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Archivio per la categoria 'Itaaaalia'


martedì 25 Ottobre 2011, 18:42

Salviamo i servizi pubblici di Torino

Nessuno lo sa, eppure è vero: nel giro di un paio di settimane Torino perderà di fatto il controllo dei propri servizi pubblici. Già lunedì 7 novembre in Consiglio Comunale PD, SEL, IDV e Moderati approveranno la cessione del 100% di Amiat, TRM (inceneritore) e GTT alla holding Finanziaria Città di Torino SpA, la quale ne darà in garanzia una parte per ottenere dalle banche un prestito che verrà girato al Comune per tappare i buchi del 2011 e del 2012. La finanziaria provvederà poi a vendere entro marzo a privati il 40% di queste aziende, ripagando il prestito (se tutto va bene).

Non vi tragga in inganno il fatto che il Comune tratterrà (per ora) il 60% delle quote. Questo è già avvenuto in altri casi di privatizzazione, come l’aeroporto e le farmacie comunali; in entrambi i casi, però, è stato stipulato un patto parasociale per cui a comandare è il privato. Di fatto è un ulteriore favore: il privato paga per il 40% ma comanda per il 100%. L’unica banca disposta a finanziare l’operazione – Unicredit – ha chiesto di controllare addirittura l’intera holding.

I rifiuti finiranno quasi certamente nel calderone Iren – e se oggi è difficile farsi ascoltare da Amiat per le strade sporche o i cassonetti mancanti, figuratevi quando dovrete chiamare un call center a Reggio Emilia. La TARSU aumenterà senz’altro, visto che attualmente il Comune paga ad Amiat meno di quanto costa il servizio di raccolta; ora Amiat compensa con altri guadagni, ma un privato certo non lavorerà in perdita. L’inceneritore, una volta privato, avrà come unico obiettivo bruciare qui più rifiuti possibile. I trasporti finiranno come l’aeroporto, dove da dieci anni comanda Benetton che ha trasformato lo scalo in aerogrill: pochi voli e tanti negozi, utili elevati per gli azionisti, e i torinesi costretti a volare da Malpensa o da Bergamo.

Perdipiù, questa privatizzazione avviene a pochi mesi da un referendum votato da 27 milioni di italiani, che diceva esattamente l’opposto: i servizi pubblici essenziali devono rimanere pubblici. Il 14 settembre, zitto zitto, il governo ha reintrodotto la norma abrogata dal referendum, obbligando a privatizzare entro marzo. I partiti che governano Torino, che a giugno erano in piazza a farsi belli con il voto degli italiani, ne sono stati talmente addolorati che il 7 ottobre avevano già approvato in giunta la privatizzazione.

Ma da qui a marzo non saranno in vendita solo le nostre aziende, ma quelle di tutta Italia: una vera svendita in blocco del patrimonio pubblico, che ovviamente comporterà incassi bassissimi per i Comuni, e grandi guadagni per i privati che compreranno. I soldi incassati pagheranno qualche debito e poi saremo da capo. Anche chi non ha pregiudizi di principio contro i privati deve riconoscere che questo è un pessimo momento e un pessimo modo per privatizzare.

Lunedì pomeriggio, insieme al comitato referendario per l’acqua pubblica e a quello contro l’inceneritore, abbiamo organizzato un primo presidio sotto il Municipio; lo ripeteremo il 7 novembre. Ma è la città che deve svegliarsi, nonostante il silenzio complice dei mezzi di informazione. Invece di farsi da parte, i politici svendono la città per mantenersi il castello dorato ancora per un po’. E quando ci saremo venduti tutto?

[tags]torino, fassino, privatizzazioni, referendum, acqua, gtt, amiat, trm, rifiuti, inceneritore[/tags]

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domenica 23 Ottobre 2011, 23:11

Una risata seppellirà il Tav

Si erano proprio sbizzarriti, i politici torinesi, nell’associare il movimento No Tav alle violenze di Roma, nel descrivere uno scenario in cui centinaia di violenti d’Italia e d’Europa si sarebbero radunati a Giaglione per la manifestazione di oggi. Cota: “Abbiamo ragione di ritenere che ci sia una strategia per ripetere la violenza che abbiamo visto a Roma”. Fassino: “Il prefetto faccia luce sui black bloc in valle, le violenze di Roma siano un monito per tutti”. Saitta: “Il movimento No Tav annuncia di fare azioni eversive”. Idem i giornali, a partire da Repubblica: “I No Tav violenti pronti alla lotta”.

Tutto questo era sfociato in un imponente schieramento di 1700 agenti (pagati da tutti noi) e in una assurda ordinanza del questore che vietava di fatto il corteo: prevedeva “il divieto di accesso a tutti i sentieri… che conducano all’area di cantiere” e “divieti di transito ed accesso nelle strade comunali di Giaglione per Frazione San Rocco e Frazione San Giovanni”, quelle che portano a Chiomonte, con tanto di sparata: “le aree oggetto di divieto saranno comunque precluse da sbarramenti invalicabili”.

Oggi, il movimento No Tav non ha solo battuto lo Stato: l’ha reso ridicolo. Ha svilito politici e giornalisti, perché diecimila persone a volto scoperto sono sfilate per valli e sentieri, si sono schierate a due metri dal cantiere, hanno attraversato interi schieramenti di poliziotti senza che volasse in aria nemmeno una castagna – altro che black bloc e violenze.

