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Archivio per la categoria 'NewGlobal'


lunedì 12 Ottobre 2009, 10:31

Tout le monde est pays

A Ginevra, le elezioni cantonali di questa domenica sono state segnate dalla vittoria dell’MCG, che è quasi arrivato ad essere il primo partito. La particolarità è la natura di questo movimento: oltre a dichiararsi “nè di destra nè di sinistra” e a battere sul tasto della sicurezza, al grido di “basta frontalieri!” e “il lavoro ai ginevrini” esso si oppone alle migliaia di lavoratori francesi che attraversano ogni giorno il confine per andare a lavorare in Svizzera.

Naturalmente, senza i francesi l’economia ginevrina si fermerebbe: niente infermieri e niente commessi. Eppure, la concorrenza sul populismo si fa sempre più forte: anche un altro partito di destra ha cominciato a gridare contro il progetto di una ferrovia per i pendolari che faciliterebbe l’invasione della “marmaglia di Annemasse” (cittadina-dormitorio francese al confine con Ginevra).

Visto dall’esterno, è un discorso ridicolo: Ginevra è circondata dalla Francia su tre lati e sul quarto dal lago, rimanendo collegata alla Svizzera solo per una piccola striscia di terra sul lato settentrionale del Lemano. Anche volendo, non c’è fisicamente spazio per ospitare in città tutte le persone che gravitano economicamente sulla zona: la sua periferia si sviluppa dunque in Francia senza soluzione di continuità. A me capitò anni fa, per esempio, di alloggiare in un albergo costruito a servizio dell’aeroporto: l’aeroporto è in Svizzera, ma l’albergo era in Francia… Oltretutto, da quando anche la Svizzera (lo scorso dicembre) è entrata nello spazio Schengen sono spariti pure i controlli alla frontiera.

Il discorso sull’immigrazione è lungo e complesso, e io non sono certo tra quelli che vogliono frontiere aperte a chiunque senza limiti; in questo caso però il ridicolo sta nel voler considerare immigrati i vicini della porta accanto, solo per colpa di un confine risalente al Medioevo. Colpisce però come, in tempi di crisi, la mentalità del proprio orticello arrivi ad attaccarsi a qualsiasi appiglio, pur di permettere il rassicurante discorso secondo cui non siamo noi ad essere incapaci come collettività di mettere in piedi una economia funzionante e come singoli di trovare un lavoro ben pagato, ma è colpa di qualcun altro che ci invade e ci nega la ricchezza a cui pensiamo di avere diritto per nascita.

[tags]immigrazione, politica, ginevra, svizzera, francia, frontalieri, lavoro[/tags]

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venerdì 9 Ottobre 2009, 11:52

Come buttare nel cesso 115 anni di prestigio

È molto comune, specialmente da noi, inventarsi il premio alla rovescia: l’Ateneo tal dei tali, magari non particolarmente noto per il suo livello scientifico, o il Comune di Piripacchio, che nessuno sa dove stia, chiama uno dei più famosi personaggi di un dato settore e gli concede la laurea honoris causa o lo nomina assessore; ma il vero scopo è fare un bel comunicato stampa sfruttando la fama del personaggio per promuovere l’ente premiante. Alle volte si tratta di personaggi effettivamente di livello, altre volte basta che siano famosi – e giù lauree e premi a Rossi Valentino e Rossi Vasco.

E’ triste vedere come a questa logica si sia ridotto pure il premio Nobel: perché stimo moltissimo Obama e sono sicuro che farà grandi cose per il mondo, ma al momento non è che possa vantare granché nel suo curriculum (anzi, molti dei liberal americani cominciano già ad essere delusi per le sue pronte marce indietro rispetto all’avvenirismo del suo programma elettorale). L’importante dunque non era premiare il migliore, ma finire sulle prime pagine dei giornali grazie alla notorietà del premiato, come un qualsiasi premio di terza categoria; con ciò assumendo che il prestigio del premio Nobel, già un po’ vacillante in un’epoca dove il massimo della stima collettiva è raccolto non dai luminari ma dai campioni dello sport e della musica, sia definitivamente finito giù per il cesso.

