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Archivio per la categoria 'Itaaaalia'


giovedì 20 Dicembre 2007, 10:37

Stai punito

Oggi, come qualsiasi venti dicembre di ogni anno, mi sono preparato per pagare l’ICI. Peccato che, mentre ricontrollavo le aliquote, abbia scoperto che, zitto zitto, il governo Prodi ha avuto la bella idea di anticipare la scadenza al giorno 17.

Dunque, cerchiamo di descrivere in modo preciso la situazione. Tu ti alzi il giorno della scadenza e vai (tu) presso alcuni tizi che vogliono da te dei soldi per il solo fatto che esisti e possiedi una casa, peraltro comprata con denaro sul quale hai già pagato le tasse una volta quando l’hai percepito come reddito. Arrivi da loro, e loro ti fanno: sai che c’è? Abbiamo deciso che da quest’anno ci devi i soldi tre giorni prima del solito; però ci siamo guardati bene dal comunicartelo in alcun modo. Per cui, adesso ti puniamo.

La logica di essere puniti per qualcosa che un altro ha deciso che dovevi fare senza nemmeno dirtelo non fa una grinza; del resto, per sopravvivere oggi in Italia bisogna fare miracoli, quello della lettura mentale nel cervello di Prodi (ammesso che vi sia ancora vita là dentro, tra una biascicata e l’altra) è solo uno dei tanti.

Dunque, la punizione è la seguente: se ti ravvedi di tua spontanea volontà (per un peccato che nemmeno sapevi di avere commesso), e lo fai in modo “operoso” (qualsiasi cosa voglia dire; probabilmente è un modo per farti sentire ridicolo durante l’operazione), puoi cavartela con solo il 3,75% di sanzione, più lo 0,007% al giorno di interessi.

Che è un trucco sporchissimo per dire che tre giorni di ritardo ti costano il 3,771%, che equivale – visto che gli interessi non crescono linearmente, ma si compongono – all’8935,8% su base annuale.

Naturalmente, puoi ancora pagare tutto ciò online; guarda caso, esistono due codici tributo specifici (3906 per l’interesse e 3907 per la sanzione) proprio per pagare in questa situazione. Peccato che ci sia una ulteriore clausolina: tutte le cifre vanno arrotondate all’euro più vicino, con un minimo di un euro. Quindi, visto che la sanzione è spezzata in due parti, e che bisogna pagare separatamente a ciascun comune, gli 0,09 euro e 0,02 euro che devo al comune di Torino e a quello di Saint Vincent a titolo di interessi diventano un euro ciascuno.

Non parliamo nemmeno di cosa succede nel caso opposto; del resto vi ho raccontato un pezzettino della trafila – neanche tutta – che devo fare per riavere quattromiladuecento euro (non bruscolini) che lo Stato ha preteso da me tre anni fa, per poi accorgersi dopo due anni e mezzo che in realtà non ne aveva diritto; se va bene li rivedrò tra un anno, ovviamente senza una lira di interessi.

Poi non lamentatevi se al prossimo giro voto il centrodestra; non cambierà niente, ma almeno a parole mi prometteranno di abbassare le tasse, invece di proclamare che sono bellissime.
[tags]ici, tasse, prodi[/tags]

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domenica 16 Dicembre 2007, 20:30

Mascalzone latino

Oggi sono stato allo stadio a vedere una partita magnifica, in cui il Toro ha messo sotto dall’inizio alla fine la seconda squadra più forte d’Italia, e soltanto per un mix di sfiga, imbranataggine e sviste arbitrali (peraltro compensate da un possibile rigore non dato alla Roma) non ha vinto 3-0. Poi sono tornato a casa, ho acceso il televisore e ho messo su Italia 1 per vedere Controcampo, la trasmissione che, in regime di monopolio, trasmette i gol nel tardo pomeriggio.

