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Archivio per la categoria 'Itaaaalia'


mercoledì 21 Luglio 2021, 20:06

L’obbligo di green pass spiegato razionalmente

Spuntano dalle fottute pareti: non solo i no vax, ma quelli che “io non sono no vax ma” (di solito gli stessi che non sono razzisti perché hanno anche un amico marocchino). Alla fine conviene non perdere tempo a discutere con loro, tanto non vogliono ascoltare. Per gli altri, però, vorrei che fosse chiaro qual è il motivo razionale per cui è corretto riservare ristoranti o trasporti pubblici ai titolari del green pass, almeno in determinate condizioni.

Il pass, infatti, non garantisce affatto che la persona non sia infetta o non possa infettare; i vaccinati possono comunque infettarsi e persino ammalarsi. Nemmeno il pass ottenuto col test negativo lo garantisce, perché anche il test, specie quello rapido, ha una percentuale di errore non piccola.

Statisticamente, se in un ristorante ci sono cento persone tutte col green pass, ce ne sono probabilmente una decina che in realtà potrebbero essere infette, anche se ciò non significa che lo siano davvero. Se una di esse però lo è, possono avvenire dei contagi. Quanti, dipende anche dagli altri: se tutti gli altri sono vaccinati, quando l’infetto “prova” a contagiarli, la probabilità che possano infettarsi è dell’80-90% inferiore al caso in cui le altre persone nella stanza sono non vaccinati entrati con un test negativo, e quindi sono tutte soggette al contagio senza protezioni.

In altre parole, supponendo per farvi capire il meccanismo che sia il vaccino che il test negativo abbiano una efficacia del 90%, succede questo:

  • in una stanza in cui nessuno è vaccinato e nessuno ha il green pass, la probabilità che avvenga un contagio dipende dal tipo di interazione e da quanti infetti ci sono in giro, cioé da quanto sta circolando il virus nella società; supponiamo per esempio che valga 0,1;
  • nella stessa stanza in cui nessuno è vaccinato ma tutti hanno il green pass da test negativo, la probabilità che avvenga un contagio si riduce del 90%, diventando 0,01, ossia dieci volte inferiore;
  • nella stessa stanza ma in cui tutti sono vaccinati e hanno il green pass da vaccinazione, la probabilità che avvenga un contagio si riduce due volte del 90%, diventando 0,001, ossia cento volte inferiore.

Come vedete, né il green pass, né il test negativo, né il vaccino azzerano i contagi e sono una garanzia di “sicurezza totale”: chi lo dice non ha capito. Tuttavia, questi strumenti, statisticamente, riducono di molto il numero dei contagi; la riduzione non dipende solo dal pass ma anche da come lo si è ottenuto (quindi il test negativo, dal punto di vista epidemiologico, non è equivalente alla vaccinazione).

A questo punto, ecco perché è corretto, in un momento in cui il virus ha una circolazione media, limitare a chi è vaccinato l’accesso a situazioni pericolose, quelle in cui i contagi sono più probabili; ossia, a situazioni in cui si sta per un certo tempo insieme in un ambiente chiuso, peggio ancora se con distanze molto ridotte (come sui mezzi di trasporto) o senza mascherine (come nei ristoranti).

In assenza dei vaccini, raggiunto un certo livello di circolazione dei virus queste attività vanno chiuse, perché provocano statisticamente un certo numero di contagi. Il green pass, però, garantisce un “bonus”; a parità di condizioni, può ridurre di dieci volte (caso del test negativo) o di cento volte (caso della vaccinazione) il numero di contagi che si verificano, e quindi permettere di tenere aperte, solo per chi ha il pass, queste attività che altrimenti andrebbero chiuse per contenere l’epidemia. Il fatto che le si tenga aperte anche a chi ha un test negativo, e non solo a chi è vaccinato, dal punto di vista epidemiologico è già una grossa concessione ai non vaccinati.

Certo, se nonostante questo la circolazione del virus dovesse salire ancora – grazie ad esempio al fatto che la variante delta è almeno il triplo più contagiosa del virus originario, quindi a parità di condizioni genera il triplo di contagi – il bonus viene consumato, e diventa inevitabile chiudere di nuovo quelle attività a tutti, anche ai vaccinati.

Del resto, se il bonus da vaccinazione si compensa con la maggior contagiosità della variante di quest’anno, logica vorrebbe che ci ritrovassimo con gli stessi lockdown dell’anno scorso pur essendo tutti vaccinati; ma se non fossimo vaccinati, ci toccherebbe probabilmente un altro lockdown completo stile marzo 2020 o persino peggio. (Per questo, confrontare le restrizioni di oggi con quelle di un anno fa non ha senso; la contagiosità di base del virus, il famoso R0, è molto cambiata, purtroppo in peggio.)

Insomma, la vaccinazione non è perfetta, non è un lasciapassare, non rende invulnerabili, non permette da sola di tornare alla normalità, ma dà un aiuto che permette di ridurre un po’ le restrizioni a parità di condizioni generali. Per questo motivo, l’obbligo di green pass nelle attività che generano contatti al chiuso è non solo ragionevole ma doveroso; non è una punizione nei confronti di nessuno, ma un semplice calcolo scientifico.

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domenica 2 Maggio 2021, 11:48

Una opinione diversa sul Primo Maggio 2021

Sì, ho visto il concertone. Sì, ho un’opinione su Fedez, ma prima parliamo un po’ della musica, dai.

Il pomeriggio (con un paio di eccezioni: gli Zen Circus in mezzo al mare, Toffolo e soci dalle montagne) è stato deprimente, una sfilata di giovanotti griffati in autotune che hanno fatto sembrare persino Bugo un sollievo.

La serata è andata meglio, nonostante Pelù fosse giù di voce, nonostante un Pippo Baudo ottantenne che imita Guzzanti che imita Venditti. Gli intrusi sfiatati sono stati pochissimi; certo, a tratti sembrava semplicemente una radio che manda le hit del momento, ma Gazzè/Silvestri e Bennato, per esempio, hanno fatto bella figura; Bennato è riuscito a suonare un rock di quarant’anni fa e creare più energia di chiunque altro. Gli ospiti internazionali, pur validi, erano chiaramente lì solo per il nome e per il cachet. Bene invece Peyote & friends, che continuano la loro ascesa. Spiace per gli Extraliscio sfumati dopo il primo pezzo, nonostante loro fossero il “complesso tipo Bregovic” di quest’anno, ma è il destino notorio di chi suona per ultimo.

