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Archivio per la categoria 'NewGlobal'


mercoledì 20 Febbraio 2013, 15:49

Cinque stelle per ricominciare

Se per capire cos’è il Movimento 5 Stelle provate ad aprire un giornale o una bacheca di partito, sentirete cose come queste:

Il Movimento 5 Stelle devasta le stazioni (in realtà era un rave). Il Movimento 5 Stelle ha fatto un giornalino elettorale che sì, in effetti è stato pagato con le donazioni dei cittadini e non con fondi pubblici, però non c’era il bollo, il superbollo, la benedizione di Mario Calabresi. Il Movimento 5 Stelle falsifica le foto delle piazze, ma le falsifica apposta male perché non è capace, non come Bersani che mette direttamente le foto di due anni prima. Il Movimento 5 Stelle è maschilista e discrimina le donne, non come il PD che candida tantissime donne – peccato che le metta in fondo alle liste, dove non saranno mai elette, mentre nelle posizioni eleggibili la lista con più donne è proprio il M5S.

Il Movimento 5 Stelle pensa che l’omosessualità sia una depravazione perché una volta un attivista ha detto così, e il fatto che dal blog di Grillo alle aule comunali sia l’unica forza politica che ha preso posizioni chiare e uniformi per i diritti è solo fumo negli occhi. Il Movimento 5 Stelle è fascista ed è alleato di Casapound (parlare cinque minuti per strada con qualcuno vuol dire allearsi) ma è anche all’80% composto da gente dei centri sociali e pericolosi No Tav. Il Movimento 5 Stelle non va in televisione per non rispondere alle domande, infatti le interviste di Grillo dal camper a Sky e a Euronews sono realizzate da un sosia.

La verità è che milioni di italiani ormai conoscono il Movimento 5 Stelle nell’unico modo che conta, ovvero parlando con le persone che lo compongono e osservando quello che fa quando entra nelle istituzioni. Con tutti i suoi limiti e tutte le sue incognite, il Movimento è l’unica forza determinata a cambiare profondamente l’Italia e con le mani libere per farlo, in un momento in cui la conservazione di un ordine sociale marcio porta soltanto alla morte per fame.

Votare il Movimento 5 Stelle non risolverà d’incanto tutti i nostri problemi, perché ci vorranno comunque anni, e perché siamo noi cittadini a doverlo fare ogni giorno, in tutti gli aspetti della vita; ma, come dice Dario Fo nel video, è l’unico modo per cominciare a ricominciare, come dopo una guerra. Tutto il fumo sparso a piene mani in queste settimane, considerandovi pecore da riportare all’ovile, non può nascondere questa semplice verità.

[tags]movimento 5 stelle, beppe grillo, elezioni politiche, partiti, dario fo[/tags]

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venerdì 8 Febbraio 2013, 12:56

Una casa concreta

In questa campagna elettorale deprimente non si parla di niente di concreto, di nessuno dei grandi problemi degli italiani… salvo quando si può fare un bello spot ricordandosene all’ultimo minuto.

Per questo, quando ho visto il centrosinistra in Comune presentare il 21 gennaio una mozione sull’istituzione di un fondo “salva sfratti”, per poi discuterla in commissione il 29 gennaio e portarla in aula il 4 febbraio col comunicato stampa e articolo di Repubblica già belli pronti, mi sono un po’ girate le scatole: perché noi avevamo ferma da luglio 2012, mai discussa, una mozione, in linea con quanto sempre abbiamo detto, che cercava di affrontare il problema un po’ più in profondità.

L’idea della maggioranza, infatti, era quella di approvare l’istituzione di un fondo per aiutare i morosi a pagare l’affitto per qualche mese in più, evitando lo sfratto. Idea lodevole, ma non ci sono i fondi, né si è pensato, che so, di tagliare lo stipendio d’oro del portavoce del sindaco e altre spese inutili per metterceli dentro; al contrario, si è ipotizzato di andare a chiedere i 100.000 euro che già avevano messo in passato – una goccia nel mare – alle solite fondazioni bancarie… che poi magari nemmeno accetteranno, ma a quel punto le elezioni saranno già passate.

Eppure a Torino la casa è un’emergenza: nel 2012 ci sono stati circa 4000 sfratti per morosità, a cui rischiano di aggiungersene quasi 2000 (stime Caritas) per gli inquilini ATC che non possono più rientrare nelle regole delle case popolari, che la Regione ha rivisto al ribasso dallo scorso 31 gennaio; e ci sono altre migliaia di persone che hanno una casa grazie a fondi regionali e nazionali che sono a rischio. Insomma, rischiamo di avere presto migliaia e migliaia di torinesi in mezzo a una strada. Cosa potranno fare centomila euro di aiuti a pioggia?

Noi abbiamo presentato l’unica proposta che veramente potrebbe risolvere il problema: quella di fare incontrare l’enorme patrimonio abitativo inutilizzato in città – si parla di 50.000 alloggi – con le persone che ne hanno bisogno. Si potrebbe cominciare da due riserve immediatamente accessibili, quella degli interi palazzi in abbandono da decenni perché i proprietari non sanno che farsene (è incredibile, ma ce ne sono decine) e quella di diversi palazzi appena costruiti, ancora invenduti in gran parte e senza grandi speranze di essere venduti a breve.

Il Comune potrebbe gestire domanda e disponibilità, arrivare a un accordo con i proprietari, coprire le spese (costa molto meno che pagare gli affitti), pagare una assicurazione che protegga i proprietari dai danni degli inquilini, che potrebbero magari impegnarsi a fare in proprio lavori di risistemazione e manutenzione, se non possono pagare un affitto. Potrebbe farlo in accordo, ma anche, dove necessario, d’autorità, come la legge consente e come già è stato fatto a Roma.