Che poi, se il senso era premiare la scelta di un nero alla Casa Bianca, il premio avrebbero dovuto darlo agli elettori americani…

[tags]nobel, premio, obama, pubblicità, prestigio[/tags]

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domenica 4 Ottobre 2009, 08:21

Risposta esatta

Al secondo tentativo, gli irlandesi ce l’hanno fatta ad approvare il trattato di Lisbona. Finalmente hanno capito qual era la risposta esatta alla domanda! Se no gliela si doveva ripetere ancora una volta…

[tags]lisbona, unione europea, irlanda, risposta esatta[/tags]

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sabato 3 Ottobre 2009, 09:57

Obama go home

Ieri si assegnavano le Olimpiadi 2016 e la suspense era tutta per la sfida tra Rio de Janeiro e Chicago: da una parte una delle città più affascinanti e favolose del pianeta, in una delle grandi nazioni emergenti (l’unica delle prime dieci economie mondiali a non aver mai ospitato i Giochi, sottolineava Lula) e in un continente a cui mai, nella storia, le Olimpiadi erano state assegnate; dall’altra la città del presidente Obama, spinta dalla pressione degli sponsor e dei media americani.

Onestamente, a chiunque osservasse le cose con imparzialità, la scelta pareva ovvia. Solo un americano poteva pensare che una città statunitense di seconda scelta (manco hanno candidato New York o Los Angeles…) potesse prevalere su Rio, ma anche su Tokyo o sulla capitale europea di turno. Era successo solo per Atlanta, ma lì dall’altra parte c’erano Atene, Manchester e Toronto, mica Rio, Madrid e Tokyo; e nonostante questo già quella volta l’assegnazione era stata considerata un mezzo scandalo, con il CIO accusato in tutto il mondo di essersi venduto ai soldi della Coca-Cola – certo una esperienza che il CIO non avrebbe ripetuto volentieri.

E solo un americano poteva pensare che mandare il Presidente e sua moglie a far propaganda per la loro città di residenza, peraltro andandosene prima del voto, potesse aiutare la causa: in realtà ha fatto sembrare che gli Stati Uniti considerassero le Olimpiadi con tale sufficienza da poterle usare come regalino politico del loro Presidente per amici d’infanzia e sostenitori stretti, e fossero talmente sicuri di questo da non degnarsi nemmeno di restare qualche ora in più per assistere al voto, tipo “siamo venuti e vi abbiamo detto cosa dovete fare, ora fate i compiti, da bravi”.

Un tale coacervo di arroganza è stato commentato chiaramente dai membri del CIO: Chicago, la favorita, fuori al primo turno. E dato che nei corridoi di queste organizzazioni internazionali chi vota per chi è deciso e noto a tutti in anticipo, non è assolutamente un caso, ma un messaggio chiaro: Obama go home.

L’unica nota negativa di questo risultato è che i giochi 2020 saranno certamente nel Nord del mondo, dunque (a meno che gli americani non si sveglino ricandidando New York) quasi certamente in Europa, e, dato che è dal 2004 che non ci candidiamo mentre nel frattempo le altre grandi nazioni europee ci hanno provato più volte, è facile presumere che una candidatura italiana per il 2020, sospinta da nuovi appetiti di cemento, possa avere discrete chance. Infatti, stamattina già litigano Alemanno e Cacciari: Roma o Venezia? Aspettando le inevitabili candidature aggiuntive di Milano e Napoli, ci sarà da divertirsi.

[tags]olimpiadi, rio, chicago, obama, atlanta, roma, venezia[/tags]

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venerdì 18 Settembre 2009, 17:52

America, pimpami la storia

Oggi mi è capitata per caso nella playlist una vecchia (del 2004) canzone di Morrissey, America is not the world; in piena era Bush, Morrissey – con un sarcasmo davvero coraggioso per il mercato musicale anglosassone – si rivolgeva direttamente all’America invitandola a “stare al suo posto” e dicendole letteralmente “sai dove ti puoi ficcare il tuo hamburger?”. E poi aggiungeva: “America, la terra della libertà, dicevano, e delle opportunità, in modo giusto e per davvero; ma dove il presidente non è mai nero, donna o gay, e fino a quel giorno non c’è nulla che tu possa dirmi, America, per aiutarmi a credere nell’America”.

