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Archivio per la categoria 'Itaaaalia'


martedì 23 Ottobre 2007, 14:43

Lettera aperta sulla violenza negli stadi

Al Presidente dell’Osservatorio sulle Manifestazioni Sportive del Ministero dell’Interno
Al Giudice Sportivo della Lega Nazionale Professionisti di calcio
Al Prefetto di Torino

Egr. dottor Ferlizzi,
egr. giudice Tosel,
egr. dottor Sottile,

mi scuso per dover richiedere la Vostra attenzione per una lunga lettera, ma sento la necessità di commentare le azioni che i Vostri organismi stanno compiendo nei confronti della violenza negli stadi, cercando di contribuire in modo costruttivo e supportato da fatti.

Sono tifoso del Torino da quando sono nato; non sono mai stato un ultrà, e sono attualmente abbonato in curva Primavera (quella dei pensionati). Una o due volte l’anno, quando il Torino non gioca troppo lontano da casa e non ho altri impegni per la domenica, vado anche in trasferta. Quest’anno, per puro caso, ciò è capitato domenica scorsa, e sono quindi stato testimone oculare di ciò che è successo a Bergamo in occasione della partita Atalanta-Torino, e che ha portato l’Osservatorio ad assumere con procedura straordinaria la determinazione numero 46, in cui si vieta ai tifosi del Torino la prossima trasferta ad Udine.

Ero perfettamente cosciente dell’inimicizia storica che regna da trent’anni tra gli ultras di Torino e Atalanta; chiunque bazzichi il calcio italiano la conosce. Per i locali, mancando dalla serie A il Brescia, Atalanta-Torino diventa un vero derby. Eppure già domenica, mentre sul pullman dei tifosi venivamo scortati verso lo stadio, sono rimasto allibito nell’osservare una città militarizzata. Non ha alcun senso che, per permettere a me e ad altre trecento persone di assistere a una partita di calcio senza venire linciati dal pubblico locale, si debbano impiegare un migliaio di poliziotti e bloccare la città per mezza giornata. A malincuore, io e il mio vicino abbiamo concluso che, in quelle condizioni, sarebbe stato opportuno vietare la trasferta e basta.

E’ proprio per questo che, invece, non capisco il senso del provvedimento che avete appena emesso. Non c’è la minima inimicizia tra Torino e Udinese; l’anno scorso, i nostri tifosi hanno addirittura esposto uno striscione per ricordare un tifoso locale. Sarebbe stata una bella festa di calcio, una gita fuori porta; proprio quello che, a parole, vorreste incoraggiare. Per i tifosi granata del Nord-Est, sarebbe stata l’unica occasione dell’anno per vedere dal vivo la propria squadra. Classificare questa sfida a rischio 4 e vietare la trasferta può significare solo due cose: o non conoscete le dinamiche del calcio italiano, o volete impartire una punizione esemplare.

Eppure, punizione per cosa, e a chi? A me hanno insegnato che tra i capisaldi dello stato di diritto ce ne sono alcuni che dicono che la responsabilità è personale, che la pena è proporzionata al reato, e che nessuno sarà punito per le azioni di altri.

La vostra decisione si richiama innanzi tutto ai fatti del derby del 30 settembre; partita classificata a rischio 2 (solo?), giocata in notturna, che si chiude con 30 arresti: 29 tifosi della Juventus e 1 (uno) del Torino. Parrebbe chiaro che se una squadra deve essere punita è quella bianconera, ma supponiamo pure che i numeri non contino e che si attribuiscano uguali responsabilità alle due squadre. Quali sono i provvedimenti?

Per Torino-Sampdoria: rischio 4 (più che giusto), orario al pomeriggio, settore ospiti chiuso, divieto di ingresso persino ai tifosi granata non abbonati; danno economico consistente, tifosi delusi, spettacolo monco.

Per Juventus-Genoa: rischio 4 (lo stesso preciso identico), posticipo in notturna per non disturbare Sky, settore ospiti aperto, biglietti in vendita su tutto il territorio nazionale; stadio esaurito.

Perché? Mi potreste gentilmente spiegare il perché di una disparità di trattamento così evidente?