Infatti, non è accettabile la requisizione forzata che di fatto è realizzata dal blocco degli sfratti, che scarica il costo di dare una casa a una famiglia indigente solo sulle spalle dello sfortunato proprietario di casa, che non sempre è un ricco strozzino e che talvolta, dal mancato pagamento dell’affitto a fronte delle spese e delle tasse che restano, viene portato in rovina anch’egli.

E’ invece accettabile la requisizione del patrimonio immobiliare inutilizzato e per cui non sono previsti utilizzi a breve, perché, come dice la Costituzione all’articolo 42, la proprietà privata è garantita ma con “limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”, e se tu lasci un palazzo in abbandono per vent’anni o ne tieni uno vuoto per far salire i prezzi, tra l’altro creando problemi di degrado al quartiere, allora è giusto prenderlo e usarlo per l’emergenza, garantendotene la custodia e la possibilità di riaverlo nel momento in cui tu ti presentassi con un piano concreto per usarlo.

Questa posizione ha suscitato alzate di sopracciglia e risatine, e alla fine la nostra mozione è stata bocciata quasi all’unanimità, mentre lo spot del fondo salva sfratti è passato (ovviamente abbiamo votato a favore anche noi, ci mancherebbe, e se salteranno fuori i fondi sarà comunque una cosa positiva). Ma una città che non si spende fino in fondo per garantire un tetto a tutti, chiedendo in cambio un contributo proporzionato alle reali possibilità, non è una città civile.

[tags]casa, sfratti, povertà, atc, torino, urbanistica[/tags]

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mercoledì 21 Novembre 2012, 13:46

Della povertà e di Fabrizio Biolé

Qualche giorno fa abbiamo ascoltato in commissione il presidente della Caritas piemontese, che ci ha tracciato un quadro terribile della nuova povertà di Torino. Tanto per darvi qualche dato:

  • il numero di persone che nel 2012 si rivolgono alla Caritas, rispetto al 2008, è quasi quadruplicato;
  • il 90% di coloro che chiedono un aiuto economico per i propri ragazzi lo fa per pagare libri e attrezzature scolastiche imposte dagli insegnanti (fino a 300 euro a studente);
  • sono in forte crescita gli anziani che fanno la cessione del quinto della pensione per permettere ai figli adulti di avere un prestito per far fronte alle spese;
  • 45.000 famiglie a Torino e cintura mangiano grazie agli aiuti del Banco Alimentare;
  • i servizi sociali hanno avuto indicazione di non inserire in comunità i minori perché costa troppo alle casse pubbliche, anche quando il problema è che i minori restando in famiglia vengono maltrattati;
  • vi sono numerosi posti vuoti nelle case di riposo, sia convenzionate che private, perché le istituzioni e le famiglie non hanno i soldi per pagare le rette, ma vi sono anche 2000 anziani in lista d’attesa per la casa di riposo e 8000 in lista d’attesa per l’assistenza domiciliare;
  • a fine anno finiranno i fondi nazionali per i 1700 profughi libici sistemati a Torino da metà 2011, dunque saranno in mezzo a una strada (come già i somali di corso Chieri) e nessuno sa cosa ne succederà;
  • si stima che a gennaio 1500 famiglie potrebbero essere sfrattate dalle case popolari in quanto non in grado di pagare la quota minima di affitto prevista dal regolamento regionale;
  • il 40% delle richieste di aiuto per problemi economici menziona Equitalia e simili come causa primaria dei propri problemi;
  • oltre il 50% delle persone che chiedono aiuto fa stabilmente uso di psicofarmaci;
  • un richiedente di aiuto su tre minaccia esplicitamente il suicidio o racconta di avere già tentato il suicidio.

Una situazione del genere dovrebbe essere una emergenza per tutti, e la prima preoccupazione di chi amministra le istituzioni. Invece, passa drammaticamente sotto silenzio; si fa finta il più possibile di non vedere, e anche la vita amministrativa scorre tra altri discorsi e altre priorità (ieri il nostro sindaco si è sentito in dovere di organizzare in Sala Rossa una irrinunciabile celebrazione per i cento anni delle attività atletiche della Guardia di Finanza).

Non ho mai ben capito se questa indifferenza sia dovuta a mancanza di solidarietà, oppure a una presunzione di impotenza; non sapendo bene come ridurre la povertà, né dove trovare i soldi per assisterla, la politica si gira dall’altra parte e la prende come un fattore immanente, come il fatto che ogni tanto piove. Eppure la povertà è almeno in parte il risultato dell’organizzazione sociale che noi scegliamo, delle regole che diamo all’economia e allo Stato; con regole diverse, le risorse di cui tutti disponiamo potrebbero essere distribuite diversamente, in modo più equo e solidale.

Siamo una società basata sulla sacralità della proprietà privata, e per carità, ci sono ottimi motivi per difendere la proprietà privata. Alla fine, però, l’idea che nella società noi possiamo essere felici con le nostre cose a fronte della diffusa infelicità degli altri è una triste illusione… Magari qualcun altro ci riesce, tappandosi gli occhi, le orecchie, e anche il cuore. Eppure anche chi pensa di potersi chiudere in un’isola felice dovrà rendersi conto nel modo più spiacevole che oltre un certo livello nessuna società caratterizzata da grandi disuguaglianze è sostenibile, perché anche la minaccia del manganello non vale verso chi non ha più niente da perdere.

P.S. E Fabrizio Biolé? Scusate se l’ho messo nel titolo, sapevo che facendolo avrei attirato l’attenzione di molte più persone – se avessi semplicemente scritto che parlavo dei poveri, quasi nessuno avrebbe letto. Così funziona la pubblica opinione, ma spero che questo possa indurvi a riflettere su quali siano gli argomenti su cui varrebbe veramente la pena di accapigliarsi.

