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Archivio per la categoria 'Itaaaalia'


giovedì 31 Marzo 2011, 10:36

Attraversamento precari(o)

Lunedì scorso, i dirigenti del centro Intesa Sanpaolo di Moncalieri – situato nel bel mezzo di uno svincolo della tangenziale – hanno deciso di vietare l’uso del parcheggio interno alle centinaia di consulenti che esso ospita, costringendoli a parcheggiare l’auto a qualche centinaio di metri e poi a rischiare la vita attraversando un tratto di svincolo a due corsie dove le auto sfrecciano a cento all’ora, senza che vi siano strisce o semafori pedonali. Nonostante il problema sia noto da mesi, sia la banca che il Comune di Moncalieri se ne sono lavati le mani; queste persone ci hanno contattato e noi abbiamo deciso di fare un’altra azione dimostrativa come quella di via San Donato, aiutandoli ad attraversare e soprattutto facendo in modo che i giornali parlassero del loro piccolo grande problema.

In teoria, un consulente dovrebbe essere una persona di grande esperienza che cambia continuamente cliente per dispensare ciò che conosce. In pratica, in Italia, il consulente – specie nel settore informatico – è diventato l’ennesimo schiavo moderno, oggetto passivo di una tratta di persone; viene piazzato dalla sua società presso un grande cliente per anni e anni. La grande azienda sostituisce così i dipendenti con persone prive di diritti, dato che il contratto di consulenza può venire stracciato più o meno in ogni momento; la società di consulenza, che spesso ottiene la commessa per ammanicamenti vari quando non per via di regali, mazzette o quote societarie date ai manager della grande azienda, trattiene spesso la maggior parte di quanto la grande azienda paga per il consulente. Al lavoratore restano le briciole e la posizione di ultimo della fila, senza diritti e senza certezze per il futuro, dato che figurativamente è un libero professionista e che anche quando viene assunto dalla società di consulenza ha garanzie relative.

Che in questo bel quadretto il consulente debba poi anche rischiare la vita per andare al lavoro è davvero assurdo; è vero che Intesa mette a disposizione navette da alcuni punti di Torino, ma un’azienda che piazza una sede in mezzo al nulla non può pretendere che chi arriva da fuori si metta a entrare in città per andare poi ancora a prendere una navetta. Noi siamo assolutamente per disincentivare l’uso dell’auto privata, ma questo non può voler dire costringere le persone a perdere un’ora di vita in più ogni giorno; e rispondere a chi rischia la vita qui e adesso di prendere i mezzi pubblici “che in futuro saranno più efficienti” sarebbe una forma di preclusione ideologica…

…soprattutto se la regola è applicata soltanto ad alcuni, mentre gli altri continuano ad avere il posto auto gratuito e garantito davanti alla porta dell’ufficio.

[tags]intesa, sanpaolo, viabilità, attraversamento, moncalieri, movimento 5 stelle, consulenti, informatica, schiavi[/tags]

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venerdì 18 Marzo 2011, 14:15

Se Fassino ammazza i referendum

In maniera assolutamente scientifica, mercoledì, nel bel mezzo delle celebrazioni per l’Unità d’Italia, la Camera ha deliberato sulla data del voto dei referendum sul nucleare, sull’acqua pubblica e sul legittimo impedimento; e per un solo voto, 276 a 275, ha vinto la scelta di tentare di ammazzare i referendum a spese degli italiani. Lo Stato spenderà dunque 350 milioni di euro in più per farci votare i referendum il 12 giugno, invece che il 29 maggio in contemporanea coi ballottaggi delle comunali; questo perché la scelta del 29 maggio avrebbe sì fatto risparmiare quei soldi e una domenica di tempo agli italiani, ma avrebbe anche facilitato il raggiungimento del quorum su referendum che quasi tutto il mondo politico vuole affossare.

I giornali hanno scritto che la colpa è del deputato Marco Beltrandi, radicale eletto nelle liste del PD, che ha votato con il governo invece che con l’opposizione; ma questo non è totalmente vero. La colpa è anche di venti deputati dell’opposizione che non si sono presentati in aula; e tra questi c’era anche Piero Fassino, che era alla notte bianca di Torino a cantare l’inno in piazza con Chiamparino.

