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Archivio per la categoria 'NewGlobal'


sabato 26 Luglio 2008, 08:54

Giocando coi computer

Siccome oggi sono in viaggio, vi lascio sul blog qualcosa da scoprire: un videogioco per PC di qualche anno fa. Si chiama Big Rigs: Over The Road Racing, e, come racconta la scatola, permette al giocatore di compiere una folle corsa per le strade degli Stati Uniti alla guida di un enorme camion, con lo scopo di consegnare il carico prima degli avversari e a qualsiasi costo, evitando gli inseguimenti della polizia.

Peccato che, una volta aperto, si scopra che il gioco ha alcuni piccoli problemi. Per esempio, il camion, apparentemente renderizzato da un Atari 2600, non ha alcun carico da consegnare, nè è possibile ottenerne uno. Questo comunque non impedisce al giocatore di gareggiare, visto che il suo camion può comunque completare il percorso e, nel caso arrivi primo, vincere la coppa:

Yourewinner-38601.jpg

Certo, la vittoria è un po’ sgrammaticata, perché in inglese come in italiano ci vorrebbe un qualche tipo di articolo o pronome prima di “winner”; ma volete mettere la soddisfazione di alzare la coppa? ammesso che ci riusciate, naturalmente, visto che come si vede dall’immagine la coppa ha tre maniglie, forse quattro, e deve quindi essere stata progettata per un camionista alieno.

Comunque, alle volte la vittoria sarà più facile di come sembra, perché il controllo di posizione è buggato e, nei circuiti circolari, la vittoria vi verrà assegnata prima ancora che partiate. Ma anche se doveste disputare veramente la gara, non preoccupatevi: potete tranquillamente tirare diritto, visto che gli ostacoli – case, pali, staccionate, muri… – apparentemente sono inconsistenti, e il vostro camion potrà passarci tranquillamente attraverso. Certo, ciò è problematico per i ponti, visto che anche se li imboccate sprofonderete e discenderete il costone della valle, ma poi lo potrete risalire senza problemi: difatti, il vostro bestione si inerpica senza minimamente rallentare su qualsiasi pendenza del terreno, anche verticale. State solo attenti a non oltrepassare le montagne che cingono lo scenario di gioco, perché finireste per addentrarvi all’infinito dentro un inquietante nulla grigio. Se però foste in ritardo, avete comunque un trucco a vostra disposizione: infilando la retromarcia, il vostro camion comincerà ad accelerare, ed accelerare, ed accelerare, arrivando a indietreggiare a una velocità (secondo il display del gioco) di diversi milioni di chilometri all’ora; ma basterà rilasciare il tasto perchè il camion si fermi di botto.

In ogni modo, anche tutti questi piccoli dettagli saranno insufficienti a mettervi in difficoltà: perché, vedete, c’è anche il problema che manca l’intelligenza artificiale dell’unico altro concorrente della gara, per cui esso rimarrà fermo prima della linea di partenza, permettendovi agevolmente di vincere in qualsiasi caso, vista anche la totale assenza di altri veicoli, tra cui la millantata polizia; e di ripetere l’esperienza nei ben cinque circuiti del gioco, anzi quattro perché selezionando il quinto il gioco si pianta e ritorna al menu iniziale.

Crediateci o no, non è uno scherzo: questo gioco è stato veramente collocato sugli scaffali dei negozi nel Natale del 2003, e distribuito addirittura da Activision (che ormai, detto fra noi, è diventata una classica EvilMegaCorp: basta vedere come ha devastato Guitar Hero da quando l’ha preso in mano). Pare abbia anche venduto discretamente, se non altro per le palle marchettare stampate sulla confezione.

C’è chi dice che sia stato un esperimento, per vedere quante copie di un gioco non funzionante si potevano vendere semplicemente con il marketing e la spinta sui canali distributivi; o addirittura che sia stata una geniale mossa commerciale per realizzare un gioco talmente brutto da far parlare di sé (infatti ha vinto premi a mani basse come peggior gioco di tutti i tempi: qui la leggendaria video-recensione di GameSpot) e quindi da venire acquistato per tale motivo.

La realtà è che la compagnia che lo ha prodotto, tale StellarStone, si vanta del proprio modello di business: affittare ad aziende occidentali giovani programmatori russi per un costo che è una frazione del normale. In pratica, la realizzazione del gioco è stata subappaltata in Russia con un budget con cui, al giorno d’oggi, si fa a malapena il sito Web di una salumeria; naturalmente il risultato non è stato particolarmente aderente alle aspettative, ma in fondo ai manager non importava, tanto bastava mettere la scatola sugli scaffali e qualcuno l’avrebbe comprato lo stesso.