E ha svilito i tutori dell’ordine: diecimila persone hanno imboccato tranquillamente la strada di San Giovanni, fregandosene del questore. Hanno attraversato la frazione, preso i sentieri vietati, tagliato la prima rete di recinzione, con la semplice forza del numero. Hanno aggirato il secondo sbarramento prendendo i sentieri, chi sotto verso il fiume, chi sopra verso la montagna.

giaglione1.jpg

A quel punto (13:05) la Digos ha detto ai giornali che il primo “sbarramento invalicabile” non era poi così importante, era “simbolico”, ma il terzo sbarramento, il ponticello sul rio Clarea, era insuperabile: “Il limite è inviolabile, chi tenterà di superarlo sarà denunciato”. Non hanno fatto nemmeno in tempo a dirlo e hanno scoperto che il corteo era già alle loro spalle, attraversando il rio presso uno dei tanti guadi. Si sono dovuti arrendere; mezz’ora dopo migliaia di persone erano davanti e dentro la storica baita “abusiva”, tre chilometri dentro la zona rossa e dentro l’area ufficiale del cantiere, dove hanno allegramente organizzato una grande polentata.

La polizia ha chinato la testa e ha addirittura rimosso i suoi stessi sbarramenti, permettendo il deflusso dei manifestanti per la via maestra; una marea umana ha sciamato sul ponte del Clarea in mezzo a uno schieramento di poliziotti scornati, a cui peraltro va la mia solidarietà, perché la figuraccia è solo la conseguenza delle scelte insensate dei loro capi e dei politici.

giaglione2.jpg

Il movimento No Tav ha dato una grande prova all’Italia: con la disobbedienza civile, nonviolenta e determinata di migliaia di persone unite, anche le barriere militari diventano inefficaci. Ora gli uomini dello Stato dicono che i divieti da loro imposti erano simbolici, che in fondo non è stata violata l’ultima recinzione interna del “cantiere” (che, ricordiamo, è solo un piazzale pieno di camionette, perché non c’è traccia di lavori in corso, e peraltro occupa terreni privati mai espropriati ma occupati grazie a una ordinanza “di emergenza” che si trascina da mesi), che se non è successo niente è merito di politici e questure (dopo che hanno soffiato sul fuoco per una settimana).

Così facendo, si rendono sempre meno credibili, da soli. Se sapremo mantenere questa via, presto lo Stato saremo di nuovo e davvero noi; e una risata seppellirà il Tav.

[tags]no tav, chiomonte, giaglione, manifestazione, polizia, fassino, cota[/tags]

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venerdì 21 Ottobre 2011, 18:18

Se Berlusconi teme le cinque stelle

Mi hanno chiesto un commento alle dichiarazioni di Berlusconi relative al Movimento 5 Stelle, quelle in cui, a valle del voto in Molise, Berlusconi dice che Grillo è il suo miglior alleato perché prende il 95 per cento dei suoi voti a sinistra.Potrei dirvi che io conosco piuttosto bene i nostri elettori, che parlo con loro continuamente, in rete e per strada, e che so benissimo che per la maggior parte di loro l’unica alternativa sarebbe l’astensione, e che comunque ce ne sono parecchi che prima votavano Lega o PDL. Ma preferisco spiegarvi meglio il meccanismo: secondo voi, perché Berlusconi dice una cosa del genere?

Sappiamo che la strategia migliore per combattere un nuovo avversario, nell’era mediatica, è ignorarlo, perché ciò di cui non si parla sui media non esiste; solo se la strategia fallisce si passa al confronto diretto (vedi il noto aforisma di Gandhi “Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, poi vinci.”). Il centrosinistra ha smesso di ignorare il Movimento già da un paio d’anni, ma Berlusconi non lo aveva ancora fatto. La dichiarazione di Berlusconi – abituato a basarsi sulle analisi dei flussi elettorali – vuol dire dunque esattamente l’opposto di quel che sembra: i suoi dati gli dicono che il Movimento 5 Stelle, in Molise, ha fatto breccia anche tra gli elettori di centrodestra e che ignorarlo non funziona più.

E allora Berlusconi smette di ignorarci e passa al contrattacco; cerca di dipingere il Movimento 5 Stelle come una formazione di estrema sinistra (“95%”, usando un numero per dare una pretesa di scientificità alla sua affermazione), perché così ne riduce l’attrattività per i suoi residui elettori, quelli che da vent’anni lo votano, anche turandosi il naso, proprio perchè per loro “è comunque meno peggio della sinistra”. Inoltre Berlusconi, sapendo che il Movimento prende i suoi voti tra quelli che lo odiano, sa che definire personalmente il Movimento “il miglior alleato” servirà a instillare dei dubbi proprio nel tipico elettorato delle cinque stelle.

D’altra parte, non si capisce come mai, se Berlusconi veramente volesse favorirci, lo spazio concesso a Grillo sulle reti Mediaset sia lo zero assoluto: un paio di trasmissioni Rai, almeno, lo hanno fatto parlare…

[tags]politica, molise, berlusconi, grillo, movimento 5 stelle[/tags]

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sabato 24 Settembre 2011, 12:55

Il tunnel nel cervello

Un politico, si sa, non è un tuttologo; ma almeno delle materie di cui deve occuparsi qualcosa dovrebbe capirne. Il nostro ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca Mariastella Gelmini, invece, si distingue oggi per una gaffe leggendaria; un comunicato stampa che, per mettere il cappello sulla strabiliante scoperta di neutrini che viaggiano più veloci della luce, si vanta di aver speso 45 milioni di euro per realizzare “il tunnel tra il Cern e i laboratori del Gran Sasso, attraverso il quale si è svolto l’esperimento”.

gelmini-neutrini_544px.png

Capisco che non tutti siano avvezzi agli esperimenti e alle caratteristiche delle particelle subatomiche, argomento di cui comunque si è parlato normalmente in un qualsiasi corso di fisica al liceo o, per la nostra generazione, in mediamente una puntata di Quark su tre (riassumendo, le particelle vengono generate in un apparato che sta effettivamente in un tunnel, ma poi vengono “sparate” attraverso la crosta terrestre, che attraversano senza alcun problema). Ma che un ministro della Repubblica possa credere all’esistenza di un tunnel lungo lungo alto alto che collega direttamente due punti che distano in linea d’aria quasi un migliaio di chilometri, passando sotto Alpi, Appennini e mezza Italia, fa dubitare delle sue facoltà intellettive.