Io non voglio fare il moralista, e penso che possano anche esserci dei motivi validi per essere assenti dall’aula; una malattia, un lutto in famiglia. Posso persino arrivare a capire che, a fronte di un ordine del giorno poco importante e di votazioni dall’esito scontato, una volta ogni tanto il parlamentare possa preferire un altro impegno politico di grande importanza, o persino prendersi un giorno di ferie come qualsiasi dipendente.

Ma andare a mettersi in mostra davanti alle telecamere perché mentre sei deputato sei anche candidato sindaco, proprio mentre si vota una questione della massima importanza, mi spiace, non è accettabile.

Vale anche per Coppola, che fa il candidato sindaco e insieme l’assessore regionale; da entrambi vorrei come minimo il chiaro impegno a dimettersi dalla carica precedente una volta eletti in Comune, e comunque la garanzia che la campagna elettorale non toglierà tempo all’attuale impegno istituzionale per cui tuttora li paghiamo. Se no, che si dimettano immediatamente e poi faranno la campagna elettorale come meglio credono.

Ora, se ci beccheremo le centrali nucleari sotto casa e la privatizzazione dell’acqua (cosa quest’ultima che peraltro Chiamparino ha ampiamente provato a fare di suo in questi anni) e se il legittimo impedimento non sarà abolito, al di là della campagna referendaria di facciata che il PD non mancherà di fare, sarà colpa non solo di Berlusconi e di Cota, ma anche di Piero Fassino, proprio lui personalmente – e non è uno slogan, ma la realtà delle cose.

[tags]referendum, politica, assenteismo, fassino, chiamparino, coppola, torino, elezioni comunali[/tags]

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giovedì 17 Marzo 2011, 14:26

Italia sì, Italia no

Fa sinceramente e seriamente piacere che gli italiani, una volta ogni cinquant’anni (anzi no: aggiungiamoci i mondiali di calcio), si ricordino di esserlo e abbiano voglia di celebrare la propria bandiera; in fondo siamo il Paese al mondo che meno rispetta se stesso, e questo, pur con le buone ragioni che uno può avere per criticare l’Italia, non è positivo.

I festeggiamenti hanno persino quasi smentito la mia previsione di baracconata incombente, anche se continuo a pensare che si sarebbero potuti spendere meno soldi in addobbi e cerimonie e più soldi per essere italiani insieme, cioè, almeno per un giorno, per aiutare davvero le tante persone che hanno bisogno e che dallo Stato ormai ricevono poco o nulla; invece di onorare i Savoia, Napolitano e Berlusconi avrebbero fatto meglio ad andare a servire il pranzo a una mensa dei poveri.

Credo che sia giusto, almeno una volta ogni cinquant’anni, ricordare e onorare i milioni di persone che hanno sacrificato la propria vita per la nostra bandiera, per un ideale nazionale di unità, libertà, prosperità e fratellanza; e poco importa chi le abbia mandate a morire e per cosa. Possa il loro sacrificio ricordarci che quell’ideale è tutt’altro che realizzato, anzi che è stato spesso tradito, e che i veri patrioti non sono coloro che abusano delle cariche istituzionali o le insozzano mancando ai propri doveri, ma coloro che dal basso cercano di abbatterli.

Credo anche che al giorno d’oggi, in una società multietnica dominata da fenomeni globali, il concetto di “stato nazionale” abbia sempre meno senso; che si potrebbero gestire le istituzioni in modo più economico ed efficiente con tre soli livelli, il Comune, la Regione e l’Europa, mantenendo l’Italia come una entità culturale a cui si sente di appartenere nell’animo, ma svuotata di poteri amministrativi; probabilmente, senza le pastette della politica, sarebbe anche più facile amarla.

Per il resto, ribadisco quel che scrissi in estate: che la retorica sugli italiani un tempo oppressi e ora finalmente uniti in libertà diviene facilmente eccessiva, se si ricorda che la realtà storica, purtroppo, non dice esattamente questo.