Ecco, sono passati cinque anni e tutto questo è già passato, è già stato ridicolizzato dalla storia. Morrissey non era certo l’unico a non crederci, anzi non ci credevano nemmeno gli intellettuali neri: quest’estate vedevamo una meravigliosa puntata della prima stagione dei Boondocks (2005), quella in cui Martin Luther King resuscita e si schifa a vedere come sono diventati puerili e ignoranti i neri americani, che si conclude prevedendo “il primo presidente nero Oprah Winfrey nel 2020”, e aggiungendo “ma è soltanto un sogno”.

Riconoscendo dunque agli americani, con tutta la loro innocente e violenta arroganza, quella capacità di fare la Storia che ai popoli europei da troppo tempo manca, penso che sarà interessante vedere se si avvererà presto anche l’augurio del secondo pezzo dello stesso disco di Morrissey, Irish blood, English heart, quello che si conclude dicendo “Sto sognando da un po’ il momento in cui gli inglesi saranno mortalmente stufi dei laburisti e dei conservatori, e sputeranno sul nome di Oliver Cromwell, e daranno il benservito a questa linea reale che ancora lo omaggia e lo omaggerà per sempre”. Chissà…

[tags]musica, storia, stati uniti, america, morrissey, bush, boondocks, inghilterra, caparezza[/tags]

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giovedì 17 Settembre 2009, 15:27

Che la guerra continui

Oggi, con quello che è successo a Kabul, è un momento particolare per parlare di guerra.

Io credo nel pacifismo e nel ripudio della guerra, nella riconversione delle spese militari, e anche nel fatto che le attuali “missioni di pace” siano funzionali a un modello politico-economico colonialista, basato sulla crescita indefinita e insostenibile del PIL, e siano dunque decise soprattutto in base agli interessi economici; sono molto fiducioso sul fatto che la decrescita possa portare pace.

Tuttavia, credo che la posizione che rifiuta l’uso della forza militare sempre e comunque sia ipocrita: senza l’uso della forza oggi saremmo tutti nazifascisti. Dubito molto che l’autodifesa nonviolenta, a fronte dell’invasione da parte di un esercito nemico o di una guerra civile in corso, possa vincere da sola: dunque ci sono delle condizioni in cui un esercito è necessario.

Ricordo la posizione di un grandissimo europeo quale fu Alexander Langer, certo non tacciabile di militarismo, quando andò a vedere Tuzla dopo la strage e ne tornò con il grido di denuncia dei bosniaci, “siamo attaccati da un regime nazionalista che ci vuole sterminare e voi europei non fate nulla, dunque siete loro complici”. Lui lo sottoscrisse e invocò l’intervento armato dell’ONU, e per uno che aveva diretto Lotta Continua e fondato i Verdi ed era divenuto leader riconosciuto dei primi movimenti ecologisti e pacifisti d’Italia fu una posizione difficile, che lo portò all’isolamento e che forse fu una delle cause del suo suicidio. Ma sono profondamente convinto che avesse ragione.

Dunque credo che rifiutare per principio qualsiasi uso delle armi sia una posizione semplicistica, talvolta addirittura egoista, che per evitare di affrontare il dilemma scomodo – esistono condizioni in cui l’uso della forza è il male minore? – abbandona al loro destino interi popoli. E credo che una volta che si sono spedite delle truppe dall’altra parte del mondo – truppe scelte sì, magari anche con qualche esaltato, ma in generale fatte di persone che lo fanno come lavoro, talvolta per mancanza di alternative, spesso anche con grande convinzione sul valore positivo della loro missione – sia doveroso non abbandonarle al loro destino: ogni appello al ritiro in queste condizioni è una coltellata alle loro spalle, e incita gli attentatori ad altri attentati, perché dà ad essi la speranza di poter vincere il conflitto in questo modo.

