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Archivio per la categoria 'Itaaaalia'


venerdì 15 Giugno 2012, 12:07

L’insostenibile pesantezza dell’IMU

Se c’è una cosa che mi sorprende sempre di moltissimi italiani, è che più vengono maltrattati e più chinano la testa. Solo così si spiega il fatto che a fronte di un governo di gente scelta non dagli elettori ma dalle banche, che guadagna decine di migliaia di euro al mese (qualcuno sette milioni di euro l’anno), e che impone a tutti una tassa mostruosa come l’IMU, peraltro pasticciandola fino a renderla ingestibile, senza aver ancora nemmeno provveduto a tagliare gli stipendi dei parlamentari e dopo avere esentato dall’IMU stessa le suddette banche, la reazione degli italiani sia quella di mettersi ordinatamente in fila allo sportello per compilare un modulo astruso e versare allo Stato una mesata di stipendio o giù di lì come tassa sulla casa.

Intanto è bene chiarire una cosa: il Comune in questa vicenda è soprattutto un esattore per conto di Monti. L’IMU sulla prima casa resta al Comune, ma lo Stato ha contemporaneamente tagliato i fondi a ciascun Comune per l’equivalente dell’IMU sulla prima casa calcolata al 4 per mille; dunque in realtà al Comune resta solo la differenza, nel caso in cui applichi un’aliquota più alta. Sulle seconde case, invece, l’introito è diviso a metà tra Comune e Stato. Nel complesso, dunque, più di metà del gettito va nelle casse nazionali.

A fronte di una situazione del genere, un sindaco coscienzioso avrebbe dovuto fare una sola cosa: disobbedienza civile. Avrebbe dovuto dire: se volete aumentare le tasse agli italiani, andate avanti voi e non mandate avanti me. Avrebbe dovuto far notare che molte famiglie non sono assolutamente in grado di pagare alcune centinaia di euro sulla casa in cui vivono, e su cui spesso, con gran fatica, stanno ancora pagando il mutuo. Avrebbe dovuto farlo in pubblico, anche con gesti clamorosi. Ma non ora: avrebbe dovuto farlo mesi fa.

E infatti, il 19 aprile noi abbiamo presentato un ordine del giorno che chiedeva più o meno questo; e la maggioranza, dopo aver sforbiciato le parti più polemiche, ha pure approvato la versione rivista. Ma per scherzo, perché poi Fassino ovviamente non ha fatto nulla di tutto ciò.

Al contrario, vista anche la situazione disperata delle casse comunali, Fassino ha alzato le aliquote il più possibile. La proposta della giunta dice 5,75 per mille per la prima casa e 10,6 per mille – il massimo – per le altre, tutte, senza nemmeno più la distinzione tra sfitte e affittate, con pochissime riduzioni. E qui, in ottica di riduzione del danno, noi abbiamo presentato da settimane le nostre richieste; abbiamo chiesto un trattamento agevolato per chi sta ancora pagando un mutuo significativo, e poi per tutta una serie di situazioni che fino all’anno scorso sono (quasi tutte) sempre state equiparate alla prima casa e che oggi, grazie a Monti, non lo sono più, a partire dalle case date in uso gratuito come prima casa ai parenti fino al secondo grado, da quelle rimaste vuote degli anziani che sono in casa di riposo, e poi quelle acquistate tramite cooperativa, quelle occupate abusivamente da terzi, quelle date in uso all’ex coniuge dopo il divorzio (abbiamo anche chiesto che il governo si occupi di ripartire equamente le detrazioni tra gli ex coniugi). Abbiamo chiesto che tutte le pertinenze della prima casa usate direttamente (cantina, box ecc.) siano tassate alle aliquote della prima casa, mentre il regolamento della giunta prevede che solo una per tipo lo sia. Abbiamo poi chiesto che vengano corrette le rendite catastali, che spesso contengono errori macroscopici, come appartamenti identici dello stesso palazzo che risultano in zone diverse della città e con rendite molto diverse.

Di tutto questo, la questione degli anziani e quella dei divorziati è stata affrontata a livello nazionale, mentre a livello locale è stata accolta la questione delle cooperative e sarà concesso uno sconto dal 10,6 al 7,6 per mille alle case date ai parenti, ma solo per i parenti di primo grado (genitori e figli) e non quelli di secondo (fratelli, zii, nonni). Ci saranno agevolazioni per le case in affitto convenzionato. Tutti gli altri, probabilmente, pagheranno il massimo; noi possiamo anche proporre degli emendamenti, ma difficilmente passeranno.