[tags]italia, unità, celebrazioni, storia, federalismo[/tags]

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lunedì 14 Marzo 2011, 23:49

Meglio soli che amici di Luigi

Capisco che la serie di pesantissimi attacchi tra Beppe Grillo e Luigi De Magistris possa aver lasciato perplesse e scoraggiate molte persone; in particolare quelle che alle ultime elezioni europee avevano votato De Magistris (e Sonia Alfano) proprio su indicazione di Grillo, e che ora non capiscono cosa sia successo.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è la candidatura di De Magistris a sindaco di Napoli; una candidatura di bandiera, dato che sia il PD che il resto del centrosinistra hanno detto sin dal principio che non la sosterranno; fatta dunque col solo scopo di ottenere visibilità personale e portare voti al suo partito (IDV); una candidatura che arriva mentre De Magistris è ancora ben lontano dall’aver finito il proprio mandato di parlamentare europeo.

Io sono meno rigido di Grillo e, in un’ottica di “dipendente dei cittadini”, posso anche capire l’idea che una persona possa essere “promossa” da una posizione elettiva all’altra, come potrebbe succedere in una qualsiasi posizione lavorativa a chi lavora bene; ma questo è legittimo solo se sono le persone che l’hanno votato a volere questa scelta, ad esempio in una consultazione pubblica in rete, e non il candidato stesso o un direttivo di partito; solo a patto che sia veramente un passaggio da una posizione all’altra, e non un accumulo di cariche o una “vacanza elettorale” per farsi un po’ di pubblicità e poi tornare alla posizione precedente; e solo se i risultati nella posizione precedente sono stati all’altezza. Qui, invece, abbiamo una persona che non ha ancora annunciato alcuna dimissione dall’incarico attualmente ricoperto, e che lascia pure il dubbio che, se non dovesse essere eletto sindaco, piuttosto che fare il consigliere comunale saluterà la bella Napoli e se ne tornerà a Bruxelles.

Ma soprattutto, è l’intera attività di De Magistris da europarlamentare che lascia a desiderare. Invece di fare bene il suo lavoro a Bruxelles, De Magistris ha passato questi due anni ad apparire in televisione in Italia, a fondare la propria corrente, a sfidare Di Pietro per la supremazia nel partito, a conquistarsi l’eccezione ad personam alla regola dell’IDV che prevede di non candidare gli inquisiti, e insomma a fare tutte quelle attività da politicante che speravamo di non vedere più. E questo è dimostrato anche dalla disgustosa risposta di De Magistris pubblicata oggi: Grillo gli contesta dei fatti, sia sul suo lavoro in Europa che sul suo rinvio a giudizio, e lui risponde attaccando con insinuazioni sul piano personale, dicendo che Grillo ha una villa da milioni di euro ed è manipolato da “gruppi imprenditoriali e della comunicazione”. E poi saremmo noi i populisti!

Ho avuto occasione di scambiare due parole con Beppe sul tema l’altra settimana, e l’ho visto veramente arrabbiato e deluso: “con De Magistris e con Vendola ho proprio sbagliato”. Se c’è un aspetto positivo di questa vicenda, è che ci ha insegnato che con i partiti – tutti, nessuno escluso – non è possibile alcun dialogo. Rispetto le persone oneste che ancora pensano di poter far qualcosa dal di dentro, ma sono degli illusi. La stessa Italia dei Valori, in teoria uno dei partiti a noi più vicini, è un contenitore di schifezze; a parte il fatto che è IDV ad aver salvato Berlusconi dalla caduta (vedi alla voce Scilipoti), basta leggere le cronache dell’ultimo congresso torinese per mettersi a vomitare.

E’ la forma partito a non funzionare, prima ancora che le persone; e spiace vedere la rapidità con cui De Magistris si è adeguato all’ambiente. Speriamo almeno di avere imparato qualcosa; e che invece di perdere tempo a chiederci se e come scendere in piazza coi partiti o quale dev’essere la strategia per portarli dalla nostra parte, ci dedichiamo completamente a costruire qualcosa di completamente diverso.

[tags]partiti, politica, idv, de magistris, grillo[/tags]

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sabato 12 Marzo 2011, 10:23

Di chi è la Costituzione?