E’ veramente incredibile pensare che ci possa essere qualcuno, nei paesi sviluppati, che basa il proprio business sulla competitività dei propri prodotti software, ma che poi per risparmiare va a dare in outsourcing l’implementazione a sconosciuti sviluppatori del secondo e terzo mondo, solo perché costano di meno e promettono di realizzare lo stesso prodotto per un quarto del prezzo. E’ solo alla fine che si scopre che, purtroppo, non è lo stesso prodotto.

E’ davvero incredibile, eppure è la politica che adottano i tre quarti delle software house italiane che conosco direttamente, comprese quelle con piani di competizione mondiale…

[tags]videogiochi, big rigs, peggior gioco di tutti i tempi, outsourcing, programmazione[/tags]

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domenica 6 Luglio 2008, 09:02

Tra la rete e il West

Come lettura domenicale, vi lascio il mio articolo pubblicato su Nòva – il supplemento del Sole 24 Ore – una decina di giorni fa. Sperando che venga letto e capito… (non certo come ha fatto Mantellini, che invece di discutere il progetto si è messo a commentare una sua idea di carta dei diritti che è ben diversa da quello di cui si sta discutendo).

Poche settimane fa, quando l’Agenzia delle Entrate decise di pubblicare su Internet i redditi di tutti gli italiani, anche l’Italia scoprì un problema fondamentale: gli equilibri tra diritti raggiunti nell’era analogica non si applicano poi così bene all’era digitale. Pochi mesi prima, anche l’Estonia aveva dovuto fronteggiare una nuova sfida, quando in mezzo a una crisi politica con la Russia la sua infrastruttura di rete – e con essa il sistema bancario, quello energetico e praticamente tutta la vita nazionale – si era ritrovata sotto un attacco informatico di tipo militare, proveniente non da uno Stato ma da non meglio precisati hacker. Nel frattempo, da entrambi i lati dell’Atlantico, Parlamenti, aziende, organizzazioni e privati cittadini si confrontavano su termini nuovi e ancora tutti da definire, come neutralità della rete o diritto di accesso all’informazione.

Le cronache internazionali di questi anni sono piene di discussioni e di esempi su come i modelli di governo del pianeta, basati sulla sovranità nazionale, siano stati messi in crisi da Internet e dalla globalizzazione. Oggi un ventenne californiano può scrivere Napster e segnare il destino di una industria multimiliardaria, mentre la decisione di un motore di ricerca di retrocedere certi siti in fondo ai propri risultati può costituire uno strumento di censura globale privo di controllo.

Internet è nata col mito di un mondo senza regole; nello spirito del Far West, molti dei suoi fondatori ritenevano che la rete si potesse governare da sé. Altri, specialmente tra le grandi corporation americane, si sono accodati a questa visione per interesse, sapendo che le regole avrebbero soltanto limitato il loro potere di indirizzare il mercato a proprio vantaggio. La realtà ha dimostrato che, senza regole, la società globale dell’informazione che ci attende sarà ben grama, basata sull’arbitrio di attori che non rispondono a nessuno e sul dominio di chi dispone delle migliori potenzialità tecniche.

Da alcuni anni, nelle sedi delle Nazioni Unite, ci si chiede quali possano essere le forme di governo adatte a questa nuova era. Ora, la caratteristica fondamentale di Internet, che la differenzia dalla televisione e dal telefono, è la bidirezionalità; la libertà di iniziativa attribuita ai suoi utenti, che possono usarla per trasmettere i propri contenuti e distribuire le proprie innovazioni, senza attendere l’approvazione di una telco o di un ministero.

In un’era in cui tutto è correlato con tutto e in cui miliardi di persone possono agire direttamente, l’unica forma di governo che funziona è il consenso: la creazione di sforzi collaborativi in cui attori di tipo diverso – nazioni, aziende, NGO, singoli individui – spingano volontariamente nella stessa direzione. Da sempre, gli standard tecnici della rete nascono in questo modo; è possibile che nello stesso modo nascano anche le sue regole sociali?

Questa è la sfida dell’Internet Governance Forum, una conferenza ONU che rompe con le paludate strutture del passato, ammettendo a partecipare sullo stesso piano il rappresentante della Repubblica Popolare Cinese e Vint Cerf, Microsoft e un hacker giapponese; con la convinzione che le soluzioni ai problemi del mondo possano venire solo con un confronto aperto di idee tra tutti gli interessati, e con un lungo processo di costruzione di consenso.

