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Archivio per la categoria 'Life&Universe'


mercoledì 3 Maggio 2023, 14:53

Maree

Se vi state chiedendo dove io sia sparito nelle ultime ventiquattr’ore, ecco qui.

Ieri alle 18 a Milano, alla Cattolica, abbiamo presentato Internet fatta a pezzi. È stato un successone, sala piena, molte domande, multiple promesse di adozione come libro di testo o di riferimento, una caterva di complimenti sia per i contenuti che per lo stile di scrittura (per uno come me che scrive sin da ragazzo ma non ha mai avuto la fiducia in se stesso necessaria per provare seriamente a pubblicare libri fino a pochissimo tempo fa, quest’ultima cosa è bella ma anche una grande sorpresa).

Ma invece che di me vorrei parlare della vita, perché quella di ieri è stata anche una buffa coincidenza. Qualcuno, non molti, sa che il primo vero discorso pubblico della mia vita fu l’8 dicembre 1996: era l’inaugurazione dell’anno accademico del Politecnico e io, da rappresentante degli studenti, mi presentai tutto emozionato con giacca nuova e scarpe nuove per parlare dal palco. Anche allora l’ospite d’onore era Romano Prodi, allora presidente del consiglio, e fu gentile, e ci incontrò anche in privato.

È quindi indicativo di qualcosa che non so, forse solo la supremazia del caso, che alla presentazione ufficiale del mio primo vero libro, ventisette anni dopo, l’ospite d’onore fosse ancora Romano Prodi. Lui ovviamente non poteva ricordarselo, ma quando si è presentato dicendo “piacere, noi non ci siamo mai incontrati” (il momento nella foto) io gli ho subito risposto che non era vero, e che era la seconda volta.

Ho avuto il privilegio di andare poi in auto e a cena con lui, ed è stato una miniera di racconti, considerazioni e aneddoti (che ovviamente non posso riferire). È stato gratificante e arricchente e mi ha ricordato l’ultima persona che avevo potuto incontrare in modi simili e da cui ho imparato molto: un altro grandissimo intellettuale italiano, Stefano Rodotà. Volevo comunque ricordare anche lui, perché molto di quel che c’è nel libro dipende da ciò che ho capito da lui.

Insomma, le fortune nella vita sono strane, e vengono per cicli e per maree che non si possono prevedere e forse nemmeno cavalcare, ma soltanto un pochino indirizzare. Dev’essere per questo che ieri ho fatto una cosa che un tecnico non dovrebbe fare, e mi sono rimesso le stesse scarpe da cerimonia del 1996, molto consumate da numerosi giri del mondo, ma ancora presentabili; e quest’ultima descrizione è un po’ come mi sento anch’io in questa fase della vita.

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lunedì 10 Aprile 2023, 15:00

Cacciare la scimmia

Ritornare a casa, svegliarsi alle otto nonostante il jet lag, cominciare a smazzare insieme tre valigie e due zaini da disfare, tutti gli arretrati personali, tutti gli arretrati di lavoro, tutti gli arretrati di varie comunità online e del libro da presentare, la casa da risistemare, il frigo vuoto e quant’altro. Mandare il report bisettimanale posticipato dal venerdì di ferie, prepararsi alla call col capo, lanciare un aggiornamento su un paio di server, mettere a posto pile di ricevute. Cambiare di nuovo le spine americane in spine europee, mettere a posto la moneta e le banconote in yen e riprendere gli euro, sistemare nel cassetto il passaporto, la IC card giapponese e la patente internazionale, tirare fuori le chiavi della macchina. Estrarre dalle valigie tutti gli acquisti, impaccati in ogni cavità esistente, e poi lasciarli lì perché non sai ancora dove metterli.

E poi, ricordarsi che bisogna anche ricominciare a bussare a più porte possibili per i libri da pubblicare, e finire di rileggere per la terza o quarta volta il nuovo romanzo, aggiustando virgole e frasi fin che non diventa scorrevole davvero, e piacevole all’orecchio e al cervello e al cuore, anche se poi pensi che tanto nessuno lo leggerà mai, e ti dispiace, ma non è quello il punto.