Si arriva così, già con l’amaro in bocca, a Bergamo. La partita è stata bellissima, una di quelle che ti fanno innamorare del calcio e del Toro. Io ho cantato per tutto il tempo, ad eccezione dei cori contro i carabinieri e sullo stadio Heysel, che trovo vergognosi. Ho indirizzato svariati insulti agli avversari, e al gol del pareggio sono corso a sfogarmi contro il divisorio, perché sono convinto che il bello del calcio italico stia anche nello striscione sarcastico o polemico e nel gesto di scherno, purché si tenga sempre presente che è un gioco e che al fischio finale si è amici come prima. Nell’intervallo, ci siamo persino divertiti, amaramente, a constatare come i bergamaschi usino il termine “terrone” quando vogliono offendere qualcuno. L’arbitro ha contribuito a scaldare gli animi, sbagliando molto a sfavore del Torino – e questo non lo dico io, lo dicono i commenti dei giornali, che hanno chiosato la sua prestazione con questi voti: La Stampa 5, Tuttosport 4,5, Gazzetta dello Sport 4,5, Corriere dello Sport 5. Nonostante tutto, la situazione a fine partita era tranquilla.

E poi? Il comunicato dell’Osservatorio, a giustificazione del provvedimento di cui all’inizio, racconta i capi d’accusa:

“- nella fase di deflusso, un gruppo di tifosi granata… ha sfondato un cancello dell’area di massima sicurezza”;

“alla stazione ferroviaria… un gruppo di circa 150 tifosi torinisti ha provocato l’intervento delle Forze dell’Ordine”;

Della stazione non posso parlare, visto che non c’ero, ma del deflusso sì: oltre un’ora dopo la fine dell’incontro, noi eravamo ancora chiusi dentro lo stadio, perché fuori, attorno allo stadio, centinaia di ultras locali erano fermi davanti alle uscite in attesa di “festeggiarci” – e Vi assicuro che non è una bella sensazione.

Poi è stato aperto il passaggio dal settore ospiti al recinto del parcheggio dove erano ospitati i nostri pullman, e a quel punto un (1) demente si è staccato dal gruppo granata, è corso verso il cancello che separava il luogo dal resto del parcheggio, e lo ha “sfondato” – con le virgolette, perché era aperto. Sono allora accorsi una dozzina di tutori dell’ordine in assetto antisommossa, che in tre secondi lo hanno rispedito indietro, sparando un (1) lacrimogeno. A quel punto un centinaio di tifosi atalantini ha “sfondato” – ho capito che questo è il termine tecnico per chi passa attraverso porte aperte – le barriere di prefiltraggio, cercando di raggiungerci; sono stati prontamente caricati dalla Polizia e sono scappati a gambe levate.

Fine degli scontri; e visto che il comunicato parla di 16 lacrimogeni sparati, Vi consiglio di indagare su dove siano finiti gli altri 15, con la penuria di risorse che affligge le forze dell’ordine…

Ora io ho una domanda: dato che c’erano decine di telecamere e quattro poliziotti per ogni tifoso granata, e che peraltro la maggior parte di noi mai si sarebbe messa a picchiarsi per una partita di calcio, era così difficile identificare l’unico facinoroso e far sì che egli rispondesse delle proprie azioni?

Che senso ha che Voi rilasciate interviste in cui chiedete al pubblico di “isolare i violenti”, e poi quando c’è un violento isolato prima lo lasciate andare, e poi punite la società e le centinaia di migliaia di cittadini normalissimi che tifano per il Torino?

Io non ho mai alzato le mani in vita mia, non sono un criminale, e come me la quasi totalità dei tifosi del Torino: chi Vi dà il diritto di trattarci e di additarci come tali, anche di fronte all’opinione pubblica e alla stampa?

E già che ci siamo, per equità, quali provvedimenti intendete prendere contro gli ultras dell’Atalanta?

La tifoseria del Torino è da sempre calda, in parte anche violenta, ma mai criminale. Non esiste nella storia del calcio italiano una persona, tifoso o poliziotto, che sia stata uccisa o gravemente ferita in uno scontro tra o con tifosi del Torino. Nessun tifoso del Torino è mai stato coinvolto in una faida per il controllo affaristico della curva. Ci sono tifoserie (Roma, Lazio, Napoli, la stessa Juventus) imbottite di pluripregiudicati per reati penali, dove gli arresti e i coltelli sono all’ordine del giorno. Eppure, ora sembra che il problema del calcio italiano sia la tifoseria del Torino, me compreso.

A Torino ormai vige uno stato di punizione permanente contro una squadra sola. In tutti gli stadi d’Italia – compreso l’Olimpico quando gioca la Juventus – entrano tranquillamente bandiere, striscioni, petardi. In Juventus-Udinese un tifoso juventino ha tirato un petardo in campo (rinfrescatemi la memoria, qual è stato il Vostro provvedimento?). Ma, se gioca il Torino, si vedono i carabinieri all’ingresso portar via una bandiera granata a bimbi di sei anni in lacrime. E poi ciò viene giustificato come un atto per far tornare allo stadio le famiglie.