Nel più pieno spirito della rete, all’IGF entità molto diverse tra loro cominciano a capirsi, e a trovare punti di contatto: nascono così le coalizioni dinamiche, gruppi eterogenei ed aperti di partecipanti che condividono un obiettivo, o anche solo la volontà di discutere un argomento. In rete, il progresso si verifica quando una quantità sufficiente di persone capaci è sufficientemente motivata da farlo avvenire; la chiave del futuro non è quindi tanto il gioco della diplomazia o l’imposizione di leggi, quanto la facilitazione di un incontro tra persone capaci e motivate. Questo è appunto lo scopo delle coalizioni dinamiche.

Certo, non tutto l’esperimento funziona a dovere; proprio per le resistenze di chi tradizionalmente domina la società e l’economia di Internet – Stati Uniti in testa – l’IGF è privo della capacità di ufficializzare risultati; molte coalizioni dinamiche sono ancora in uno stato embrionale.

Tuttavia, un’idea ha raccolto finora ampi consensi: quella lanciata da Stefano Rodotà, ossia lo sviluppo di una Carta dei Diritti della Rete. Si tratta di una Carta che però non è affatto la riproposizione delle Costituzioni monolitiche del secondo millennio; è invece l’evoluzione dei processi sfilacciati e distribuiti che hanno portato all’Unione Europea, basandosi sull’idea della coalizione dinamica: raggiungere accordi specifici e codificarli per compiere un piccolo passo in avanti, grazie al patrocinio ONU e sperabilmente all’istituzione di un Alto Commissario sulla questione.

Passo dopo passo, il risultato sarà quindi un corpus di documenti tra loro eterogenei, ognuno pieno di eccezioni e di idiosincrasie, alcuni di alto livello e alcuni di prescrizione quotidiana, alcuni approvati a livello internazionale e altri entrati nell’uso come buone prassi, ma tutti nel loro complesso tali da costituire la descrizione esaustiva dei diritti e dei doveri degli utenti della rete.

L’Italia, in questo, vive un paradosso; da una parte è in Europa il Paese più arretrato nella comprensione di questi fenomeni, e la sua crisi sociale ed economica ne è il sintomo evidente; dall’altra, tramite alcune individualità di eccellenza, è leader nelle conferenze internazionali.

E’ quindi davvero auspicabile che si crei un canale di comunicazione tra l’Italia e il mondo, attraverso un confronto costante tra la sua classe dirigente, politica e imprenditoriale, e chi comprende e disegna queste dinamiche globali. Se poi l’occasione del G8 in Sardegna si rivelerà propizia per aumentare la visibilità di questi temi anche agli occhi dei grandi del pianeta, l’Italia avrà dato un contributo storico: quello di proporre al mondo un modello alternativo di governo della globalizzazione, opposto ai ricordi neri delle strade di Genova.

[tags]nova, carta dei diritti, rodotà, igf, internet governance, globalizzazione, g8[/tags]

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giovedì 3 Luglio 2008, 16:48

La più grande trollata della storia

Questa la bloggo subito, così non ve la perdete: la signora Amabile, di cui già parlammo esaustivamente, oggi ha avuto la bella pensata di fare un post per denunciare la terribile usanza dei musulmani di sposare bambine di un anno e poi violentarle quando ne hanno nove (anche la Amabile ogni tanto parla male degli immigrati; la regola infatti è che immigrato = povera vittima da giustificare a qualsiasi costo, a meno però che sia maschilista, nel qual caso diventa un porco maschio sciovinista da mandare immediatamente al rogo). Naturalmente, per quanto l’Islam sia pieno di integralisti che sostengono le peggiori assurdità (ma non è che manchino i predicatori cristiani di pari demenza), nessuna persona sana di mente crederebbe che nei paesi arabi le persone usino comunemente sposare bambine di sei anni e poi farci del sesso; e però qui c’è la prova: un video tradotto nientepopodimenoche da un ufficiale del Mossad, fonte assolutamente imparziale! Quindi l’isteria collettiva si è scatenata, invocando impiccagioni e pene di morte.

Ma non è tutto, perché verso la terza o quarta pagina di commenti (partendo dalla fine; nell’orrendo sistema della Stampa bisogna andare a mano fino all’ultima pagina e leggere tutto al contrario) salta fuori un troll galattico, che si firma Nabil, che fa la parte del musulmano caricaturale dei sogni di Borghezio. Di lì in poi, scatta il finimondo e decine di italiani medi cominciano a sbavare trottando, gettando allo stesso tempo una luce inquietante su quanto siano scarse le possibilità che a Torino non si verifichino scontri etnico-religiosi nei prossimi anni.

