ha portato via un bel po’ di passeggeri (ah, il mercato regolamentato all’italiana); e che domani devo comunque alzarmi alle 7 per andare presto da un cliente che poi a metà mattinata deve andare via.

Il tram riparte, si avvicina alla fermata, io accelero, corro ancora più veloce… finché d’improvviso mi ritrovo per terra di faccia, con la mia borsa di libri che volano per aria e lo zaino pesantissimo (con dentro portatile, macchina fotografica, lettore MP3…) che dalle spalle mi capitombola addosso alla testa.

E’ successo che qualche genio del male, nel ristrutturare per l’ennesima volta piazza Duca d’Aosta per farla sembrare più figa in cartolina (cioé senza gli spacciatori e le gang di etnia varia), ha messo nella parte centrale delle leggerissime rampe in discesa che improvvisamente e senza alcuna segnalazione visibile si separano dal piano della piazza creando un gradino sempre più alto. In pratica, o uno corre guardando per terra o il gradino è totalmente invisibile; io ci ho messo il piede per storto e la caviglia si è girata in qualche modo.

Ero lì per terra con un male cane, e ovviamente l’unico che è venuto ad aiutarmi è stato un ragazzo di colore (c’erano due tizie italiane poco pi in là che hanno cambiato rotta per far finta di niente). Io ho ringraziato, mi sono alzato, ho verificato che la caviglia comunque funzionava ancora, ho ringraziato la solidità del vestito grigio cinese e ho zoppicato fino alla fermata, vedendo il tram andarsene in lontananza. Ho deciso che qualunque cosa fosse successa alla mia caviglia io avevo sonno, ero stanco e volevo solo andare a casa; e allora ho aspettato il successivo 5, mi ci sono issato sopra a braccia e mi sono subito tutti gli scossoni delle meravigliose “vetture storiche del 1927”, una roba che se girasse per le strade di Abidjan gli ivoriani protesterebbero subito che sono vecchie, ma che ATM furbescamente ti vende come “recupero del patrimonio storico di Milano”.

Sono sceso in via Aselli e ho zoppicato fino all’adiacente fermata della 93, sperando di trovarne ancora una; infatti da lì a casa c’è una piacevole passeggiata di dieci minuti, che però con una gamba sola è meno piacevole, per non parlare del fatto che poi avrei dovuto anche inerpicarmi su per tre piani di scale. E invece no, ormai era l’una e l’ultima 93 passava a mezzanotte e quarantotto, e allora mi sono dovuto rassegnare e cominciare a zoppicare verso casa bestemmiando in undici lingue.

E’ stato in quel momento che ha cominciato a piovere.

[tags]milano, turisti, stranieri, stazione centrale, tram, atm, infortuni[/tags]

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giovedì 17 Giugno 2010, 10:12

Bancarotte urbanistiche

Anche a Milano, ogni tanto, capitano esperienze paranormali.

L’ultima mi è successa sabato scorso: nel pomeriggio, ero stato invitato a parlare al convegno dell’associazione Rientrodolce, ovvero la versione del movimento per la decrescita felice vicina al Partito Radicale. Oltre ad avere risalutato Marco Cappato – l’ultima volta che ci eravamo incontrati eravamo davanti al Circolo della Stampa durante la nostra clamorosa protesta, e io avevo una scopa in mano – ho potuto così constatare come anche loro si dicano le stesse cose sui limiti della crescita che ci diciamo noi; e che uno scambio di idee e di progetti comuni sarebbe senz’altro proficuo.

La riunione era nella sede dell’associazione Enzo Tortora, tra l’altro piena di bei manifesti politici degli anni ’70 e ’80, tra cui uno occupato da un fustino di detersivo, con cui i radicali promettevano di essere più puliti degli altri; e io ho ripensato al mio manifesto della scopa e ho sorriso ai corsi e ricorsi storici. La sede si trova vicino alla fermata della metro De Angeli; e così mi sono studiato la cartina e ho capito che il percorso più veloce passava attraverso le case a sud della piazza.

Quando sono arrivato lì, ho visto le indicazioni per via Frua e via dei Martinitt (solo a Milano possono avere un nome così), ho svoltato l’angolo e… mi sono trovato di fronte a questo:

frua1.jpg
frua2.jpg

Deserto, completamente, e silenzioso. Un lungo corridoio sotterraneo emerso direttamente dalle scene di Blade Runner; popolato da vetrine e negozi fantasma, ovunque ricoperti non da uno, ma da decine e decine di strati di graffiti di ogni genere.