Peccato che la trasmissione si sia occupata della giornata di campionato per sì e no dieci minuti, per poi trasformarsi in due ore di celebrazione del Milan e di leccata di piedi a Berlusconi, presente in studio in tutto il suo splendore. El presidente ha concluso la performance con un toccante brano, scritto di suo pugno per festeggiare l’odierna vittoria del Milan; per quanto con Google si scopra subito che l’avesse già scritto di suo pugno per Una storia italiana, il libretto autocelebrativo che recapitò a mezzo posta a tutti gli italiani prima delle elezioni del 2001.

E così, siamo in grado di riportare a futura memoria questo pezzo di bravura di marketing politico: leggetelo con attenzione.

A MIO PADRE

Questa immagine del Milan Campione d’Europa e del Mondo allo scoccare dei suoi novant’anni, si fonde e si confonde in me con tanti ricordi della mia infanzia.

Le dispute con i compagni di scuola, le lunghe ore di studio, l’attesa di mio padre che tornava tardi dal lavoro e si affacciava sulla porta col suo sorriso. Era come se in casa fosse entrato il sole. Carissimo, dolcissimo papà.

E con lui, dopo aver parlato dello studio, della scuola, subito a parlare del Milan, quasi l’incarnazione dei nostri sogni, delle nostre utopie. “Vedrai, papà, vinceremo, dobbiamo vincereâ€, come se in campo potessimo andarci noi due. E poi la liturgia della Messa insieme la domenica mattina, i commenti e le riflessioni sulla predica, la puntata a comperare le meringhe per la mamma che ci aspettava a casa, in cucina, a preparare il pranzo della festa, l’unico che si consumava in sala con la tovaglia ricamata e i fiori in mezzo al tavolo. E io sempre a chiedere l’ora, impaziente, timoroso di fare tardi.

E finalmente, la mano nella mano, eccoci là all’entrata dello stadio, l’Arena o San Siro, e io a farmi piccolo piccolo per profittare di un solo biglietto in due. E, poi, il cuore in gola nell’attesa, le braccia al collo per la vittoria, la tristezza per le partite-no. E mio padre a consolarmi: “Vedrai, ci rifaremo!â€. Caro vecchio Milan, il Milan dei Puricelli, dei Carapellese, dei Tosolini, dei Gimona, che non era riuscito a vincere niente di importante. Caro papà, dalle notti in bianco, con il lavoro portato a casa per far quadrare il bilancio di una famiglia del dopoguerra. Com’è dolce, ora, ricordarvi insieme.

Nel momento del trionfo, degli osanna, della notorietà internazionale del Milan di oggi, lasciami, caro vecchio Milan, confondere la mia storia alla tua, lasciami inorgoglire per aver contribuito a farti grande e famoso, lascia che io dedichi questa vittoria, che i campioni rossoneri dal campo hanno voluto dedicarmi, a chi nei momenti più difficili mi consolava e mi incitava: “Chi crede, vince. Vedrai, ce la faremoâ€. Ce l’abbiamo fatta.

Domani sogneremo altri traguardi, inventeremo altre sfide, cercheremo altre vittorie. Che valgano a realizzare ciò che di buono, di forte, di vero c’è in noi, in tutti noi che abbiamo avuto questa avventura di intrecciare la nostra vita a un sogno che si chiama Milan.

Ora, se voi leggendo questa roba avete provato istintivo ribrezzo – per l’uso e la manipolazione della propria storia personale a fini di propaganda politica, per esempio – significa che non avete capito gli italiani. Perché il modello tradizionale di famiglia – papà e figlio maschio allo stadio e la donna in cucina, ma con tutti gli onori – stride certo con la realtà di oggi, ma trovatemi qualcuno, anche tra i giovani, che opporrebbe con orgoglio il racconto di una domenica in cui se lui va allo stadio lei va in palestra e poi la sera non ci si vede nemmeno, che si è tutti e due stanchi e comunque non si sarebbe d’accordo nemmeno su cosa guardare in TV.