Nel volo di ritorno – finite le sei ore di lavoro che la batteria del portatile mi ha concesso – ho intravisto un bel film, The Fabelmans di Spielberg. Parla di com’è crescere con una passione artistica di cui non puoi fare a meno, persino quando ti isola dagli altri e ti rovina la vita, persino quando hai continuamente il dubbio che faresti meglio ad ammazzarla. Ed è proprio così: alla fine, quando ti esce la scimmia dell’arte – o quando finalmente, dopo averla repressa a mazzate per cinquant’anni, le lasci mettere la testa leggermente fuori dalla tasca del cappotto – capisci che tu non potrai smettere di inseguirla, che caccerai la scimmia giorno e notte con il fucile, con le pietre, con le mani, e non la catturerai mai, mai e poi mai, ma non potrai più evitare di farlo, anche se la tua mira fosse ridicola, anche se nessun altro al mondo fosse mai interessato a vederne il cadavere, anche se tu fossi l’unica persona rimasta sul pianeta.


(Calligrafia di YÅ«ma Oki; i kanji, “saru” e “ka[ri]”, me li diede l’anno scorso il mio yamatologo preferito, Massimo Soumaré.)
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domenica 27 Novembre 2022, 13:56

Bergamo herpes

Suvvia, sappiamo tutti che l’aeroporto di Bergamo è il fondo del barile del trasporto aereo, e probabilmente anche del genere umano. Non c’è dunque stupore in questo piccolo racconto, ma solo rassegnazione e morte esteriore, alleviata dalla capacità di isolarsi dal mondo e ripetersi all’infinito le prime otto battute della passacaglia di Bach che mi gira da giorni nel cervello. Alla fine, comunque, quest’imbarco – a cui sono stato costretto dalla sostanziale inutilità dell’aeroporto di Turin-Mailboxes – è anche uno spettacolo interessante; ci sarebbe materiale per scrivere dei libri, se non fosse che ne verrebbero libri divertenti sì, ma sotto sotto disperanti. Ogni passo è uno spettacolo di spaesata incompetenza a vivere; avrei già dovuto capirlo dalla porta sul marciapiede sbarrata con la scritta “ACCESS DENIED”, manco l’aeroporto fosse un sito web.

La coda per consegnare il bagaglio in stiva è meravigliosa; non è lunga, ma è comunque troppo complicata per coppie e gruppetti d’età tra i trenta e i cinquanta, che invariabilmente sventolano la busta di un’agenzia di viaggi di Vergate sul Membro, davanti alla moschea di Sucate. Ora, io non sapevo nemmeno che le agenzie di viaggi esistessero ancora; non ne uso una da vent’anni, e se ne capisco il senso per un gruppo organizzato o per un’azienda che non vuole gestirsi i viaggi da sola, non capisco perché qualcuno possa andare da un’agenzia di viaggi a farsi comprare il volo Ryanair per [non indicherò la città, che poi mi danno del razzista; diciamo Reykjavik]. Infatti, son quelli che si mettono in coda senza essersi prima stampati l’etichetta del bagaglio; e poi arrivano lì, e invariabilmente, due volte su tre, non hanno comprato il bagaglio in stiva, o ne hanno comprato uno troppo piccolo; dieci chili, ma loro ne hanno quindici. Il meglio è stata una signora elegante che prima si è arrabbiata (“sono solo cinque chili in più”), poi ha aperto la valigia e per lo sbalordimento dell’addetta ne ha estratto il portatile, che avendo una batteria al litio è vietatissimo in stiva; poi ha interrotto la coda per pesare il portatile sul nastro del bagaglio, un chilo e due; poi ha detto “questo me lo porto a mano, il resto va bene”. Erano solo più quattordici chili, del resto; e l’hanno giustamente respinta a calci nel sedere. Ma mi è successo persino di vedere poi ai controlli di sicurezza una coppia di signore velate rimandate indietro; si erano presentate lì direttamente con valigioni immensi, ignorando il concetto di bagaglio in stiva.