Ora, veniamo all’impegno sociale. C’è stato ieri sera un discorso perfetto, è qui sotto: l’ha fatto Michele Bravi alle ore mezzanotte e zero sette, rispondendo con parole dolcissime a quelli che dicono che “ricchione” è una battuta divertente, e raccontando come sia stato difficile trovare le parole per esprimere il suo amore per un altro ragazzo.

Il discorso di Fedez, invece, meh. Intanto, per favore, non tirate in ballo Elio e le Storie Tese: loro fecero un discorso da completi sconosciuti a inizio carriera in cui denunciarono fatti, corruzioni, scandali, un sistema di potere onnipresente. Fedez è un miliardario sulla cresta dell’onda con il pubblico ai suoi piedi, ed è facile avere coraggio con tre Ferrari sotto il culo; certo, si potrebbe anche non averlo e quindi è apprezzabile lo stesso, ma non è certo un bracciante africano che contesta il suo padrone nei campi.

In più, Fedez non ha denunciato un bel niente, ha fatto un comizio su un argomento, a favore di una posizione e contro un partito. Elio menzionò Andreotti, Gaspari, Ciarrapico al massimo del loro potere; Fedez “rivela” che a Vergate sul Membro c’era un candidato della Lega (non so nemmeno se poi eletto) che ha detto che gli omosessuali sono figli del diavolo. Ma dai? Fedez documenta, datialla mano, che la Lega è contraria alla parità di diritti per gli omosessuali. Incredibile, che coraggio, non lo sapeva nessuno!

Ora, in Italia l’omofobia è un problema, sia nel Paese che nella politica. Che sia l’ennesima “nuova legge” a risolverlo ho dei dubbi (quante battaglie per una “nuova legge” sull’omofobia ha fatto la sinistra in vent’anni? tipo una ogni due anni), ma è meglio che niente. Che sia questo il modo di farlo, ho dubbi ancora più grandi. Dopo questa sparata il tema è diventato talmente importante che la Lega farà ancora più blocco, e non mi vedo Draghi sacrificare il governo per una legge, tanto più una legge su cui, a quanto ho capito, una maggioranza in Parlamento ancora non esiste, al di là della Lega.

Certo, Fedez ha fatto parlare di sé, si è fatto pubblicità, ha fatto bella figura con mezza Italia. Ma forse, come ha fatto Bravi, invece di attaccare un partito con la scusa dell’omofobia era più utile attaccare l’omofobia, ben rappresentata dai due “comici” che rivendicano il diritto di bullizzare un omosessuale chiamandolo “ricchione” e pretendendo pure che rida.

Nel frattempo, gli operai e i problemi del lavoro, su cui il concertone doveva richiamare l’attenzione, sono usciti rapidamente dalla scena. Magari sarebbe stato bello parlare di quello, parlare dello sfruttamento dei rider nel mondo delle consegne alimentari (pardon, del “food delivery”) o dei comportamenti ambientali dell’Eni che si pubblicizzava sui maxischermi, solo che avrebbe magari dato fastidio ad alcuni degli sponsor dei Ferragnez su Instagram.

Sparare su Salvini – anzi nemmeno su di lui: su semisconosciuti esponenti di terzo piano della Lega, molto più deboli di Fedez, che non hanno alcuna possibilità di rispondere – fa fine e non impegna; ed è anche un rischio ridotto, visto che non è certo la Rai a far passare Fedez sui media. Insomma, le battaglie sociali sulla propria pelle sono un’altra cosa; non vanno confuse con quel che è successo ieri.

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martedì 13 Aprile 2021, 09:14

La bella estate del 2020

Stamattina mi sono preso il tempo di scrivere un post lungo, ragionato e basato sui numeri a proposito delle riaperture estive. Qualsiasi cosa ne pensiate, vi prego di leggerlo fino in fondo prima di commentare.

Mi sono messo a scriverlo perché a proposito dell’estate vedo troppa faciloneria. Leggo: d’estate il virus non circola, l’anno scorso fino a settembre non ce n’era. Oppure: ma se l’anno scorso abbiamo fatto praticamente tutto quello che volevamo, vuoi che quest’anno coi vaccini non facciamo almeno lo stesso? Si dice: ma cosa aspetta il governo ad annunciare la riapertura di tutto da giugno? Nessuno concepisce l’idea di potersi trovare in zona rossa o anche solo gialla, coi ristoranti e le spiagge chiuse, fino ad agosto. Eppure, dal punto di vista strettamente sanitario sarebbe uno scenario realistico, e vediamo perché.

Cominciamo con lo sfatare alcuni miti sull’estate scorsa, grazie al grafico qui sotto. L’anno scorso, quando a inizio giugno si è riaperta la mobilità tra regioni, avevamo circa 300 nuovi casi al giorno, circa 2000 a settimana. In termini del parametro usato oggi per i colori, avevamo 3 (tre) casi settimanali per 100.000 abitanti.

Per confronto, la soglia dell’attuale zona bianca, che dovrebbe dare il via libera a tutto, è 50 casi per 100.000. Anche supponendo che l’estate scorsa ci sfuggissero molti più casi di oggi, parliamo di almeno un ordine di grandezza di differenza. Peraltro, l’unico esperimento di zona bianca coi parametri attuali è stato un disastro: la Sardegna ha retto due settimane. Insomma, l’agognata zona bianca di oggi non ha “pochi casi”; sono comunque tanti.

In termini di andamento, l’anno scorso a giugno l’epidemia ha continuato a ritirarsi, ma non a grande velocità. All’ultima settimana di giugno, quando la gente ha finito di avere paura e ha ricominciato a girare davvero, la discesa si è fermata e il trend si è stabilizzato per un paio di settimane. Abbiamo segnato il minimo di sempre il 14 luglio, con 114 casi. Di lì in poi, però, è subito partita la risalita esponenziale; a fine luglio avevamo 380 casi, a Ferragosto 629, il 23 agosto 1210. Lì abbiamo almeno chiuso le discoteche, e la risalita è rallentata un po’, ma non si è più fermata: 1733 casi il 4 settembre, 1907 il 18 settembre. Poi hanno riaperto le scuole e altra botta verticale: 2844 il 3 ottobre, 5724 il 10 ottobre. Il resto è storia.