[tags]povertà, welfare, solidarietà, equità[/tags]

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lunedì 1 Ottobre 2012, 14:35

Quelli che vogliono abolire lo Stato

Vorrei cominciare raccontandovi un episodio accaduto alcuni giorni fa, qui in Comune, durante una conferenza dei capigruppo.

L’elenco degli atti all’ordine del giorno del consiglio comunale, difatti, ormai ha raggiunto le trentanove pagine di lunghezza: ci sono decine di atti (tipicamente mozioni) già discussi, concordati e sostenuti da tutti ma che sono lì fermi da mesi perché non si trova il tempo di discuterli e votarli in aula. Due settimane fa abbiamo fatto un consiglio comunale straordinario, mercoledì dalle 17 alle 20; ma siamo riusciti a trattarne solo una decina.

Uno dei motivi per questa situazione è che il tempo disponibile per i consigli comunali ordinari, che si svolgono il lunedì, è spesso ridotto. I consigli iniziano alle 15, ma spesso l’inizio slitta alle 16 o alle 16:30 perché vengono organizzate in Sala Rossa commemorazioni e feste di compleanno per gli ex consiglieri ed ex sindaci; la sera si chiude all’ora di cena e talvolta anche prima, per esempio lunedì scorso abbiamo chiuso alle 18:20 perché il PDL aveva un impegno di partito. Aggiungeteci la naturale verbosità dei politici e un incomprensibile ostruzionismo a tappeto della Lega (senza alcun risultato politico, solo per far perdere tempo e soldi alla macchina comunale sperando prima o poi di ottenere in cambio chissà cosa) e viene fuori che ogni volta trattiamo tre o quattro atti se va bene… e la lista d’attesa si allunga sempre più.

In realtà, formalmente il consiglio comunale inizia alle 10; però la mattinata è occupata dalle interpellanze, e vede dunque la presenza solo del Movimento 5 Stelle e di qualche altro consigliere di opposizione; verso le 13 si finisce, e fino alle 15 (se va bene) non si ricomincia. Tuttavia, vista la convocazione, tutti i consiglieri comunali che svolgono un lavoro dipendente sono in permesso retribuito da lavoro, a spese del Comune, a partire dalle 9 del mattino – anche se in realtà si presentano in aula poi solo alle 15.

A fronte dell’arretrato, noi abbiamo provato a proporre alternative; abbiamo chiesto di fare altri consigli straordinari e ci hanno detto di no; abbiamo chiesto di spostare le celebrazioni fuori dagli orari del consiglio comunale e ci hanno detto di no; abbiamo proposto di saltare qualche seduta di interpellanze per cominciare subito i lavori al mattino e ci hanno detto di no; abbiamo chiesto almeno di iniziare i lavori pomeridiani alle 13:30 anziché alle 15 e ci hanno detto di no. Perchè?

Perché i consiglieri sono abituati ad avere la mattinata libera, e perché alle 13:30 c’è la riunione di partito del PD, che deve appianare le divergenze interne e giungere a posizioni comuni prima del consiglio. In orario di consiglio comunale, con un permesso di lavoro pagato dalla collettività: andrebbe bene solo se il consiglio fosse in pausa forzata per altri motivi, ma a me sembra ovvio che, in caso di necessità, il consiglio dovrebbe avere la priorità.

E il bello è che il rappresentante della maggioranza me l’ha spiegato urlando, in modo piuttosto alterato, perché il mio sarebbe populismo e io non rispetto le esigenze personali dei consiglieri della maggioranza, che a differenza mia (che di fatto non riesco più a lavorare… ma di questo parleremo tra qualche giorno) non sono politici a tempo pieno e devono tenere insieme le due cose.

Ora, vorrei chiarire una cosa che a molti purtroppo non sembra chiara, e lo dico anche se è un concetto attualmente impopolare. Io non credo che, insieme alla pessima politica di questi anni, sia opportuno abolire lo Stato. Io sono molto preoccupato dalle mail e dai commenti che ricevo e che mi dicono che il Movimento dovrebbe abolire non solo le province, ma anche le regioni e il 90% dei comuni, ed eliminare il Senato “doppione inutile”, e dimezzare i deputati, e azzerare gli stipendi dei politici, e cancellare i fondi di funzionamento, e i politici dovrebbero anche pagarsi il computer e la scrivania da soli e però essere sempre in servizio e pronti a rispondere immediatamente a qualsiasi richiesta dei cittadini e non saltare mai nemmeno gli ultimi cinque minuti di una seduta e rinunciare a lavoro e pensione in allegria, e però farlo non per guadagnare e nemmeno per aspirare a posizioni più importanti e nemmeno per avere un riconoscimento di qualche genere, anche solo morale, o men che meno apparire sui media.

Perché una volta che abbiamo abolito tutte le istituzioni elettive e reso materialmente impossibile per una persona normale fare politica, resta una cosa sola: la dittatura.

Certamente la politica e la pubblica amministrazione hanno bisogno di una dimagritura e ripulitura, e il comportamento dell’attuale classe politica è intollerabile e vergognoso, ma attenzione: sono piuttosto sicuro che i nostri veri padroni, quelli che manovrano l’economia, l’hanno permesso e incoraggiato per decenni, favorendo il riempimento delle istituzioni con corrotti ed idioti, proprio per arrivare qui, per convincervi ad abolire la democrazia insieme ai suoi abusi e a tenerci Monti e i suoi cloni per l’eternità.