Ma il tocco da maestro sta in quell’inciso in cui Berlusconi racconta che andavano allo stadio in due, ma che poi lui bambino si fingeva più piccolo di quel che era, in modo da rubare un ingresso gratis. L’italiano medio qui applaude, e pensa che questo qui è come lui, furbo e ladro se appena può, ma in fondo in fondo un gran simpaticone; e dal cuore d’oro, perché lo fa per sventolare il bandierone e dopo aver onorato i santi. Un vero mascalzone latino.

A forza di sentirmelo dire, sto cominciando a pensare che, nel millennio globalizzato, il “grande posto nel mondo” degli italiani sarà quello che immagina Berlusconi: una nazione di furbi che vivono alle spalle degli altri, arrangiandosi grazie ad un naturale charme. Probabilmente io dovevo nascere in Svizzera.

[tags]toro, milan, berlusconi, italiani, una storia italiana, mascalzone latino[/tags]

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giovedì 13 Dicembre 2007, 11:59

Tarallucci e bare

Ci sono molte strade che portano da casa mia al mio ufficio; ma solo quella che ho scelto ieri, in bicicletta dopo l’ora di pranzo, passa davanti all’acciaieria della Thyssen-Krupp. Ieri peraltro era una giornata magnifica; non c’era una nuvola, il cielo era azzurro e le montagne innevate facevano da cornice al silenzio irreale dello stabilimento, che si specchiava nel parco che gli sta di fronte. C’erano solo tre macchine nel parcheggio, e tutto era immobile. Lo spettacolo era magnifico e quindi ancor più straziante, come una celebrazione fredda di una gloria triste.

Oggi è il giorno dei funerali, e Torino si ferma per lutto. Eppure, proprio questa mattina ho sentito da Radio Flash una notizia che mi ha spiazzato. Un giornalista della radio, intervistando un sindacalista, ha chiesto conferma di una voce che gira, e cioè del fatto che i parenti delle vittime abbiano cominciato a chiedere denaro ai giornali e alle televisioni per concedere interviste. Il sindacalista ha confermato la cosa, infilando poi una serie di giustificazioni relative alle spese da sostenere e ai figli da sfamare.

Non so se la notizia sia vera; potrebbe essere il risultato di una frase detta sarcasticamente e male interpretata, o una leggenda metropolitana ingigantitasi fino ad essere raccolta da un giornalista poco attento alle fonti. A ben pensarci, però, la notizia è perlomeno verosimile; perché tutti ormai hanno imparato che le ospitate televisive e le interviste possono essere monetizzate, non solo da personaggi dalla fedina un po’ dubbia come il marocchino di Erba, ma persino da assassini veri e propri come il rom di Appignano del Tronto.

E quindi, devono avere pensato alcuni dei parenti, se i media sono pronti a coprire di denaro gente del genere, perché non dovremmo chiederne un po’ anche noi? In fondo, non riesco a dargli torto: certo, sarebbe stato più bello rifiutare le interviste con un no sdegnato, magari come forma di protesta per il disinteresse precedente (anche se da mesi il problema delle morti bianche appare stabilmente tra i titoli di molti giornali e telegiornali, per cui per una volta non getterei la croce sui media, ma piuttosto sui politici e sugli imprenditori). Certo, per queste famiglie sono già state raccolte centinaia di migliaia di euro, grazie alle donazioni del pubblico, e insomma almeno il problema economico sarà meno pressante, anche se è una magra consolazione. Però, tutto sommato, queste persone hanno semplicemente capito che il proprio dolore ha un valore, e che non riscuoterlo sarebbe stato più che altro un regalo alle aziende della comunicazione, che certo non ne hanno bisogno.