Morale: non è affatto vero che d’estate il virus non circola, che il caldo lo uccide, che stando tutti all’aperto non c’è pericolo. Probabilmente l’estate rallenta un po’ il contagio, ma una volta che riapri quasi tutto (comunque l’estate scorsa erano chiusi gli stadi, i concerti, le sagre) l’esponenziale riparte anche in piena estate. Qui stiamo già parlando di riaprire gli stadi l’11 giugno: fate un po’ voi.

E’ indubbio che quest’anno ci sia una grande novità: i vaccini. Ma qual è l’effetto dei vaccini sul contagio? Indubbiamente è forte, come mostrano Israele e Regno Unito – ma solo se sono vaccinati quasi tutti. Peraltro, gli USA e il Cile dimostrano invece che anche a campagna vaccinale ben più avanzata della nostra è possibile una nuova ondata, se si eliminano troppe restrizioni. Nessuno sa ancora bene come funzioni questo effetto in termini quantitativi, ma proviamo a fare un modello.

Supponiamo che il vaccino sia efficace all’80% a prevenire il contagio in ogni forma, anche asintomatica, considerando anche che molti quest’estate avranno avuto una sola dose e quindi che l’efficacia sarà ridotta. Attualmente abbiamo dato almeno una dose a nove milioni di persone; realisticamente, a inizio giugno questo numero potrebbe essere arrivato attorno a venti milioni, forse venticinque se siamo molto bravi. In pratica, circa il 40% degli italiani avrà una probabilità di contagiarsi ridotta dell’80%, il che – supponendo, cosa peraltro non vera, che questi italiani siano mediamente quelli che poi vanno in giro durante l’estate – vuol dire una riduzione della probabilità media di contagio di circa un terzo (0,8*0,4).

Questa è una buona notizia se, come succede in questo periodo di restrizioni colorate, l’Rt è poco superiore a 1; in questo caso, una riduzione di un terzo lo fa scendere sotto 1 e fa spegnere l’epidemia. Se però siamo in condizioni di liberi tutti e tutto aperto, con un Rt di 1,5, 2, 2,5, l’effetto è al massimo quello di rallentare leggermente la crescita esponenziale. In altre parole, anche con la campagna vaccinale attuale, riaprendo tutto a inizio giugno è molto probabile che l’epidemia ripartirebbe rapidamente, come successe l’anno scorso da metà luglio in poi.

A inizio luglio, forse, potremmo essere arrivati a 30-35 milioni di vaccinati con almeno una dose, con una riduzione dell’Rt del 40%; a inizio agosto la riduzione potrebbe essere del 50%. Ma per un virus il cui R allo stato libero è stimato attorno a 3, continuerà a essere ancora troppo poco per eliminare tutte le restrizioni – anche se, da agosto, potrebbe bastare l’effetto delle mascherine, possibilmente FFP2, se solo tutti le portassero davvero.

C’è però ancora un’altra obiezione: visto che l’anno scorso anche con epidemia in espansione abbiamo vissuto tranquilli fino a fine settembre, non potremmo fare lo stesso? Restiamo chiusi fino a inizio giugno, abbattiamo i casi, e poi gestiamo l’estate cercando di non farli risalire troppo e di arrivare a settembre-ottobre, contando che per allora si arrivi alla famosa immunità di gregge; nel momento in cui il fattore di riduzione dovuto ai vaccini superasse i due terzi, si dovrebbe avere Rt minore di 1 anche senza restrizioni e l’epidemia morirebbe.

Bene, allora quanti casi pensiamo di avere a inizio giugno? La settimana scorsa è stata la prima in cui si è visto un calo netto: 20% di nuovi casi in meno rispetto alla settimana precedente, per un totale di “soli” centomila nuovi infetti. Supponiamo di andare avanti così per le sette settimane che ci separano da giugno; vuol dire una moltiplicazione per 0,8^7 = 0,21. In pratica, arriveremmo ad avere circa 21.000 casi settimanali, ossia circa 35 casi per 100.000 abitanti, sufficienti per la zona bianca ma dieci volte superiori a quelli con cui abbiamo riaperto tutto un anno fa.

Attenzione, però; perché noi, invece di tenere duro, dopo una settimana abbiamo già riaperto le scuole, con contestuale candida ammissione del ministro Speranza di come questo avrà un effetto sui contagi. Entro un paio di settimane cominceremo a riaprire a furor di popolo i ristoranti e i teatri. Con questa prospettiva, è difficile pensare che il calo continui a questo ritmo. Se supponiamo che il calo medio nelle prossime settimane sia del 10%, che comunque non è poco, arriveremo a inizio giugno con oltre 50.000 casi a settimana, con l’Italia ancora prevalentemente gialla ma la gente già con il canotto sul portapacchi della macchina.

Ma persino nel caso migliore, riaprire tutto a inizio giugno con 20.000 casi settimanali vuol dire comunque trovarsene magari nuovamente 100.000 a fine luglio. E poi che fai? Certo, i morti non dovrebbero essere molti e gli ospedali dovrebbero essere piuttosto liberi, avendo vaccinato gli anziani, ma bisogna essere pronti a cambiare completamente il nostro approccio.

Già, perché alla fine di questa lunga disamina il messaggio dovrebbe essere chiaro. Non sappiamo niente di certo, e magari quanto sopra si rivelerà completamente sbagliato, e succederà qualche miracolo per cui davvero l’estate farà sparire la malattia. Ma mettendo insieme un po’ di banale matematica e l’umore degli italiani, lo scenario più probabile è che a giugno – o al massimo a luglio, se Speranza tiene duro – si apra comunque tutto, e ci si appresti però a una estate ben diversa dalla scorsa, con il covid in circolazione ovunque e centinaia di migliaia di italiani contagiati, molti asintomatici e in giro. In questo scenario, bisogna essere preparati ad abbandonare il sistema dei colori e a non chiudere niente in nessun caso, nemmeno con numeri che anche solo oggi provocherebbero la zona rossa scura con macchie scarlatte e bubboni neri, e nemmeno con, comunque, decine di morti al giorno, forse anche di più.

Probabilmente è questo lo scenario che ha in mente il governo. Cioé no, un pezzo di governo secondo me pensa davvero di tenere chiuso fin che non arriviamo a cento casi al giorno, ma sono dei pazzi e finiranno politicamente linciati entro breve. Ma per il resto, questa mi sembra la strada più probabile; capite però perché il governo esiti ad annunciarla apertamente, visto che comunque c’è anche una grossa parte di Paese che si chiude in casa, invoca il manganello sui ristoratori e chiama i vigili se il vicino riceve due amici.