Comunque, se vi muovete, fate ancora in tempo a partecipare…

[tags]islam, religione, la stampa, amabile, troll[/tags]

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giovedì 26 Giugno 2008, 14:07

Nòva oggi

Essendo a Parigi non ho modo di controllare; comunque, se tutto è andato come doveva, il numero di oggi de Il Sole 24 Ore dovrebbe contenere il suo solito supplemento telematico del giovedì, Nòva, dedicato questa settimana alla Carta dei Diritti della Rete. Ci dovrebbe persino essere un mio articolo, naturalmente pregno di significati e di grandi auspici, oltre che di informazioni interessanti. Se a qualcuno interessa, basta passare in edicola prima di stasera.

[tags]nova, il sole 24 ore, carta dei diritti della rete, internet bill of rights[/tags]

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martedì 24 Giugno 2008, 13:58

Facciamoci riconoscere

Immagino che anche voi sarete rimasti un po’ colpiti dall’ubiquo spot della Fiat, con Richard Gere che guida una macchina da Hollywood fino in Tibet come se nulla fosse. E ciò non solo perché è piuttosto incredibile che la macchina ci arrivi veramente e senza un graffio, vista l’età del testimonial; ma perché, ecco, siamo sicuri che sia il momento buono per tirar fuori la faccenda?

Se l’importante era che se ne parlasse, in Fiat ci sono riusciti: ieri la notizia delle loro parziali scuse alla Cina era addirittura in rotazione tra le sovraimpressioni della CNN durante il telegiornale (qui l’articolo). Ovviamente in Italia non se ne parla molto (mai parlar male della Fiat), ma all’estero abbiamo fatto ridere un po’ tutti: perché, al di là delle opinioni politiche, l’unico risultato dello spottone sarà quello di far arrabbiare i cinesi per il richiamo al Tibet e l’uso di un testimonial politicamente “carico” come Gere, e poi di fare arrabbiare gli occidentali per le scuse prontamente offerte alla Cina. Bel colpo!

Naturalmente, c’è una sola spiegazione per questa figuraccia: che in Fiat pensassero davvero che, trasmettendo lo spot solo in Europa, in Cina nessuno se ne sarebbe accorto. Quando gli hanno fatto notare che lo spot è immediatamente comparso su Youtube in varie versioni, subito riempite di commenti nazionalistici dai cinesi e anti-cinesi dagli occidentali, da Mirafiori hanno rilasciato la seguente dichiarazione: “Iutub? Ch’a l’è?”. Non c’è quindi da stupirsi del risultato: permettetemi solo di dubitare che faccia bene alle vendite.

[tags]fiat, gere, spot, pubblicità, tibet, cina[/tags]

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giovedì 12 Giugno 2008, 11:07

Non si vede da qua

Stamattina, in una piccola intervista sulle pagine locali de La Stampa – insomma in uno di quei luoghi mediatici meno evidenti dove si possono ancora esprimere opinioni scomode – il professor Sartori, con parecchi giri di parole e naturalmente presentando la cosa come una pura ipotesi di scuola, si chiede se sarebbe possibile trasformare il nostro Paese o un qualsiasi Paese democratico in una dittatura senza un vero colpo di stato, ma semplicemente occupando il potere e creando un clima per cui il dissenso viene scoraggiato; per cui non c’è bisogno di censurare i media, perché i media si censurano da soli; per cui non c’è bisogno di incarcerare i dissidenti, perché tanto vengono ignorati o sbeffeggiati dalla massa.

Gli artisti, come al solito, ci arrivano prima; per esempio, questa canzone di Silvestri è del 2002 e chissà quanti l’avranno canticchiata senza capire bene cosa volesse dire. Eppure, il dubbio di vivere in una “dittatura dolce”, che “c’è ma non si sa dove sta, non si vede da qua” sta cominciando a prendere piede in molti. Se ci si ferma un attimo a pensare, come altro definire il fatto che basta accendere il televisore sui più visti telegiornali della nazione per ritrovarsi di fronte soltanto a dieci minuti di dichiarazioni politiche senza contraddittorio, seguiti da venti minuti di “informazione” sulle gag di Fiorello, sui filmati buffi di Youtube o sulla moda / paura del momento? E come definire una situazione in cui il potere esecutivo, concentrato in pochissime persone, prima imbavaglia quello legislativo mediante una legge elettorale che fa dipendere l’elezione esclusivamente dalle scelte dei leader e non dalla volontà popolare, e poi blocca quello giudiziario tagliandogli i fondi e privandolo degli strumenti necessari per indagare?