E’ proprio per questo che ho detto ai miei colleghi dei partiti che devono smetterla di fare le riunioni di partito in orario di consiglio, e che dalle dieci del mattino dobbiamo essere tutti presenti in aula fino a sera per trattare gli arretrati, almeno fino a quando non li avremo smaltiti. Perché non si rendono conto che ciò che a loro sembra normale o al massimo un peccato veniale, certo ben lontano dai festini della Regione Lazio, in questo momento è il coltello che altri usano per abolire lo Stato; e dunque la responsabilità di questo esito non è di noi “populisti”, ma di chi fa politica da anni e continua ad offrire ai cittadini motivi grandi e piccoli per disprezzarla.

Quelli che lavorano per abolire lo Stato dunque non siamo noi, sono loro: ed è un peccato che non riescano più a capirlo.

[tags]politica, costi della politica, casta, comune, torino[/tags]

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lunedì 27 Agosto 2012, 15:35

Bratislava o Marte

L’Europa si divide in due: quelli che da piccoli guardavano Tom e Jerry e quelli che da piccoli guardavano Nu pogodi. Bratislava appartiene alla seconda categoria e, a differenza di Praga, è sufficientemente fuori dalle rotte turistiche e finanziarie principali da mostrare ancora evidenti, in modo affascinante, le contraddizioni del suo passato. Da una parte è una delle zone a maggior crescita economica dell’Europa orientale, con un centro storico asburgico, restaurato e pieno di locali e di vita, e con una infilata di palazzi di vetro più centro commerciale sulle rive del Danubio; dall’altra, basta aprire gli occhi e allargare un po’ il raggio per ritrovarsi d’improvviso in quegli angoli alieni tipici delle città ex comuniste.

Chi arriva, come noi, a piedi dalla stazione ferroviaria comincia salendo sul castello dal lato della terra, su una ripida salita che passa davanti al monumento di Raoul Wallenberg. Il castello è carino, in stile rinascimentale, ma non è molto grosso ed è abbastanza vuoto; fu bruciato nelle guerre di Napoleone e rimase lì in rovine fin che non nacque la Cecoslovacchia nel 1918.

Da allora cominciarono a pensare di ricostruirlo, ma fino al secondo dopoguerra non ci fu il modo. Ci pensarono i comunisti, dando l’incarico a un noto professore di architettura; peccato che il progetto si sia poi fermato dopo che egli fu arrestato per “pubblica diffamazione di una potenza amica” (chissà quale). Dagli anni ’60 in poi i lavori vanno avanti, ma a tutt’oggi il castello è spoglio e incompleto: ci si sale soprattutto per guardare dall’alto la città.

Alla fine della salita, entrati nelle mura, si spunta dal piazzale del castello e la vista appare improvvisa, inattesa e per un attimo meravigliosa: il bel Danubio verde scorre là sotto in primo piano. E’ solo alzando lo sguardo che progressivamente si rimane sempre più perplessi, come se si capisse solo allora che le cose non sono come dovrebbero essere. Avete presente il finale del Pianeta delle scimmie? Ecco, la rivelazione è simile ma opposta: pensavate di essere sulla Terra, e invece questa non è la Terra.

Difatti, dall’altra parte del fiume, oltre gli alberi del parco sulla riva, si notano alcuni palazzi di case popolari, dei parallelepipedi perfetti di cemento appena risegati dalle casette degli impianti sui tetti piatti. E poi, dietro di loro, ce ne sono altri uguali. E poi dietro ancora. E anche di fianco, su tutto il fronte della città. E così via, a perdita d’occhio, fino a svanire nella foschia dell’orizzonte. E’ come se avessero preso un casermone alto e largo, il peggio delle periferie urbane, e l’avessero ricopiato e incollato digitalmente nella vista, ruotandolo appena un po’ di qua e un po’ di là, dozzine di volte; digitalmente, perché nessuno in natura potrebbe ripetere così pervicacemente lo stesso identico enorme oggetto.

Per completare la vista, proprio davanti al tutto c’è un ufo di cemento, sospeso in aria sopra i tetti dei palazzi; un disco volante come quelli dei film anni ’50. In realtà è un ristorante panoramico per la nomenklatura del tempo che fu, attaccato in cima all’unico enorme pilone che sostiene il Ponte Nuovo, collegando la città umana dove siete voi con la città aliena dall’altra parte del fiume.

Il sobborgo di Petrzalka doveva essere il trionfo dell’uomo nuovo socialista; tutti dovevano vivere nelle stesse case (prefabbricate col cemento) e diventare un collettivo senza volto. Oggi gli abitanti cercano di dare un’anima a questi casermoni dipingendoli a colori vivaci, chi rosso, chi viola, chi arancio. Almeno, così li si distingue.

In generale, Bratislava sembra una città che sta lentamente tornando alla vita; i palazzi vengono a uno a uno restaurati e resi nuovi e lucenti come un pezzo di Germania, con tanto di Audi e Mercedes parcheggiate davanti. Il problema è che i palazzi ripuliti sono solo una parte, concentrati nelle strade principali del centro storico, e gli altri vanno dal degradato al pienamente fatiscente. Anche in pieno centro ci sono palazzi coi muri a pezzi, i vetri rotti, le pareti puntellate (c’erano anche a Torino, ma gli ultimi sono spariti vent’anni fa). Basta uscire un po’ dal centro perché il degrado si moltiplichi: i marciapiedi sono pieni di buche, le aiuole una savana, le fermate dell’autobus arrugginite e sfondate. Il Ponte Vecchio è sbarrato e oscillante, con un vecchio binario ferroviario il cui accesso è coperto dalle erbacce e protetto da reti sfondate che nessuno si preoccupa di tirare su; ed è comunque in uso pedonale. Oltre il ponte, c’è uno stadio in abbandono.