P.S. Come corollario, se avete più di sessant’anni io vi consiglio comunque di pianificare vacanze solo in luoghi ben isolati. Se non sarete vaccinati rischierete grosso, e se lo sarete, davvero volete rischiare di essere in quello sfortunato 5% su cui il vaccino ha poco effetto? Vedete voi.

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domenica 11 Aprile 2021, 10:03

Quella sedia me la tiro in testa

La pessima, dilettantistica reazione dell’Italia al sofagate di Ankara, ormai diventato un Draghigate, sta degenerando di ora in ora. Io spero ancora che l’Italia avesse un piano, che le parole di Draghi siano state ispirate dal ministro degli Esteri Di Maio nell’ambito di una strategia logica e ragionata, ma la logica non si vede apparire e dunque sembra sempre più credibile che siano venute fuori così, come chiacchiere da bar tra anziani, magari seguite a uno scambio di battute tra nonno Mario e nipote Gigi in una cena tra parenti davanti al telegiornale.

La situazione, insomma, sembra indicativa di quello che sembra essere un grosso problema di fondo, cioè la disconnessione della classe politica italiana dalla realtà del mondo, sia sul piano interno che sul piano esterno. Perché anche sul piano interno, permettetemi, le scene di donne PD che piazzano sedie vuote qua e là nelle sedi istituzionali sono pietose, primo perché non hanno capito che il problema non è turco ma interno all’Unione Europea, e secondo perché a un paese sull’orlo della povertà e di una crisi di nervi generale sai che gliene frega della sedia della Von der Leyen.

Ma è sul piano esterno che questa vicenda, come quella con l’India per i marò, come quella con l’Egitto per Regeni e Zaky, dimostra una arroganza non pari alle effettive possibilità. L’Italia si comporta come se alzare la voce servisse a mettere a posto quei Paesi, tipo “oddio s’è incazzata l’Italia, sdraiamoci subito a porgere le nostre scuse o saranno casini”. La realtà è esattamente opposta.

Infatti, in termini geopolitici, l’Italia è la ruota di scorta sgonfia dell’Europa, a sua volta junior partner della NATO; se a qualcuno di quei Paesi frega qualcosa di non far incazzare qualcuno, o se ha un problema con l’Occidente e lo vuole risolvere, va a parlare con Washington, Londra, Berlino e Parigi; oppure va a parlare con Mosca e Pechino e chi se ne frega più dell’Occidente. L’Italia, invece, è il perfetto Paese scendiletto: non conta un cazzo, ma è un Paese altamente simbolico da prendere a schiaffi per dimostrare forza e indipendenza (per i paesi islamici, c’è persino il bonus Papa).

E così, più noi apriamo bocca e più finiamo per pagare risarcimenti all’India, per far tenere Zaky in carcere proprio per il gusto di farlo, e adesso per prendercela nel posteriore con le commesse militari alla Turchia, che i nostri amici europei saranno ben lieti di prendere al nostro posto. Però noi gliene abbiamo dette quattro eh! Wow, siamo il Paese dei diritti!

Dunque è facile prevedere che noi, con le nostre pezze al culo, di riffa o di raffa finiremo per indietreggiare, giusto in modi e tempi che ci permettano di salvare un po’ la faccia. Del resto, non si capisce nemmeno come chiamare Erdogan un dittatore dovrebbe facilitare una eventuale transizione turca a un nuovo assetto di potere. A dire il vero, non si capisce proprio cosa diavolo stessimo cercando di fare.

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domenica 7 Marzo 2021, 10:10

In sostanza, i Lordi erano meglio

Il mattino dopo Sanremo 2021, posso dire che l’old grey whistle test l’hanno vinto i due tizi con la pattinatrice a rotelle. Il festival invece l’hanno vinto i Maneschi, Naziskin, insomma quei lì, gente che piacerebbe di sicuro molto ad Axl Rose, però non l’Axl Rose dell’epoca, ma quello grasso e bolso di adesso.

Noi torinesi, granata e No Tav portiamo comunque a casa il premio della critica ed è un bel risultato, anche se pure al quarto ascolto non sono ancora riuscito a capire completamente tutto quello che dice (vai un po’ più piano per noi vecchi, e che diamine!).

Si potrebbe aggiungere che il secondo posto di Fedez è un insulto al bel canto e anche al brutto canto, ma lui non ha nemmeno cantato e quindi avrebbe dovuto fare la fine della Osella-Stievani-Rosadeimobili di Formula 1: fuori alle qualifiche del venerdì.

Ma alla fine la cosa più triste di tutto il Sanremo 2021 è che gli unici che sapevano davvero cantare, sia in gara che tra gli ospiti, avevano almeno settant’anni; con l’aggravante che Mauro Ferrara degli Extraliscio, a parte la serata delle cover, era confinato alle seconde voci, anche se loro restano l’unica proposta interessante del festival e gli unici che vorrei vedere in un concerto dal vivo (in teoria vedrei volentieri anche Gazzè, ma ormai ripete sempre lo stesso pezzo arrangiato sempre nello stesso modo, quindi mi sa che è meglio rimettere su i suoi primi dischi).

Riassumendo, un Sanremo sempre più stanco gioca la carta Lordi con 15 anni di ritardo sull’Eurofestival; chissà se gli salverà la vita. I Lordi, comunque, erano meglio.

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lunedì 1 Febbraio 2021, 13:57

Di regole e rischi di contagio

Vi chiedo perdono se questo post sarà un po’ lungo, ma spero che vi sarà anche utile a capire come funziona (o dovrebbe funzionare) la gestione di una pandemia. Nasce dal fatto che l’interessante discussione di ieri su Facebook sulla messa e sulle distanze in chiesa mi ha fatto accorgere di una cosa che non avevo ancora focalizzato.