L’effetto dell’IMU sarà pesante: un normale appartamento da 70 mq in periferia, anche con le detrazioni da prima casa, paga alcune centinaia di euro; se poi per caso se ne possiede un altro, magari comprato in tempi migliori o ereditato, solo per quello si arriva tranquillamente a un migliaio di euro o più. Ma forse non ve ne rendete conto; già, perché la prima rata è calcolata sulle aliquote base, mentre la vera mazzata arriverà a dicembre – un trucchetto deciso all’ultimo per rimandare la rivolta. Ma c’è di peggio: se in autunno i conti dello Stato e/o del Comune non torneranno, entrambi gli enti potranno ancora aumentare le aliquote…

Ora, capite che leggere sui giornali cittadini di questi ultimi due giorni la gara tra PD e PDL a chi contesta di più l’IMU fa davvero girare le scatole. Già, perché questi due partiti sono proprio quelli che reggono il governo Monti che l’ha decisa, nonché quelli che hanno retto l’Italia portandola nella situazione in cui sta. I giornali, invece di partecipare a questo teatrino, dovrebbero scandalizzarsi per la lunga lista di poteri più o meno forti che non la pagheranno, grazie agli aggiustamenti approvati in Parlamento da questi partiti.

Del resto, durante la prima riunione di commissione sul tema ormai molte settimane fa, quando ancora non era stato deciso a livello nazionale, qual era la prima richiesta di agevolazione menzionata da entrambi questi partiti? I grandi costruttori edili con tante case invendute. Alla faccia dell’italiano medio.

[tags]imu, tasse, monti, fassino, torino, casa, governo[/tags]

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domenica 22 Aprile 2012, 10:56

Televisione e Movimento

La mia seconda apparizione televisiva nazionale in un giorno e mezzo è andata in onda ieri mattina, sempre su La7 (anche se gli inviti erano indipendenti e separati). A Omnibus, trasmissione di approfondimento del mattino condotta da Andrea Pancani, il trattamento è stato molto diverso dalla serata a Piazzapulita: invece di cinquanta secondi, ho potuto parlare per venticinque minuti, su un totale di due ore di trasmissione.

Ero l’unico “politico” partecipante (niente commistioni con i partiti) e mi sono trovato di fronte a un gruppetto di esperti e giornalisti; un paio chiaramente ostili, che hanno provato a mettermi in difficoltà accusandoci di antipolitica, inconsistenza e così via, e un paio piuttosto amichevoli, che invece hanno apprezzato e difeso le cose che dicevo.

Mi è sembrata tutto sommato una trattazione onesta, con il giusto grado di aggressività (non si può certo pretendere di sentirsi dare sempre ragione) ma anche con ampio spazio per intervenire. E credo di aver fatto fare bella figura al Movimento, a giudicare dai commenti ricevuti da voi e anche dal conduttore.

(A Piazzapulita, dopo il post di venerdì, non penso invece che avrò altre chance, anche se in proposito vorrei chiarire che non li ho tacciati né di censura né di scarsa professionalità, se mai del contrario: di avere in mente un format talmente spettacolarizzato che tutto deve essere pianificato in anticipo.)

All’ora di pranzo, poi, è uscito Beppe: da una parte ha messo in home page il mio post e il mio video di Piazzapulita, dall’altra ha fatto un post principale in cui attacca le televisioni e chi ci si va a sedere. L’analisi di Beppe è nota ed assolutamente corretta, riprende quello che io avevo già descritto nel post. Tuttavia, io non sono così radicale nella conclusione, e penso che sia sbagliato rifiutare la televisione sempre e comunque; la domanda che ci si deve porre è se la partecipazione televisiva possa avvantaggiare o danneggiare il Movimento.

Nel mio caso, da Piazzapulita saremmo usciti meglio o peggio se la trasmissione fosse stata identica ma senza i tre minuti miei e di Federica Salsi? Secondo me ne saremmo usciti peggio; e fa bene al Movimento far vedere che c’è altro insieme a Grillo, e che il voto serve a mettere nelle istituzioni persone capaci e convincenti e non dei bambini che dipendono dagli slogan del guru.

Il problema nasce tuttavia se singoli consiglieri finiscono per diventare ospiti fissi, due volte al mese in mezzo ai politici, o peggio ancora se cominciano a darsi da fare per apparire; o se in televisione ci vanno persone che magari si sentono dei grandi comunicatori, ma che poi, di fronte al marchingegno, fanno oggettivamente delle figuracce. Le eventuali apparizioni di movimentisti devono essere poche e incisive, lasciando il segno e la voglia di saperne di più, in modo da invogliare il passaggio a Internet o al contatto diretto.

Finora non c’è stata alcuna strategia mediatica “del Movimento”; sia Grillo che ogni singolo consigliere fanno le proprie uscite e pianificano le proprie apparizioni senza parlarsi. Questo è sbagliato, ed è necessario concordare un piano d’azione intelligente, che preveda da una parte un briciolo di fiducia in più nei nostri “ragazzi”, e dall’altra un freno consapevole alle vanità e alle ingenuità dei singoli. L’importante è che venga fatto in maniera coordinata e condivisa tra tutti e che non succeda, come adesso, che ognuno decida per sé se accettare e cosa dire, e che alcune persone rischino di finire troppo spesso sui video nazionali a farsi omologare.