Il problema non sono dunque le punizioni o la repressione della violenza, che è sacrosanta. Il problema sono la discrezionalità e la disparità dei provvedimenti, che creano sensi di ingiustizia, ulteriore rabbia, ulteriore violenza. Forse non ve ne rendete conto, ma l’accanimento che state dimostrando, lungi dal placare gli animi, rischia di alimentare la rabbia e il vittimismo delle parti peggiori della nostra tifoseria. Crea solidarietà con i violenti, invece che con le forze dell’ordine. State soffiando sul fuoco: perché?

E’ così difficile attribuire i gradi di rischio in base a precedenti oggettivi anziché a volontà persecutorie verso singole tifoserie, e fare in modo che a grado uguale corrispondano misure uguali per tutti, anziché lo stadio chiuso per le piccole squadre e la diretta notturna per le grandi?

Oppure, vietiamo del tutto le trasferte a tutti. Credo che non funzionerebbe, che l’afflusso di “cani sciolti” sarebbe ancora più pericoloso (com’è che in Roma-Napoli, gara riservata agli abbonati giallorossi, al gol del Napoli ha esultato mezza curva?). Ma almeno sarebbe una misura uguale per tutti.

Spero che questa riflessione Vi sia utile; attendo con fiducia una Vostra risposta, e nel frattempo Vi ringrazio, di cuore, per ciò che fate per riportare un po’ di serenità e di credibilità nel calcio italiano, auspicando che, con la collaborazione di tutti noi, lo sforzo possa avere successo; e che la giustizia italiana possa presto occuparsi di problemi un po’ più importanti.

Cordiali saluti,

[tags]ultras, violenza, stadi, toro, atalanta, osservatorio del viminale[/tags]

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lunedì 22 Ottobre 2007, 10:00

Ho scritto al ministro

Parliamo sempre della cosiddetta “internet tax” – anche se il termine non mi piace, perché il problema non è tanto quello economico, quanto quello delle barriere all’ingresso per chi vuole esprimere in rete le proprie opinioni, insomma della possibile restrizione e controllo dell’espressione online.

Stamattina ho letto il post al riguardo del ministro Gentiloni – persona con cui ho anche avuto modo di chiacchierare cinque minuti, al WSIS di Tunisi, e mi aveva anche fatto una buona impressione – in cui si scusa e dice che lui non aveva letto la legge prima di approvarla, il che conferma la mia interpretazione di venerdì. Anche io ho pensato che non si può approvare una legge di riforma dell’editoria (mica un decreto sul diametro delle banane) senza leggerla in dettaglio, ma sorvoliamo.

Però, ho notato che il ministro ha sul suo blog una form per scrivergli. E così, ho pensato di vedere se è solo per bellezza; e gli ho lasciato un gentile messaggio, suggerendo che forse è il caso che prima di legiferare sulla rete ne parlino con qualcuno che ne capisce, partendo dagli esperti che hanno già in casa (e non intendo certo questi), e magari mettendo in piedi una bella consultazione aperta a tutti via Web.

Sarebbe bello se si scoprisse che il sito del ministro è come quello di tutti noi, cioè non soltanto una vetrina ma anche un modo per essere contattati. Comunque, scrivere gentilmente ai politici in questione mi sembra più produttivo che continuare a dirci tra noi quanto siamo incavolati, o riempire di insulti i commenti sui loro blog.
[tags]internet tax, gentiloni, riforma dell’editoria[/tags]

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sabato 20 Ottobre 2007, 12:23

In piazza per il lavoro

Oggi pomeriggio, un numero variabile ma consistente di giovani e vecchi che si riconoscono nella sinistra estrema sarà in piazza a Roma, per chiedere pane e f..a per tutti: posti fissi, pensioni, persino un reddito di cittadinanza che, immagino, dovrebbe essere garantito assegnando a ciascuno la giusta quota dei soldi che crescono spontanei sugli alberi. Ne parla persino l’house organ del governo, naturalmente molto ma molto più in basso rispetto allo scoop su quanto sia bella la nuova sede del Partito Democratico.

Come sapete, non sono mai tenero con la sinistra tradizionale, quella che difende i posti di lavoro degli assenteisti e dei fancazzisti pubblici e parapubblici, quella che promuove il principio tutto italico secondo cui i cinquantenni di oggi possono andare in pensione dieci anni prima che nel resto dell’Europa e a carico dei loro figli precari, quella che dell’economia del ventunesimo secolo non ha capito nulla e ha quindi tante possibilità di gestire un Paese con successo quante ne ho io di battere il record mondiale dei cento metri. Personalmente, se capisco i vecchi che difendono con le unghie le proprie prerogative, credo che ai giovani che saranno in piazza oggi si possa dare il tafazzino d’oro.