Personalmente, durante questa pandemia, distinguo ciò che è pericoloso da ciò che non è pericoloso in base alla lettura regolare di report e articoli scientifici. Spesso, come è normale, i report si contraddicono un po’, ma ormai, dopo un anno, sappiamo con buona certezza diverse cose:

  • i contagi all’aria aperta sono molto improbabili, a meno che non ci si fermi a parlare con un positivo senza mascherina, o non si attraversi la nuvola di uno che ha appena tossito senza mascherina, o non si stia per mezz’ora tutti pigiati; del resto, nonostante i moralismi sui giornali, nessuno ha ancora mostrato legami statistici evidenti tra maxi assembramenti in piazza e forti ondate di contagi nella zona;
     
  • i contagi da superficie, toccando un oggetto su cui qualcuno ha lasciato del virus, sono altrettanto improbabili, anche se su questo i dati sono minori ed è comunque provato che il virus resiste per diversi giorni sulle superfici a temperatura ambiente, e ben di più a bassa temperatura (da qui i contagi nei mattatoi);
     
  • le situazioni di pericolo sono dunque principalmente quelle in cui si sta al chiuso per un periodo di tempo superiore a, diciamo, dieci minuti (c’è chi dice 5, c’è chi dice 15), e nella stanza c’è o c’è appena stato un infetto;
     
  • la probabilità di infettarsi dipende sia dall’efficacia della mascherina dell’infetto, sia dal tempo di permanenza, sia da quanto l’infetto è malato, in quanto alcune persone “super-spreader” emettono cariche infettive molto superiori alle altre, e pare che il 20% dei malati sia responsabile dell’80% dei contagi o giù di lì; dipende anche da cosa fa l’infetto, perché respirare normalmente emette relativamente poche particelle, mentre parlare (in particolare dicendo lettere tipo p e t), e ancora di più gridare o cantare, e ancora di più tossire, provoca una emissione di fiotti di particelle potenzialmente infette;
     
  • al chiuso, il fatto di mantenere le distanze è relativamente poco rilevante; la distanza minima di sicurezza, misurata sulla ricaduta di particelle sputate, sarebbe due metri (mentre noi, a differenza di altri paesi, ne abbiamo imposto uno, che è di suo insufficiente), ma va bene solo se non c’è circolazione d’aria; bastano una corrente d’aria o un condizionatore per trasportare le particelle anche a 5, 10, 20 metri di distanza attraverso una sala o un ufficio, come nel famoso diagramma del ristorante di Wuhan che vedete sotto, tanto che c’è anche chi dice che aerare le stanze con le persone dentro sia controproducente;
  • per questo, gli ambienti più pericolosi sono quelli chiusi in cui la gente “emette” particelle senza mascherina (ristoranti), in cui c’è tanta gente rispetto al volume, o in cui il ricambio d’aria è minimo (tipo un ascensore, se uno ci stesse dentro più di un minuto).

In base a tutto questo, io stimo il rischio di quello che sto per fare e mi comporto di conseguenza, decidendo se accettarlo o meno e come proteggermi.

Ieri ho invece scoperto un sacco di gente che applica un principio piuttosto diverso: se una cosa è permessa dalle regole è certamente sicura, altrimenti è molto pericolosa. Quindi, tu spieghi che c’è una situazione di pericolo e loro rispondono “quindi sono state violate le regole?”, tu dici che le regole erano rispettate e loro rispondono “allora certamente non c’è pericolo”.

Ora, non so bene come si faccia a essere ancora convinti di questo a fronte del fatto che le regole cambiano ogni settimana, e che cose indicate fino a un minuto prima come vietatissime sono d’incanto permesse o viceversa. Il punto delle regole restrittive infatti non è distinguere ciò che è sicuro da ciò che è pericoloso, ma gestire il rischio in maniera statistica.

Infatti, il numero di contagi ogni giorno è pari al numero di persone infette in circolazione moltiplicato per il rischio medio di contagio delle attività che fanno (rischio medio che si riflette direttamente sul famoso Rt). Immaginate di avere un tabellone in cui a ogni attività è associata una probabilità di contagio: sarà un insieme di valori sparsi per tutto il campo tra zero (nessun rischio) e uno (contagio sicuro). Permettendo o vietando una attività, in funzione anche di quanto tale attività è frequente, si altera il rischio medio complessivo delle attività di tutti.

Per questo motivo, se diminuisce il numero di persone infette in circolazione si possono permettere attività più rischiose, facendo risalire un po’ il rischio medio; viceversa, durante i momenti di picco bisogna ridurre il rischio medio vietando attività anche meno rischiose.

Naturalmente, un paese efficiente avrebbe un tracciamento efficiente e saprebbe stimare almeno un po’ il fattore di rischio di ciascuna attività. In Italia, invece, non si faceva bene il tracciamento nemmeno quando i casi erano dieci, figuriamoci oggi. Infatti, il governo non è mai stato in grado di produrre dati precisi su dove e come avvengono davvero i contagi; ogni tanto qualche ministro fa una sparata, citando vaghi numeri senza fonte purché utili alla sua propaganda. Ma i dati veri non sono mai stati pubblicati e non sono nemmeno emersi di straforo, segno che essenzialmente non ci sono proprio.

Per questo, le nostre scelte su cosa chiudere e cosa aprire vanno un po’ per imitazione di altri paesi più organizzati (vedi l’ansia di inseguire Merkel prima di Natale), parecchio per le fisime dei decisori e dei media, a cui “pare” che una cosa sia pericolosa e lo ripetono fin che non diventa ufficialmente tale, e molto per scelta politica, in base a chi accontentare e chi scontentare e ai costi in termini di consenso, prima ancora che economici.

In conclusione, non c’è dubbio che le regole siano utili e che vadano generalmente rispettate, e che nell’aggregato siano importanti per contenere la pandemia, ma riferirsi alle regole per capire cosa sia sicuro e cosa no non è una grande idea; men che meno la conclusione completamente errata a cui spesso arriva chi lo fa, cioè che la gestione della pandemia sia una questione di polizia, e che tutto si risolverebbe militarizzando le strade e le case in modo che tutte le regole siano rispettate alla lettera, cosa che secondo loro farebbe certamente scendere a zero i contagi.

Quando si discute invece di quanto un determinato comportamento sia davvero pericoloso, è bene invece lasciare stare le zone colorate del momento, e riferirsi soltanto alla meccanica di spostamento di piccole goccioline piene di virus; anche perché il virus non ha preferenze politiche né riguardi costituzionali, e si limita a spostarsi nell’aria e riprodursi più che può.

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sabato 2 Gennaio 2021, 10:54

La maledetta password dello SPID di Poste

Stamattina ho aperto l’app IO per vedere alla fine quanto cashback ho accumulato. Diversamente dal solito, però, l’app mi ha detto che il mio login era scaduto e mi ha chiesto di rifare un login con SPID.

Tuttavia, a differenza di tutti gli altri login SPID, questo non avviene tramite QR code e/o impronta digitale nell’app PosteID; bisogna inserire a mano username e password.