Non bisogna fare l’errore di credere che sia necessaria la presenza di squadroni della morte e roghi in piazza perché la libertà venga eliminata; basta indottrinare le persone. Ma la nostra televisione, a parte l’abbondanza di culi e tette, è davvero così diversa da quella della Corea del Nord?

Non bisogna però nemmeno fare l’errore di attribuire tutto a una sola persona. Il problema non è Berlusconi, anche se certamente Berlusconi, così come persone altrettanto e più pronte di lui a gestire il potere e a guadagnare dall’organizzazione sociale, fa in modo di spingere la realizzazione compiuta di questo sistema. (Il bello è che ce l’avevano tranquillamente detto in faccia trent’anni fa, ma nessuno sembra ricordarselo.) E’ però tutto il sistema ad essere organizzato in questo modo; non è questione di aspettare che una persona specifica tiri le cuoia (le auguro cento di questi giorni, Presidente).

Viviamo in qualcosa che è persino erroneo definire neoliberismo, perché di libertà ce n’è ben poca, anche sul mercato, dove è tutto un fiorire di cartelli e manovre per gonfiare i prezzi e impoverire le persone. Viviamo in qualcosa che è difficile da definire, proprio perché non si vede; non è concentrato in una persona o in un luogo, ma è diffuso nelle regole immateriali che tengono insieme la società.

Da qualche anno, però, complice la diminuzione della quantità di risorse planetarie disponibile per ogni essere umano del mondo sviluppato, le condizioni di vita che questo sistema offre ai suoi sudditi sono in via di peggioramento; e lo saranno sempre di più, se non si cambiano le basi su cui sono fondate le nostre società. La fame è l’unico vero fattore che genera le rivoluzioni, e la fame sta crescendo; a un certo punto nessun sistema potrà resisterle, potrà solo scegliere se allentare la presa o crollare (e per quanto sembri stupido, di solito i dittatori scelgono di crollare).

In mezzo, però, c’è la fase cattiva, quella in cui il controllo sulla società diventerà sempre più stretto, e qualsiasi forma di protesta sarà repressa col manganello. Che sia Venaus, che sia Chiaiano, che siano operai che lavorano in condizioni disumane o impiegati alla fame, non ci sarà spazio per la protesta; indipendentemente dalle ragioni, la protesta sarà definita come disfattista, egoista, antisociale, o semplicemente maleducata. E sarà repressa tra gli applausi della gente.

Un solo fattore può scombinare questa situazione: la rete, ossia la possibilità di comunicare e di organizzarsi trasversalmente, dal basso, al di fuori del controllo e degli schemi. Purtroppo ormai anche loro cominciano ad accorgersene, e il rischio è che, con la scusa della sicurezza, anche la rete si trasformi presto in uno strumento controllato. Già oggi Google sa, Google può; c’è chi l’ha definito il seme del nuovo fascismo telematico, visto che Google esercita potenzialmente una dittatura dolce su ciò che cerchiamo e troviamo in rete, sulla nostra mail, sui nostri filmati, su tutto ciò che siamo e facciamo. Ma se riusciremo ad usare la rete in modo intelligente, evitando le dolci trappole che raccolgono dati su di noi senza nemmeno chiederci (pensa!) di essere pagate, allora avremo qualche speranza: perché l’elemento chiave della rete non sono i computer, sono le persone che si parlano.

Nel frattempo, che ognuno di noi si chieda perlomeno in che società vive, che ne parli, che non abbia paura di esprimere pensieri scomodi e dissenzienti; e anche se non tutti possono impegnarsi attivamente per cambiare il mondo – e poi che fare, è frustrante, è difficile, e le possibilità sono poche – è importante almeno che sempre più persone siano sveglie e coscienti.

[tags]italia, dittatura, neoliberismo, berlusconi, google, società, rivoluzione, nuovo ordine mondiale[/tags]

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venerdì 6 Giugno 2008, 13:51

Uno di una moltitudine

Da qualche tempo, mi sono abituato a prendermi epiteti qua e là, ogni volta che espongo una opinione o un’idea non particolarmente “mainstream”.

Per esempio, ho notato con divertimento che nei commenti allo stesso post alcuni mi definiscono grillino, mentre altri mi danno del Borghezio. Solo nell’ultimo paio di settimane, per cose scritte sul blog o nei forum, mi han dato (di solito con tono spregiativo) dell’intellettuale, del fascista, del capitalista, dello sputasentenze, del rivoluzionario, dell’egoista e dello sfruttatore delle classi povere.