Tuttavia, anche se la razionalità porta ad accettare anche questo comportamento come logico, c’è qualcosa nel profondo che non mi lascia tranquillo. A me hanno insegnato che la vita umana non ha prezzo; in fondo, è quello che tutti ripetiamo quando si parla di sicurezza sul lavoro. La grande tragedia dell’acciaieria ha avuto il merito di sollevare finalmente le coscienze, di spostare il problema della sicurezza sul lavoro da un mero piano economico a quello che gli compete, di potenziale tragedia individuale e collettiva che richiede uno sforzo morale. Grazie a questo, per un paio di giorni si è intravista la vaga possibilità che si faccia veramente qualcosa, che qualche cosa cambi rispetto alla disattenzione e alla corruzione che hanno permesso questa e altre tragedie.

Mescolare tutto ciò con il denaro rischia di sgonfiare in un attimo questo miracolo sociale, e di riportare tutta la faccenda dal piano morale a quello dell’arrangiarsi all’italiana. Di far sì insomma che anche questa tragedia, come troppe altre tragedie nel passato dell’Italia, si chiuda infine nell’oblio e con un nulla di fatto: a tarallucci e bare.

[tags]torino, thyssenkrupp, morti bianche, media, denaro[/tags]

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mercoledì 12 Dicembre 2007, 08:45

L’Italia tribale

Della protesta dei camionisti parlano tutti i giornali (e io sono anche rimasto senza benzina). Che cosa ne pensi è ovvio: se è sacrosanto il diritto di sciopero – che pure deve avvenire all’interno di una regolamentazione, per rispettare anche la necessità di non fermare i servizi vitali alla collettività – è inaccettabile che questo venga accompagnato da blocchi stradali, pestaggi di chi non sciopera e danneggiamenti ai camion che tentano di circolare comunque.

In paesi come la Francia e l’Inghilterra, a scioperi ben meno violenti di questo si è opposta una semplice considerazione: non si tratta con chi usa la forza o ricatta la collettività al di fuori delle regole previste per lo sciopero. Ha sempre funzionato; magari dopo una settimana, ma alla fine quella settimana di resistenza ha evitato chissà quante settimane di futuro caos.

In Italia, però, invece di Brown o Sarkozy abbiamo nonno Prodi, uno che si fa prendere equamente a pesci in faccia dai tassisti, dalla Romania e persino dai propri alleati. E quindi, già immagino che il governo calerà le braghe anche stavolta.

La cosa veramente preoccupante, però, è – se vera – quella che emerge da un sondaggio di Repubblica, secondo il quale un italiano su tre approva questa forma di protesta. In parte è il risultato di trent’anni di degrado morale, che porta molti a credere che sia normale usare posizioni di forza per imporre i propri interessi individuali, e chi forza non ha è giusto che subisca e se la prenda in saccoccia. In parte però è il segnale di un malessere profondo, per cui una parte importante della società ha raggiunto un livello tale di sfiducia e disperazione da trovare giusto l’uso di qualsiasi mezzo, compresi il ricatto e la violenza, per portare a casa qualche euro in più per se stessi a danno degli altri. Disgregatosi dal resto, il gruppo a cui si appartiente non è più una componente della società, ma una tribù che vive per sé e lotta contro tutte le altre.

Se così è, ci aspetta a breve una guerra civile fredda, tutti contro tutti a colpi di chi danneggia di più il Paese, per strapparsi di bocca un tozzo di pane qui ed ora, senza preoccuparsi dell’interesse generale e del futuro; e senza rendersi conto che una società è un ecosistema integrato, una unica barca in cui gli squilibri e i privilegi sono certo possibili sul momento, ma alla lunga, nel mare più grande dell’economia globale, si vive o si perisce tutti insieme.

[tags]sciopero, camionisti, prodi, società, italia[/tags]

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martedì 27 Novembre 2007, 23:32

Autostrade barotte

Anche oggi bloggo tardi, il che vuol dire che ho avuto una giornata pienissima. Comunque, tra le cose che ho fatto c’è stato anche il percorrere per la prima volta il tratto settentrionale della nuova autostrada Asti-Cuneo, da Asti ad Alba. Per il momento non si paga, ma sono già pronti gli spazi e i segnali per i caselli; come per la Torino-Pinerolo, appena l’opera sarà finita potranno cominciare a riscuotere.