Ma poi, passati i controlli, si arriva ai gate con vista sulle montagne; e lì la gente è la stessa, ma lo scenario cambia. Lì, c’è da spendere; quindi è tutto luccicoso, e la gente risponde allo stimolo e esegue, aprendo lo struscio avanti e indietro. Coppie sui trenta, talvolta con passeggino al seguito, osservano un’infilata di bar pretenziosi tutti peraltro della stessa grande holding alimentare, ma agghindati con loghi e colori per sembrare diversi. Tutto è gourmet: panini gourmet, pizzette gourmet, persino “Serge, il cannoncino gourmet riempito al momento”, una roba tanto assurda che la manderei in Ucraina. Tutto è anche biecamente pensato per fregarti, come la bottiglietta da mezzo litro di Coca Cola che in realtà è da 450 ml, come vedete in foto. Poi la gente s’avvicina, e visti i prezzi ordina solo una rustichella e un bicchier d’acqua, e li paga con le monetine, come nell’Ottocento. Ma è giusto così: Bergamo herpes è l’apoteosi del neoproletariato tecno-soggiogato, ebete a guardare il cellulare tranne brevi pause per riprodursi a danno del pianeta, ma che darebbe un braccio per la nuova mutanda di Intimissimi.

Fa bene, fa bene girare il mondo; chiarisce le idee. Chiarisce che il mondo è sovrappopolato, ma selettivamente; e collegando tutte le discussioni sul reddito universale e sulla gente non impiegabile, mostra che si tratta di un trend sì, ma di un trend che svilisce l’umanità. Non tutti, certo, ma una parte di questi qui attorno un reddito e un lavoro ce l’hanno, ma residuali; precari ed eliminabili con successo a favore del più stupido sistema automatico, che probabilmente gli sarebbe anche artisticamente, esteticamente e moralmente superiore. Quindi, non proporrò soluzioni finali; non sarebbe empatico e la Chiesa s’adonterebbe. Eppure, m’è chiaro ormai che più che reddito di cittadinanza, andrebbe chiamato reddito di inutilità; senza alcun giudizio morale allegato, s’intende, ma solo per oggettiva osservazione della realtà delle cose. È brutto a dirsi, ma ci sono persone che non sono in grado di vivere nel 2022, e non sappiamo che farne, e sono tante; e gli unici che se ne fanno qualcosa sono quelli che gli danno due lire per renderli schiavi, e poi se ne riprendono tre facendogliele spendere in minchiate, e indebitandoli a vita.

Ma ora, perdonate l’eresia; sono sicuro che pochi capiranno, e gli altri risponderanno a insulti. Io, comunque, vi auguro buona domenica; sperando d’essere almeno in grado di salire su un volo Ryanair con successo.

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martedì 4 Ottobre 2022, 13:29

È stato un viaggio lungo

È notte, sono a Doha, in un brutto aeroporto pieno di gente, nella grande ondata di incrocio tra arrivi e partenze. Aspetto di riprendere il viaggio per tornare a casa, almeno per qualche giorno, poi si riparte.

È stato un viaggio lungo, complicato, di cui ho raccontato poco, perché alla fine si parla solo di cibo e curiosità, e le cose più intime o più serie vanno altrove, in un posto meno caciarone e meno invidioso, probabilmente solo perché semivuoto, e nel vuoto o quasi cadono, così che possa sentirne per bene l’eco in me stesso. Eppure mancano ancora due ore al ripartire, e avrei da scrivere, da rileggere, da leggere, da fare, ma nel non luogo e non tempo per eccellenza, una notte di poltrone d’aeroporto in un posto tappa da qualche parte sul mappamondo, si diventa anche non persone; emerge il non essere sull’essere, fino a togliere la voglia di qualunque cosa.

È stato un viaggio lungo, che in fondo dura dal secondo giorno di quest’anno, e non accenna più a finire, né ad andare da alcuna parte; è anche questo, come molte cose di quest’anno, un drago che vola e s’attorciglia e torna avanti e indietro puntando la mia testa, e non si capisce se mi vuole infine prendere in groppa e farmi volare almeno un tanto e un po’, o se mi vuole soltanto bruciare i capelli e qualcosa del resto.

