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Archivio per la categoria 'SinchËstèile'


giovedì 14 Maggio 2020, 19:52

La torta di riso abbonda

Ho conosciuto Alice Salvatore da Genova nel 2014. C’erano le elezioni europee insieme alle regionali piemontesi, e organizzammo un grande comizio del M5S in piazza Castello per presentare i candidati. Lei venne su apposta fino a Torino e si presentò da noi scortata da un personal assistant (non ricordo chi fosse, spero un amico volontario, però le correva dietro come un consulente d’immagine), e piantò una scenata unica perché secondo lei, visto che alle europee Piemonte e Liguria sono insieme, dovevamo darle il microfono in mano e farle fare mezz’ora di comizio alla folla per garantire una “competizione equa” per le preferenze. Mi scuso per aver privato i torinesi di quell’esperienza; sicuramente avrebbe conquistato migliaia di voti. In compenso, credo di essermi conquistato io un nemico interno (non che scarseggiassero).

Negli anni successivi io ero già ai margini e piuttosto deluso, ma seguii a distanza tramite amici le sue performance liguri. Lascerò ad altri, se vorranno, il racconto dei dettagli, ma la Salvatore si distinse da subito per la sua totale fedeltà ai vertici e per la grande aggressività nell’attaccare le persone che esprimevano una qualunque idea pensante e non allineata, a partire dallo storico consigliere genovese Paolo Putti.

Ottenuta candidatura ed elezione in Regione, il suo capolavoro furono le elezioni comunali genovesi del 2017, in cui “spintaneamente” prima Putti e poi Cassimatis furono fatti da parte per assegnare la candidatura a sindaco alla terza scelta Pirondini, da lei molto caldeggiato. Fu sempre più flop, e alla fine il M5S, pur veleggiando oltre il 30% alle politiche, non è andato mai nemmeno vicino a conquistare né il sindaco né la Regione.

Arriviamo così alle prossime elezioni regionali di quest’anno, dove evidentemente lei dava per scontato di essere di nuovo candidata a presidente, con la rielezione e lo stipendio assicurato per altri cinque anni; e aveva anche vinto la votazione tra gli attivisti su Russò (non una sorpresa, visto che quelli a cui lei non piaceva sono fuori dal Movimento da un pezzo).

Lo scenario politico però è cambiato, e poco dopo Russò ha anche deciso che bisognava allearsi col PD, logicamente con un altro candidato presidente, che non fosse di nessuno dei due partiti. Dopo due mesi di congelamento da lockdown è arrivata la sua risposta: da volto-selfie del M5S ligure senza mai una critica e pronta alla competizione elettorale, una improvvisa e profonda epifania l’ha portata in coscienza al dissidio totale verso il M5S di oggi, in cui non si riconosce più.

E così, ha deciso di candidarsi lo stesso a presidente, ma con un suo nuovo movimento politico, ripercorrendo ironicamente gli stessi passi degli esecrati Putti e Cassimatis, al tempo ampiamente accusati di tradimento.

Il movimento si chiama “IL BUONSENSO”, e come vedete nella foto la scritta e il tipo di caratteri nel simbolo sono circa gli stessi de “IL BUON RISO”, ha solo cambiato un paio di lettere. In linea con la sua nota modestia, il simbolo contiene anche il suo nome a caratteri cubitali e persino un disegno del suo volto. Cosa pensare? Come si usa dire in questi casi, il suo probabile destino è il prefisso telefonico (zerodieci per cento).

Ma non riesco nemmeno più a incazzarmi: detto tra noi, chi se ne frega. Son solo qui a chiedermi come sia nata la maledizione di noi italiani, costretti invariabilmente, nonostante i tentativi, a subire un mondo politico che non ci disgusta nemmeno più, ma ci fa solo ridere amaro, sapendo che il buon riso è ormai l’unica cosa che la nostra classe politica è ancora in grado di darci.

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lunedì 6 Gennaio 2020, 21:46

Una nota storica sulla candidatura a sindaco di Appendino

Vedo in giro la polemica suscitata da una intervista di Marco Canestrari che afferma che la candidatura a sindaco di Torino di Chiara Appendino nel 2016 fu decisa dall’alto da Davide Casaleggio, con conseguenti smentite degli attuali eletti M5S che assicurano di averla scelta loro. Dove sta la verità? Beh, sta nel mezzo.

E’ vero che il 7 novembre 2015 ci fu una assemblea generale degli attivisti M5S in cui Chiara fu nominata candidato sindaco per acclamazione, in assenza di altri candidati (ce n’erano un paio, sostanzialmente sconosciuti persino a me, che prima della votazione si alzarono e si scusarono tanto per aver sbagliato ad offrirsi, ritirandosi e sostenendo Chiara).