Le ferite saranno dure da risanare, in certi casi impossibili. Per esempio, dato che ai comunisti la religione non piace, il regime decise che il tracciato migliore per la tangenziale era proprio sul sagrato del Duomo. Per questo, la cattedrale oggi si affaccia su uno svincolo autostradale di cemento cadente, con le auto che sfrecciano a un metro dalla facciata.

Si percepisce che gli slovacchi non hanno nessuna voglia di restaurare il proprio patrimonio post-1918, e che forse sarebbero più contenti se potesse crollare e basta. Appena fuori dal centro c’è una meravigliosa chiesa Jugendstil di colore azzurro, tutta restaurata, ridipinta e luccicante. Di fronte c’è un tronfio palazzone di otto piani in stile aulico: è sporco, semiabbandonato, con i vetri rotti e le erbacce che crescono. Sotto gli immancabili fregi posti accanto all’ingresso principale qualcuno ha commentato con lo spray “Mega Death”.

Ma il punto più surreale è piazza della Libertà, un grande quadrato subito fuori dal centro circondato sui lati dagli edifici dei ministeri. La bruttezza degradabile e la monumentale ingestibilità dello stile architettonico dell’immediato dopoguerra (di cui a noi resta il Palazzo del Lavoro) qui si esprime al meglio. Al centro c’è un giardino che, nonostante il verde, dà subito l’impressione di un inospitale deserto di pietra, un tempo luogo dei fasti di qualche civiltà aliena e ora abbandonato per i secoli dei secoli. L’arredo urbano, tutto scrostato e arrugginito, sembra uscito dal Solaris di Tarkovskij; al centro c’è una gigantesca fontana a forma di fiore, bordata di travertino, in cui l’acqua sembra non scorrere più da tempo immemorabile. Come sempre, il cemento e la pietra sono in frantumi e nessuno ha voglia di sistemarli.

Oltre il quadrato della piazza, appare come una rivelazione l’ultimo enigma architettonico: la grande piramide rovesciata della Radio Slovacca. Penso che la sua forma totalmente innaturale volesse simboleggiare, oltre alla solita supremazia della scienza umana sulla natura, l’emissione delle onde che si allargano verso il cielo per raccontare al mondo i trionfi del comunismo cecoslovacco. In verità, ora la base è piena di graffiti e di erbacce, l’incuria è totale e l’unica percezione che può avere un essere umano davanti a un simile oggetto è “qui c’è qualcosa di profondamente sbagliato”.

Di fronte hanno costruito un grattacielo di vetro con la sede della Banca Nazionale Slovacca, con tanto di mostre sull’euro e monumenti alla moneta, probabilmente sperando di far passare inosservata la piramide grazie alla presenza a fianco di un edificio più grosso e moderno. Alla fine, però, nonostante gli slovacchi comprensibilmente facciano di tutto per occultarli e per ripresentarsi al mondo come la nazione asburgica che sono stati per mille anni, i residui comunisti di Bratislava sono un monito interessante: i segni di una cultura tragica rimasti nella pietra.

[tags]bratislava, slovacchia, architettura, paesaggio, urbanistica, comunismo[/tags]

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venerdì 17 Agosto 2012, 19:32

A proposito di TV locali

D’estate, si sa, i giornali non sanno cosa scrivere e si dilettano a pompare quel poco che hanno in mano; se poi possono criticare il Movimento 5 Stelle, ancora meglio. Si spiega così la vicenda della settimana, ovvero l’accusa ai consiglieri regionali del Movimento, che hanno pagato le televisioni locali in cambio di spazi in cui parlare al pubblico.

Il primo motivo per cui ne parlo è che ci tengo a dire che io non ho mai pagato nessuna televisione per nessuna apparizione. Io non appaio molto spesso sulle TV locali torinesi, con l’eccezione di una sola: Torinow, ovvero una rete che mi invita più o meno una volta al mese, non mi ha mai chiesto una lira, non ha mai cercato di manipolare la mia partecipazione e mi permette di dire liberamente tutto ciò che penso, davanti a un giornalista che non è né sdraiato a nostro favore né determinato ad attaccarci, ma fa semplicemente il giornalista. A queste condizioni, credo che sia giusto partecipare; avendo ritrovato proprio uno spezzone di Torinow in cui qualche mese fa ragionavo di questo, ve lo linko lietamente (vedrò prossimamente di caricarne altri, così chiunque potrà valutare se il mio giudizio è corretto).

Credo invece che sia sbagliato entrare nel meccanismo perverso per cui la politica finanzia o compra le televisioni che in cambio forniscono informazione di parte; è il meccanismo inventato da Berlusconi su cui si basano le fortune di tutti i partiti di questi anni. Anche l’informazione fatta da noi, se paghiamo la TV per non essere incalzati o contraddetti, è di parte, e dunque l’argomento “pago per raggiungere più elettori” – parlando di trasmissioni e non di spot – non regge, a meno che il nostro approccio verso gli elettori non voglia essere quello di imbonirli.

L’obiettivo del Movimento, difatti, non è solo quello di sostituire i vecchi politici con gente nuova, ma è quello di scardinare il sistema; eliminare la disinformazione catodica è di questo progetto un elemento fondamentale, forse persino più importante che raccogliere voti e vincere le elezioni; per questo non dobbiamo alimentare nemmeno di striscio i modelli precedenti. Dopodiché, credo però che sia eccessivo gettare la croce addosso a Favia e a Bono: si prova, si sperimenta, si capisce che non funziona e si torna indietro, e finita lì; tra l’altro queste spese furono decise quando la riflessione sul rapporto tra Movimento e televisione era molto meno avanzata, e in Piemonte la scelta del gruppo regionale di seguire questa strada fu discussa e sostenuta a maggioranza dagli attivisti, per quanto non mancassero le critiche.