Però, sarebbe ora di parlare anche dell’altro lato della questione: perché è vero che la flessibilità è un elemento imprescindibile della vita di oggi e sarà meglio farci l’abitudine, ma è altrettanto vero che la maggior parte delle aziende italiane la sfrutta ben oltre i limiti della decenza, lasciandone al lavoratore tutti gli svantaggi e nessuno dei vantaggi.

E’ vero che la richiesta di un posto a vita a prescindere dall’impegno è anacronistica e pure moralmente ingiustificabile, ma è vero che chi lavora nello stesso posto da un anno tutti i giorni come un dipendente ha tutto il diritto di pretendere delle garanzie come un preavviso e una compensazione per il licenziamento, anziché un contratto rinnovato di mese in mese quando va bene.

E’ vero che i giovani italiani sono in buona parte bamboccioni, cresciuti nella bambagia ed educati con l’obiettivo di farsi raccomandare più che di dimostrare il proprio valore e venirne ricompensati, ma è anche vero che come si fa a metter su famiglia o anche solo vivere da soli, con ottocento euro al mese?

Ciò che mi preoccupa è la contrapposizione crescente tra una classe dirigente focalizzata sul salvare se stessa, che agita l’economia di mercato come scusa per fregarsene del crescente impoverimento dei propri cittadini, e la convinzione strisciante nel popolo che il paese dei balocchi è lì a un passo, basta fare sufficiente casino in modo che lo decretino per legge… e quindi, via col casino.

La sola via d’uscita è quella difficile, che passa per il lavoro di tutti nessuno escluso, ma anche per il riconoscimento di tale lavoro in termini economici, e per un rinnovamento che metta a goderne chi lo merita e non chi ci si è aggrappato con le radici; e mandi a gestire ministeri e aziende chi lo vede come un servizio alla collettività e un mezzo di realizzazione personale e collettiva, e non come un puro modo per arricchirsi alla faccia degli altri.

Certamente questo significa anche cacciare i fancazzisti senza pietà; però bisogna cominciare a farlo non solo con l’impiegato cinquantenne delle Poste che scalda la sedia, ma anche e soprattutto con il dirigente suvvato da cinquemila euro al mese che blatera e lecca culi tutto il giorno. Del resto, come pensate che si sia salvata la Fiat? Nel periodo della svolta il numero dei dirigenti in certe aree è sceso di botto del 60%…

Possiamo dissentire su quali siano gli strumenti più efficaci per raggiungere l’obiettivo; ma non possiamo dissentire sul fatto che esso debba essere quello di ricompensare un normale lavoro con una vita dignitosa. Non lo si può garantire con la bacchetta magica, ma anche nelle condizioni attuali lo si può certamente fare molto più di quanto lo si faccia oggi. Chiederlo, anzi pretenderlo da chi ci dirige è doveroso.

[tags]20 ottobre, lavoro, precarietà, legge biagi[/tags]

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venerdì 19 Ottobre 2007, 22:27

Non avevano capito

Di quanto sia potenzialmente pericoloso e insensato il testo di legge del governo sulla riforma dell’editoria – che richiederebbe una registrazione e forse anche l’assunzione di un direttore responsabile col tesserino di giornalista a chiunque voglia aprire un sito Web – ha scritto l’intera blogosfera italiana. Sul blog di Grillo si sono accumulati quasi seimila commenti in una giornata; un numero mai visto persino per i post sul precariato e sul vaffanculo.

Io volevo soltanto aggiungere un particolare, legato alla mia esperienza di contatto diretto con le istituzioni: non è che la campanella non fosse stata suonata, anzi; è da sei, nove, forse dodici mesi che chiediamo di essere messi in contatto con il sottosegretario Levi e con chi si stava occupando di stendere questo testo. Ciò non è avvenuto, eppure non penso affatto che dietro ci siano una volontà politica o una scelta.

La mia sensazione – peraltro giustificata dalla generalizzata e frettolosa marcia indietro dell’intero governo, una volta scoppiato il caso – è che, semplicemente, non si rendessero conto di ciò che stavano scrivendo; che nessuno di quelli che ha lavorato a questo testo abbia bene idea di come funzionino i blog e i siti web, a parte i portaloni fallimentari da 45 milioni di euro. Soprattutto, che nessuno abbia capito che i paradigmi e gli scenari sono completamente diversi, e che non si tratta semplicemente di “aggiornare” una legge includendo le nuove tecnologie nei vecchi schemi; e che sarebbe almeno il caso di chiedere a qualcuno che ne capisca veramente.