Oggi in tutte le piazze d’Italia si terrà l’ennesima manifestazione del sabato pomeriggio: dopo quelle contro Berlusconi e quella per le donne contro Berlusconi, arriva quella per la Costituzione contro Berlusconi. E non è solo un gioco di parole…

Infatti, una persona dell’organizzazione aveva invitato anche me a parlare oggi in piazza Castello; non come candidato, dato che non si parlava di argomenti elettorali e legati al Comune, ma come cittadino pubblicamente attivo che espone le proprie idee. Io avrei ribadito il ruolo e l’importanza della Costituzione, e poi avrei affrontato due aspetti che mi stanno particolarmente a cuore, ovvero come promuovere la partecipazione dei cittadini alla vita democratica migliorando gli strumenti costituzionali di democrazia partecipativa, e come proteggere meglio i beni comuni, compresa la costituzionalizzazione di Internet proposta da uno dei massimi giuristi italiani, Stefano Rodotà.

Peccato che, dopo che anche Beppe Grillo ha parlato del primo dei due aspetti, io mi sia ritrovato un’altra persona dell’organizzazione a gridare sulla mia bacheca Facebook che “difendere la Costituzione” voleva dire non toccarne neanche una virgola, e che i grillini non erano graditi alla manifestazione.

Dopo un po’ di discussione è venuto fuori il vero problema, cioè che si voleva evitare che la manifestazione potesse dare spazio al candidato sindaco del Movimento anzichè a quello del centrosinistra. Ora, l’idea di non far parlare candidati o politici è anche condivisibile, ma sono stati loro a invitarmi in prima istanza; dunque viene naturale pensare che ci sia stata qualche pressione dall’alto per cancellare il mio intervento, anche considerando che la persona dell’organizzazione che ha insistito per non farmi parlare ha in tasca la tessera di Italia dei Valori.

Questa situazione finisce dunque per dare ragione a quelli che nel Movimento sostengono che a queste manifestazioni noi non ci dobbiamo andare, visto che (anche se chi vi partecipa lo fa con rabbia e in perfetta buona fede) sono soprattutto un tentativo dei partiti del centrosinistra di mettere il cappello sulla protesta degli italiani e di riportarla nell’alveo del sistema. Del resto, la manifestazione non ha un sito ufficiale ma ne ha due, questo e questo, corrispondenti alle due diverse bande del centrosinistra che cercano di metterci sopra il cappello (il secondo sito è di Gianfranco Mascia, autoproclamato leader del Popolo Viola e responsabile della comunicazione di Italia dei Valori); e poi ci sono i siti dei gruppi viola in dissenso con Mascia, come questo e questo.

Resta la tristezza di vedere la Costituzione usata come arma politica di parte; non è da oggi che i partiti del centrosinistra, che pure non si sono fatti problemi a metterci mano con la riforma costituzionale di una decina d’anni fa, la considerano una loro proprietà privata. Io penso che questa loro scelta spinga verso una china pericolosissima, proprio perché contribuisce a far passare nella testa degli italiani il concetto che la Costituzione è una roba di sinistra e dei partiti, e dunque che chi non è di sinistra o non sostiene i partiti del centrosinistra ha tutto il diritto di non riconoscersi in essa. Sono proprio atteggiamenti come questi che minano alla base le nostre istituzioni; invece di usare la Costituzione per dividere, bisognerebbe usarla per unire.

[tags]costituzione, manifestazioni, politica, centrosinistra, partiti, movimento 5 stelle[/tags]

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giovedì 10 Marzo 2011, 16:39

Il giusto processo

Non degno più Berlusconi di attenzione da un pezzo, è un vecchietto con problemi di prostata e di bavosità che (politicamente parlando) è già morto e non lo sa; però oggi è riuscito a farmi incavolare. Ci è riuscito con questa foto, che lo ritrae nel tentativo di spiegare agli italiani la sua nuova “riforma della giustizia”, ovvero l’ennesimo tentativo di cambiarsi leggi e Costituzione per sfuggire ai propri processi; per esporre meglio il concetto, ribadendo la sua concezione degli italiani come di bambini suggestionabili, è ricorso alla tecnologia e precisamente a una slide Powerpoint:

giustoproc-originale.jpg

Bene, l’incazzatura però mi è passata presto, quando grazie a una delle mie incursioni da hacker sono riuscito ad accedere ad alcuni server privati e a ottenere la versione corretta di quella slide, quella che rappresenta la vera riforma della giustizia, la riforma che tutti gli italiani aspettano; la pubblico qui sotto, sperando che possa venire presto approvata.

ilgiustoprocesso-544px.png

[tags]berlusconi, giustizia, riforme, costituzione, processi, legge, slide, hacker[/tags]

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sabato 5 Marzo 2011, 16:47

Intanto (sull’evasione fiscale)

Parlare di politica è un lusso che non tutti si possono permettere. Intanto, mentre si discute di idee, progetti, alleanze, o magari di correnti, scambi e appalti, là fuori la vita scorre con tutta la sua ordinaria crudeltà.