Segnalo comunque un senso di ridicolo e di incredulità di fronte ai segnali. Voglio dire, già che possa esistere un cartello autostradale verde con indicato Cuneo – non è uno scherzo, esiste davvero! – lascia un po’ basiti; ma che l’uscita indichi Castagnito… Non me ne vogliano i castagnitesi (castagnitensi? castagnitini? castagnati?), ma non c’è un minimo criterio di decenza sui nomi dei paesi degni di avere un’uscita dell’autostrada? Già sulla Torino-Pinerolo, con l’uscita Frazione Gerbole di Volvera (distinta da quella di Volvera, sia ben chiaro), avevamo toccato il fondo; ma qui, complice l’odore di vacca, si comincia a scavare. A questo punto tanto valeva fare i cartelli direttamente in piemontese.

Comunque, posso confermare che le denunce sulla realizzazione dei lavori da parte del gruppo Gavio sono fondate; per esempio, l’imbocco del ponte sul Tanaro è stato fatto talmente male che, nel bel mezzo del rettilineo dell’autostrada, hanno dovuto piantare una serie progressiva di limiti di velocità modello avvicinamento al casello. Prima 110, poi 90, poi addirittura 70; in pratica, tocca piantare una inchiodata per nessun motivo apparente. Il problema è che la terra sotto l’approccio pare aver ceduto, creando una rampa parecchio inclinata; per cui prendendo l’imbocco del ponte ai normali 140-150 all’ora ci si esibirebbe in un salto tipo Hazzard. La velocità di 110 indicata dal limite dei 70 è il massimo che si possa fare senza spaccarsi un semiasse. Adesso vediamo se glielo fanno sistemare o se ce lo teniamo così.

[tags]autostrade, asti, cuneo, gavio[/tags]

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domenica 25 Novembre 2007, 09:11

C’è post@ per me

Spesso, tramite il modulo di contatto che c’è su questo sito, mi arrivano richieste, commenti e proposte di vario genere. Ogni tanto me ne arriva anche qualcuna che merita di essere pubblicata.

Ad esempio, stanotte alle due e mezza, Antonello mi scrive:

Oggetto: Richiesta informazioni commerciali

Scusi,
lo prende in culo?
Grazie.

cordialmente,
Antonello.

Caro Antonello, io cerco in tutti i modi di preservare la mia onorabilità e la mia eterosessualità; devo però ammettere che ultimamente mi è capitato spesso, senza preavviso, di ritrovarmi il posteriore dolorante. Sai, sono un italiano come tutti gli altri, e quindi me lo buttano in culo un po’ tutti: il governo, l’opposizione e il parlamento tutto; le aziende più varie e disparate; una discreta dose di conoscenti e falsi amici; persino l’economia internazionale, alle volte. In questi giorni ci si mette anche il tempo, a farmi cancellare tutta una serie di attività pianificate.

Bisogna però dire che, si sa, l’italiano è maestro nell’arte di arrangiarsi, e, dopo tutti questi anni in cui ci hanno inculato a sangue, spesso non ce ne accorgiamo neanche più.

[tags]inculate[/tags]

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sabato 24 Novembre 2007, 08:57

Bonus (2)

Mi riscrive LiberoWindInfostrada:

Novità! Piano tariffario Wind 4 per Ricaricabile

La nuova vantaggiosa tariffa, pensata per i professionisti ma attivabile anche dai privati, per parlare con tutti a 4 centesimi al minuto, con un costo mensile di 4 euro.
In più se attivi una ricaricabile Wind 4 entro il 3 febbraio 2008 ti basta effettuare una ricarica al mese e il costo mensile sarà GRATIS per un anno!