[tags]movimento 5 stelle, beppe grillo, televisione, la7, omnibus, piazzapulita[/tags]

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venerdì 20 Aprile 2012, 14:11

La TV nazionale è finta

Molti di voi avranno avuto modo di vedere ieri sera l’apparizione mia e di Federica Salsi a Piazzapulita, la trasmissione di approfondimento politico di La7. Era la mia prima partecipazione a una trasmissione nazionale di questo tipo; di solito invitano Favia, che in TV va volentieri ed è molto bravo, ma lui non può essere ovunque e allora cominciano a invitare anche gli altri; d’improvviso si sono accorti di noi, o, se volete essere malpensanti, hanno deciso che (vedi Gandhi) né ignorarci né deriderci funziona, e dunque ora ci invitano per combatterci.

Per questo sono stato molto in dubbio se accettare, memore anche dei consigli di Beppe: attenzione alle trasmissioni televisive nazionali, sono tutte manipolate in partenza. Alla fine, parlandone con Chiara e altri colleghi, abbiamo deciso di accettare, anche per capire, per fare esperienza. Sapevamo che avrei dovuto fare un viaggio a Roma per avere al massimo un minuto scarso: nel video vedete come l’ho usato.

A giudicare dai vostri commenti, l’intervento è piaciuto ed è stato efficace, e in effetti ha cambiato per un po’ il tono della trasmissione, costringendo persino il tremendo Luttwak – uno che aveva esordito dicendo che i populisti come Grillo vanno ignorati e che l’Italia poteva rilanciarsi costruendo nuove autostrade – a dire che tutto sommato le cose che proponiamo hanno un loro senso. Ma quello che volevo raccontarvi, invece, è il dietro le quinte: è che Beppe come al solito ha ragione, e i contenuti di queste trasmissioni sono studiati e premeditati in partenza.

Infatti, quando due giorni prima mi ha chiamato una gentilissima giornalista della redazione per discutere la partecipazione, mi ha chiesto: che cosa pensi del governo Monti? Ok, ho pensato, è una prova per vedere se so parlare; e ho improvvisato un paio di minuti di discorso. Dopo un po’ mi richiama e mi fa: e di Civati, cosa pensi? Spiego che Civati potrà anche essere una brava persona ma vive da quindici anni a spese nostre (consigliere comunale, provinciale e regionale), guadagna i suoi 10.000 euro al mese ed è immerso nel sistema fino al collo; la risposta è “ok va bene, temevo che foste della stessa idea e allora era un problema”. Perché un problema? Perché se non si discute la trasmissione si ammoscia.

Alla fine mi dicono che va bene, sono piaciuto; hanno anche visionato i miei video su Youtube. Chiama un signore della produzione per organizzare il viaggio; mi pagano il treno per venire e pure la macchina con autista per portarmi agli studi, che sono in un posto impossibile in mezzo ai colli a quindici chilometri dal centro (chiunque sia stato responsabile della pianificazione urbanistica di Roma negli ultimi cinquant’anni andrebbe fustigato sulla pubblica piazza).

Negli studi ci piazzano in attesa in una inquietante sala di proiezione con Mentana sul maxischermo, poi ci portano in un camerino dove lasciamo la nostra roba. In studio ci hanno riservato i nostri posti fintamente in mezzo al pubblico, nel senso che sono attentamente scelti per via di luci, telecamere e così via. Potremmo stare ovunque, ma siamo in mezzo al pubblico, perché? Perché così veniamo messi automaticamente in posizione inferiore rispetto agli altri ospiti. Addirittura avevano chiesto la partecipazione di alcuni movimentisti romani “con le magliette di Grillo” per fare folklore… ma poi hanno scartato l’idea e li hanno fatti venire per niente.

Ci sediamo, non siamo nemmeno microfonati. In studio è il caos finché non arriva l’assistente, un tizio che ha il compito di istruire il pubblico: vietato applaudire o commentare ciò che dicono gli ospiti, togliete dalla prima fila le borsette, non masticate, spegnete i cellulari.

Da noi poi arriva la giornalista e ci rifà le domande, stavolta suggerendo anche le risposte: a Federica dice che lei dovrebbe attaccare Civati per introdurre il tema dei finanziamenti ai partiti, al che giustamente Federica risponde che ad attaccare Civati di punto in bianco faremmo soltanto la figura dei provocatori. A me ripete: cosa pensate di Monti? Io ridico qualche parola, lei mi interrompe e dice “a me era piaciuto quando al telefono mi avevi detto che Monti sa solo spremere gli italiani con le tasse… spremere gli italiani, capito?”. Ok, ho capito: sarebbe bello che dicessi “spremere gli italiani”.

Comincia la trasmissione, iniziano a parlare gli ospiti. Dicono una stupidaggine dopo l’altra, la più grossa è quella dell’on. Della Vedova (uno che non so nemmeno più di che partito sia, vista la velocità con cui li cambia) che dice che lui è da vent’anni che combatte i finanziamenti pubblici ai partiti; peccato che siano anche vent’anni che sta in partiti che li incassano allegramente. E’ talmente grossa che durante la pausa successiva arriva da noi una ragazza dal pubblico e dice “per favore, se parlate ditegli qualcosa”!