La storia del titolare di autoscuola ma anche autista GTT che si è ucciso nel laghetto di Italia ’61 per sfuggire ai controlli del fisco è una di quelle che non saranno mai sull’agenda di nessun partito. La politica, se si occupa di persone, lo fa ormai in una logica spietata di scambio di voti e di finanziamento della propria costosissima rete di pubblicità e di clientele. Il signore in questione forse (non lo sappiamo con certezza) era un evasore fiscale, ma visti i fatti non penso che fosse uno di quegli evasori che girano con il macchinone e hanno tre ville al mare. Questi ultimi sono quelli che la fanno franca, spesso perché hanno coperture politiche, amicizie influenti o semplicemente abbastanza denaro da pagare avvocati, politici o magari mazzette. Questi ultimi sono i soli evasori che interessino alla politica.

Non tutti gli evasori sono così; c’è chi veramente non può fare altro, a fronte del fatto che il nostro fisco ti fa pagare non solo le tasse che devi pagare su ciò che guadagni, non solo le tasse che devi pagare su ciò che in teoria guadagnerai ma che il tuo cliente non pagherà mai confidando nella totale impunità, ma anche le tasse che il fisco presume che dovrai pagare, secondo stime sue unilaterali spesso totalmente fuori dalla realtà.

A me ha fatto rabbrividire l’esaltazione positiva con cui è stata accolta qualche giorno fa la notizia che, dopo tre anni di calo, il numero di aziende a Torino ha ricominciato a crescere. Quelle tremila partite IVA in più sono quasi sempre persone lasciate in mezzo a una strada dal mondo del lavoro, persone che, non sapendo che fare, si mettono in proprio per mancanza di alternative. Quasi mai una avventura imprenditoriale che parte con queste premesse può avere successo, perché anche l’imprenditore, come tutti gli altri, è un mestiere che richiede esperienza e preparazione specifica (a meno di non avere, come si dice, il “culo parato” dai meccanismi di cui sopra).

Anche l’evasione fiscale, come l’immigrazione, è un argomento devastato dall’ideologia. Quasi sempre – persino nei commenti al minipost di Grillo qualche giorno fa – la discussione viene impostata come “lavoratori dipendenti contro lavoratori autonomi”, con ciascuna delle due tifoserie a sostenere che l’altra è quella che ruba di più. Questa impostazione non ha più alcun senso, se non altro perché milioni di persone che trent’anni fa sarebbero stati dipendenti ora sono, nell’attuale ordinamento del lavoro, lavoratori autonomi, ma per finta; partite IVA che fatturano sempre la stessa cifra alla stessa azienda, o precari abbandonati a se stessi. Non è più vero che l’autonomo è sempre la parte più ricca o più forte.

La vera distinzione da fare è tra chi ruba e chi non ruba, sapendo che chi non ruba è soggetto a una pressione fiscale fuori da qualsiasi logica, dovuta alla necessità di pagare le tasse anche per chi non le paga, e di pagare le tasse per mantenere un paio di milioni di persone che in Italia vivono di politica invece di lavorare. La vera lotta è dunque di chi vuole vivere in un paese civile, qualsiasi sia il lavoro che fa, contro chi questo Paese lo deruba con l’evasione, con l’assenteismo e con le raccomandazioni, dipendente o autonomo che sia.