Dalle scritte, dai serramenti di metallo, da tanti particolari si capisce che il tutto risale a oltre quarant’anni fa, cioè direttamente all’epoca in cui fu aperta la fermata della metro (metà anni ’60), e da allora non è mai stato toccato. Uscendo – e anche in pieno giorno vi verrà voglia di uscire piuttosto in fretta – ci si trova infatti davanti a un grosso e pretenzioso quartiere di palazzi ultrasignorili, circondati da alberi, giardinetti, cancellate e telecamere, anch’essi chiaramente risalenti a quel periodo: il Quartiere G. Frua, appunto, che – come ho poi scoperto – in quegli anni prese il posto della storica fabbrica tessile De Angeli – Frua che occupava la zona.

Doveva chiaramente essere un progetto ultramoderno di città nella città come si usava in quegli anni, cioè con il verde sopra e i servizi sottoterra, compresi i negozi. Ma i negozi, per classici problemi all’italiana, non arrivarono mai. Rimane, dunque, soltanto l’utopia spezzata: che possa servire di lezione agli architetti con la puzza sotto il naso che, ben pagati, progettano trasformazioni urbane in cui non dovranno mai vivere.

Chissà perché, qualcosa mi dice che, tra quarant’anni, anche la nuova parte di Torino che vorrebbero costruire sulla metro 2 e sull’ex Scalo Vanchiglia – la cosiddetta Variante 200 – avrà buone chance di essere finita così.

[tags]decrescita, partito radicale, cappato, rientrodolce, milano, urbanistica, metro, de angeli, frua, blade runner, degrado, torino, variante 200[/tags]

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martedì 8 Giugno 2010, 23:07

Accidenti del viaggiatore

È tipicamente italiano, viaggiando in treno da Bologna a Milano, dover spendere quasi per forza i 41 euro per prendere l’alta velocità arrivando in un’ora, e poi impiegare altri 50 minuti per andare dalla Stazione Centrale a casa con i mezzi pubblici (nonostante le strade deserte).

Nel frattempo, mentre aspettavo il tram davanti alla stazione, ho dato una mano a un americano dall’aria spersa che doveva prendere il treno per Chiasso; gli avevano detto di andare in una misteriosa stazione “Milano PGAR”, che è il modo chiarissimo in cui Trenitalia denomina Porta Garibaldi nei risultati delle ricerche online. Ovviamente lui non aveva capito niente e inoltre nessuno dei passanti che fermava riusciva a capire cos’è che volesse, dato che la probabilità di trovare un passante che parli un inglese decente è piuttosto bassa. Spero che sia riuscito a prendere la metro.

Comunque, in termini di trasporti, anche Bologna si difende bene: è la prima città che vedo dove una discreta parte dei bus ha la destinazione, sul tabellone luminoso anteriore, scritta in caratteri Comic Sans.

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giovedì 3 Giugno 2010, 16:57

La vodka del duca

La devastazione operata nella realizzazione del nuovo autogrill Duca d’Aosta nord (ex Stazione Centrale di Milano) è nota da tempo; ne ha parlato persino il Corriere della Sera. Oggi però ho potuto apprezzare una chicca: ha finalmente aperto un nuovo supermercato, in sostituzione di quello chiuso durante la ristrutturazione, accuratamente situato nel luogo più scomodo possibile – il fondo cieco del corridoio sotterraneo ricavato sotto la Galleria delle Carrozze, ossia l’enorme porticato d’ingresso – in modo da fare meno concorrenza possibile ai Camogli e agli Spizzichi dei bar Autogrill.

E dato che il luogo è veramente fuori mano, ma sicuramente l’affitto richiesto non è basso, chi ha ottenuto il mandato di gestirlo? Una delle più scrause catene di discount italiane.

Come sapete io non ho nulla contro i discount, tanto è vero che vi faccio la spesa regolarmente, e non mi dà nemmeno fastidio la mescolanza umana che li frequenta. Tuttavia, qualsiasi persona dotata di un minimo buon senso avrebbe subito pensato che l’accoppiata stazione + discount non sia proprio geniale.

E infatti, oggi su cinque persone in coda prima di me quattro erano barboni, chi con il bottiglione di vodka di bassa qualità, chi con il cartone di finto Tavernello – ed erano le due del pomeriggio. Abbiamo rischiato di perdere il treno mentre uno dei barboni contava le monetine per il pagamento, davanti a una cassiera che aveva l’aria di chi è costretto a tutto questo solo per campare; in quel momento nella coda si è infilata a spintoni una zingara, che è arrivata alla cassa per chiedere insistentemente dove trovare l’acetone per pulirsi le unghie.

Persino io ho trovato la situazione un po’ sgradevole; e credo di avere capito perché quel supermercato – di per sè enorme e dotato di tabaccheria, banco frigo e angolo bar-pizzeria – è sempre deserto, con le pile di merce sugli scaffali che (a parte l’acqua e gli altri generi da stazione) sembrano sostanzialmente intonse da quando è stato aperto…

[tags]stazione, milano, supermercato, discount, alcool, barboni[/tags]

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