È stato un viaggio lungo e ancora lo sarà, perché in fondo lo so: domani, dopodomani, tra una settimana, tra un mese, tra un anno, prima o poi arriverò a casa, ma come già altre volte in passato potrebbe non essere più una casa che conosco. È la trasformazione dell’identità e della coscienza che ci ricrea la vita, attraverso lo specchio del sé e in quest’era tecnologica anche attraverso lo specchio della rete, delle immagini, dell’ovunque e del tutto è possibile che lampeggia sotto il nostro naso se lo si guarda, anche se i più si guardano i piedi e fanno bene, per non perdere mai l’equilibrio: perché guardandosi intorno si scoprono mille opportunità alternative che si potrebbero vivere, ma provare ad afferrarne anche solo una è la strada per sbattere contro il muro invisibile del proprio umano limite, senza alcuna certezza di poterlo varcare.

E quindi, buona serata e buona notte: ci rivedremo domani in Italia, nella brughiera, nella città di sempre, nel solito allegro pantano di luce e di buio, ma come sempre, ogni giorno e ogni minuto, un po’ diversi da prima, un po’ più inquieti, un po’ più consunti e un po’ più stanchi delle stelle.

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lunedì 12 Settembre 2022, 11:49

Buon compleanni

se un compleanno celebra i giorni in cui sei nato
tante date potrebbero esser quelle giuste
non soltanto il dodici settembre
ma per esempio il due gennaio o il dodici giugno
ma prendiamone piuttosto ancora un’altra
un otto giugno, sei anni fa in via talucchi
giorni strani, come ora, e lezioni imminenti

ecco, dove guardavo quella sera?
gli altri mi guardavano a vista
chiara guardava il presente
io guardavo lontano, sorridendo al vuoto
come se quel che vedevo non esistesse già più
perché nascere è in realtà morire e rinascere
dentro la vita e tra una vita e un’altra

insomma, buon compleanno, buon compleanno!
ma compiere gli anni veri è una formalità
quel che nasce, vive e muore è ogni forma di noi
e io auguro, a voi come a me, di averne insieme molte
di viverci insieme senza troppo sforzo
di celebrarne i genetliaci nei momenti più strani
di portarne il peso con piacevole allegria
oppure con tristezza, se vi piace di più
di farvi drago, topo, tigre o capra per l’anno e il momento
di scomporvi e ricomporvi come acqua che scorre
e quindi, senz’altro, tanti auguri a tutti noi
tanti auguri all’universo
di cui siamo solo schegge

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mercoledì 17 Agosto 2022, 12:17

Vento d’estate

Si può essere malinconici la settimana di Ferragosto? Beh, sì: il periodo delle vacanze forzate scombina i ritmi abituali e fa uscire fuori tutte le debolezze. Ma la stranezza è essere malinconici per empatia con il se stesso di tanti anni fa.

A vent’anni, nel periodo dell’università, le mie estati facevano generalmente schifo; a parte un anno, le passavo per intero in famiglia dai parenti in Liguria, tipicamente chiuso in casa col computer scollegato (Internet mobile non c’era ancora, anzi all’inizio non c’era proprio Internet), perché a me la spiaggia ha sempre fatto cagare. Non erano del tutto brutte, e qualche avventura estiva l’ho anche vissuta, ma in generale contavo i giorni fino a quando non sarebbero finalmente finite le vacanze e ricominciata la vita normale.

E però, erano estati creative; ho scritto tonnellate di racconti, qualche poesia e mezzo romanzo, ho composto e registrato un intero disco con la mia tastiera… Tutte cose che praticamente non sono mai uscite dal cassetto, perché ho sempre dato per scontato che facessero schifo anche quelle; io, in fondo, ero apprezzato (poco) solo perché maneggiavo i computer, prendevo sempre 30 agli esami di ingegneria e organizzavo pure le attività studentesche.

Poi, con la laurea, presi il mio posto nel ciclo del produci consuma crepa e uccisi quasi del tutto quelle parti di me; le ho represse per venticinque anni finché non sono esplose a forza quest’anno. Non so se potrete mai leggere qualcosa di quello che ho scritto in questi mesi; dopotutto, potrebbe fare davvero schifo, o comunque non essere nulla di che, e non trovare mai un editore. Eppure, quando lo rileggo, sembra scritto in gran parte da una persona molto più giovane; e probabilmente le devo anche il tempo di rivivere quelle estati spese ad agitarsi senza mai andare da nessuna parte, e a perdersi stando assolutamente fermi.