Abbandonare intere parti del mondo nelle mani di una cultura profondamente antidemocratica e autoritaria come quella integralista islamica – quella in cui i genitori ammazzano le figlie perché frequentano un non musulmano – mi sembra una idea ributtante, nonché un modo per preparare conflitti più grandi per il futuro, esattamente come successe quando l’Europa, per evitare lo scontro, non reagì alle prime annessioni del nazismo.

Ricostruire un mondo pacifico al posto di un mondo di conflitti è una impresa che richiede cambiamenti profondi nel modo di pensare, dunque richiede molte generazioni; richiede anche dialogo, integrazione, la costruzione di una cultura profondamente rispettosa delle diversità di tutti. Ma non può tradursi nel rifiuto delle responsabilità, anche militari, che toccano ai paesi più sviluppati. Probabilmente in Afghanistan non ci dovevamo andare, forse si poteva ottenere qualcosa con la diplomazia e con più pazienza – del resto molti regimi autoritari si stanno democratizzando quasi (quasi!) senza uno sparo, come la Russia e la Cina. Eppure non penso che possiamo permetterci da subito di rifiutare per principio qualsiasi uso delle armi: sarebbe una posizione bella, appagante per noi e per le nostre coscienze, ma irresponsabile per persone che, come chi fa parte del movimento di Grillo, potrebbero trovarsi prima o poi ad avere responsabilità pubbliche.

[tags]guerra, pacifismo, crescita, pace, onu, afghanistan, bosnia, langer, grillo[/tags]

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lunedì 14 Settembre 2009, 16:03

Storia di una ranocchia

[tags]cambiamento, ranocchia, olivier clerc, nuovo ordine mondiale[/tags]

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venerdì 11 Settembre 2009, 13:47

Lo sgombero della Clinica San Paolo

Questa mattina è infine cominciato lo sgombero della Clinica San Paolo, occupata da mesi da centinaia di immigrati profughi del Corno d’Africa; sono passato verso le 11 a vedere com’era la situazione e a fare qualche fotografia.

Prima, dunque, i fatti: la situazione era assolutamente tranquilla. I vigili hanno chiuso il controviale di corso Peschiera; un ampio spiegamento di mezzi “pacifici” (vigili, pompieri, Protezione Civile, GTT e addirittura la società Autostrade; presumo che i rappresentanti dei profughi, come già per via Asti, abbiano chiesto che non ci fosse alcun genere di polizia, nemmeno quella stradale) permette di gestire la situazione. Gli immigrati stanno in vari capannelli per strada, poi a gruppi si mettono in coda presso un tendone della Protezione Civile dove vengono controllati, schedati e indirizzati sui pullman, che sono normali bus GTT su cui per l’occasione hanno messo un cartello con scritto “VIA ASTI – TORINO” (giusto se a qualche profugo venisse il dubbio su dove lo portano… se ci fosse invece scritto “CORSO BRUNELLESCHI – TORINO” non salirebbero). C’è anche un camion del Gabrio, presidiato da due centrosocialisti di numero, con uno striscione “DIRITTI PER LE/I MIGRANTI” e un impianto sonoro da centanta watt che spara musica orrenda.

Tutto bene, dunque, anche se allo sguardo non abituato colpisce un contrasto: da una parte i balconi e quel poco che si riesce a sbirciare dell’interno sembrano rovinati, mezzi spaccati, pieni di masserizie e rifiuti di ogni genere; dall’altra gli immigrati sembrano quasi tutti dei piccoli lord. Sono vestiti bene, talvolta anche eleganti, con vestiti apparentemente nuovi o nuovissimi; non si muovono con borse sdrucite e valigie di cartone, ma con i trolley da aereo; non spostano povere cose, ma anzi ho visto due di loro uscire con in braccio un grosso televisore, come se stessero facendo un normalissimo trasloco, e alcuni ingannavano l’attesa ascoltando musica dal loro iPod. Insomma, non sembrano miliardari ma nemmeno poveracci, sembrano persone con un livello di vita comparabile al nostro.