Che poi, a ben vedere, è pure peggio.

[tags]riforma dell’editoria, blog, governo[/tags]

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venerdì 19 Ottobre 2007, 19:13

Partito certo, democratico boh

Lo ammetto: alla luce della mia opinione sulle primarie del Partito Democratico, è senza alcuna sorpresa che ho letto oggi su La Stampa che la vicenda dell’elezione del nuovo segretario regionale piemontese è andata a finire esattamente come previsto.

Ho osservato la storia sui giornali, e quindi ve la riassumo in breve: tutto inizia un paio di mesi fa, quando da Roma decidono che il primo segretario del PD in Piemonte dovrà essere Gianluca Susta, biellese, rutelliano. Perché? Perché si sono riuniti e si sono accorti che non ci sarebbe stata alcuna altra regione dove un uomo di Rutelli avrebbe potuto vincere le primarie locali; ragion per cui, in Piemonte deve vincere incontrastato un rutelliano.

Succede però che ad una parte dei diessini torinesi l’imposizione non va giù; vorrebbero invece un candidato espresso dal territorio. Nasce così la candidatura eretica di Gianfranco Morgando, sempre della Margherita ma della corrente popolare, che viene sostenuta non solo dai popolari ma da una parte dei diessini (ossia delle liste per Veltroni).

Apriti cielo: piovono fulmini da tutta la nomenclatura. Chiamparino, Bresso, Fassino, Violante eccetera sostengono Susta e vorrebbero addirittura vietare ai dissidenti di candidarsi sotto il nome di Veltroni. Volano parole grosse, e parte una lunga negoziazione; alla fine, per evitare l’esplosione del partito prima ancora che nasca, l’accordo è che il candidato ufficiale dei DS e di Veltroni è Susta, ma i dissidenti possono presentare Morgando sotto una delle altre liste associate a Veltroni.

Si arriva così alle primarie, ed ecco la sorpresa: contro ogni previsione, ha vinto Morgando di cinquemila voti. I dati ufficiosi parlano di quattro delegati di vantaggio per Morgando nell’assemblea regionale del PD. Chiamparino ha un diavolo per capello, i dissidenti cantano vittoria. Susta, con eleganza, telefona a Morgando e si dichiara sconfitto. Le agenzie battono intensamente la notizia. Il giorno dopo, La Stampa spara il titolo addirittura in prima pagina.

E poi? Poi, comincia il mistero. Nel resto d’Italia, due giorni dopo il voto ci sono già i risultati definitivi; non in Piemonte. Ci si giustifica con problemi tecnici, ma nel frattempo succede una cosa strana: uno dei membri dell’Utar, la commissione che conta i voti, si dimette improvvisamente, e a stretto giro di posta viene nominato al suo posto Mauro Laus, che solo pochi mesi fa si era alleato con Morgando per farsi eleggere segretario cittadino della Margherita, ma ora è uno dei sostenitori di Susta.

La commissione lavora e conta, conta e lavora, e dopo cinque giorni di tensioni e di polemiche incrociate esce con la notizia che tutti prevedevano: non era vero niente. Dopo il riconteggio, Morgando ha più voti, ma in termini di delegati Susta ha pareggiato. In più, Susta ha la fiducia della dirigenza nazionale del partito. Giusto in tempo per rovinare il festone che i morgandiani hanno organizzato per stasera a Hiroshima Mon Amour.

Non è chiaro cosa succederà adesso, se alla fine nomineranno comunque uno dei due litiganti, o se si rivolgeranno a un terzo salvatore; in queste situazioni qualunque cosa può succedere, e non dubito che ne vedremo ancora delle belle. Ciò che però si evince da questa storia – oltre al fatto che i votanti delle primarie sono essenzialmente coreografici, e comunque non devono permettersi di incasinare le direttive dall’alto – è come il partito democratico nasca senza alcun dubbio come un partito; sul democratico, vedremo.

[tags]primarie, partito democratico, piemonte, susta, morgando[/tags]

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mercoledì 17 Ottobre 2007, 15:53

Solidarietà al ribasso

La seconda notizia di oggi è questa: il governo avrebbe deciso di introdurre una sovrattassa sull’elettricità di 12 centesimi di euro al kilowattora a tutte le aziende e all’80% delle famiglie italiane, per finanziare uno sconto al rimanente 20%, ossia alle famiglie che hanno un indicatore economico sotto i 7500 euro.