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sabato 16 Luglio 2022, 18:13

C’è vita dopo la politica

Condivido un link al post di Federico Pizzarotti, in cui parla del suo futuro e di nuove iniziative che si è costruito in silenzio. Lo faccio non solo per mandargli un augurio, ma perché il dubbio che ha lui, anche se in condizione molto diversa, è il dubbio che ho avuto anch’io nel 2016 alla fine del mio impegno.

Quando successe, nel giro politico torinese erano tutti convinti che sarebbe successa una di due cose, cioé che mi sarei rimesso in silenzio a portare acqua al M5S a qualunque condizione, confidando poi in una candidatura in Parlamento due anni dopo, oppure che sarei entrato in qualche altro partito per sfruttare il seguito e la fiducia che mi ero costruito in otto anni di duro lavoro.

Sei anni dopo, posso dire che la scelta di lasciare la politica definitivamente, ancorché non completamente volontaria, è stata giusta, inevitabile, e fortunata.

Come ho scritto a Federico, la vita è breve e ci sono moltissime altre cose da scoprire nel mondo e in se stessi. Ripetere all’infinito la propria identità di un tempo esaurito è un modo precoce di morire lentamente; mentre trasformarsi, morire un po’ per poi rinascere nuovi, è forse più difficile e persino leggermente doloroso, ma è anche un modo per allontanare a lungo il sipario finale.

Come qualunque essere umano, io non so cosa riuscirò davvero a fare con le mie poche forze, né quanto tempo avrò ancora per farlo, ma una cosa la so; se avrò almeno un po’ di fortuna, cosa che non dipende da me, ne vedrete ancora parecchie. Per questo, mi auguro anche di vedere ancora molte nuove incarnazioni di tutti voi; possiate avere il coraggio ogni qual volta è possibile di lasciar cadere la pelle morta e mostrare al mondo una nuova farfalla.

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venerdì 8 Luglio 2022, 21:01

Aspettando una mail

È venerdì sera, il momento in cui faccio clic e su Wattpad appare un nuovo episodio della storia statica e strana che ho preteso di pubblicare per prova (vi ho mai detto che a me le allitterazioni piacciono molto?). Ma non è di questo che vorrei parlare; in realtà, volevo raccontarvi del senso del tempo completamente proprio che ha il mondo editoriale.

Per carità, io sono digitale e ingegnerista; per me, il tempo di risposta si misura in millisecondi e comunque, da buon server interrogato da un client, una risposta si deve sempre dare. Invece, quando entri nel mondo dell’editoria scopri un universo parallelo in cui alle mail non si risponde quasi mai, e in cui comunque nessuna risposta arriva mai in un tempo catturabile dalla mente umana.

Ma capiamoci bene, questa non è una lamentela; certo, è frustrante, è destabilizzante, ti porta a fissare il vuoto chiedendoti se tra due, cinque o sette mesi arriverà infine una mail o se il tuo entusiasmo creativo morirà lentamente d’inedia nel vuoto, non essendo alimentato da quel senso di senso che serve agli esseri umani in ogni cosa che fanno. Ma è una pratica che capisco, perché l’altro lato della medaglia è che milioni di italiani scrivono e inviano, riempiono le segreterie editoriali di manoscritti forse belli o forse manco adatti a un esame di terza media ma le riempiono, e a fronte di questo è meraviglioso, è miracoloso che ci sia ancora qualche editore che non sbarra tutto e non dice “pubblico solo chi scopro io per i fatti miei, gli esordienti senza calci in culo e senza culo si fottano”.

Però, ecco, vi faccio un esempio. Oggi la mia angoscia è contenta perché ho ricevuto finalmente una risposta da un editore che per ciò che si è scritto per tramite di Konan sarebbe perfetto, se si decidesse a pubblicare anche qualcosa di originale e di testuale; ed è un grosso enorme “se”, a fronte di una situazione in cui questi manco trovano la carta per stampare i manga che la gente si contende nelle fumetterie con la faccia di un Fry che grida “shut up and take my money”; per cui, non mi aspetto certo che mi prendano.