Prevedibile la reazione degli abitanti delle case circostanti, che sono spaccati in due: le vecchiette piangono di gioia come se gli fosse nato un nuovo nipotino; i vecchietti osservano in silenzio, ma se gli vai vicino commentano a mezza voce “Migranti di merda” e “Finalmente fuori dalle balle”.

A questo punto è giunta l’ora delle foto, che nell’ordine rappresentano: 1) veduta d’insieme; 2) alcuni balconi pieni di masserizie abbandonate, alcuni con le tapparelle piegate o sradicate; 3) un altro po’ del parco mezzi dispiegato per l’occasione; 4) gli immigrati in coda al tendone della Protezione Civile; 5) il bus su cui vengono fatti salire gli immigrati; 6) un altro po’ del dispiegamento di mezzi; 7) la via laterale piena di capannelli di gente, da un lato gli immigrati e dall’altro gli abitanti del quartiere; 8) i bagagli degli immigrati, in attesa di essere caricati; 9) un immigrato in attesa con il suo iPod; 10) un altro po’ di mezzi e il furgone del Gabrio.

clinicasanpaolo.jpg

Ora, se mi permettete, un piccolo commento. In Italia è difficile avere una discussione razionale sull’immigrazione; se parli con una persona di sinistra ti dirà che agli immigrati tutto deve essere concesso e pagato da noi, se parli con una di destra tirerà fuori il razzismo più bieco e augurerà la morte ai bambini sui barconi. La via normale e adottata ovunque nel mondo, cioè quella di stabilire la quota massima di immigrati che una società può accogliere senza dar luogo alla guerra civile e farla poi rispettare, pretendendo e imponendo nel contempo un rispetto ferreo delle leggi del posto da parte di chi vi si stabilisce, in Italia sembra fantascienza; è “razzismo” per quelli di sinistra e “lassismo” per quelli di destra. Eppure, un principio base dello stato di diritto è che le persone non si giudicano in massa, per il gruppo sociale a cui appartengono, ma individualmente per i loro comportamenti.

In questo caso, purtroppo, i comportamenti – aizzati da quell’altra banda di brava gente dei centri sociali – sono davvero censurabili. Occupare una struttura privata è già deplorevole, anche se è deplorevole pure lasciare abbandonato un palazzo in piena città invece di sfruttarlo per qualcosa di utile. Ma devastarla in ogni modo, pisciare per strada, girare ubriachi, impedire alle persone di aspettare il pullman, passare metà delle notti ad organizzare festoni con musica ad alto volume e l’altra metà ad accoltellarsi con successivo accorrere di volanti e ambulanze – come può testimoniare qualsiasi abitante della zona – non è accettabile da parte di nessuno, immigrato o italiano che sia.

E’ vero che questi sono in buona misura profughi – persone verso cui noi abbiamo un obbligo internazionale di assistenza, a cui loro hanno diritto. Ciò non vuol dire, tuttavia, che l’obbligo debba andare oltre il ragionevole. Non vuol dire che noi torinesi dobbiamo risolvere il problema per tutti, attirando qui tutti i profughi d’Italia. Non vuol dire che il mancato e immediato rispetto dei loro diritti li autorizzi a tenere in ostaggio un quartiere per un anno. Non vuol dire che possano fare gli schizzinosi e lamentarsi perché nella sistemazione che gli viene gratuitamente fornita a nostre spese le camerate sono troppo grandi e vige il divieto di cucinare in camera.

Certo non ci si può lamentare solo dei profughi: tanti italiani ci hanno fatto una pessima figura, dagli abitanti di via Asti con le loro argomentazioni contro lo spostamento – riassumibili in gran parte come “noi siamo troppo ricchi, affibbiateli a qualcuno di più povero” – agli intellettuali che si sono schierati per l’accoglienza a ogni costo tanto non la pagano loro, per giungere a chi – sindaco e prefetto in testa – ha prima ignorato il problema nonostante i diritti dei profughi non si scoprano ora, e poi permesso che una situazione del genere potesse nascere e marcire.