La cosa preoccupante è che a questo punto potrebbero dirle che servono 45 milioni di euro per una macchina del moto perpetuo, o per un sintetizzatore di pietre filosofali, o per uno stritolatore subnucleare con scappellamento a destra, e lei firmerebbe allegramente l’assegno.

[tags]scienza, ministro, gelmini, neutrini, fisica, gonzi[/tags]

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lunedì 12 Settembre 2011, 09:05

Vittime della memoria corta

Non mi piace parlare dell’11 settembre 2001, perché la discussione diventa regolarmente un teatrino: c’è chi ricorda queste vittime considerandole un momento fondamentale della nostra storia patria, e chi risponde ricordando per un motivo o per l’altro tante altre vittime: le centinaia di migliaia di civili iracheni ed afgani uccisi (in buona parte da noi occidentali) nella guerra che ne è seguita, o le vittime dell’altro 11 settembre (1973) promosso dagli americani, o le vittime islamiche del fondamentalismo cristiano, a partire dai diecimila morti di Srebrenica, o le vittime del terrorismo e dei disastri nostrani, che spesso aspettano ancora giustizia.

Mi tocca però affrontare l’argomento perché il sindaco Fassino ha già deciso, annunciandolo su tutti i giornali, di intitolare alle “Vittime dell’11 settembre” una via cittadina; in realtà la competenza di questa decisione è della conferenza dei capigruppo del consiglio comunale, e anche se non dubito che i capigruppo della maggioranza alzeranno la manina con obbedienza e faranno ciò che gli viene detto, io sarò comunque chiamato ad esprimermi.

Io sono molto perplesso, intanto perché le strade cittadine dovrebbero essere intitolate a persone che abbiano diretta attinenza con la storia cittadina o nazionale – anche se ogni città interpreta il principio un po’ come vuole, vedasi Grugliasco che ha da poco istituito viale Battisti, dedicato però non al patriota Cesare ma all’indimenticato cantante Lucio.

Il terrorismo è indubbiamente un argomento rilevante e parecchie vittime a Torino già sono state ricordate nella toponomastica; altrettante, però, ancora mancano. In generale la lista d’attesa è lunghissima – contiene dozzine di nomi – e parecchi torinesi illustri, compreso un presidente della Repubblica (Saragat), non solo non hanno una via ma non sono nemmeno stati ancora messi in lista. La toponomastica, infatti, diventa spesso campo di battaglia per rivendicazioni politiche e per la ricerca di visibilità, seguendo l’emozione del momento (ho già percepito una intensa pressione a favore di via Mike Bongiorno), e in questa logica vengono premiati i soggetti che suscitano la maggiore attenzione mediatica.

Tornando però alle stragi, terroristiche e non, sono più quelle mancanti che quelle ricordate – anzi, l’unica “via Vittime” che la città abbia mai istituito è dedicata alle Vittime di Bologna. Niente Fosse Ardeatine, niente Vajont, niente piazza Fontana, niente Ustica, niente rapido 904, niente Capaci (anche se in questo caso c’è via Falcone). E niente 22 settembre (1864), una data che a Torino a tutt’oggi è impossibile ricordare.

Ci si è ricordati solo della Thyssen-Krupp, nonostante non fossero passati i dieci anni richiesti dalla legge, perché era su tutti i giornali; usando peraltro un toponimo lunghissimo, parco Vittime del Rogo del 6 dicembre 2007 nello Stabilimento Thyssenkrupp di Torino, perché evidentemente “Vittime della Thyssen-Krupp” urtava qualcuno di importante. Capite che, a fronte di tutte queste mancanze, mi sembra che l’11 settembre non sia una priorità se non per politici ex di sinistra con l’ansia di dimostrarsi filoamericani e filovaticani.

Io mi sono chiesto se fare una controproposta, chiedendo di ricordare nelle vie anche alcune altre di queste stragi. Il problema è che in questo modo si alimenta il teatrino, la battaglia sulla testa di vittime che sono comunque tutte degne di rispetto, e delle loro famiglie. Una, però, credo proprio che la farò, per ricordare un caso davvero emblematico dell’assurdità di ciò che è ed è stato il terrorismo – a Torino, non dall’altra parte del mondo.

Il 9 marzo 1979, all’angolo di via Millio e via Lurisia, fu assassinato per caso Emanuele Iurilli. Aveva diciotto anni, tornava a casa da scuola e fu ammazzato da una pallottola vagante, durante uno scontro a fuoco tra una volante della Polizia e un commando di Prima Linea, sotto gli occhi della madre che guardava dal balcone. Fatico a immaginare un episodio più orribile e credo che ricordare questo ragazzo in questo momento farebbe un gran bene a tutti.

P.S. Visto che abbiamo parlato di Vajont, vi lascio con questo bel reportage del Movimento 5 Stelle di Belluno: sono queste le cose che mi rendono orgoglioso del nostro movimento.