L’editore è Star Comics, e non vi gasate: la risposta è semplicemente “abbiamo ricevuto e messo in coda”. Ma era per darvi un’idea: io ho inviato la mail con la mia brava sinossi (prima o poi, giuro, parleremo anche della maledetta sinossi) in data 26 maggio, al loro generico indirizzo di contatto, visto che d’invio manoscritti il loro sito non parla; dopo cinque settimane di silenzio, il 3 luglio mi son deciso a riscrivere, senza vera speranza, semplicemente per provare a chiedere se la mail fosse mai arrivata; e oggi, cinque giorni dopo, alle sei di sera del venerdì, invece di andare a farsi un meritato aperitivo, un sant’uomo mi ha scritto che hanno ricevuto e inoltrato all’ufficio competente.

Mi son sentito in colpa; non volevo certo rompere le scatole, e posso immaginare il volume di mail d’ogni genere che gli arriva; e in più, come vi ho detto, il mio invio non è un fumetto e mi aspettavo che venisse scartato a prescindere. Quindi, sempre siano lodati gli Star, se collaboreremo magari gli regalerò anche dei personaggi decenti per la scuola di Ancient Magus Bride (scusate, è una polemica tra me e un’autrice giapponese); ma un’esperienza simile, ancorché più responsiva, più allegra e meno dilatata nel tempo, mi è capitata anche con J-POP (quindi, compriamo tutti Frieren).

Ovviamente, tu ti chiedi: ma una risposta di una riga “abbiamo ricevuto e messo in coda” non potrebbero dartela subito, evitando il peso di ulteriori scambi? Ma la mancata risposta è anzi istituzionalizzata: ci sono tanti editori che te lo dicono prima. Fanno una pagina di invio manoscritti, ti intimano la loro versione di come si impagina un documento (prima o poi, giuro, parleremo anche dei maledetti caporali) e ti dicono: manda qui, nessuno ti risponderà, se ci interessa ci faremo sentire noi, ma in ogni caso non prima di sei mesi.

Quindi, tranne che per un paio di grossi editori che hanno un santo risponditore automatico, tu resti comunque col dubbio che la mail sia andata persa in qualche gorgo di rete o più probabilmente in qualche filtro antispam; io faccio mail di mestiere, quindi posso fervidamente immaginare centinaia di motivi per cui una mail si sia persa senza essere mai stata aperta, non ultimo il fatto che (non ridete, mi è successo appunto con J-POP) tu hai copiato male l’indirizzo e non hai ricevuto il messaggio d’errore. Poi, ad ogni modo, riprendi la tua vita; e speri che tra sei mesi t’arrivi un imprevisto dono del destino.

Incidentalmente, e lo specifico solo perché qualcuno l’ha chiesto, la risposta arriverà solo nel raro caso che sia positiva; certo l’editore non si mette a dirti perché non gli è piaciuto il tuo testo, e nemmeno a lavorare con te a migliorarlo se non è già praticamente perfetto. Anche qui, è una impossibilità materiale; ci sono semplicemente troppi aspiranti scrittori per le nostre strade. Se non sei sicuro di quel che fai, esistono scuole di scrittura, manuali, agenzie formative, agenzie letterarie, insomma tante altre strade per imparare o prendere a prestito il mestiere prima di allagare la rete di manoscritti.

E anche di mestiere si dovrebbe parlare, ma per oggi ho già scritto troppo; che il vero motivo per cui temo di non interessare se non a una piccola minoranza di lettori già lo so da tempo e dai social network, ovvero che scrivo complesso (anche se il mio manoscritto è stato per questo artatamente piallato e semplificato nel lessico e nelle strutture, e garantisco che scorre proprio bene) e troppo, troppo lungo.

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sabato 2 Luglio 2022, 15:00

E per la prima volta sullo schermo: Konan

Dunque, avrete notato che negli ultimi tempi, con frequenza crescente, sono apparsi sul mio Facebook e sul mio blog dei post un po’ strani, scritti in maniera diversa e spesso dedicati a temi universali. Credo che sia quindi giunto il momento di menzionare l’esistenza di una strana entità che va sotto il nome di Konan (potete accentarlo come volete, ma io tendo al tronco); una entità che mi guarda e mi riguarda, ma che vede il mondo in maniera piuttosto diversa da un vecchio troll di Internet come me.