[tags]evasione fiscale, lavoro, tasse, fisco, tragedie, politica, clientelismo[/tags]

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giovedì 3 Marzo 2011, 17:41

Goodbye Malincònia

Ieri è successo di nuovo. Ieri sera sono andato allo stadio, un’occasione di svago come tante, una serata tra amici. Nell’intervallo come sempre si chiacchiera, ci si raccontano le novità, e così mi sono sentito dire: “Sai che c’è? Me ne vado.” Ma non “me ne vado” perché il Toro per l’ennesimo anno fa schifo, “me ne vado dall’Italia”. In Brasile, a lavorare. Per sempre (i più pudichi dicono “un anno o due, per guadagnare un po’”, ma poi sai che facilmente sarà per sempre).

Solo nell’ultimo mese me l’hanno detto in tre, due vanno in Brasile e uno a Londra. C’è chi va con la famiglia e chi la lascia qua, c’è chi te lo dice con rabbia e chi te lo dice con sollevazione, come la fine di un incubo. Tutti hanno in comune il fatto di essere persone capaci; d’altra parte all’estero i cazzari non trovano spazio facilmente come da noi. Tutti hanno resistito fin che potevano, ma poi sono arrivati al punto: “che ci sto a fare io ancora qui?”

Chi ha girato il mondo lo sa, l’atmosfera altrove è molto diversa. Il resto d’Europa non fa scintille, ma almeno è civile, serio e ordinato. In altre parti del mondo, come appunto in Brasile, l’economia cresce, la gente ha voglia di fare, l’età media è più bassa, le cose si muovono. In Silicon Valley o in Cina si respira il futuro; non tutto luccica, anzi, ma l’aria profuma di speranza, e se non capite cosa intendo è perché questo profumo da noi si è perso da moltissimo tempo.

Chi resta qui è spesso, per forza di cose, ultraconservatore; oltre ai più deboli, qui resta soprattutto chi è troppo vecchio per andare, oppure chi ha una qualche forma di protezione (o pensa di averla) e si concentra sul difenderla con le unghie e con i denti. La valanga di voti per Fassino è anche un desiderio di mettere la testa sotto la sabbia, di fare finta che il tempo possa tornare indietro, che possano ritornare gli anni ’80. E poi, restiamo noi che non ci arrendiamo, che non ci vogliamo credere, che ancora vogliamo provare a salvare l’Italia, e però siamo sempre di meno, e ci chiediamo quanto potremo resistere se il resto del Paese non ci darà una mano.

[tags]emigrazione, giovani, lavoro, torino, fassino, brasile, caparezza, tony hadley[/tags]

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martedì 1 Marzo 2011, 20:01

Dell’onestà dei disonesti

A voi forse sembrerà che l’onestà sia un concetto semplice e lineare: onesto è chi non mente e chi rispetta le regole date dalla società. Eppure poche cose dimostrano come l’onestà sia in realtà un concetto complesso quanto ciò che è successo in questi giorni in Germania.

Per i pochi che non lo conoscono, il caso è questo: si è scoperto che il ministro tedesco Guttenberg, brillante 39enne, ottenendo quattro anni fa il dottorato di ricerca, ha copiato da altri lavori più o meno metà della sua tesi. Nessuno mette in discussione la sua intelligenza o la sua preparazione, né la sua adeguatezza agli incarichi politici che ricopre, per i quali è invece molto apprezzato e amato dagli elettori; può anche darsi che l’espediente sia stato solo un modo per far prima, tra un impegno e l’altro. Eppure, non ci sono stati sconti: in Germania una persona che copia e mente sulla paternità di un proprio lavoro non è moralmente adatto a fare il ministro, e Guttenberg si è dimesso.

Ora, noi potremmo comparare questo caso con la ministra italiana Gelmini, 37enne dalle dubbie qualità, la cui preparazione e i cui meriti per il ruolo che ricopre non sono granché evidenti. La ministra, dopo un diploma di maturità ottenuto in una scuola privata cattolica dopo aver frequentato senza grande successo due diversi licei pubblici, e dopo una laurea in giurisprudenza nella sua natìa Brescia su cui anche le sue compagne di studi si mettono a ridere, ha ottenuto l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato trasferendosi a sostenere l’esame a Reggio Calabria, ed offrendo lei stessa in una intervista questa motivazione: “sono andata a farlo a Reggio Calabria perché a Brescia non si passava”.