La Stampa lo definisce un “miniprelievo”, ma visto che a Torino l’elettricità per la normale utenza residenziale costa 11 centesimi al kilowattora, se le cifre sono corrette si tratterebbe di un raddoppio della bolletta elettrica per l’80% dei torinesi; per non parlare dell’effetto indotto sull’aumento dei prezzi al consumo, per via dell’aumento dei costi di produzione delle aziende.

Spero che le cifre siano sbagliate, visto che con un raddoppio della bolletta all’80% della clientela viene fuori per gli altri altro che uno sconto; a meno che, naturalmente, con la scusa dello sconto ai poveri lo Stato non sia pronto a incassare il resto, o peggio ancora a farlo incassare alle municipalizzate grasse ed amiche di cui già parlavamo.

In più, mi chiedo come faccia il 20% degli italiani a tenere in piedi una famiglia con 7500 euro lordi l’anno, perdipiù di indicatore economico (per cui basta possedere una casa, anche se il reddito è zero, per sforare la soglia). C’è una fascia di persone estremamente povere che vanno aiutate, ma non è possibile che siano una su cinque; più facile che buona parte del 20% siano evasori fiscali.

Ad ogni modo, non è possibile costruire un sistema economico in cui il 20% delle persone riceve sovvenzioni di reddito: una cosa è ridurre o eliminare le tasse per le fasce più povere, un’altra è pagare i loro costi quotidiani o dargli dei soldi in mano. Che da qualche parte dovranno pur venire, ossia da quella classe media che dovrebbe sopportare gli aumenti solidali, e insieme aver voglia di farsi ancora di più il mazzo sul posto di lavoro per far crescere l’economia. La vedo improbabile.

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lunedì 15 Ottobre 2007, 11:53

Urne di cioccolata

Non so bene che cosa provo per voi, italiani che siete andati ieri a votare alle primarie del Partito Democratico: se ammirazione per la vostra residua fiducia nella politica italiana, o stupore per quanto sia facile farvi rientrare nel gregge.

Ovviamente quella è la mia area politica, e quello è il partito che voterei se dovessimo andare domani mattina alle urne (quelle vere, non quelle di cioccolata). Ma io, nel mio piccolo, non faccio il prestanome per nessuno; proprio perché rispetto la democrazia sopra ogni altra cosa, l’idea di andare a far parte di una coreografia di massa dal risultato già scritto, come la comparsa in una di quelle scenografie negli stadi della Corea del Nord, mi fa sinceramente ribrezzo.

Vado volentieri a farmi consultare, se mi consultano su qualcosa. Se mi chiedono se sono a favore o meno della legge 30, per esempio, e come cambiarla in meglio. Se mi chiedono se voglio o non voglio il nucleare, la caccia, l’aborto. O perlomeno se c’è qualcosa da decidere, come la composizione del Parlamento.

Quello di ieri, invece, era lo specchio della politica berlusconizzata reinterpretata dalla sinistra italiana. Il candidato era unico; doveva vincere Veltroni, come Prodi alle primarie precedenti; il partito gli ha messo di fronte un paio di candidati di cartapesta, giusto per salvare le apparenze, e un altro paio di sconosciuti sono saltati fuori facilmente, perché in Italia non si nega una telecamera a nessuno. La scelta, insomma, l’avevano già fatta loro per noi, come sempre; volevano solo la nostra benedizione per far bella figura in TV.

I candidati principali, Veltroni e Letta, erano ovviamente lì solo per i propri innegabili meriti; il fatto che siano il figlio dell’ex direttore dell’Unità l’uno, e il nipote dell’ex assistente e manager di Berlusconi l’altro, non ha assolutamente avuto parte nella loro folgorante carriera politica. Si sono fatti da sé, senza aiutini, e sono quindi titolati a rappresentare il nuovo futuro dell’Italia, finalmente libero dalle raccomandazioni e dalle caste.

Questa, più che una elezione, era un negozio di giocattoli in cui ti vendono un solo modello di bambola, però ti chiamano con gran cerimonia a sceglierne il colore. Ti piace il verde? Puoi votare Veltroni ambientalista, con la lista “Con Veltroni. ambiente, innovazione, lavoro”. Preferisci il rosso? Ecco Veltroni presidente operaio, con la lista “A sinistra con Veltroni”. Vuoi l’azzurro? C’è Veltroni moderato, con la lista “Democratici con Veltroni”. Che differenza ci sia tra le tre, non è dato sapere.

Oppure, se proprio vuoi un tocco di anticonformismo, puoi votare per Letta o per Bindi; a differenza di Veltroni che propone… boh?, Letta propone… mah?, e Bindi invece propone… chissà? Una durissima contrapposizione politica: vota per me, che ho la faccia più simpatica. Tanto il risultato è già scritto, un tanto al chilo; facciamo avere un bel plebiscito a Veltroni, così è credibile, e diamo un contentino agli altri due, e agli outsider rompicoglioni mettiamo uno 0,1%, che di meno proprio non si può.