[tags]terrorismo, vittime, fassino, 11 settembre, toponomastica, torino, prima linea, iurilli, vajont, belluno[/tags]

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venerdì 9 Settembre 2011, 23:26

Benedetta stazione

Questa mattina sono andato all’inaugurazione (parziale) della nuova stazione di Torino Porta Susa, dove una sfilza di autorità – Fassino, Cota, Moretti, Giachino – hanno tagliato il nastro e poi hanno preso un treno della metro, pigiati tra i giornalisti e il codazzo, per dimostrare che funziona. Il treno della metro però era in servizio speciale, infilato in mezzo a quelli normali, e dunque ha proseguito senza fermate fino a Lingotto, dove una improvvida misura di sicurezza è scattata e ha fatto inchiodare il treno all’ingresso della stazione, scaraventando alcune autorità contro le pareti. Poi però siamo tornati indietro senza problemi.

La stazione è molto bella, anche se al momento è un immenso parallelepipedo vuoto; non c’è nulla a parte la fermata della metro e una serie di scale mobili e ascensori. In realtà, se scendete dalla metro, uscite e poi salite ancora fino al livello -1, ci sono tre macchinette in un angolo che vi permettono di fare i biglietti Trenitalia, per poi infilarvi nel sovrappasso A e giungere ai binari; dallo stesso passaggio si può ora uscire in corso Bolzano all’angolo con corso Matteotti.

Ma non è questo ciò che mi ha colpito… mi ha colpito quello che vedete nel video.

Io non ho pregiudizi contro la Chiesa Cattolica; non sono cattolico, non sono nemmeno battezzato, ma in passato non mi sono fatto problemi ad esempio a partecipare ad attività di beneficenza della parrocchia sotto casa. Quello che non tollero però è l’interferenza della Chiesa nella vita pubblica: le facilitazioni fiscali, le sovvenzioni, le intromissioni nella politica – e appunto la pretesa di imporre se stessa sopra le altre religioni nei luoghi pubblici.

Trovo assolutamente inaccettabile che una grande opera pubblica pagata con le tasse di tutti (tranne appunto la Chiesa che ne è in gran parte esente) venga “marchiata” da una e una sola religione, come se tutti i torinesi che ne praticano altre o nessuna fossero cittadini “di serie B” nell’uso dell’opera pubblica suddetta, o infedeli da convertire. Ho scritto una interpellanza che presenteremo quanto prima, per chiedere che Fassino ci spieghi se questi sono i “valori di laicità” a cui lui e i partiti che lo sostengono si sono spesso richiamati. Spero di non essere l’unico che di fronte a queste cose si indigna!

[tags]torino, porta susa, stazione, ferrovie, fassino, chiesa, laicità[/tags]

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martedì 6 Settembre 2011, 23:01

Loro la crisi non la pagano

So che abbiamo tutti solo voglia di manifestare; so che oggi, in piazza, c’erano tanti amici e tanti simpatizzanti, compresi autorevoli esponenti del Movimento 5 Stelle; so che ci siete andati con ottime intenzioni. Ma una cosa, con affetto, ve la devo dire: io, oggi, mi sono arrabbiato.

Mi sono arrabbiato ascoltando un po’ degli interventi alla radio da parte dei promotori dello sciopero, tutti centrati su uno slogan: “noi la crisi non la paghiamo, perché ci ha già colpito duro”. Ma noi chi? I sindacalisti della CGIL, quelli che per trent’anni hanno impedito qualsiasi rinnovamento del nostro sistema produttivo, mandando a ramengo intere aziende e intanto facendo assumere i parenti o godendo di trattamenti speciali in fabbrica, magari svendendo dei lavoratori pur di mantenere questi privilegi? I pensionati del pubblico impiego, quelli che per tutta la vita hanno goduto di servizi pubblici drogati dal debito scaricato sulle future generazioni, che magari sono andati in pensione a quarant’anni o che hanno una pensione che è più di quello che guadagna un quadro di medio livello lavorando giorno e notte? Fassino – per i giornali torinesi leader della manifestazione – che insieme alla moglie prende 25.000 euro al mese di soldi nostri? Perché erano questi che parlavano oggi ai microfono, che sono adesso sui giornali e alle TV a vantarsi della “grande partecipazione” – e sarebbero questi quelli che non devono pagare la crisi?

Francamente, credo che un No Tav, un giovane precario, un disoccupato, oggi in piazza avrebbero dovuto esserci per fischiarli, non per sfilare con loro. E scusate, certamente anche qui le intenzioni erano ottime, ma non ha nemmeno senso andare in piazza e però fare un corteo separato che va fino a un certo punto ma poi arriva vicino a quello ufficiale ma però non nella stessa piazza (mi ricorda Clinton che ammise di aver fumato spinelli, sì, ma senza mai aspirare). Perchè tanto se siete in piazza i media vi fanno passare per sostenitori della CGIL e se fate casino vi fanno passare per i violenti che cercano di rovinare la grande manifestazione della CGIL.

E comunque, io sogno una situazione molto diversa: sogno una Italia in cui tutti fanno autocritica e dicono “in effetti la crisi un po’ dovrei pagarla anch’io”. Sogno dei sindacalisti che si tagliano i permessi sindacali e che accettano meno garanzie per i lavoratori a tempo indeterminato in cambio di un po’ di protezione in più per i precari. Sogno dei politici che rinunciano da soli alle auto blu e agli stipendi d’oro. Sogno dei pensionati che dicono “prendo 3000 euro al mese di pensione, tagliatemene un po’, così magari possiamo salvare le pensioni di quelli che ne prendono 800”. E ovviamente sogno anche degli imprenditori che dicono “quest’anno rinuncio a un po’ di utile per non licenziare”, dei notai che accettano di liberalizzare la loro professione, dei dipendenti che non si mettono una settimana in mutua se hanno il raffreddore e dei ricchi che dicono “tassatemi pure la seconda casa e la barca”. Follia? Ma come pensiamo di uscirne se non adottiamo una mentalità di questo tipo? Davvero pensiamo che a forza di gridare “noi la crisi non la paghiamo” finiremo per non pagare la crisi?