Ovviamente, siccome questo è l’unico login SPID che richiede di inserire esplicitamente la password, io non ricordavo più la password dello SPID.

Normalmente io uso un set di password base e di loro varianti che ricordo a memoria, diverse a seconda del livello di sicurezza, e che generalmente memorizzo nel browser, a sua volta protetto da una password unica. Ovviamente, però, non memorizzo nel browser la password dello SPID (o della banca o di altri servizi cruciali).

Tuttavia, quando si cerca di scegliere una password per lo SPID di Poste, si riceve un set di requisiti assolutamente folle (nell’immagine qui sotto).

In più, PosteID obbliga a cambiare la password regolarmente: una pratica che era ritenuta sicura 10-15 anni fa, ma che è stata generalmente abbandonata perché l’unico risultato è che la gente non si ricorda mai la password del momento e, oltre a intasare tutti i sistemi di recupero e rimanere regolarmente chiusa fuori dal proprio account, finisce per scriversi la password da qualche parte.

I requisiti di PosteID sono talmente complicati che anche se nel proprio set di password ricordate a memoria ce ne fossero alcune che ci entrano, al secondo o terzo cambio forzato non le si può più utilizzare, nemmeno con delle varianti.

Insomma, l’unica cosa possibile con le attuali policy di PosteID è davvero scriversi la password su un pezzo di carta in casa o nel portafoglio, una cosa potenzialmente ben più pericolosa di memorizzare una sola password (non banale) mantenuta nel tempo. Anche perché poi, quando recuperi l’appunto scritto, se sei poco ordinato può succedere che non sia veramente la password attuale, e che tu rimanga chiuso fuori lo stesso.

Comunque, mi pare strano che non sia possibile avere su Android una interfaccia applicativa con cui l’app IO chiede l’autenticazione all’app PosteID, che la chiede all’utente con l’impronta digitale come per tutti gli altri servizi. Spero che il moloch informatico parastatale riesca prima o poi a sistemare pure questo.

(Ah, comunque ho accumulato 48 euro di cashback in 20 transazioni.)

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sabato 19 Dicembre 2020, 08:46

In memoria di San Giuseppi

Quest’uomo, Giuseppi Conte, l’abbiamo fatto impazzire. L’hanno fatto impazzire i partiti della sua maggioranza, ognuno dei quali aveva da piantare una piccola bandiera per un proprio gruppo elettorale, ottenendo una deroga per i barbieri pugliesi sotto i 45 anni o per gli abitanti dei paesi di mezza montagna in condizione disagiata. E l’hanno fatto impazzire gli italiani, all’inizio ligi e solidali, poi, a ogni nuovo giro di norme sempre più irrazionali e incomprensibili, dediti – in maniera più che giustificata dal crescente, tragico ridicolo della situazione – alla grande arte italiana di trovare il modo di arrangiarsi lo stesso; e se gli italiani vogliono arrangiarsi, il modo lo trovano.

Così, da giurista, Conte ha partorito nei mesi un capolavoro di azzeccagarbuglismo che sarà studiato per anni nelle facoltà di diritto, con strati di DPCM e di decreti legge impilati a lasagna con in mezzo besciamelle di FAQ e di interpretazioni in conferenza stampa. Conte ha fatto quel che sa fare meglio: non lo statista, ma l’avvocato cavillista.

L’effetto, alla fine, è cosa nota: troppe regole vogliono dire nessuna regola, e di fatto bisognerà affidarsi al buon senso, sia della gente che delle forze dell’ordine chiamate a scoglionarsi in un gelido Natale di posti di blocco, a cui gli italiani sono già pronti a rispondere mandando il nonno in avanscoperta per individuare i militi e poi segnalare via SMS, su un telefono dai tasti belli grossi, il momento in cui la strada è libera.

Ma se tanto bisognava affidarsi al buon senso, sarebbe stato molto meglio avere al governo uno statista, invece che un avvocato cavillista; qualcuno che potesse guidare gli italiani con l’esempio e con la credibilità, con regole di tre righe dette guardando la gente negli occhi. Non è, purtroppo, la classe politica che abbiamo (opposizione compresa).

E quindi, la fine di Conte è segnata: con la popolarità a picco (calata dal 70% di aprile al 26% di oggi, e vedrete la settimana prossima) è diventato una macchietta per meme divertenti, come quello qui sotto, o per prime pagine sardoniche come quella di Repubblica (“Aggiungi due amici a tavola”: non si è mai vista Repubblica perculare così, a nove colonne, il capo di un governo del PD). Il meme sembra esagerato, ma poi provate voi a riassumere il decreto legge 18 dicembre 2020 numero 172; anche in una versione semplificata, suona così:

“Lo spostamento massimo in due, più eventuali figli sotto i 14 anni e disabili non autosufficienti, in una abitazione nella stessa regione è consentito in tutti i giorni dal 24 al 6 (rossi e arancioni), per una sola abitazione al giorno. Lo spostamento dai comuni piccoli (sotto i 5000 abitanti) per 30 km, anche fuori regione, ma non verso un capoluogo di provincia, è consentito solo nei giorni arancioni.”

Spiace, eh (ammiro molto, seriamente, il senatore Gabriele Lanzi che ieri sera era in giro sui social a rispondere a tutti), ma il governo giallorosso è socialmente alla frutta: e forse, una amara risata collettiva l’ha già seppellito.

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giovedì 26 Novembre 2020, 18:38

Un discorso razionale contro le restrizioni inutili

La discussione sullo sci e sulle vacanze natalizie, solo temporaneamente nascosta da Maradona, non è ancora arrivata alla fine; adesso, secondo i giornali, il governo pensa di nuovo di bloccare gli spostamenti e di vietare di andare in montagna persino da soli. Lo sci, in particolare, è l’ennesimo capro espiatorio trovato dalla politica per nascondere le proprie responsabilità, la propria incapacità di definire e far rispettare regole logiche e efficaci; eppure, sembra essere di moda criticare anche solo l’idea che ci si possa divertire in questo periodo.

A me questo approccio sembra assurdo, e se lo sembra anche a voi, ecco una comoda guida a come rispondere ad affermazioni che nell’ultima settimana sono state ripetute all’infinito.