Lasciamo perdere il fatto che “gratis” in italiano significa “con costo pari a zero” e quindi può essere gratis un prodotto o un servizio, ma un “costo gratis” è un ossimoro. Ma se io devo effettuare ogni mese una ricarica (pagando, presumo), come fa il costo mensile ad essere zero?

[tags]wind, ricaricabile, pubblicità che tentano di rincoglionirti[/tags]

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giovedì 22 Novembre 2007, 19:43

La legge a casaccio

Da tempo, spinto anche dai salaci commenti di vari amici (“ma come, leggi ancora quella roba?”), sono tentato di smettere di leggere La Stampa; peraltro l’abbonato è mia mamma, e io recupero il giornale da casa sua solo un giorno ogni tanto. Solo negli ultimi giorni si è visto di tutto, da una intervista totalmente sdraiata di Minzolini a Berlusconi a un mitico articolo di cinque colonne in cronaca sul processo agli ultras arrestati per il derby, che raccontava la rava e la fava riuscendo a non dire mai a quale squadra appartenessero i suddetti.

Tuttavia, la pagina di oggi di Maria Corbi è di quelle che ti riconciliano col giornalismo: il lungo racconto dell’abbattimento di uno dei campi nomadi di Tor di Quinto, visto da uno dei bambini del campo. Certo, l’approccio era un pelino patetico, da libro Cuore, con tanto di lettera al Presidente della Repubblica; eppure è servito a svegliare le coscienze – o perlomeno l’ufficio stampa di Veltroni – su come le forze dell’ordine stiano affrontando la “emergenza rom”.

Che è poi lo stesso con cui stanno affrontando la “emergenza ultras”: generalizzando, e reprimendo a caso.

Succede così che, senza preavviso, le ruspe si presentino in una favela di romeni in cui non è nemmeno detto che i rom ci siano, e tirino giù la baracca di Sorin, undici anni, in Italia da due, studente di prima media con ottimi voti. Non vive lì perché vuol fare l’alternativo o perché deve nascondere la refurtiva di scippi e furti con scasso; vive lì perché la mamma fa le pulizie a 500 euro al mese, e il padre fa il muratore quando trova. A Roma, le case costano dal mezzo miliardo in su, anche in estrema periferia; tre romeni, con meno di mille euro al mese e nessun vecchio ipergarantito a sovvenzionare, dove possono vivere?

Eppure, lo Stato italiano spedisce le ruspe a tirargli giù la baracca, con quel poco che hanno chiuso dentro, perché nemmeno gli danno il tempo di portarlo via. La scena di un ragazzo che rovista tra le macerie per cercare il libro di storia, che domani ha il compito, è raccapricciante. Sarà anche enfatizzata apposta, ma è raccapricciante lo stesso, per un paese che ha il problema di promuovere l’integrazione per non esplodere.

Come sempre, da noi si aspetta fino a quando proprio la situazione non è più tollerabile, e poi, sull’ondata di sdegno, si manganella a casaccio, cercando il rimedio raffazzonato dell’ultimo minuto per superare l’esame dell’opinione pubblica. Si colpiscono cento per educarne uno, insomma. L’ovvio risultato è quello di spingere i novantanove nella stessa casella dell’uno, e di far loro riflettere sul come il rigare diritto, il distinguersi dai ladri o dai violenti, in Italia non serva a nulla.

E di far pensare a noi come l’incompetenza e la protervia regnino sovrane tra chi dovrebbe mantenere l’ordine e la legge – gli elementi base di una comunità civile – e invece lo fa selettivamente, di solito contro i deboli, e comunque solo quando serve a raccogliere l’applauso dell’audience elettorale.

[tags]sicurezza, tor di quinto, rom, veltroni, sorin, la stampa, corbi[/tags]

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martedì 20 Novembre 2007, 15:30

Sportivi italiani

Non voglio parlare sempre di ultrà; parliamo quindi anche della cultura sportiva degli italiani.