E’ interessante notare come praticamente nessuno in Italia, inclusi molti esimi e colti commentatori di questo blog, riesca a concepire l’idea che si possano avere opinioni personali che derivano da una analisi propria dei fatti, e che quindi non seguono né dettami ideologici, né slogan di partito; e che non sono quindi classificabili sistematicamente come appartenenti a questo o a quell’“ismo”. Oppure che si possa alle volte concordare con Borghezio, e altre invece con Bertinotti, e altre ancora con Grillo o con Montezemolo o con Brunetta, senza per questo essere assimilabili a ciascuno di questi personaggi o esserne seguaci.

Preparatevi: se anche noi arriveremo mai ad una società a rete, la massa – almeno per chi riuscirà ad arrivare al necessario grado di sviluppo intellettuale – sarà sostituita dalla moltitudine, ossia da una quantità di individui agenti singolarmente, ma che tutti insieme costituiscono la forza base della libertà (e qui mi darete del Toni Negri; io di Negri non ho mai letto una riga, ma ho sentito raccontarne i concetti e coincidono con le mie osservazioni del fenomeno; e poi ho appena trovato questo, pare interessante, almeno se depurato dai marxologismi). Insomma, ciascuno di noi sarà sempre meno classificabile e sempre meno arruolato in questo o quel movimento e filone di pensiero; sempre più invece sarà parte di questa o quella campagna a favore di una posizione specifica su un argomento ben definito.

Spero ben che ci arriviate anche voi!

[tags]massa, moltitudine, toni negri, opinione, società globale[/tags]

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giovedì 5 Giugno 2008, 08:53

Caro Presidente

Caro Presidente Napolitano,

ho letto il Suo accorato appello alle regioni del Nord Italia perché si prendano la spazzatura della Campania, visto che laggiù tutti vogliono continuare a produrla e a non differenziare nemmeno il vetro e la carta, che è troppa fatica, ma nessuno accetta di ospitare mezza discarica.

Però non ho capito bene la sua tesi: lei dice che siccome negli anni molti rifiuti industriali delle aziende del Nord sono stati smaltiti più o meno legalmente in Campania, in discariche magari abusive (cosa statisticamente peraltro non difficile, visto che la Campania ospita da sola circa un quarto delle costruzioni abusive dell’intera Italia), da aziende di trattamento rifiuti spesso collegate alla camorra, adesso il Nord avrebbe il dovere morale di prendersi i pannolini sporchi e le lattine usate dei campani.

Caro Presidente, quindi i sacchetti di rifiuti domestici che invadono le strade campane sono in realtà il prodotto delle pattumiere delle casalinghe di Voghera trasportati nottetempo in mezzo ai vicoli di Napoli? No perché dalle immagini quello che invade la Campania sembra proprio il pattume casalingo degli abitanti del posto, altro che “ecoballe” dal Nord…

E poi, se ci rimandate i rifiuti industriali che vi avremmo spedito in passato, ci ridate anche le centinaia di miliardi che la camorra e le amministrazioni locali della sua regione (ammesso che ci sia qualche differenza) hanno intascato per anni dalle aziende del Nord per prenderseli, vero?

Caro Presidente, il problema dei rifiuti è complesso, e non si sa di chi fidarsi: pensi che c’è chi sostiene che questa emergenza sia stata lasciata montare anche per “ammorbidire” l’opinione pubblica del Nord rispetto alla costruzione degli inceneritori, che inquinano, provocano un aumento misurabile di cancro, malformazioni e altre malattie in chi ci abita intorno, e comunque non risolvono il problema, visto che poi si deve smaltire un residuo pari al 30-40% del volume originario di rifiuti, parte del quale ipertossico. Soprattutto, costano: sa che bel business per chi li deve costruire e gestire? Ci si guadagna molto di più che con il riciclaggio, che è dannatamente complicato e economicamente meno conveniente per chi lo gestisce, ma che non crea residui.

Ecco, forse lei avrebbe potuto parlare di riciclaggio, di raccolta differenziata, di riduzione degli imballaggi, invitando i napoletani ad imbracciare queste pratiche; ma ciò avrebbe disturbato i sonni felici dei suoi conterranei, e forse anche gli affari di qualche persona che conta. E così, ha preferito unirsi al coro ed avallare la tesi dell'”urgenza”, dell'”emergenza”, insomma del manganello e delle cariche di polizia con cui la casta che ci governa vuole imporre le proprie soluzioni in materia di rifiuti, equiparando direttamente e in qualsiasi caso il rifiuto di farsi inquinare all’egoismo, e qualsiasi protesta contro una infrastruttura di smaltimento, anche se oggettivamente insensata o progettata solo per interessi privati, alla camorra e al disfattismo.