“Lo sci è pericoloso, poi con gli infortuni si intaserebbero gli ospedali!”
A parte che l’attività di gran lunga più pericolosa per gli infortuni è stare in casa a cucinare o fare lavoretti, le regole però permettono di andare per divertimento in bicicletta o a fare una corsetta. In zona rossa è permesso persino il free climbing, se stai in un Comune che ha una palestra di roccia all’aperto. Sono tutti sport che, dicono le statistiche, hanno tassi di rischio comparabili o superiori a quelli dello sci. Che cavolo ha fatto lo sci di male per essere trattato diversamente da tutti gli altri sport individuali?

“Eh ma lo sci è una roba da gente della Torino e Milano bene! Allora non è vero che c’è crisi se la gente ha i soldi per sciare!”
Ok, ho capito cosa ha fatto lo sci di male: costa ed è considerato una roba da ricchi, quindi per principio immorale. Ma lo sci non è solo questo, è anche la vita di molte zone di montagna che hanno solo quello per sopravvivere e non spopolarsi; e in montagna c’è molto altro da fare oltre allo sci, quindi non è nemmeno accettabile bloccare del tutto gli spostamenti verso le montagne perché se no la gente va a sciare. Quanto alla crisi, per fortuna che non ha portato in miseria tutto il Paese e che c’è ancora gente che può spendere qualcosa, se no avremmo problemi ancora più gravi di quelli che abbiamo.

“Ma non è credibile che gente che l’anno scorso dichiarava di guadagnare mille euro al mese oggi dichiari di perderne ventimila!”
Non è credibile nemmeno che una persona adulta non sappia distinguere tra utile, fatturato e spese di una attività economica, eppure nel tuo caso evidentemente è così.

“Ma ti pare che in piena pandemia si debba pensare alle vacanze? Infatti le altre attività di divertimento, come i cinema e le discoteche, sono state fermate!”
Le altre attività di divertimento sono ferme perché si svolgono in luoghi chiusi con molte persone insieme, non perché sono di divertimento. L’idea che non ci si debba divertire fin che c’è la pandemia è piuttosto allucinante.

“Invece no, bisogna smettere di pensare al divertimento! Parlate di sci mentre oggi sono morte centinaia di persone, vi vadano di traverso i bastoncini, infami!”
Mi sfugge davvero il legame logico: le centinaia di persone mica sono morte perché sono andate a sciare, sono morte per via dei comportamenti di un mese fa. La questione è se lo sci o la vacanza tra un mese possano aumentare significativamente il numero dei contagi oppure no. Per il resto, seriamente: la gente muore sempre, dappertutto. Ogni giorno nel mondo muoiono circa 150.000 persone, e quest’anno grazie al covid se ne sono aggiunte circa altre 4.000. I lutti fanno parte della vita, toccano a tutti, ma questo non vuol dire che tutto il mondo debba passare tutta la vita in lutto.

“Ok, ma oggi in Italia sono morte 750 persone! E’ come se fossero caduti due jumbo jet!”
Ok, ma ogni giorno in Italia nascono anche mediamente 1200 bambini! E’ come se fossero nati tre jumbo jet! (Scusate la risposta altrettanto insensata.)

“Teniamo le scuole e i ristoranti chiusi e invece permettiamo attività inutili e di puro divertimento!”
Certo, le permettiamo perché hanno un profilo di rischio più basso delle scuole e dei ristoranti. Non si capisce perché o a che titolo dovremmo vietarle. Una delle peggiori stupidaggini della gestione dell’epidemia di questo governo è quello di introdurre spesso divieti senza alcun tipo di correlazione logica con il rischio di trasmissione del virus che le attività vietate comportano effettivamente, a partire dal divieto di uscire dal proprio Comune. In un paese civile, si può vietare solo ciò che presenta una ragione chiara che giustifichi il divieto, non quello che non piace al governo del momento.

“Non possiamo permettere attività che rischiano di creare anche solo un contagio e un morto in più!”
Veramente permettiamo quotidianamente e da sempre di andare in macchina, di bere alcool, di fumare, di fare lavori usuranti in ambienti malsani o pericolosi, di correre sui veicoli in un circuito e di lanciarsi col paracadute dai grattacieli, anche se queste attività provocano ogni anno numeri di morti significativi, in certi casi ben superori a quelli del covid. Ovviamente bisogna prendere tutte le precauzioni possibili per limitare i rischi, ma le attività a rischio zero sostanzialmente non esistono e l’umanità non si è mai fermata per questo.

“Ma allora liberi tutti e facciamo finta di niente?”
No, nessuno ha detto che il covid-19 non esiste, che non si debbano limitare le attività e prendere precauzioni, o che si possa passare il Natale in discoteca. Semplicemente si può fare come altri paesi europei, cioé trovare regole che limitino il rischio ed evitino gli assembramenti. Per esempio, per lo sci si può ridurre la capienza, eliminare le code in biglietteria, garantire le distanze e chiudere i punti di ritrovo al chiuso dove si genererebbero affollamenti. Questi sono i provvedimenti già presi in Svizzera e in Austria, dove le piste stanno riaprendo senza tanti drammi. Basta poi sbattersi a farli rispettare.

“Ma non si può andare a sciare senza assembrarsi! La cabinovia è al chiuso! E poi uno va in montagna ma poi deve andare in albergo, a mangiare al ristorante, a fare l’aperitivo…”
Ci sono stazioni sciistiche che non hanno neanche una cabinovia, solo seggiovie e skilift; e comunque, il tempo di permanenza in una funivia è limitato, certamente più quello che in un negozio o in una metropolitana, la capienza può esserlo altrettanto, e l’aria può essere cambiata semplicemente tenendo i finestrini aperti. Quanto alle attività dopo lo sci, in realtà parecchia gente va a sciare in giornata dalle città. Molta altra gente va in montagna in una seconda casa, sua o affittata; mangia a casa, sta per conto suo e poi va a sciare. Dal punto di vista economico ovviamente sarebbe meglio per le comunità locali se fossero aperti anche gli alberghi e i ristoranti, ma questo dipende dalle normali regole in vigore in tutta Italia.

“Ma non ha senso riaprire i ristoranti a Courmayeur e non a Milano!”
Infatti tutta la discussione nasce dal presupposto che l’Italia stia per ritornare uniformemente zona gialla, quindi con ristoranti aperti normalmente a pranzo e per l’asporto a cena, sia a Courmayeur che a Milano. Ovviamente i ristoranti devono essere trattati tutti allo stesso modo, anche se, come detto, c’è un sacco di gente che va a sciare senza aver bisogno dei ristoranti aperti. D’altra parte, non si capirebbe nemmeno perché concedere di andare al ristorante a Milano e non a Courmayeur, a meno che Courmayeur non vi stia sulle scatole più di Milano.