Per carità, i cambiamenti sono sempre difficili, e le attitudini non si modificano in un attimo, e ci sono comunque tante altre ragioni per dare al Partito Democratico una chance, prima fra tutte quella di volerci perlomeno provare. Prima, però, dimostrino che non è l’ennesima pagliacciata, e soprattutto abbiano il coraggio di chiedermi un parere su qualcosa di concreto dandomi veramente voce in capitolo, prima di mostrarsi sulla porta di casa mia.

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venerdì 12 Ottobre 2007, 07:58

I conti tornano

Ieri i giornali titolavano che governo e sindacati hanno vinto: il loro progetto di riforma del welfare è stato approvato dai lavoratori con una valanga di voti, oltre l’80%! Dopodichè ci sono le percentuali delle grandi fabbriche: Alfa Romeo di Pomigliano, sì 8%, no 92%. Fiat Melfi, no all’85%. Alenia, no al 65%. E così via. Però hanno stravinto i sì.

Ci si può prodigare in spiegazioni credibili, secondo cui i vecchi operai conservatori e politicizzati delle grandi fabbriche hanno votato contro, mentre i giovani precari delle piccole imprese di servizi hanno votato a favore, e messi tutti insieme ribaltano il risultato. Resta il fatto che alla fine, sommando tutto insieme, comunque in qualche modo i conti tornano: senza alcun dubbio, ha vinto il sì con l’80%!

E non dubitate: domenica, alle primarie del Partito Democratico, magari i seggi saranno deserti, ma alla fine avranno votato almeno due milioni di persone!

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giovedì 11 Ottobre 2007, 11:51

Scene da un ministero

(con un riferimento velato e del tutto non casuale a questa cosa qui, di cui parlava martedì Repubblica – ma toh, l’articolo che criticava il governo, pur comparendo ancora nei risultati di Google, è stato rimosso in tutta fretta dal loro sito…)

Rappresentante del Ministero ABC: Bene, ora possiamo incominciare la riunione…
Rappresentante del Ministero XYZ: Mi scusi, mi scusi!
ABC: Sì?
XYZ: Volevo lamentarmi per lo scarso anticipo con cui sono stato invitato a questa riunione!
ABC: Eh, purtroppo abbiamo potuto dare soltanto una settimana di preavviso, ci dispiace.
XYZ: Sì, ma io ho saputo di questa riunione solo due ore fa!
ABC: Come, due ore fa? Ma noi abbiamo inviato la convocazione per iscritto una settimana fa, alla dott.ssa JKL!
XYZ: E come mai non l’avete inviata a me? Io sono (pausa ad effetto) il Consulente ICT & New Media del Ministro XYZ!
ABC: Sì, ma quando abbiamo interpellato le varie amministrazioni per comporre il comitato, dal vostro ministero ci è stata indicata come referente la dott.ssa JKL…
XYZ: Eh, ma non importa, dovevate informarvi meglio! E visto che siamo qui per Internet, non è possibile che si utilizzi la carta! La prossima volta inviate le comunicazioni anche a me, e usate la posta elettronica: un cc non costa nulla!
ABC: Va bene; allora, visto che un cc non costa nulla, le invieremo le convocazioni per email: qual è il suo indirizzo di posta elettronica?
XYZ: (Attimo di smarrimento)
ABC: (Sguardo interrogativo)
XYZ: Uhm… era qualcosa tipo… c’aveva il mio nome… un punto… Un attimo, eh, che prendo l’agenda: non me lo ricordo!

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lunedì 8 Ottobre 2007, 18:25

Multarolo del c…

L’espressione viene da un vecchio post di Andrea (che tra l’altro, come ho scoperto cercando il link, ha ricominciato a bloggare, seppur saltuariamente), e non avrei mai pensato di essere io ad usarla per qualcuno. Eppure, ammetto che mi è subito tornata in mente leggendo questa lettera, ossia la risposta di un responsabile dei vigili urbani a un articolo della Stampa (questo) che denunciava la nuova abitudine dei vigili torinesi di piazzarsi in incognito, contromano, in divieto di sosta e in posizioni pericolose pur di effettuare multe tramite telecamera. E dire che, pur essendo un guidatore sportivo, non ho mai commesso infrazioni significative né perso punti dalla patente, e non avrei mai pensato di trovarmi un giorno a simpatizzare col multato anziché col multante.