Ma se proprio non voleva parlare di questo, caro Presidente, perlomeno avrebbe fatto miglior figura a chiedere scusa alle regioni del Nord per la figuraccia internazionale che la Campania ci sta facendo fare, invece che cercare di scaricare il barile facendo la sceneggiata…

[tags]napoli, rifiuti, napolitano, inceneritori, beppegrillo[/tags]

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giovedì 22 Maggio 2008, 12:09

Tutti da Luca sabato sera

La citazione di Luca Sofri nel titolo è doverosa, perché è più o meno l’unico dei very important italian bloggherz con cui non ho ancora scambiato piacevolezze nei commenti di questo blog, e quindi colgo l’occasione. Oggi sono anche più irritato del solito perché persino nei commenti a Specchio dei Tempi mi han detto di tacere, e, dopo aver fatto incazzare gli Ultras Granata domenica sera (con tanto di rischio di spaccamento gambe a un amico come ritorsione, per aver suggerito che invadere il campo a fine partita non è mai una grande idea) e varie persone del CNR martedì, con i blogger vado sul sicuro.

E’ che tramite Mantellini – ovviamente coinvolto nella cosa – ho scoperto un ulteriore buon motivo per non pagare il canone Rai: Kinder, la colonia estiva di Condor. In pratica, qualche decina di VIP che vanno in vacanza a Gressoney, e ci tengono a farcelo sapere a mezzo Web e radio pubblica; e non solo genericamente, ma con grande precisione, tipo “sabato mattina giochiamo con la Wii, poi io mi stendo sul prato a leggere il giornale mentre gli altri vanno in paese a comprare la polenta”. Il tutto è ovviamente inframmezzato da blogger che chiacchierano con altri blogger su quanto sia fico essere blogger, discussione aperta anche ai blogger “non dotati di talento” previa pagamento di biglietto di ingresso – escluso vitto e alloggio – di soli 120 euro (neanche alla Sticcon…). Peraltro il cash flow – chi guadagni cosa, chi venga pagato e chi ci venga gratis – è l’unica cosa che sul sito non viene rivelata, anche se si capisce che la cosa è organizzata da questi qui e quindi le probabilità che la Rai e/o qualche ente locale ci mettano dei soldi (miei) mi paiono elevate; spero nella smentita.

Suppongo che sarà una vacanza divertente; il sito è scritto da marchettari professionisti, Gressoney è un posto splendido, alcune delle chiacchierate saranno sicuramente interessanti, e se a qualcuno piace pagare per far vacanza con Sofri e Mantellini, o magari ne è amico da anni e li vuol rivedere, perché no. Per par condicio, comunque, e come già anticipato da Mante, rivelo che io invece andrò in vacanza a Loano; l’evento clou sarà la leggendaria battaglia di gavettoni sul lungomare del Kursaal, tra me, .mau. e Vint Cerf*, finita la quale a tutti i partecipanti sarà offerto un Calippo presso i Bagni Miramare. Quota d’iscrizione, 120 euro, con i quali sono incluse la spillina e il diploma “Sì, io ho pagato per essere qui”. Accorrete numerosi.

* = Vint Cerf potrebbe anche non venire.

[tags]blog, kinder, rai, blogger, vacanze, gressoney[/tags]

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sabato 10 Maggio 2008, 10:25

Sputtanando i blog

Lo so che non devo parlar male di Mantellini. Lo so che, in Italia, parlar male di chiunque sia famoso o potente all’interno di un qualsivoglia circolo sociale viene ripagato con croci sopra il tuo nome e anni di silenzioso ostruzionismo, per cui dopo potrai essere bravo e capace quanto vuoi, ma ti vedrai continuamente passare davanti quelli che parlano sempre bene di tutti o quelli che leccano il culo al capo fino a rendersi la faccia indistinguibile dal posteriore. Però a me viene naturale fare così; ho messo al blog un apposito sottotitolo, “come rovinarsi una brillante carriera in Italia”, e me ne farò una ragione. E soprattutto, nel caso specifico, Mantellini se le cerca da solo.