Sono invece un po’ preoccupato per come la vicenda si è evoluta a livello comunicativo. Grillo ha criticato pubblicamente la scelta dei consiglieri, peraltro facendo confusione tra il fondo stipendi (quello alimentato dal taglio degli stipendi dei consiglieri) e il fondo di funzionamento (altri soldi pubblici dati al gruppo per pagare l’ufficio, a partire dai portaborse); e ha annunciato l’intenzione di eliminare il fondo stipendi, cosa secondo me sbagliata perché con quel fondo sono state finanziate varie iniziative a vantaggio dei cittadini, dai ricorsi al TAR dei comitati ambientalisti fino alla distribuzione di pannolini lavabili, che mi sembrano preferibili al dare quei soldi indietro alla Regione. D’altra parte, i consiglieri regionali hanno difeso le proprie posizioni e scaricato le colpe sull’attacco mediatico dei giornali di regime (indubbio); da Favia avrei preferito sentire una indicazione chiara sul fatto che non lo farà più, invece che un “vedremo”.

Questa situazione deriva comunque da una questione irrisolta: a chi spetta stabilire se un determinato uso dei fondi a disposizione dei consiglieri, pur se assolutamente legale, è anche opportuno? A Grillo? Al consigliere? Al gruppo di attivisti del consigliere? A tutti i suoi elettori? E’ proprio su questa zona grigia che si creano divergenze tra Grillo e alcuni suoi consiglieri.

Personalmente credo che questo sia uno di quei pochi punti qualificanti su cui Grillo in qualità di garante ha l’ultima parola, e difatti immagino che direttive vincolanti sull’uso dei soldi verranno prossimamente aggiunte agli impegni di chi richiede la certificazione per candidarsi. D’altra parte, un modo più costruttivo di uscirne sarebbe quello di mettersi tutti attorno a un tavolo, Grillo da una parte e i consiglieri dall’altra, condividere le esperienze ed elaborare insieme delle linee guida che vadano bene per tutti; perché se sulle ospitate TV a pagamento non dovrebbero esserci dubbi, ci sono tante situazioni in cui il metro di valutazione non è uniforme e in cui magari un gruppo o un consigliere seguono una linea che poi si scopre non essere condivisa a livello nazionale.

Infine, da consigliere in carica, non posso evitare di fare una osservazione. Gira nel Movimento una corrente di pensiero per cui tutte le persone che vengono elette diventano improvvisamente dei potenziali criminali da tenere costantemente sott’occhio, a cui fare le pulci per qualsiasi cosa facciano e a cui imporre sempre nuove regole e nuovi vincoli per evitare che facciano non si sa bene cosa di male.

Naturalmente è giusto che chi ci ha votato e sostenuto, da Grillo al cittadino qualsiasi, eserciti una attività di controllo e chieda conto di ciò che facciamo, e che esprima tranquillamente le sue critiche; ma ricordatevi che siamo umani, che possiamo sbagliare anche noi o avere opinioni diverse, che possiamo decidere di organizzare l’attività in un modo diverso da quello che vorreste senza che questo voglia immediatamente dire che siamo diventati politicanti in carriera o abbiamo tradito lo spirito del Movimento. Sarei molto deluso se il Movimento naufragasse in un continuo battibecco pubblico, perché sprecheremmo l’occasione di cambiare l’Italia; per la quale serve innanzi tutto coesione, tolleranza e rispetto tra le persone più stimate nella nostra comunità.

[tags]movimento 5 stelle, grillo, favia, bono, televisione[/tags]

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martedì 31 Luglio 2012, 16:14

Chiomonte, lo Stato in gabbia

Sabato scorso ancora una volta il popolo No Tav si è riversato sui sentieri tra Giaglione e Chiomonte, attorno al cantiere che non c’è. E’ stata una giornata di festa, alla faccia di uno Stato che in Valsusa è sempre più lontano e sempre più ridicolo.

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Partiamo per le frazioni di Giaglione, in un serpentone lunghissimo di cui non si vede la fine. Dopo un po’, la strada principale è bloccata, come già lo scorso ottobre; e come già allora, nessuno demorde. Basta inoltrarsi nella montagna, seguendo l’antico dedalo di sentierini e muretti a secco che mostrano com’era una volta questa montagna meravigliosa, piena di casette e di coltivazioni povere ma importanti, e com’è adesso, abbandonata dall’incuria degli uomini moderni.

Il sentiero supera un crinale e si fa più stretto, proseguendo a mezza costa verso la val Clarea. Si forma un gigantesco ingorgo di persone, ferme in fila indiana aspettando che il corteo riesca a proseguire. Il serpentone si sfrangia in rivoli che sfruttano ogni varco nel bosco, cercando di arrivare alla meta: il rio in fondo alla valle.

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Laggiù, il punto più difficile: il guado. E’ un’esperienza che resterà nella memoria di molti, perché il passaggio non è agevole; bisogna saltare tra grandi pietroni per poi varcare il fiume in punta di piedi, senza scivolare nell’acqua gelida in cui ci si potrebbe rompere il collo. E’ un grande esempio di solidarietà No Tav; dai giovani col cane fino alle vecchiette, tutti si aiutano a vicenda. Perfetti sconosciuti si sbracciano e si abbracciano per aiutarsi a passare, mentre un gruppo di attivisti si ferma sui vari guadi per un’ora a porgere la mano a tutti quelli che ne hanno bisogno.

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Si risale la montagna, e sono ormai quasi tre ore di marcia: siamo sopra al cantiere. E’ la prima volta che lo vedo da così vicino, e la sensazione è orribile: al posto di quella che era una serie di prati e di boschi c’è ora un’enorme montagna di terra smossa, una devastazione ambientale mostruosa. Ci raccontano che i proprietari sono stati privati di tutto, che la natura è stata svenduta dallo Stato, ogni castagno secolare risarcito con cento euro e via. Dentro, peraltro, non c’è niente; solo mezzi delle forze dell’ordine e qualche vago arnese in un angolino – non certo le attrezzature che servirebbero per fare davvero un lavoro epocale come il Tav.