Oggi pranzavo davanti al Politecnico, in mezzo agli studenti, quando ho sentito uno di essi prodursi in un soliloquio a proposito dei tifosi scozzesi che, dopo aver perso la partita con l’Italia ed essere stati eliminati dall’Europeo, sono rimasti per mezz’ora dentro lo stadio ad applaudire ugualmente la squadra. Ecco, questo tizio sui vent’anni ha definito gli scozzesi come “minchioni”, concludendo con una risata di scherno “ma questi cosa cavolo festeggiano, che hanno perso?”.

Avendolo visto in faccia, escludo categoricamente che il tizio fosse un ultrà; anzi, se gli avessero chiesto un parere credo che si sarebbe unito al coro di sdegno contro i tifosi violenti. Riflette invece il pensiero dell’italiano medio: quello per cui lo sport consiste nel sedersi in pantofole davanti alla televisione e sperare che la propria squadra vinca con un mezzo qualsiasi, compreso barare.

[tags]sport, scozia, tifosi, ultras[/tags]

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domenica 18 Novembre 2007, 19:59

Milioni di terroristi

Sono tornato, e, nonostante abbia passato tutta la domenica a dormire, ho avuto modo di leggere una interessante coppia di commenti alla vicenda del tifoso ucciso all’autogrill.

Qui trovate il sondaggista Diamanti: uno dei membri di quella elite che analizza e insieme plasma l’opinione in Italia, e che contribuisce in modo significativo a determinare l’azione dei politici, che ormai, perduto ogni contatto con la realtà, vivono di giornali, televisioni e sondaggi. Bene, egli dichiara apertamente di non capirci più niente – in particolare, di non sapersi spiegare come gli stessi italiani che chiedono sicurezza poi si siano preponderantemente infuriati con la polizia invece che con gli ultras, nonostante la campagna di stampa che i media conducono da anni contro questi ultimi – e, pertanto, si incazza con gli italiani stessi, che si permettono di disobbedire al suo modello. Questa, peraltro, sembra la reazione prevalente anche nel mondo politico e nei fini pensatori dei quotidiani.

Sul blog di Grillo, invece, trovate la lettera di tal Cristian T., sgrammaticata e anche discutibile in varie affermazioni. Eppure è una lettera perfetta, perché spiega come una parte crescente degli italiani, pur chiedendo allo Stato sicurezza, odi lo Stato e soprattutto le divise che lo rappresentano; perché invece di vedere gli eroi che lottano per loro contro la mafia e la criminalità, osserva quello che oggi è l’aspetto molto più visibile dello Stato, ossia le ingiustizie, i privilegi, le raccomandazioni, la burocrazia, le mille leggi assurde di cui le forze dell’ordine, volenti o nolenti, sono il braccio armato.

C’è sicuramente nell’animo italiano una renitenza alla responsabilità, acuita dal permissivismo post-sessantottino come dal buonismo cattolico. Ma io non sottovaluterei la pericolosissima deriva secondo cui, per una quantità crescente di persone, se questo è lo Stato è meglio che ce ne sia il meno possibile e anzi che prima o poi non ci sia più.

Probabilmente è esagerato pensare che gli ultras violenti (che, non dimentichiamolo, sono un sottoinsieme degli ultras, che a loro volta sono un sottoinsieme dei tifosi) siano veramente terroristi, con un piano per rovesciare l’ordine attuale: la maggior parte vuole fare essenzialmente casino. Anche in quelli non politicizzati, però, c’è spesso ben chiara una aspirazione libertaria e anarchica, che, a seconda della città, può diventare culturalmente molto evidente. In altre parole, forse gli ultras non vogliono rovesciare lo Stato, ma certamente vogliono rivendicare un’isola di autonomia da esso. Che ciò sia ora quello che, magari embrionalmente, pensano anche milioni di italiani, stufi di sentirsi vessati dall’ordine costituito, è una novità preoccupante.

[tags]ultras, stato, forze dell’ordine, diamanti, grillo, terrorismo[/tags]

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