Fanno sentire frasi di Grillo in diretta da Monza e poi ripetono all’infinito l’associazione col concetto che vogliono trasmettere: “Grillo populista, Grillo populista, Grillo populista… ci dica Luttwak, cosa pensa del populismo di Grillo?”. Più tardi: “Grillo leghista, Grillo leghista, Grillo leghista… esperto di sondaggi, da chi prende i voti Grillo?” L’esperto mostra un fantastico sondaggio secondo cui tantissimi elettori di IDV e della Lega starebbero passando al M5S, ma a quasi nessun elettore piddino verrebbe mai tale infausta idea. Ma che caso!

Alla fine è il nostro momento: arriva Formigli e chiede a Federica cosa pensi di Civati, e perché Grillo non venga mai in studio a rispondere alle domande. Sono domande in cui puoi solo perdere, perché se attacchi Civati fai la figura dell’invasato (e non a caso sopra compare un titoletto “Grillo contro tutti”) e se non lo attacchi gli dai ragione. Federica comunque è brava, spiega che Beppe è solo un megafono, parla di come lavoriamo. Poi tocca a me, arriva la domanda precotta: “cosa pensi di Monti, ma voi volete il fallimento?”. E io – oltre che ovviamente un po’ teso – sono incazzato, molto incazzato per tutto questo, talmente incazzato che mi alzo, mi danno il microfono e mi tremano le mani.

E sono i miei cinquanta secondi che vedete nel video, e mi esce non solo quello che ho pensato di dire, cercando di essere efficace, ma tutta l’incazzatura, fin che ho fiato per gridare. Alla fine va benissimo: viene giù lo studio dagli applausi, nonostante il teorico divieto, perché ho detto quello che pensavano tutti e tutti volevano sentir dire da un’ora.

Il conduttore mi dice di tenere il microfono, si allontana; poco dopo, non inquadrato, mi fa segno di restare in piedi. Sembra proprio che mi voglia far parlare ancora, dice agli ospiti di farmi una domanda. Io mi preparo, spero di poter fare qualche proposta concreta per recuperare soldi, il taglio alle spese militari, il Tav, i costi della politica.

E poi, però, la trasmissione prende altre strade, e dopo qualche minuto esce da un angolo l’assistente e mi fa cenno di sedere. Fanno parlare per dieci minuti la ex fidanzata del Trota (chissà se l’hanno pagata), evidentemente è più importante che sentire cosa ha da dire il Movimento 5 Stelle, fatto salvo far ripetere a Civati più volte che ci rifiutiamo di interloquire. Il resto è onestamente noioso, non so come facciate voi a guardare questi programmi, io non li guardo più da anni. Alla fine quasi ci addormentiamo, il pubblico brontola e vuol solo andare a casa.

Finito lo spettacolo, saluto Formigli e gli dico: “questa volta bene, ma la prossima volta vogliamo uno di noi lì”, indicando le poltrone degli ospiti. Lui abbozza, non so se potrà mai accadere. Usciamo con Gomez, persona che stimo moltissimo, che non ha ben capito cosa gli ha detto Beppe su “non si capisce chi sia il direttore del Fatto” (glielo spiego: vuol dire che al Fatto ci sono persone come lui che ci difendono, ma anche persone che appena possibile ci attaccano in modo strumentale).

Partiamo all’una di notte per un triste e consunto albergone della periferia romana, salvo sosta in un pub per poter mangiare qualcosa. Dormo cinque ore, sveglia alle sette, corsa a Fiumicino nel traffico impazzito, aereo, corsa in ufficio, per poter partecipare alla prima commissione della giornata – perché va bene promuovere il Movimento, ma mi avete eletto per lavorare in Comune e non per andare in televisione.

Stasera organizziamo un incontro sulle privatizzazioni, ma domani mattina sarò ancora in TV, dalle 7:50 alle 9:45 sempre su La7 a Omnibus, dove credo che ci sarà più spazio per parlare di quello che vogliamo fare. Ma ve lo saprò dire solo dopo aver partecipato.

[tags]televisione, la7, piazzapulita, roma, movimento 5 stelle[/tags]

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sabato 7 Gennaio 2012, 12:59

M’iscrivo ai terroristi

C’è un motivo per cui la politica tutta, da destra a sinistra, ha montato in questi primi giorni dell’anno una imponente e unanime campagna mediatica contro la rivolta anti-Equitalia e contro qualsiasi tentativo di capirla; e non è certo per via della violenza, che i vertici dello Stato italiano, dagli anni di piombo alla Valsusa, non si sono mai fatti problemi ad usare quando gli conveniva.