Ripeto, sono opinoni personali, massimo rispetto se l’avete pensata diversamente. Ma qui è tutta la faccenda che non convince: guardate che Berlusconi è già stato scaricato, ora o tra un anno il tentativo sarà quello di fare un governo Bersani appoggiato da Montezemolo, oppure un governo Montezemolo appoggiato da Bersani, per far fare a loro, con meno tensioni sociali, le stesse misure a cui credevate di opporvi scendendo in piazza oggi; come già successe con Amato e con Prodi. Perchè se c’è una certezza è che, se tutto continua in perfetto stile italico, loro la crisi effettivamente non la pagheranno. A noi, temo, non andrà così bene.

[tags]sciopero, cgil, sindacato, protesta, politica[/tags]

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mercoledì 31 Agosto 2011, 18:37

La verità sulla situazione economica dell’Italia

Non volendo piangere, è inevitabile mettersi a ridere per le continue giravolte del governo Berlusconi in materia di manovra finanziaria. Prima volevano tassare i ricchi e tagliare i fondi ai Comuni, poi i ricchi si sono incazzati e i sindaci sono scesi in piazza e allora hanno deciso di eliminare invece il riconoscimento degli studi ai fini pensionistici, ma in due giorni si è creata una tale ondata di lamentele che si sono rimangiati pure quello. E’ chiaro che non sanno dove sbattere la testa per trovare 40 miliardi di euro, non volendo mettere mano seriamente all’unico capitolo dove ci sarebbe ancora qualcosa da tagliare – i costi della politica e delle sue clientele, sia in termini di regalie che in termini di posti di lavoro.

A ben vedere, però, è proprio il caso di mettersi a piangere; è giusto criticare il governo, ma onestamente quali alternative ci sono sul piatto? La contromanovra del PD è evanescente, ed è stata già distrutta persino sul giornale di famiglia, Repubblica, dal buon Tito Boeri; se va bene il PD recupererebbe 4 miliardi, non 40, e perdipiù a forza di nuove tasse.

Il primo passo è ovviamente quello di cacciare tutti questi cialtroni e tagliare il costo della politica; dimezzare i parlamentari, eliminare le province… fanno alcuni miliardi di euro, non di più. Rinegoziare le privatizzazioni, i sussidi e le concessioni pubbliche date a condizioni di favore, cacciare i dirigenti incompetenti e mettercene di capaci, e poi tassare i capitali evasi rimasti all’estero e lanciare una campagna contro l’evasione fiscale, fermare le grandi opere inutili, far pagare le tasse alla Chiesa, e tutte le altre cose elencate nel (più che condivisibile) post di Grillo… ok, dai, così 40 miliardi li troviamo… magari ne troviamo anche 100.

Peccato che il nostro debito pubblico sia di circa 2000 miliardi di euro; peccato che solo l’aumento degli interessi che dovremo pagare sui nostri titoli di Stato, nelle ultime aste, si sia già mangiato in pochi giorni i 40 miliardi che stiamo ammazzandoci per recuperare. Mi spiace dovervi dare una cattiva notizia, ma qui siamo messi straordinariamente male.

Io sono preoccupato non solo per la situazione, ma perché si sta diffondendo per la rete e per le strade una furiosa euforia irreale, un piano d’azione che dice “attiviamoci, occupiamo le piazze a oltranza, cacciamo tutti i politici con i forconi, poi andiamo al potere, togliamo i soldi ai ricchi che li hanno rubati, cambiamo le regole dell’economia e potremo tutti tornare allo stile di vita di vent’anni fa”. Scusatemi per la lunghezza, ma voglio proprio fare una analisi approfondita di questo piano d’azione.

Innanzi tutto, in Italia non si sono mai viste rivoluzioni di piazza che abbiano avuto successo. Al contrario, nelle situazioni di disordine c’è sempre stata una reazione dell’italiano medio che ha portato al potere regimi autoritari e corrotti; agli scioperi dei primi anni Venti è seguito il fascismo, agli anni ’70 Craxi e agli anni ’90 Berlusconi. Tutto fa pensare che quel che sta succedendo ora sia solo un altro cambio della guardia, programmato colà dove si puote e legato non solo alla nostra spesa pubblica fuori controllo, ma al tentativo di Berlusconi di smarcarsi dal guinzaglio euroatlantico e di coltivare amicizie pericolose tra Mosca e Tripoli. Ve lo dico, così state accuorti.

Comunque, supponiamo invece che l’indomito popolo italiano prenda le piazze e riesca a mandare al potere un nuovo gruppo dirigente (nuovo davvero, non il figlioccio e sodale dei maggiori esponenti italiani del club Bilderberg). Ok, adesso abbiamo 2000 miliardi di euro da pagare e che non ci fanno più credito se non ne restituiamo almeno una bella fetta, che facciamo? Niente paura, il piano dice “togliamo i soldi ai ricchi che li hanno rubati”.