“Allora va bene però facciamo che se uno si fa male sciando poi non lo soccorriamo!”
Allora non soccorriamo nemmeno chi si è preso il cancro fumando o chi si schianta in macchina, ok? Anzi, a me non piacciono i pitbull, quindi facciamo che se uno viene morso da un pitbull impazzito lo lasciamo lì sanguinante, mi raccomando! Aveva solo da non prendersi un pitbull!

“Comunque non mi hai convinto! Ti aspetto a febbraio, quando ci sarà la terza ondata e sarà tutta colpa della gente come te che ha spinto per andare a sciare!”
Intanto, io non scio da vent’anni e non ci andrò nemmeno stavolta (spero semplicemente di poter passare il periodo natalizio in casa in montagna invece che a Torino), però frequento la montagna e mi dà fastidio vederla maltrattare come una appendice inutile del resto d’Italia, specie confrontando con il trattamento di favore ricevuto dalle spiagge del centro-sud in estate, con tanto di vacanze a spese dello Stato. Dopodiché, quasi certamente a febbraio ci sarà una terza ondata, ma prima di dire che è lo sci a causarla ci andrei piano; mi sembra più probabile che la possa causare l’assembramento nei negozi o un eventuale giro di cenoni al chiuso con venti persone per volta.

“Non è vero, le spiagge estive aperte hanno causato la seconda ondata!”
Mi sembra una teoria un po’ strana, hai dei dati a supporto? No, perché la crescita esponenziale e ubiqua della seconda ondata è iniziata due settimane dopo che sono state riaperte le scuole, non due settimane dopo le feste di Ferragosto. Sono tutte ipotesi abbastanza campate in aria, ma se proprio dovessi ipotizzare una causa specifica…

“Appunto, sarebbe meglio tenere tutto chiuso fino ad aprile, altro che cenoni e shopping natalizio!”
Per quanto mi riguarda potrei anche essere d’accordo, però capisco che sarebbe un disastro epocale per categorie già alla canna del gas: è facile dirlo quando sei un dipendente pubblico e la tua maggior preoccupazione è organizzare uno sciopero il 9 dicembre perché il 4% di aumento non ti basta, è meno facile quando sei un operaio in cassa integrazione dalla primavera e aspetti ancora che l’INPS ti paghi quella di luglio, o quando senza riaprire il negozio non sai più come pagare le bollette di casa e il governo ti promette “ristori” che arrivano poco e tardi o non arrivano proprio, e in più ti prende anche per il culo regalando 500 euro a testa anche a gente senza problemi economici perché si compri la bici da corsa nuova. Detto questo, il punto è un altro: se si decide di riaprire i negozi, i ristoranti e pure le chiese per le messe collettive, non si capisce perché gli unici sfigati debbano essere quelli che vivono di sport invernali all’aperto in montagna. Cosa hanno fatto di male?

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lunedì 23 Novembre 2020, 09:12

Il deposito pieno di tasse

Ho letto sui giornali della petizione di un gruppo di professori universitari torinesi a favore di una tassa patrimoniale sui “paperoni”, anche se poi nel testo si parla anche di una patrimoniale per tutti, ricchi o meno.

Ora, ho grande stima per il professor Terna (meno per alcuni altri firmatari), ma la premessa della petizione non si può proprio leggere.

Innanzi tutto, non si può leggere perché è evidente (a maggior ragione in epoca di Recovery Fund) che quel che manca allo Stato adesso non sono i soldi, ma la capacità di spenderli in maniera utile ed efficiente. L’ultima cosa che ci serve è un’altra tassa per pagare altri bonus bici, altri banchi a rotelle, altre Alitalia e altri redditi di cittadinanza a gente che spaccia o che lavora in nero: prima lo Stato impari a spendere, e poi può venire a chiedere altri soldi.

Poi, mi piacerebbe sapere come potrebbe funzionare in pratica una tassazione della ricchezza finanziaria, e chi colpirebbe davvero. Di sicuro non colpirebbe i “paperoni”, che i soldi li hanno all’estero e/o li hanno sotto forma di quote societarie spesso nemmeno commerciabili (a meno che non pensiamo all’esproprio proletario, ossia ogni anno il 5 per mille della Ferrero diventa “nostro” fin che non l’abbiamo espropriata tutta).

Colpirebbe invece chi ha messo dei risparmi da parte, come se risparmiare invece di buttar soldi in puttanate fosse una colpa da punire. La proposta è lo 0,8% per il 10% più ricco delle famiglie: peccato che siamo un Paese in cui risulti in quella fascia se guadagni quello che in Europa è lo stipendio di un neolaureato (non so a che titolo i proponenti li chiamino “paperoni”). Chissà dove sono tutti gli altri soldi; di sicuro non in mano a chi paga le tasse e tiene i suoi risparmi ben in vista in banca, cioé al target di questa misura.

Ad ogni modo, con una aliquota del genere – non una tantum, ma annuale! – ogni vent’anni se ne andrebbe via un sesto dei risparmi solo in tasse: a parte qualsiasi considerazione etica su un esproprio di tale portata, credo che il giorno dopo vedremmo in televisione la pubblicità delle fiduciarie in Lussemburgo, o degli immobili da reddito in Portogallo o in Croazia.

Ma poi, l’odiosità sociale della proposta è ben riassunta dall’ultima frase della premessa: “chi ha “solo” 20.000 euro in banca dovrebbe pagare 100 euro l’anno”. Questa frase dà davvero la sensazione che per quelli che fanno questa proposta, tutti professori universitari che guadagnano migliaia di euro al mese da stipendi pubblici ipergarantiti, 20.000 euro di risparmi e 100 euro di tasse siano una mancetta trascurabile: “dottò, che te stai a lamenta’ pe’ 100 euro?”. Chi magari si è dovuto sudare quei 20.000 euro in anni di sacrifici da precario o da imprenditore di se stesso, invece… paga cento euro l’anno, che servono anche a coprire quegli stipendi, e sta zitto.

In questo Paese c’è una dicotomia da affrontare urgentemente, sì. E’ quella tra chi si deve guadagnare da vivere con le proprie forze sapendo che al primo rovescio saranno tutti cavoli suoi, e chi ha già un mondo di garanzie, finanziate dai soldi degli altri, e passa il tempo a pensare a come farsene pagare di nuove. Sarà mica che i veri “paperoni” sono loro?

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