Da che mondo è mondo, difatti, esiste una sola cosa veramente in grado di rovesciare regimi e di scatenare genuine e inarrestabili rivoluzioni di massa (non colpi di stato organizzati dall’esercito e/o dalla CIA, come le “rivoluzioni colorate”). Non è il terrorismo, che anzi è solitamente usato come scusa per rinsaldare il potere, non sono le manifestazioni di piazza, che il giorno dopo sono già dimenticate, e non è la politica, i cui tempi di azione sono molto più lunghi. E’ il rifiuto di pagare le tasse.

I regimi, più o meno democratici che siano, mantengono i propri privilegi e il proprio stesso potere grazie al flusso ininterrotto di denaro che milioni di persone alimentano ogni giorno, e che permette di pagare i servi e i militari. Quando l’economia va in crisi, il flusso si riduce di suo; i servi cominciano a lamentarsi e i militari a restare senza benzina. A quel punto al regime non resta che spremere al massimo i contribuenti; se la spremitura diventa insostenibile, i contribuenti dicono basta e il regime, anche se spesso a costo di caos, violenze e guerre civili, finisce.

In Italia questo in sostanza non è mai successo. Quella parte del Paese che paga le tasse e mantiene tutti gli altri è stata allevata per essere contemporaneamente imbelle, egocentrica e piena di sensi di colpa: incapace di ribellarsi, incapace di unirsi su un obiettivo comune senza farsi comprare dopo cinque minuti, e incapace di capire che servire lo Stato è un dovere solo se lo Stato è lì per servire i cittadini. Chi evade per scelta in Italia lo fa generalmente per rubare, non per protestare, anche se è pronto a sostenere l’opposto. Gli onesti, invece, oltre ad essere spesso messi in condizione di non poter fisicamente evadere, sono stati educati a stare zitti e subire qualsiasi cosa.

E’ per questo che i pacchi bomba e i proiettili inviati ad Equitalia, per quanto sbagliati siano, fanno davvero, per la prima volta, paura alla casta. Perché sono troppi per essere mandati solo dai soliti “anarchici”, e perché un vero evasore non minaccia, ma cerca di venire a patti o di ungere qualche ruota. Chi manda quei proiettili è con tutta probabilità un cittadino incensurato, reso furioso dalla frustrazione di dover scegliere tra il rinunciare al proprio onore e al rispetto per la legge e il morire di fame per pagare una banda di incapaci e disonesti che ha catturato lo Stato. E così, come il leggendario Magnotta, si iscrive ai terroristi.

E ora dite anche a me che sono un terrorista: presto saremo milioni.

[tags]equitalia, terrorismo, tasse, stato, rivoluzione, politica[/tags]

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venerdì 30 Dicembre 2011, 11:29

L’instabilità di Fassino

L’annuncio a sorpresa di Fassino, sul fatto che Torino non riuscirà a rispettare per l’anno che si sta chiudendo il patto di stabilità, avrebbe anche potuto essere una buona notizia; ma non lo è.

Il patto di stabilità, infatti, è quel meccanismo per cui ogni ente locale viene obbligato a rimanere sotto determinati tetti di spesa; è nato per porre fine alle gestioni allegre, quelle per cui un Comune spendeva e spandeva tanto alla fine lo Stato comunque avrebbe ripianato il buco. Progressivamente, però, è diventato uno strumento per strozzare i Comuni in modi sempre più assurdi, senza distinguere in cosa vengono spesi i soldi (Torino, per esempio, si fa carico di spese che toccherebbero allo Stato, come parte del personale del Tribunale o come molte scuole materne, che però vengono conteggiate dentro il tetto da rispettare), dando esenzioni come favori (Roma ne è esente perché è la capitale…) e generando situazioni assurde come quelle per cui il Comune ha i soldi in cassa ma non può spenderli nemmeno per pagare i fornitori, che aspettano da anni, perché se no sfora il tetto.

Il patto di stabilità è ormai lo strumento con cui lo Stato obbliga i Comuni a lasciare a casa i precari, svendere il patrimonio, chiudere i servizi e privatizzare le ex municipalizzate, in quell’ottica biecamente finanziaria della gestione dello Stato che pone al primo posto il pagare le banche e all’ultimo il servire i cittadini. Chiamarsi fuori dal patto di stabilità potrebbe dunque essere un modo per porre il problema politico di un’economia pubblica che non regge più e che richiede cambiamenti radicali, come noi stessi avevamo gridato in Sala Rossa poche settimane fa parlando di privatizzazioni.

Il problema, però, è che quella di Fassino non è una scelta e non va affatto in questa direzione. Fino al 30 dicembre, tutta la maggioranza ha operato tagli, svendite e aumenti – gli ultimi tre giorni fa – perché bisognava stare dentro i limiti del patto di stabilità, sacro e inviolabile. Improvvisamente, il 30 dicembre senza consultare nessuno Fassino va sui giornali a dire che “il patto di stabilità è stupido”, con i giornali cittadini (veramente imbarazzanti) che incensano questa sua improvvisa scelta di libertà. Non vi puzza?