Premetto che un dibattito come quello di cui sopra non dovrebbe nemmeno esistere: gli automobilisti dovrebbero fare il proprio dovere, rispettando i segnali stradali; e i vigili dovrebbero fare il proprio dovere, rispettando le leggi che – essendo noi uno stato di diritto – impongono loro certi vincoli a garanzia del cittadino.

Purtroppo, come al solito, bisogna buttarla in caciara: e allora da una parte ci sono gli automobilisti che guidano in maniera pericolosa (il che, tra l’altro, vuol dire troppo veloce ma anche troppo piano o troppo distrattamente) e si lamentano quando vengono multati, anche quando hanno torto marcio; dall’altra ci sono i vigili che si comportano da sceriffi, spesso selezionando accuratamente le proprie vittime tra quelle che non alzeranno mai la voce.

Dopo accurata analisi, io mi sento più dalla parte dei cittadini incazzati, che da quella dei vigili. Perché il traffico a Torino è iper-regolamentato, e in questo caso noi torinesi diamo il peggio di tutti, incrociando una ossessione svizzera con una faciloneria tutta italiana.

Perché sono d’accordo anche io che la svolta a sinistra dal viale di corso Regina Margherita sia pericolosa e di intralcio, e quindi vada repressa; anzi, per favore, reprimetela più duramente. Ma non credo che sia necessario mettersi in incognito e contromano per farlo: ci si può mettere oltre l’incrocio e fermare i trasgressori per contestare la violazione. L’effetto repressivo è anche maggiore, visto che pure quelli che non saranno fermati vedranno i vigili e penseranno che la prossima volta potrebbe toccare a loro. Solo che così si fa meno cassa, e il piatto del Comune piange.

Un altro problema è poi la quantità abnorme di divieti che sono spuntati in città negli ultimi anni, spesso così tanto per vietare, senza pensare ad offrire alternative a chi da quella parte dovrà pur passare. Ad esempio, sono comparsi divieti di svolta a destra in vari viali; da corso Peschiera in corso Monte Cucco e in corso Racconigi, per dire. Sarà anche possibile che la svolta a destra in quel punto intralci, ma allora si doveva aprire un varco per permettere l’immissione nel controviale poco prima dell’incrocio; o come minimo mettere una indicazione preventiva all’incrocio precedente (costringendo però chi deve svoltare a percorrere centinaia di metri in controviali pieni di auto in doppia fila, cantieri e ostacoli vari…). Fatto così, vuol soltanto dire mettere un divieto in più, magari per poi fare delle multe – a quel punto veramente insensate.

Idem per i limiti di velocità lumaca (cinquanta all’ora nei grandi viali è una velocità ridicola, così come settanta in strade extraurbane senza incroci come gli approcci alle tangenziali), per i divieti di sosta non interpretabili da essere umano (quelli con sei fasce orarie diverse, una di divieto, una solo per residenti, una di sosta a pagamento, una solo per operatori con contrassegno giallo a righe…), per le strisce gialle con cui qualsiasi potentato parapubblico si ritaglia parcheggi gratuiti in pieno centro (i mezzi pubblici li usino i privati), e così via.

A tutto questo si aggiunge la sostanziale impunità per altri tipi di violazioni che i vigili e le forze dell’ordine dovrebbero reprimere, dal commercio ambulante ai lavavetri ai semafori, dai parcheggiatori abusivi ai furgoni abbandonati con le quattro frecce in mezzo ai viali (ma guai a toccare i commercianti).

Per cui, massima ammirazione per chi combatte quotidianamente la dura lotta contro il caos del traffico, ma preferirei che prima di tutto si regolasse il traffico in modo ragionevole, eliminando i divieti troppo restrittivi – anche perché troppi divieti uguale nessun divieto – e poi che ci si dedicasse anche ad altro, non solo alle multe via telecamera; e che comunque i vigili dessero sempre l’esempio, invece di farsi spesso vedere a fare le stesse manovre vietate e pericolose che poi stigmatizzano quando le facciamo noi.

Se no, anche a Torino finirà come a Settimo, dove il sindaco, dopo aver tappezzato la cittadina di telecamere anti-rosso “ciniche e implacabili” che scattavano anche quando avevi ragione, è stato costretto a mettersi in ginocchio sui ceci per evitare il linciaggio da parte dei propri cittadini.

Oppure come a Collegno, dove il nuovo autovelox e controllo del rosso all’incrocio tra corso Francia e via Castagnevizza è stato distrutto a sassate dagli abitanti della zona, esasperati dopo la prima ondata di multe per essere sfrecciati su un viale a tre corsie alla temibile velocità di cinquantasei all’ora.

Saranno degli incivili, ma non si può non capirli.

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