La cosa che non è accettabile, però, è che questo gioco di scaricabarile finisca sulle spalle di pochi: quelli che hanno la sfortuna di abitare vicino al luogo designato e che hanno visto le loro notti diventare insopportabili, le loro case svalutarsi e i loro negozi chiudere, mentre tutti gli altri erano impegnati nelle discussioni di principio. Oltre che dei diritti degli immigrati, qualcuno dovrebbe anche occuparsi dei diritti dei cittadini italiani.

[tags]immigrazione, profughi, somalia, torino, via asti, clinica, san paolo, sgombero, centri sociali, diritti, doveri[/tags]

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mercoledì 19 Agosto 2009, 14:29

Un paese serio

Trovo molto interessante questa storia riportata ieri da La Stampa: parla di una ragazzina olandese di tredici anni che ha un sogno, quello di essere la più giovane persona della storia a circumnavigare il globo in solitaria. In barca ci è nata e cresciuta, figlia di due genitori appassionatissimi che hanno impegnato ben cinquantamila euro per comprarle una imbarcazione adatta alla sua impresa e permetterle di realizzare il suo sogno: ora è pronta a partire, ma si scontra con la burocrazia ministeriale che non vuole darle il permesso di assentarsi per un anno da scuola.

Quale sarebbe la nostra reazione se un caso del genere avvenisse in Italia? Beh, è facile immaginarlo. Innanzi tutto, fiorirebbero i fan club e le raccolte di fondi per avvicinare la ragazza al suo sogno; lei e i suoi genitori sarebbero invitati ad almeno mezza dozzina di trasmissioni televisive per raccontare la loro storia. Probabilmente qualche azienda sponsorizzerebbe il viaggio, provvedendo alle riprese e trasformandolo poi in un documentario, uno spot, un tormentone. Quanto al ministero dell’Istruzione, probabilmente non si sarebbe nemmeno accorto dell’assenza della ragazza da scuola – in fondo esistono intere parti del Paese dove un buon numero di tredicenni passano le mattinate a fare da palo per le rapine invece che a scuola – ma se anche avesse provato a sollevare il problema, subito almeno venti parlamentari di ogni colore avrebbero provveduto con interpellanze e pubbliche interrogazioni a combattere la scandalosa ottusità nel voler applicare le regole alla lettera, senza nemmeno quel po’ di buon senso che serve ad ammettere l’eccezione per “tentato record del mondo”.

L’Olanda, invece, è un paese serio: dunque il ministero ha fatto notare ai genitori che, dato che la scuola è un obbligo fino a sedici anni, la ragazza non può assentarsi per un anno senza un giustificato motivo – e un tentativo di entrare nel Guinness dei Primati non è considerato un giustificato motivo. Quando i genitori hanno suggerito che la ragazza poteva studiare mentre navigava e comunicare con gli insegnanti via Internet, il ministero ha risposto che certamente sono state concesse eccezioni e possibilità di insegnamento a distanza in passato, ma che pare un po’ difficile che una ragazza che debba guidare da sola una barca attraverso gli oceani del mondo abbia il tempo e la voglia di studiare seriamente. Dunque, concludono le autorità, o la ragazza rinuncia e frequenta la scuola oppure loro spediranno gli assistenti sociali a occuparsi di due genitori talmente irresponsabili da pensare di far saltare un intero anno di scuola dell’obbligo alla loro figlia.

E non finisce qui: stando alle notizie, non solo non ci sono state raccolte di firme e manifestazioni contro le ingiuste leggi e pro libertà di navigare, ma quasi l’80% degli olandesi è d’accordo con la posizione del ministero. Davvero un altro pianeta…

[tags]italia, olanda, istruzione, record, barca[/tags]

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giovedì 16 Luglio 2009, 16:21

Nudi nell’oceano che sale

Scommetto che volete ancora sapere qualcosa di Beppe Grillo, dopo che in tre giorni ha ridicolizzato il PD, messo in rivolta metà degli elettori del centrosinistra contro la loro dirigenza e conquistato tutte le prime pagine con una semplice idea nata sotto gli ombrelloni.