Noi siamo stati tenuti all’oscuro di tutto, eppure, leggendo con attenzione, si può capire come probabilmente stanno le cose: Torino è costretta a non rispettare il patto di stabilità perché Fassino non è riuscito a trovare nemmeno una banca che concedesse alla Città il “prestito ponte”, ovvero un anticipo sulla svendita ai privati di Amiat, GTT e TRM che avverrà entro marzo. Dunque mancano all’appello del bilancio 2011 alcune decine di milioni di euro, e senza quelli i conti non tornano e il tetto viene sforato.

Se le cose stanno così, non solo l’operazione di privatizzazione delle municipalizzate è già diventata un fallimento, ma la preoccupazione sulla solvibilità della Città, a cui non fa più credito nessuno, è inevitabile.

Gli effetti immediati saranno significativi ma non cambieranno molto le cose, dato che già prima non si assumeva più nessuno (tranne staffisti e dirigenti dagli stipendi d’oro…) e che non ci si può più indebitare; perderemo comunque alcune decine di milioni di euro di fondi statali, con tagli conseguenti ai servizi (inoltre verrà tagliato il nostro stipendio del 30%: buon anno anche a me). Possiamo comunque sperare che Fassino abbia chiamato i ministri torinesi e si sia messo d’accordo in qualche modo.

Più pesanti gli effetti politici, perché gli alleati di Fassino – IDV, SEL e Moderati – hanno perso la faccia; il sindaco ha deciso e comunicato la cosa ai giornali senza nemmeno avvertirli, dimostrando che sostanzialmente non contano un bel niente. Penso in particolare a SEL, che ha votato privatizzazioni e aumenti delle tariffe spiegando di farlo per evitare che la Città sforasse il patto di stabilità e gli altri vincoli finanziari di legge, e che poi si è vista passare sulla testa un dietrofront, con il sindaco che dice che il patto di stabilità è inutile: ma allora potevano deciderlo tre mesi fa ed evitare le svendite.

E’ comunque scandaloso che una cosa del genere venga comunicata alla stampa prima che al Consiglio Comunale, se necessario convocando una riunione urgente almeno della commissione competente. Evidentemente il sindaco confonde il proprio ruolo con quello di un amministratore delegato…

[tags]fassino, torino, patto di stabilità, economia, prestito, privatizzazioni, consiglio comunale[/tags]

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martedì 20 Dicembre 2011, 17:35

I violenti No Tav

Tra le prerogative dei consiglieri comunali, c’è anche quella di poter chiedere al sindaco di riferire in aula, all’inizio del consiglio comunale, su fatti importanti e appena accaduti. Purtroppo il sindaco non risponde troppo spesso, visto che in questi sei mesi le richieste sono state quaranta ma solo dodici sono state accolte. Se il sindaco non risponde, al richiedente vengono concessi ben sessanta secondi per sintetizzare la domanda.

Mercoledì scorso, nella prima seduta utile dopo le manifestazioni No Tav dell’8 dicembre, abbiamo dunque chiesto al sindaco di spiegare le sue dichiarazioni secondo cui in Valsusa “comandano i violenti”. Chi sarebbero questi violenti? Fassino non rispose, nemmeno alla domanda da noi ripetuta in aula. E così, nel video, abbiamo messo anche alcune delle terribili immagini di violenza giunte da Susa; ringraziando Marco Carena per la colonna sonora.

[tags]no tav, susa, fassino, torino, movimento 5 stelle, violenza[/tags]

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giovedì 15 Dicembre 2011, 17:55

Alcune domande a Fiat

Lunedì 28 novembre, il consiglio comunale si è riunito in seduta straordinaria per discutere del futuro della Fiat a Torino e in Italia. E’ stata una estenuante maratona di sei ore in cui sono state dette molte parole, ma poco o nulla di concreto; i rappresentanti della Fiat presenti in aula hanno rimarcato di avere fatto un grande onore alla città a essere presenti, ma nelle loro conclusioni hanno più che altro criticato lavoratori e sindacati.

Noi abbiamo deciso di usare i nostri cinque minuti per porre alla Fiat alcune domande; invece di prendere le parti dell’una o dell’altra parte, abbiamo cercato di fare proposte su come la Fiat possa garantire lavoro a Torino, non solo per venti mesi ma per vent’anni, non solo per gli operai ma per i quadri, i dirigenti, i ricercatori, perché ormai, in prospettiva, sono a rischio anche loro. Abbiamo cercato di sottolineare che la strada non è certo quella di tagliare diritti e qualità per competere con i cinesi, ma quella di puntare sull’innovazione, sulla ricerca, sulla mobilità verde, ovvero su prodotti ad alto valore aggiunto.

Alla fine, comunque, la politica industriale della Fiat può essere fatta solo dalla Fiat; sono loro a dovere dare risposte che per ora, purtroppo, non hanno dato – limitandosi a marciare spediti verso la fuga dall’Italia.