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Quella che era l’area archeologica della Maddalena, dove ai tempi della Libera Repubblica No Tav si entrava con le pattine e stando attenti a non rovinare l’erba, è diventata un parcheggio per camionette e cingolati: nemmeno i cinghiali si comportano così. Sulla nostra testa continua a girare l’elicottero… tutto a nostre spese, milioni di euro pubblici buttati nel cestino senza un motivo plausibile, per un’opera che via via tutta Europa sta abbandonando, ultima la stessa Francia.

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Eppure, la tristezza per tutto questo spreco e questa devastazione lascia spazio anche alla soddisfazione: quella che viene dal senso di libertà. Sono loro a essersi chiusi da soli dentro il recinto, come animali feroci; noi gli giriamo intorno come vogliamo, sbuchiamo dai cespugli e dagli alberi, siamo in ogni angolo, migliaia di persone che li costringono dentro. Noi siamo in vacanza, a fare una bella passeggiata nei boschi tutti insieme; loro sono fermi sotto il sole a difendere il nulla da un nemico che non c’è, già sapendo che tanto i soldi mancano e l’opera non si farà mai. Anche dal punto di vista politico, nonostante l’informazione al loro servizio, sono loro quelli chiusi nell’angolo.

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Proseguiamo a mezza costa in mezzo alle bellissime vigne; molti sono tornati indietro per riprendere l’auto a Giaglione, altri hanno ceduto alla stanchezza, ma noi proseguiamo felici. Una signora anziana chiacchiera con un ragazzo di un centro sociale, che le racconta la storia della sua vita (viene da Piacenza, dunque per i giornali sarebbe un mercenario militare anarco-lanciatore di pietre convocato sul posto dalla Spectre). Arriviamo infine a Chiomonte, al ponte della centrale.

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Sul costone c’è l’ennesimo recinto con i tutori dell’ordine ordinatamente chiusi dentro; sul ponte c’è Alberto Perino che saluta tutti e dà una stretta di mano e un abbraccio a chiunque passi di lì, come premio per quattro ore di marcia; e l’essere arrivati in fondo è un gran premio di suo. Di fronte, la Dora è piena dei bagnanti del campeggio No Tav, il terribile “campo paramilitare” di ragazzi in bermuda e famiglie accaldate.

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Risaliamo fino a Chiomonte per tornare poi a Torino. E’ stata una splendida giornata e torniamo tutti a casa stanchi, ma con il morale alto: quest’opera è ormai agli sgoccioli e in gabbia ci sono soltanto loro.

P.S. Il movimento No Tav lancia la quarta edizione di Compra un posto in prima fila, per chi volesse acquistare una quota di proprietà di uno dei terreni teoricamente destinati ad essere invasi dai cantieri del Tav. Anche il Movimento 5 Stelle di Torino e del Piemonte parteciperà all’acquisto. Le quote partono da venti euro, aderite numerosi; contattateci per aderire con noi, oppure visitate i siti No Tav.

[tags]no tav, chiomonte, giaglione, valsusa, manifestazione, stato, polizia[/tags]

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giovedì 3 Maggio 2012, 15:31

Un Primo Maggio movimentato

La primavera, si sa, rende l’aria frizzante e risveglia gli animi: così si può spiegare il movimentato Primo Maggio di Torino. Molto è stato scritto in questi giorni sulle contestazioni a Fassino e sugli scontri davanti al Municipio, che avevamo già commentato; io vorrei farvi vedere un paio di video, in modo che possiate rendervi conto direttamente delle cose; viste di persona o comunque in immagini sono tutt’altra cosa, rispetto ai racconti edulcorati e manipolati dei media.

Del primo video impressiona lo smarrimento delle autorità di ogni livello e colore, di Fassino, di Saitta, di Leo, di Chiamparino, murati tra file di poliziotti a perdita d’occhio, in strada con l’aria di non riuscire proprio a capire, a spiegarsi perché improvvisamente la gente li fischi e li attenda per strada per insultarli. Chiamparino risponde con classico disprezzo, di un contestatore dice “di sicuro ha passato tutta la vita in funivia”, senza rendersi conto che è proprio così, che ormai è la stessa buona classe media torinese che fino a ieri li adorava a contestarli, e che proprio questa è la sua condanna. Fassino sembra ancora nella fase della negazione, più tardi dirà che i contestatori sono il solito gruppetto di estremisti e di autonomi – e invece no, è la gente comune, persino quella di età non più verdissima che costituisce la base del corteo del primo maggio, ormai ridotto a rito di una società quasi estinta.

E poi, impressiona la scena del servizio d’ordine del PD, tutto tecnico e organizzato con le pettorine rosse marchiate, che si mette a spintonare una persona che riprende – in mezzo a piazza Castello in un corteo per una festa nazionale, un’occasione che più pubblica non si può – e gli mette le mani sulla telecamera, finché non arriva il consigliere Paolino (che ringrazio) a calmarli e portarli via. Loro, dicono, erano nervosi perché la gente li prendeva a male parole, qualcuno anche a sputi: ma non è un buon motivo per prendersela con chi documenta, anche perché il risultato è che sempre più gente si mette a gridare “siete peggio della polizia” e “fuori il PD dal corteo”.