A questo proposito, vi suggerisco di leggere l’intervista al Corriere e poi di fare mentalmente un confronto tra l’idea grillina di politica basata sul “leader autorevole” – un rapporto diretto tra una persona e le masse, che però vive sempre sul filo del rasoio in quanto alla prima stronzata le masse sputtanano il leader su Internet – e l’idea piddina di politica basata sulla compravendita di tessere a Napoli.

“Populista” è il termine che usano i politici di ogni colore (ma specialmente quelli della sinistra classica) per riferirsi a chiunque si interessi dei problemi della gente; già perché per la sinistra la gente non ha mai problemi, a patto che voti per loro aderendo così al mitico, utopico progetto di grande società giusta e perfettamente regolata. Per esempio, la criminalità legata all’immigrazione è un problema che per la sinistra non esiste, in quanto nella società giusta e perfettamente regolata tutti gli immigrati sono poveri sfruttati a cui dobbiamo risarcire gli indubbi millenni di sfruttamento eurocentrico. L’immigrato violento, criminale o antisociale sarebbe per la sinistra un “syntax error” che non può essere ammesso, dunque se qualcuno ne ipotizza l’esistenza è senz’altro un razzista, e se questo qualcuno porta delle prove con cui ne dimostra l’esistenza nella realtà, è la realtà ad essere sbagliata.

Questa mentalità presuntuosa ed elitaria è tuttora profondissima in tutti i vari rami della sinistra; il massimo che il PD è arrivato a fare, capendo di essere fuori mercato e a fronte del rischio di dover mollare le poltrone, è stato quello di adottare posizioni liberiste e berlusconiane senza capirle, dunque ripetendole a pappagallo e provocando il famoso effetto “piuttosto che comprare Ben Cola allo stesso prezzo della Coca Cola, prendo quella originale”, cioè facendo spostare stabilmente verso destra gli italiani e garantendo a Berlusconi la polizza vita di cui parla anche Beppe.

Dunque non stupisce che il PD giudichi populista l’idea che i propri tesserati e simpatizzanti possano votare o non votare per il candidato segretario che pare a loro, sceso in campo direttamente tramite i media e senza tante formalità, al di fuori dell’agghiacciante schema piramidale di feudatari, vassalli e valvassori di cui sono fatti oggi tutti i partiti. La risposta del PD è altrettanto agghiacciante: difatti, invece di aprire un dibattito politico o di contestare a Beppe la differenza di vedute (contestazione peraltro impossibile, dato che le liste a cinque stelle hanno un programma modernissimo e pendente a sinistra, mentre il PD non ha un programma o un’idea che sia una per il futuro del Paese), si sono attaccati alle regole della piramide: e non è residente qui, e il comma nove dell’articolo 3, e insomma non è possibile che uno così possa pensare di candidarsi e avere seguito tra i nostri elettori, e se nella realtà ciò avviene vuol dire che è sbagliata la realtà.

Eppure è proprio l’idea di società a piramide che è morta, sepolta dall’avvento della rete e della società orizzontale, peer to peer, che essa promuove e propaga; e con essa muoiono le regoline e le regolette con cui pochi umani pretendono di decidere per tutti gli altri, dato che le regole di partito non possono opporsi a cambiamenti sociali epocali più di quanto non si possa far girare il sole attorno alla Terra per decreto. Naturalmente ci vorranno ancora decenni, e naturalmente, se il residuo potere riuscirà a controllare e sovvertire le basi della rete, il cambiamento non avverrà mai. Ma il crollo prossimo del partito depressocratico è un altro segnale: se le si dà abbastanza tempo, a forza di ondate, l’acqua distrugge anche la roccia più solida.

[tags]beppe grillo, pd, politica, populismo, sinistra, società, rete, internet, gerarchia, erosione[/tags]

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