[tags]fiat, consiglio comunale, torino, movimento 5 stelle[/tags]

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sabato 10 Dicembre 2011, 11:28

La protesta felice

Giovedì, in Valsusa, ho passato una bella giornata. Nei boschi c’era un parapiglia – questa peraltro è la prima volta in cui organi di stampa nazionali, a partire dal TG3, hanno detto apertamente che è la polizia che fa le sassaiole contro i manifestanti e i giornalisti e che spara lacrimogeni ad altezza uomo – ma a Susa il corteo No Tav era la solita festa; un mucchio di famiglie e di bambini, un’ottima zuppa a offerta libera, un sacco di bandiere al vento, una giornata bellissima, venti gradi e le cime imbiancate sullo sfondo.

E’ vero, il corteo ha bloccato l’autostrada; all’una, quando il traffico ormai era nullo. Sono rimasti imbottigliati ben cinque veicoli, che dopo tre minuti, dato ai giornalisti il tempo di fare le foto, sono stati lasciati passare. L’obiettivo non era bloccare i turisti in auto per ore, ma protestare contro l’afflusso di mezzi militari al cantiere di Chiomonte.

E’ stato proprio lì, nel vedere due tizi bloccati in auto che dovevano andare assolutamente a sciare e ci stavano veramente male per cinque minuti di ritardo, manco dovessero bollare, che ho capito che quella contro il Tav è davvero una protesta felice. Non è chi protesta ad essere incazzato; abbiamo passato il tempo a scambiarci panini, a chiacchierare tra sconosciuti e poi a giocare a pallone, portando vita per un po’ a quello che normalmente è solo un morto viadotto di cemento messo lì a devastare il centro della valle.

A essere incazzati, senza volerlo ammettere, sono quelli che non protestano mai. Sono quelli che obbediscono al capo in qualsiasi ufficio e professione, che passano una vita schiavi del mutuo da pagare e delle regole decise da chissà chi e rinunciano anche solo a immaginare di potere un giorno realizzare i propri sogni provando a lottare per una vita migliore. Quelli per cui anche dipingere di rosa il guard rail di un’autostrada è violenza (mentre non lo sono i blindati dell’esercito) e che in ogni blocco stradale vedono un attacco all’efficienza del proprio ciclo di sfruttamento legalizzato.

Non è strano, perché siamo stati tutti allevati per lavorare, consumare e obbedire; non è facile spezzare le catene quando sono invisibili. E così, molti ce l’hanno con chi protesta perché, sotto sotto, senza nemmeno rendersene conto, vorrebbero farlo anche loro. Eppure non ci vuole molto; come sta scritto sulle Nike per prenderli per il culo (in alto pensano che non lo faranno mai), “just do it”. Garantisco che poi si vive meglio.

[tags]no tav, torino, protesta, manifestazioni[/tags]

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sabato 5 Novembre 2011, 13:59

Dolcenera

Sull’alluvione di Genova del 1970 (e sul parallelismo tra passione incontrollabile e avvento delle acque) De André scrisse una canzone poetica e meravigliosa; di quella di oggi, preannunciata con giorni d’anticipo eppure avvenuta nella disorganizzazione più totale – e nel giorno in cui l’Italia ha di fatto iniziato a perdere la sovranità – penso direbbe solo disprezzo.

Ieri molti genovesi erano presi tra la rabbia e la tragedia; Grillo ha scritto quel che pensano tutti, che questo è anche il risultato di venti (venti?) anni di ballo sul Titanic che affonda, di cemento piazzato ovunque nel disperato tentativo di far respirare bocca a bocca l’economia, secondo il dogma crescista per cui edilizia = sviluppo = crescita = ricchezza.

Crozza non ha avuto la forza di andare in onda, ha fatto un collegamento con Mentana in cui visibilmente aveva solo voglia di andare via, ma immagino che anche lui pensasse la stessa cosa, a come abbiamo permesso vent’anni di distruzione dell’Italia tramite il disfacimento della politica e il potere dei media (nonostante Crozza già nel giorno dell’avvento di Berlusconi, subito dopo le elezioni del 1994, avesse messo in un profetico sketch la descrizione dell’Italia che sarebbe puntualmente arrivata, con i giornalisti messi a pulire i pavimenti o a prostituirsi).

Non pensate che altrove le cose stiano meglio; l’allarme è anche da noi, in Piemonte, e giusto ieri mi dicevano di come la collina torinese sia piena di tronchi e cespugli tagliati alla bell’e meglio per pulire il bosco e poi abbandonati lì, pronti a venir giù con l’acqua alla prima pioggia seria. E’ il disfacimento nazionale, di una società che non riesce più a gestire se stessa, le proprie attività e il proprio territorio.

Non si può più attendere, non si può più osservare passivamente la pioggia che cade, magari per farne pure una telecronaca in stile calcistico mentre si riprende col telefonino, per poi correre a mettere il tutto su Youtube. Serve una presa di coscienza e di responsabilità da parte di tutti; ammesso che coscienza e responsabilità, in Italia, esistano ancora.