RICCHI_544px.jpg

La prima opzione è fare un bel collettone – ma chi ha soldi da tirar fuori? Tassiamo i patrimoni immobiliari? In teoria gli italiani possiedono 6000 miliardi di euro in case: facciamo che ognuno di noi paga allo Stato una cifra pari al 20% del valore delle proprie case? Ok, tu che possiedi un appartamentino in città (che comunque vale, a seconda della città, dai 100 ai 300 mila euro), ereditato dai tuoi o magari comprato con un mutuo che ti stai strozzando per pagare, domani mattina mi devi versare sull’unghia 20-60 mila euro, ok? Tanto li hai lì, no? No?

Ok, la facciamo pagare solo ai ricchi, però – in un paese in cui quasi tutti possiedono almeno una casa se non due – a questo punto l’aliquota sui ricchi deve salire al… 90%? Facciamo che requisire le ville ai ricchi? E anche se lo facessimo, poi dobbiamo trasformarle in soldi… chi le compra, e quanto riusciremmo veramente a realizzare, in un mercato immobiliare già saturo e improvvisamente inondato di case?

Va bene, realisticamente dalle case non si può tirar fuori che qualche decina di miliardi una tantum; allora tassiamo i conti in banca… ops, il totale dei depositi bancari in Italia è solo di 750 miliardi di euro, nemmeno azzerandoli tutti ripagheremmo il debito; e poi, per via del meccanismo della riserva frazionaria, le banche mica hanno lì 750 miliardi pronti da dare allo Stato.

Gli italiani dispongono se mai di un significativo patrimonio mobiliare in titoli, ma è investito soprattutto in… ops, titoli di Stato? Magari titoli di Stato di paesi messi poco meglio di noi o magari anche peggio? E anche qui, per poter chiedere agli italiani una fetta di questi soldi bisogna che prima gli italiani li vendano, e quanto riuscirebbero a incassare in una situazione del genere, costretti a svenderli di corsa ad investitori stranieri?

Incidentalmente, in tutto questo c’è comunque un assunto che disturba, cioè che non ci debbano essere remore nel tassare pesantemente i grandi patrimoni perché tanto “li hanno sicuramente rubati”. E’ ovvio che in una situazione di crisi la tassazione debba essere progressiva, colpendo di più chi non ha problemi ad arrivare a fine mese, ma l’Italia è piena di persone che si sono arricchite onestamente col proprio lavoro, spesso dando anche lavoro agli altri. Uno di questi peraltro è Beppe Grillo, dunque se pensate che tutti i ricchi siano ladri forse avete sbagliato movimento.

A questo punto è chiaro che non è realisticamente possibile per noi ripagare il nostro debito. Veniamo dunque alle maniere forti, ovvero “cambiamo le regole dell’economia”: una combinazione di 1) non ripagare i debiti e 2) ripudiare in tutto o in parte le regole dell’economia occidentale.

Un buon modo per non ripagare i debiti è farli pagare agli altri, ad esempio facendoci sovvenzionare da tedeschi e francesi (o dal Fondo Monetario Internazionale) o trasformando il nostro debito in Eurobond garantiti da loro, contando sul ricatto di “se no falliamo e vi va ancora peggio”, o rinegoziando il credito verso di loro, stile Argentina. Può darsi che funzioni, ma scordatevi che Merkel e soci lo facciano col sorriso sulle labbra e senza chiedere niente in cambio. Chiederanno appunto tutte quelle misure per cui critichiamo Berlusconi: licenziamento di dipendenti pubblici, taglio alle pensioni passate e future, chiusura di servizi pubblici. D’altra parte, se a voi chiedessero di tirar fuori 500 euro per permettere a greci o portoghesi di continuare a vivere a debito, cosa rispondereste?

Un altro modo per non ripagare i debiti è fallire e basta, dire ai creditori “sai che c’è? non ti pago” – magari pure in modo selettivo, cioè prima ripago i cittadini italiani che avevano in mano i miei BOT, e poi se avanza qualcosa per banche e governi stranieri vediamo. In questo si inserisce il filone “nazionalizziamo le banche e non paghiamo i debiti esteri come ha fatto l’Islanda”, che francamente continuo a non capire.

L’Islanda non ha certo nazionalizzato le banche perché vuole passare ad una economia socialista in stile Venezuela, ma perché l’alternativa era che fallissero portandosi con se i risparmi di tutta la nazione. Non c’è niente di sovversivo in questo: l’ha fatto pure, anche se parzialmente, Obama con Bank of America (la più grande banca americana). Anche la maggior parte delle banche italiane sono in rosso: nazionalizzare queste banche vorrebbe dire accollarsi altri debiti, non certo arricchirsi.

L’altro punto, però, è che l’Islanda non ha pagato i debiti esteri DELLE BANCHE, non i propri. E a buon diritto: ha detto ai creditori stranieri “voi avete investito in una azienda privata che è andata gambe all’aria e come è normale avete perso il vostro investimento, ci spiace ma il rischio d’impresa era vostro”. L’Islanda oltretutto non è né dentro l’Euro né dentro l’Unione Europea, quindi non è nemmeno soggetta alle garanzie del mercato unico intra-europeo; infine, l’Islanda è duecento volte più piccola dell’Italia e dunque le cifre in gioco erano relativamente irrisorie (4 miliardi di euro in tutto). Per questo motivo alla fine l’Islanda ne è uscita relativamente bene… ma il debito pubblico dello Stato italiano è cosa molto diversa.

Io penso che in una situazione del genere ci troveremmo gli aerei della NATO in casa, ma se anche così non fosse, il minimo è un embargo commerciale, che per un paese che vorrebbe vivere di turismo ed esportazioni è il bacio della morte; e poi, ovviamente, saremmo buttati fuori dall’Unione Europea e dall’Euro. Questo, per alcuni, fa parte del piano: ci liberiamo dell’Euro, così riconquistiamo la nostra “sovranità monetaria” e possiamo fare come abbiamo sempre fatto fino a vent’anni fa, cioè stampare moneta per continuare a pagare stipendi e pensioni, e svalutare la nostra valuta per migliorare la nostra competitività. Sai che boom nelle esportazioni, finalmente avremmo la ripresa!