Ecco, anche questa ammissione è un’altra forma di onestà, l’onestà dei disonesti, anche se suona più che altro come una presa in giro per chi in Italia ancora studia seriamente. Ma non è questo il punto; il punto è che da noi nessuno ritiene che questo, da solo, sia un motivo sufficiente perché questa persona non possa fare il ministro. Per chi ne chiede le dimissioni, questi fatti sono solo un rafforzativo per le critiche alle sue proposte, o al massimo una dimensione di distinzione umana, “noi siamo quelli che studiano e loro sono quelli che si arrangiano”. Ma se da noi qualcuno chiedesse le dimissioni di un ministro sulla sola base del fatto che ha scelto per dare l’esame il luogo “in cui si passava”, sarebbe preso per pazzo.

Il concetto di “onestà” è pesantemente culturale; ciascuno di noi valuta l’onestà in base al comportamento di chi gli sta attorno – della propria famiglia, nella prima fase della vita, e poi di tutta la società, e specialmente delle persone più conosciute e visibili. Ci vuole un grande sforzo per imporsi un criterio di onestà diverso da quello socialmente definito; è ciò che si chiama “coscienza”, e una persona la sviluppa solo quando diviene veramente adulta – il che, nell’Italia di oggi, spesso non avviene mai. In Italia, poi, la stessa idea di “regola” è un concetto complicato, poco chiaro, soggetto a continui doppi standard per cui la norma scritta non è quasi mai quella applicata, anzi è talvolta del tutto inapplicabile, tutti lo sanno e va bene così; una disonestà disonesta non è accettabile, ma una onesta disonestà è considerata normale, fa parte della vita.

Il danno devastante dunque è proprio questo: le ultime generazioni di italiani sono cresciute con un concetto di onestà completamente diverso da quello utilizzato nel resto d’Europa, e totalmente malato. Forse sarebbe ora di cominciare a pensare a come affrontare questo problema.

[tags]onestà, dimissioni, ministro, germania, guttenberg, gelmini, società, cultura[/tags]

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venerdì 25 Febbraio 2011, 18:11

I furbetti alla guerra di Libia

Dunque, mettiamola così: siete perfettamente coscienti di vivere in un Paese governato da una finta democrazia, ma in realtà in mano a un dittatore che controlla anche buona parte dell’economia della nazione e che ogni giorno si esibisce pubblicamente in comportamenti squallidi – esibizione di donne-oggetto, minacce ai giornalisti e vanterie ridicole – che in tutto il mondo gettano discredito su di voi. Non pensate che sia abbondantemente giunta l’ora di ribellarsi, non necessariamente in maniera violenta, ma di scendere in piazza fin che non sarà costretto ad andarsene?

Se avete risposto di sì, allora come mai nessuno in Italia si aspettava ciò che sta succedendo in Libia?

La risposta è facile quanto scomoda: perché l’italiano medio, vedendo Gheddafi, ha sempre pensato che in fondo era il capo di quel Paese perché quel Paese era come il suo capo, perché i libici erano beduini ignoranti a cui probabilmente tutta quell’esibizione di baracconate luccicanti e di harem di giovani vergini piaceva un mucchio.

Di qui la sicumera con cui tutte le istituzioni e le grandi aziende del Paese – dall’Eni alla Fiat passando per Unicredit – si sono concesse al leader libico, dandosi di gomito e autocomplimentandosi per la furbizia e la spregiudicatezza nel fare affari con Gheddafi, contando sul fatto che tanto lui e i suoi figli sarebbero rimasti al potere per sempre, e accettando di umiliarsi nelle sue buffonate pur di guadagnarci.

Ora gli italiani furbetti sono stati puniti: se la rivoluzione libica si compierà, probabilmente le nostre aziende saranno cacciate dalla Libia a calci nel sedere, se non peggio; se non si compierà, probabilmente scatterà un embargo internazionale verso la Libia che distruggerà i loro affari.

E in più, a noi italiani resta in mano un’ultima domanda: ma se abbiamo fatto affari con Gheddafi considerando i libici un mucchio di fessi inermi che non l’avrebbero mai cacciato, come possiamo lamentarci di quando all’estero ci considerano tutti un mucchio di fessi inermi che continuano a tenersi Berlusconi?

[tags]libia, italia, gheddafi, berlusconi, dittatura, democrazia, rivolte, affari, fessi[/tags]

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