Sappiamo tutti che esiste sulla rete italiana un circolo di qualche decina persone di cui onestamente ignoro l’occupazione ufficiale, ma che hanno tempo e soldi per andare a spazzolare i buffet di questo o quell’evento pubblicitario, in cambio del parlarne entusiasticamente sul loro blog. Questi blogger hanno sicuramente dei meriti, se no la gente non li leggerebbe (anche se questo, pensandoci bene, si potrebbe dire anche di Bruno Vespa); però si ha effettivamente l’impressione che i loro blog abbiano perso lo scopo, e si siano ridotti a un po’ di chiacchiericcio e un po’ di link al video buffo o all’argomento del giorno, nel puro tentativo di preservare traffico e status.

Insomma, i “top blog” italiani mi sembrano un po’ come quei locali che da appena aperti fanno un successone, perché sono nuovi e perché si mangia bene e costa poco; poi, piano piano, i gestori perdono la voglia, cominciano a tirare sui prezzi o sulla qualità per guadagnare di più, scelgono la marca della birra per motivi di marketing invece che perché è buona, e insomma tu continui ad andarci per inerzia e perché ormai tutti si sono abituati a trovarsi lì, ma ti rendi conto che non è più come prima.

L’occasione dell’ennesima discussione è stata questo post di PaulTheWineGuy, che nonostante il nick fighetto e TuttoInCamelCase (questo lo devo dire perché, come detto, io parlo male di tutti nel modo più offensivo possibile) è spesso linkato da .mau., quindi deve essere un tipo intelligente; il post definisce i blogger di cui sopra delle “scimmiette ammaestrate”, e anche se l’epiteto a me sembra davvero eccessivo, la descrizione del fenomeno mi pare corretta.

Mantellini ha risposto alla provocazione e, pur intercalando qualche complimento (lui invece deve comunque parlar bene di tutti), gli ha dato dell’“esterno”. In pratica gli ha detto: io e te siamo razze diverse, io sono “top blogger”, tu sei solo “blogger” e le due cose sono ben diverse.

La cosa finirebbe lì se dai commenti non avessi notato una cosa preoccupante: la marchetta. In pratica, prima Mantellini fa un post con una enorme foto della WiiFit, suggerendo che se la vuol comprare. Poi, guarda caso, qualche tempo dopo compare sulla destra del suo blog un bel banner della WiiFit con il link al sito della Nintendo. Pubblicità? Certo, è spiegato qui: “dopo molti anni ho deciso che anche questo blog come tutti gli altri doveva contenere una sezione pubblicita’”. Come tutti gli altri?? Gli altri quali?

Francamente, non ho visto molti blog con una “sezione pubblicità”; ho visto qualche blog con le AdWords di Google, che sono un modo per monetizzare un po’ il traffico senza però avere rapporti diretti con inserzionisti e quindi senza avere potenziali vincoli economici su quel che si scrive. La maggior parte dei blog che leggo, comunque, non ha nemmeno mezza riga di pubblicità.

Però, dice Mantellini, faccio pubblicità gratis e solo a prodotti che mi sono piaciuti. Ok, l’ho fatto anch’io, con Lidl; ma l’ho fatta con dei post argomentati e non con degli slogan, e poi l’ho criticata quando ha alzato i prezzi, e soprattutto non mi sognerei mai di ospitare un banner Lidl gratis. Paradossalmente, sarebbe meglio essere pagati (e renderlo noto): almeno è un rapporto commerciale chiaro, e a quel che scrivi i lettori fanno la tara. Così, invece, anche se fatta con buone intenzioni, diventa una unilaterale leccata di culo… ma nemmeno a una persona, a una multinazionale! Dall’esterno, è semplicemente naturale avere il dubbio se Mantellini, la WiiFit, l’abbia davvero pagata; se gli piaccia davvero o se esageri in cambio dell’invito al prossimo buffet. E il dubbio è terribile, perché è un fantasma che, anche trovandosi nella miglior buona fede, non si riesce mai a disperdere completamente.

Ecco, questa è la cosa che più mi urta: che i blog, Internet, sono lo strumento abilitante per rompere la cappa di disinformazione e di regime che soffoca l’Italia, per far circolare idee e informazioni che i media tradizionali omettono accuratamente. E invece, se per “blog” si intende quella cosa lì, la parola “blog” viene presto sputtanata: perché a forza di suscitare dubbi del genere, anche se fossero completamente infondati, molti cominceranno a pensare che non ci si può fidare nemmeno più dei blog, tutti, indistintamente. E ci toccheranno altri cinquant’anni di informazione di regime.

[tags]blog, blogosfera, pubblicità[/tags]

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