Permettetemi di avere qualche dubbio anche su questo: una ipotetica “pizza de fango de Roma”, come sarebbe la nostra nuova valuta, varrebbe poco e continuerebbe a valere ancora meno man mano che il governo la svaluta o ne stampa per far fronte ai propri impegni, con il serio rischio di una iperinflazione stile Zimbabwe o Germania di Weimar. Tutti quelli che vivono dei risparmi o delle pensioni del nonno sarebbero velocemente in mezzo a una strada.

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Inoltre, l’Italia è tanto un bel Paese ma è praticamente privo di risorse naturali. Il gas che ci serve per scaldarci, il petrolio che ci serve per produrre la nostra elettricità, per spostarci e per non trovare gli scaffali dei supermercati vuoti, devono essere comprati all’estero – in dollari o in euro. Più la pizza de fango si svaluta, più i prezzi di tutto aumenteranno, a maggior ragione se ci siamo fatti troppi nemici in giro per il pianeta. Perché vedete, Chavez può fare il cacchio che gli pare perché ha il petrolio pure nella tazza del cesso… noi no.

A questo punto, comunque, potremmo riuscire a sopravvivere, come sopravvisse l’Italia del periodo autarchico fascista. Per esempio, potremmo completare l’opera e nazionalizzare le aziende straniere; saremo poveri ma saremo liberi e giusti, bloccando le delocalizzazioni e gestendo quel po’ che c’è nell’interesse di tutti e senza più essere costretti a tagliare i servizi sociali o ad allungare l’età pensionabile solo per ripagare i banchieri della City… no?

Ecco, tutto quello che avete letto finora in realtà dimenticatelo, sono problemi minori. Perché anche se potessimo ricominciare domani mattina da capo, senza debiti e senza sfruttatori, resterebbe una piccola questione da risolvere – quella che ci ha portato fin qui. Basta andare sul sito Istat, sezione “Lavoro”, per scoprire che in Italia ci sono circa 60 milioni di residenti, in parte stranieri, ma solo 23 milioni di occupati, di cui 18 milioni di lavoratori privati, in buona parte ormai precari e sfruttati. Questi 18 milioni producono la ricchezza che mantiene non solo gli odiati padroni, ma anche tutti gli altri, e cioé: 5 milioni di dipendenti pubblici, che svolgono lavori spesso fondamentali (talvolta no) ma istituzionalmente in perdita; 7 milioni tra bambini, ragazzi e studenti universitari; 2 milioni di disoccupati “ufficiali”; 12 milioni di inattivi per altro motivo, ovvero disoccupati “non ufficiali” e casalinghe; e 17 milioni di pensionati, di cui 5 con meno di 65 anni di età. Il nostro tasso di occupazione è insomma il più basso dell’UE a parte Malta e Ungheria, e si aggiunge a uno Stato sprecone e spendaccione come nessuno.

Per questo, quando io sento che la luminosa via della rivoluzione di piazza prossima ventura permetterà non solo di mantenere tutte le attuali prerogative, ma anche di aggiungerne di nuove – ad esempio il tanto evocato “reddito di cittadinanza”, perché è giusto che chi non lavora abbia comunque dei soldi dalla collettività per mantenersi – ecco, mi vengono i brividi. Chi ve lo dice, o è ingenuo e non ha fatto i conti (se ha dei conti è pregato di tirarli fuori, magari mi convince), o vi sta prendendo per il culo, magari perché agitare la folla fa sempre bene alla propria immagine pubblica.

Una economia che parte su queste basi, evasione o no, corruzione o no, non può che generare istituzionalmente debito, e non reggersi in piedi (se non in particolari periodi . E dunque non se ne esce, prima o poi il problema di tagliare le pensioni, il pubblico impiego e in generale la spesa pubblica va affrontato, senza diritti acquisiti per nessuno, così come quello di far sì che gli italiani lavorino tutti e di più; per questo ho molto apprezzato che Grillo, anche se molti hanno fatto finta di non sentire, l’abbia detto chiaramente.

Questo vuol dire che l’economia internazionale va bene così, e che dobbiamo cavarci il sangue e buttarci tra le braccia del Fondo Monetario Internazionale? Assolutamente no, anzi più riusciamo a tener lontana quella gente meglio è. Vuol dire però che dobbiamo essere realistici, e che nessuno potrà chiamarsi fuori dai sacrifici che andranno fatti; potremo pretendere equità e solidarietà – e per averle è necessario cacciare l’attuale classe politica – ma non potremo dire “noi la crisi non la paghiamo”… anche perché abbiamo goduto tutti di trent’anni di società drogata dal debito, e se abbiamo permesso, col voto e con l’acquiescenza, che alcune parti della società ne godessero molto più di altre, è anche colpa nostra.

Cosa succederà veramente non lo sa nessuno; magari una crisi globale ci grazierà, assorbendo anche la nostra; magari l’Italia si spaccherà, il Nord nell’Euro e il resto nel fango; magari, dopotutto, la via dell’autarchia sarà l’unica possibile; sono convinto che ci sarà da soffrire ma che sarà anche una chance storica per costruire un’Italia stabilmente migliore. Per il momento, io vorrei soltanto pregarvi di non ridere troppo di Berlusconi, perché comunque neanche Superman saprebbe come ripagare il debito pubblico italiano; e perché presto, a sbattere la testa al posto di Berlusconi, ci saremo tutti noi.