Di questo secondo video impressiona l’aggressività della polizia: celerini fuori controllo che insultano e inseguono le persone che avevano provato ad avvicinarsi a Fassino. Si sentono chiaramente gli ufficiali cercare di fermarli con ogni mezzo, compresa una bestemmia. Questo è il clima nelle nostre strade, e probabilmente la polizia è rabbiosa anche per trovarcisi in mezzo, per doverne subire le conseguenze in prima persona; finché anche i poliziotti non si stuferanno e si rifiuteranno di scortare i politici.

[tags]primo maggio, politica, torino, pd, fassino, chiamparino[/tags]

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venerdì 17 Febbraio 2012, 13:54

M’illumino di meno

Oggi, 17 febbraio, cade l’edizione 2012 di M’illumino di meno, la giornata nazionale del risparmio energetico promossa dalla trasmissione Caterpillar di Rai Radio 2, e diventata negli anni un vero appuntamento istituzionale.

La settimana scorsa, man mano che le varie città d’Italia annunciavano la propria adesione, ci siamo chiesti: può Torino non rispondere all’appello? Ovviamente no, e dunque abbiamo presentato una mozione d’urgenza per dichiarare l’adesione della città e disporre lo spegnimento delle luci di almeno un monumento nella serata di oggi.

Per ottenere il passaggio d’urgenza in consiglio comunale ci vuole il placet della maggioranza, che è stata ben contenta di aderire a patto che la mozione diventasse “di tutti”: e dunque l’hanno firmata il presidente e il vicepresidente del Consiglio Comunale e tutti i capigruppo. Dopodichè, nel consiglio di lunedì scorso, la mozione è stata approvata all’unanimità.

La nostra speranza era che la giunta non si limitasse a una adesione “spintanea”, ma partecipasse con convinzione. L’assessore Lavolta ha puntato molto del proprio successo politico su queste tematiche, tanto da creare addirittura una fondazione apposita per Torino Smart City. E infatti la Città ha realizzato addirittura un video promozionale, e i monumenti scelti dalla giunta per lo spegnimento sono quelli più importanti – la Mole e Superga. E noi ne siamo ben contenti: l’importante è che le cose si facciano.

Speriamo solo che, oltre alle attività simboliche, si riesca poi a far partire anche quelle sostanziali, visto che è di pochi giorni fa la notizia del flop totale a livello europeo: tutti i bandi europei che Torino sperava di vincere per finanziare iniziative in questo campo sono stati invece vinti da Genova. Vedremo se nei prossimi mesi le promesse saranno mantenute, di modo che questo progetto non diventi una ennesima voce di spesa per attività promozional-cosmetiche senza riscontro nei fatti.

Nel frattempo, ricordatevi che il risparmio energetico richiede l’impegno di tutti: ecco alcune cose che potete, anzi dovete, fare anche voi.
[tags]risparmio energetico, caterpillar, rai, m’illumino di meno, smart city, torino[/tags]

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venerdì 10 Febbraio 2012, 13:51

Torino contro i pesticidi e la moria delle api

È matematico: la prima volta in cui dici che abbiamo presentato un ordine del giorno in difesa delle api, c’è sempre qualcuno che si mette a ridere; qualche battuta scappa sempre. Eppure, quando poi spieghi l’argomento, tutti si rendono conto che la questione è estremamente seria.

Circa cinque anni fa, infatti, le api hanno cominciato a morire in massa, in certi casi fino al 90% delle colonie, senza che si capisse bene il perché. Se muoiono le api, non manca soltanto il miele; viene messo a rischio l’intero ciclo della natura. Dovremmo infatti tutti ricordare, sin dalle scuole elementari, che le api sono responsabili dell’impollinazione dei fiori e dunque della riproduzione delle specie vegetali, che a loro volta alimentano gli animali e infine l’uomo (direttamente dai Simpson, ricordiamo la catena alimentare dell’uomo). Niente api, niente natura, niente uomo.

A tutt’oggi non è chiara la ragione ultima di questa moria: i fattori sospetti sono molti, dagli OGM alle radiazioni dei cellulari. Tuttavia, le analisi hanno indicato la presenza tra le api morte di una particolare categoria di pesticidi “innovativi”, noti come neonicotinoidi, e utilizzati per “conciare” i semi del mais e di altre colture (barbabietole, patate) prima di seminarli, per renderli intrinsecamente resistenti ai parassiti. Vari studi scientifici sostengono che questi pesticidi intervengano sul sistema nervoso delle api e in sostanza le uccidano… e non è nemmeno chiaro cosa succeda al sistema nervoso degli umani che mangiano i frutti derivanti da questi semi.

Altri, comunque, sostengono che i neonicotinoidi non facciano poi così male: sono le multinazionali come Monsanto, Bayer e BASF, che li producono (ma se volete potete anche comprarli su Internet dalla Cina), e gli agricoltori che li usano. Sta di fatto però che, quando si è introdotto un divieto temporaneo e precauzionale di questi pesticidi, le api sono tornate a vivere.

Il divieto è stato via via prolungato, di anno in anno, ma è sempre a rischio di essere rimosso, grazie alle pressioni delle lobby sopra citate. Così a ottobre, dopo la manifestazione a cui abbiamo partecipato qui a Torino per chiedere l’ennesima proroga, ho pensato che anche la Città potesse prendere posizione. Ho dunque scritto e presentato un ordine del giorno, che è infine arrivato in votazione lunedì 30 gennaio, ed è stato approvato all’unanimità: la Città di Torino chiede ufficialmente al governo di rendere definitivo il divieto d’uso dei neonicotinoidi in agricoltura, senza condizioni.

Anche qui in Comune, superate le risatine, tutti si sono resi conto della gravità del problema: speriamo che altre città possano seguirci, e che – in vista della prossima scadenza del divieto provvisorio, fissata per il 30 giugno – si possa arrivare a un divieto definitivo.

[tags]api, agricoltura, natura, salute, pesticidi, neonicotinoidi, torino[/tags]

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