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mercoledì 2 Novembre 2011, 20:05

Europa o morte

Alla fine il momento è arrivato: anche chi per anni (non noi) ha sostenuto che la crisi di questi anni fosse tutto sommato normale e passeggera, che la si potesse risolvere con le solite ricette dell’economia occidentale, ha dovuto gettare la spugna. E’ successo ieri, quando il governo greco si è ribellato alle medicine della finanza internazionale e ha deciso di chiedere ai cittadini se tutto sommato non sia meglio fallire, piuttosto che morire di fame per ripagare i debiti del passato. La risposta è scontata: se si arriva al referendum, la Grecia fallirà e uscirà dall’Euro e dal mondo occidentale, e a catena potrebbe crollare l’intera unità europea.

Ma non esultate; intanto, la decisione di Papandreu non è tanto uno scatto di orgogliosa rivolta contro il nuovo ordine mondiale, ma semplicemente la mossa ignava di un politico che non vuole prendersi la responsabilità di azioni impopolari; non vuole rovesciare il capitalismo, ma solo salvare la propria carriera politica, e magari spuntare condizioni migliori con un bel ricattino.

E poi, come già scrissi due mesi fa, lo scenario del fallimento con uscita dall’euro è senz’altro possibile, magari anche il meno peggio, ma non è affatto una strada lastricata di petali di rosa come molti illusi vorrebbero credere. Comporterebbe comunque la cancellazione dei nostri risparmi, un ridimensionamento permanente del nostro tenore di vita, difficoltà di approvvigionamento energetico, e ci permetterebbe di vivere per altro tempo in una società vecchia, inefficiente e corrotta, senza più spinte esterne al rinnovamento, scavandoci ancora di più la fossa… senza contare il fatto che un qualsiasi primo ministro italiano che tentasse la via di una bancarotta non concordata probabilmente farebbe la fine di Gheddafi o perlomeno di Aldo Moro, e magari apparirebbero maree colorate nelle piazze a provocarne la pronta sostituzione con un primo ministro più “ragionevole”. Non è certo un caso che Papandreu abbia appena rimosso i vertici dell’esercito

In ogni modo, mi sembra che pochi colgano la vera posta in palio di questi mesi. L’Euro, nella sua giovane esistenza, è riuscito là dove il comunismo aveva fallito: a mettere in crisi la supremazia economica mondiale degli Stati Uniti. Sta progressivamente sostituendo il dollaro come moneta delle riserve e degli scambi internazionali, a partire dal petrolio, e sta permettendo la nascita di un’unica grande nazione europea, più forte e più solida del rivale americano. D’altra parte, tutta questa attenzione delle agenzie di rating (americane) e della stampa economica (anglosassone) sulla crisi italiana e spagnola non è un caso; nasconde il fatto che i due Paesi con i maggiori problemi di debito estero complessivo (pubblico e privato) non sono Italia e Spagna, ma Stati Uniti e Inghilterra.

L’Italia, rispecchiando l’attitudine dei suoi abitanti, ha una sfera pubblica fortemente indebitata, ma una sfera privata ancora piena di risparmi, che mandano avanti la baracca. Al contrario, nel mondo anglosassone sono indebitati tutti: lo Stato che piazza i propri titoli ai cinesi, le aziende che attraggono i capitali di tutto il mondo, i privati che comprano qualsiasi cosa a credito. Sono giganti dai piedi d’argilla il cui dominio planetario volge al termine… a meno che non riescano a riprodurre la situazione che già, un secolo fa, trasformò gli Stati Uniti da nazione emergente a dominatore planetario: frantumare l’Europa e metterla in ginocchio con una serie di rivalità e di guerre.

D’altra parte, il progetto di unità europea ha, sin dal principio, un grande punto debole: quello di essere basato sull’economia invece che sulla politica. Non c’è più, da tempo, l’afflato europeista del dopoguerra; il desiderio di stare insieme perché siamo simili, non vogliamo più combatterci e vogliamo unirci per vivere meglio. C’è, al contrario, una visione meramente utilitaristica; stiamo uniti se ci conviene, altrimenti ciao. Questo è invece il momento di guardarsi negli occhi e capire se siamo italiani, francesi e tedeschi, divisi da rivalità millenarie e pronti a scannarsi di nuovo, o se siamo infine e per sempre europei.

Può essere che i sacrifici necessari all’Italia per restare in Europa si rivelino nei prossimi mesi – a differenza di quelli del 1992 e del 1996 – troppo pesanti, fisicamente insostenibili. Eppure, sono fermamente convinto che nel lungo termine la fine dell’integrazione europea, o l’esclusione dell’Italia da essa, sarebbero per noi un biglietto di sola andata per il Terzo Mondo, economico e culturale. Pretendiamo pure dall’Europa più democrazia, a partire da un governo eletto direttamente e una banca centrale che risponde al pubblico interesse; chiediamo l’Europa dei cittadini, anziché quella dei banchieri. Ma non rassegniamoci tanto facilmente all’idea che i debiti del nostro passato ci impediscano di arrivare al futuro.

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