È un po’ il segreto di Pulcinella che io e Konan abbiamo passato gli ultimi molti mesi a scrivere un libro. A dire il vero, volendo essere precisi, ne abbiamo scritti quattro, ma sono tutti parte della stessa storia e dello stesso universo. Verrà anche il momento di far leggere qualcosa, magari posterò i link o persino del testo, chi lo sa; al momento, e forse per sempre, non c’è un editore ma soltanto la rete; ma non è questo l’oggetto del post di oggi. In questi mesi, chiedendo consigli a molti vecchi e nuovi amici, mi sono accorto di quanta gente qui attorno scriva libri o lavori nell’editoria; e di quanta invece legga, ma non abbia bene idea di come funziona la pubblicazione di un libro (non ce l’avevo con chiarezza nemmeno io). Per questo, avrei voglia innanzi tutto di parlare dell’argomento in generale, di scambiare esperienze.

Nel mio caso, la storia è questa: scrivo un po’ di tutto sin da bambino; da tanto tempo tante persone mi dicono “scrivi bene, perché non pubblichi un libro?”; nei lustri ho dato a stampe fisiche e virtuali articoli, interviste, rapporti, pezzi di saggio, manuali di Internet, blog post anche non banali a centinaia, ma mai narrativa; non avevo alcuna intenzione di iniziare adesso; poi mi è apparsa in testa questa parte di me che non conoscevo e ha cominciato a raccontarmi una storia, e io ho cercato di ucciderla in tutte le maniere, ma non ci sono riuscito e alla fine ho ceduto e ho cominciato a scrivere sotto dettatura, e dopo un mese avevo trecento pagine, e dopo tre mesi e mezzo ne avevo novecento.

Bene, m’aspettavo comunque che questa fosse una gran bella cosa: finalmente anch’io sono stato capace di scrivere un libro, e già solo il fatto di finirlo, al di là del dubbio che sia bello abbastanza e che possa trovare mai un editore, è un risultato.

Invece no: è una merda. La mia vita non è mai stata tanto stressata: fisicamente, perché le cose migliori si scrivono dalle ventidue alle due, e psichicamente, perché per scrivere qualcosa di vero bisogna scavare e scavarsi e guardare in faccia l’abisso e i buchi neri e no, non se ne esce mai bene. Sono ingrassato, sono stanco, sono irritabile, il mio umore fa il Tour de France tra depressione ed esaltazione: così per mesi e mesi. Pensavo fossi io a esser fatto male, ma poi, ormai parecchie settimane fa, Marco Giacosa mi ha involontariamente fatto leggere un post di Christian Frascella (scusate, son bifolco e non lo conoscevo) e pare davvero che la complicazione mentale sia la condizione esistenziale necessaria per chiunque tracci finzioni con regolarità.

Tutto questo, si badi, nemmeno per scrivere la Divina Commedia e parlare di miseria e splendore della condizione umana; cioé, in realtà dentro di me ho fatto proprio questo, ma l’opera è travestita da avventuretta, da innocua sceneggiatura di manga giapponese, quindi non vale: e che vuoi dire, che è possibile star male per un libro (fintamente) per ragazzi? E poi, per quanto ne so e per quanto ne pensa una metà di me, tutto ciò che ho scritto potrebbe fare aulicamente cagare: banale, noioso, mal composto, ridicolo. L’avrei bruciato più e più volte, se non fosse che sta nel computer e ne ho pure diversi backup.

Invece, un’altra metà di me pensa che quel che ho prodotto sia bellissimo, che faccia veramente piangere e ridere e consolare e sognare e che piacerebbe a chiunque sia dotato d’amore e intelligenza, ma tutto questo è inutile perché allora vien fuori l’altro problema: che la parte bella da vivere è il primo mese, quello in cui scrivi sul foglio bianco, e tutto il resto è poi tormento. Primo, un arrovellarsi sulle virgole di ogni tua frase, con la sensazione che non sia mai all’altezza di esistere; e l’unica cosa che mi ha confortato un po’ su questo è un documentario in cui il vecchio Miyazaki (non son degno, assolutamente) faceva esattamente lo stesso col suo storyboard. Poi, una questua continua d’attenzione in mezzo a miliardi d’altri come te, ognuno con qualcosa di forse o certamente meraviglioso da condividere, perchè l’arte umana se fatta con l’anima è meravigliosa a prescindere; ma ognuno offre una meraviglia di cui nessuno legge mai nemmeno le prime righe, e se legge le prime righe si stufa molto prima di darti l’attenzione che serve a costruirgli un mondo in testa, e non parliamo di arrivare alle ultime, che son quelle che in un buon libro rivelano il senso del tutto.