[tags]manovra, economia, debito, berlusconi, grillo, finanza, bilderberg, signoraggio, moneta, euro, tasse[/tags]

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lunedì 22 Agosto 2011, 15:48

Tornare in Italia

Lo shock del rientro in Italia comincia già a Charles de Gaulle, terminal 2F, pieno zeppo di italiani. Questi sono i fortunati, quelli che si sono potuti permettere la vacanza all’estero, o che si sono indebitati per farlo (se la prenderanno poi con le banche multinazionali cattive se gli chiederanno i soldi indietro).

All’imbarco chiamano prima quelli seduti in fondo, ma anche gli altri si infilano lo stesso, per cercare di piazzare la pletora di borsoni e borsette che si portano a mano in barba a ogni regola. A bordo è un fiorire di pretese su tutto, com’è possibile che siamo in otto e non abbiamo i posti vicini, il mio bambino vuole un posto finestrino, e poi gli dà fastidio la cintura dunque non gliela metto (ma se poi succede un incidente denuncio l’Air France, ah i francesi arroganti).

Atterriamo a Linate – avrei preferito tornare via Caselle ma l’aeroporto cittadino è da anni ostaggio di Benetton, voli pochi e carissimi. Il ritiro bagagli di Linate è una bolgia semifatiscente in cui tutti sgomitano. All’uscita prendiamo l’autobus per Milano Centrale, il bus urbano più caro del mondo (cinque euro per venti minuti di città) perché c’è la concorrenza all’italiana: Starfly e ATM, il privato e il pubblico, dopo essersi messi d’accordo sul prezzo esoso, ti accolgono sul piazzale con due autisti-piazzisti che gridano come in un suq e quasi a forza ti trascinano sul loro mezzo.

A Milano Centrale ci scaricano coi bagagli in mezzo alla strada, perché la fermata è occupata da un bus privato parcheggiato abusivamente. Ci trasciniamo le valigie per centinaia di metri, nella stazione-autogrill in cui tutto è stato organizzato per farti perdere tempo davanti ai negozi.

Il biglietto del regionale Milano-Torino è di nuovo aumentato, ora costa 10 euro tondi (+25% in un anno e mezzo, grazie Regione Piemonte). Il servizio in compenso è peggiorato ancora: il treno è pieno come al solito (quasi nessuno può permettersi l’alta velocità), il vagone ha grossi mucchi di sporco su tutto il pavimento, l’aria condizionata è rotta e solo alcuni finestrini sono stati aperti; facciamo due ore di treno con 40 gradi.

A Torino prendiamo la metro, ci cerchiamo da soli (non ci sono indicazioni) il vagone senza i sedili, perché altrimenti con due valigie la intasiamo, tanto è piccola. Mentre cerchiamo di salire, un tizio quarantenne spinge e tira un calcio alla valigia per arrivare primo a sedersi nel posto libero. Alla fine sale un anziano, resta in piedi (negli Stati Uniti si sarebbero subito alzati tutti a cedere il posto).

Basta descrivere le prime ore in patria per capire perché, con buona pace di Bossi, è l’Italia (Nord compreso) a essere ormai la “terronia” del mondo sviluppato. Sarebbe bello se ci fosse un’Italia buona soggiogata da una casta di politici cattivi, ma la verità è che il problema dell’Italia è la gran parte degli italiani.

[tags]viaggi, italia, organizzazione, educazione[/tags]

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sabato 16 Luglio 2011, 11:12

La lavanda non si tocca

Solo chi ha frequentato la Libera Repubblica della Maddalena conosce il vero senso di questo slogan, in ossequio al quale una serie di omoni che spostavano interi tronchi a cavallo della strada (le barricate venivano messe la sera e smontate al mattino per permettere l’accesso ai contadini e ai vignaioli) si muovevano in punta di piedi per evitare le piantine di lavanda coltivate in un fazzoletto di terra proprio accanto all’ingresso.

Ora che il territorio della Maddalena è passato dalla Libera Repubblica allo Stato italiano, tutto è stato calpestato e devastato; a parte cagare nelle tende per dispetto, a parte sfasciare la nostra roulotte e bruciare il camper No Tav solo per vendetta, ora la nuova gestione non permette più l’accesso nemmeno ai proprietari dei terreni, nemmeno a quelli che non fanno parte di nessun movimento e vorrebbero solo evitare che il proprio campo o la propria vigna andasse in malora, come puntualmente sta accadendo. Il prato recintato che nasconde il villaggio neolitico della Maddalena, che durante il presidio era sacro, ora è stato usato come parcheggio per i blindati e rovinato forse irrimediabilmente; il museo è stato trasformato in caserma. Tutto questo senza aprire un metro di cantiere, anche perché l’area recintata non è quella dove devono iniziare lo scavo, ma quella militarmente più definibile; al momento non c’è nessun cantiere, solo truppe.

In tutto questo, ieri è uscito un video dove si vede benissimo il trattamento riservato dalla polizia ai fermati, trascinati per centinaia di metri mentre i poliziotti si avvicinano e li prendono a calci e bastonate, nonché una sassaiola da parte degli stessi poliziotti. A me non interessa tanto parlare di chi ha ragione o chi ha torto, interessa far notare che quello che è avvenuto a Chiomonte non assomiglia tanto a una operazione di polizia, quanto a uno scontro tra due eserciti sovrani, per quanto con grande differenza di mezzi militari: una guerra civile.

[tags]no tav, chiomonte, polizia[/tags]

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