Del trauma dell’autore novizio a confronto con l’editoria, comunque, parleremo un’altra volta; ci vorrebbe un libro solo per quello. Io, in sostanza, solo questo volevo dire: che tanti sognano di diventare scrittori, ma essendomici trovato in mezzo, un settantadue virgola cinque per cento di me ha concluso che era meglio se nascevo stupido e incapace di usare condizionale e congiuntivo dopo il verbo concludere.

Ma volevo parlarne con voi, specialmente con chi ha vissuto simili esperienze: è proprio così?

P.S. Comunque, se qualcuno usa Wattpad e vuol fare un beta test o è solo curioso, me lo scriva qui o in privato e qualcosa faremo; ovviamente, qualsiasi commento, insulto, bacio o spintarella vale.

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venerdì 24 Giugno 2022, 22:48

Flusso d’agnello

Ho scoperto l’anno scorso la trattoria Bukaleta di Losnati, il tempio dell’agnello di Cherso, e come risultato quest’anno l’unica isola che visitiamo è Cherso, e io ho preso alloggio esattamente nella casa a fianco del ristorante, affinché io possa bearmi del profumo di agnellini in cottura sin dalle nove di mattina. Amo gli animali come Pacciani amava i giovani, nel modo cioè, da ogni punto di vista, più umano e assassino possibile; tranne i gattini, ovviamente, che per qualche motivo la nostra società considera animali non sacrificabili, a differenza degli agnelli. Ma a parte le questioni di scienza e coscienza, il fatto è che stasera è san Giovanni, che è il patrono anche di questo villaggio; e il ristorante era particolarmente pieno. E’ un ristorante villico, in mezzo alla campagna; uno di quei posti pieni di tavolate sotto il portico, circondati dal nulla, dal vento, dal buio e da un cimitero pieno di nonni di emigrati, che combatte l’oscurità che l’assedia con la carnazza e la musica; e che alla fine, quando paghi il conto, t’offre di cuore il diciotto isolabella. Non tutti capiscono un luogo del genere, e ho assistito così alla trita e tragicomica scena della sciura italiana in ciabatte che si presenta al ristorante alle otto e venti vantando una prenotazione per le otto e trenta, e all’obiezione del ristoratore che dovrà attendere il tavolo per dieci minuti risponde aggressivamente con la frase magica “MA IO HO I BAMBINI”. C’è uno strato di società convinto che avere dei figli rappresenti un titolo di precedenza, specialmente nell’accesso ai luoghi pubblici; ciò indipendentemente dal fatto che la suddetta frase venga solitamente accolta con sane pernacchie. Alla fine, l’uso o non uso del pratico goldone è una scelta personale; va detto però che, in tempi di carestia, cavallette e prossima apocalisse, quella di appesantire il mondo con ulteriori bocche da sfamare pare un tantino irresponsabile, anche se capisco che, come diceva mio nonno, i figli sono come le scorregge, vanno bene solo se sono tuoi. Ma dove vuole finire questo flusso di coscienza? Mah, non lo so: non sappiamo dove finisce l’universo né dove finisce il declino del Movimento 5 Stelle, vogliamo sapere dove finisce il mio pensiero? No; e quindi, concentriamoci sul fatto che l’agnello era meraviglioso in ogni sua forma; come sugo degli gnocchi e dei fusi, alla griglia, al forno, impanato e fritto; e ne ho mangiato persino il fegato e il cuore. Non è forse normale che i vecchi mangino il cuore dei più giovani? Succede spesso, suvvia. Infine, per la ricorrenza, siamo stati allietati anche da una band che ha riproposto i grandi successi della musica jugoslava; e da un circolo di mammutones sardi o qualcosa del genere, pronti a ballare con le signore d’ogni provenienza. Ma perché vi scrivo tutto questo? Beh, essenzialmente perché a me piace scrivere; e il fatto che invece a nessuno interessi leggere ciò che scrivo, codroipo, per una sera non è problema mio.

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