E’ anche vero però che già il 28 ottobre 2015 la “candidatura unanime” di Chiara fu annunciata sul Fatto Quotidiano come cosa fatta, tramite un articolo non firmato. Inoltre, il 30 ottobre, ultimo giorno dell’assemblea ANCI che si teneva a Torino, io incontrai Nogarin, allora sindaco di Livorno, che mi prese da parte e mi disse che quell’articolo era stato fatto uscire da Casaleggio in persona, e di sostenere Chiara anch’io, proponendomi piuttosto come suo vice per il bene e l’unità del M5S.

Alla fine, qualunque votazione avrebbe comunque portato alla scelta di Chiara, perché le alternative erano state allontanate e screditate con un lavoro di almeno due anni, condiviso con gli allora leader regionali e almeno approvato, se non richiesto, da Milano. Ma ci fu certamente una scelta comunicativa pianificata e organizzata nel far uscire la sua candidatura come risultato di una acclamazione unanime, pensando che ne avrebbe lanciato con successo (come è stato) la campagna contro Fassino. Non sapevo dell’incontro privato tra Appendino, suo marito, Bono e Casaleggio avvenuto a inizio ottobre 2015, di cui parla oggi Lo Spiffero e in cui si sarebbe presa questa decisione, ma mi sembra estremamente verosimile.

Non mi pare niente di troppo sconvolgente, visto che tutti i partiti funzionano così; già allora le idee originali del Movimento erano decadute da un pezzo, sostituite dall’ambizione di potere a cui tutto veniva piegato. Semplicemente, molti di noi della prima ora, compresi tanti che quel 7 novembre alzarono la manina in buona fede credendo di contare davvero qualcosa, non l’avevano ancora capito appieno.

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lunedì 27 Maggio 2019, 08:52

Commento a un cataclisma elettorale

Alla fine è stato un cataclisma ancora più grande del previsto. Sinceramente pensavo che le polemiche delle ultime settimane avrebbero un po’ fermato la Lega e rilanciato il M5S, e invece è successo l’opposto: per la Lega (34%) è un trionfo, per il M5S è un disastro storico (dal 33 al 17 per cento in un anno). In un partito normale, Di Maio andrebbe a casa con ignominia e ci sarebbe un nuovo capo politico, ma questo non succederà e ci troveremo in una situazione preoccupante: Di Maio disposto a concedere qualunque cosa a Salvini pur di non tornare a elezioni e rimanere al governo. Nel frattempo, nessuna autocritica, nemmeno le dimissioni di un Toninelli qualsiasi (grazie per le risate ma sei il numero 2 dei responsabili dopo Gigi).

Resta la tristezza di un progetto potenzialmente epocale che non solo è finito in merda per aver cacciato quasi tutta la gente valida pur di garantire soldi e potere a Giggino & friends, ma che ha sdoganato la Lega, presentandola da solo come l’alleato credibile nella lotta al sistema e la prima scelta per tutti i delusi.

Di fatto, il centrodestra è al 50% ed è, per la prima volta, dominato da formazioni di destra vera; come anche in Francia e in Gran Bretagna, ma molto più che lì, l’Italia è in mano a un nazionalpopulismo apparentemente da operetta ma molto pericoloso. Anche Mussolini, all’inizio, sembrava un cretino che non sarebbe durato. La Lega di oggi non è il fascismo, perché la storia non si ripete mai esattamente uguale, ma è una nuova manifestazione della cazzaraggine italiana che potrebbe anche finire altrettanto male, visto l’entusiasmo che scatena tra i reparti di polizia.

Il PD festeggia, indubbiamente è andato bene (23%), ma fino a un certo punto; non ha fatto né detto assolutamente nulla se non mettersi lì, e così ha preso i voti col naso turato di chi voleva fermare Salvini, proprio come vent’anni fa prendeva quelli di chi voleva fermare Berlusconi. Il problema è che in questo modo sterilizza l’opposizione alla Lega invece di rilanciarla, perché è difficile che solo per naso turato possa andare tanto più in alto di così, e per governare serve il 30-35%.

Il premio masochismo però va, come sempre, all’area di centrosinistra e di sinistra alternativa al PD: tre liste da 2-3% l’una sono un suicidio politico. Anche solo mettendone insieme due avrebbero fatto il quorum. Così stanno tutti a casa; speriamo che imparino per il futuro, perché serve disperatamente qualcosa di nuovo e di forte vicino al PD.

Nota di colore: un saluto agli amici del Partito Pirata che hanno preso lo 0,23%, un terzo dei voti del Partito Animalista. Era chiaro che finiva così, almeno loro si saranno divertiti; nulla di male, ma sarebbe bello prima o poi che anche su quel tema ci fosse qualcosa di più serio.

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venerdì 24 Maggio 2019, 14:29

Dichiarazione di voto svogliato

Domenica si vota, e alla fine ho deciso di fare il solito post di dichiarazione di voto, anche se mai come questa volta ho pochissima voglia di andare a votare.

Le cose sono più semplici per le elezioni europee. Io penso che tutto nell’Unione Europea possa essere discusso, persino l’euro, ma non la nostra appartenenza all’Unione e il progetto di unificazione europea nel lungo periodo. Per questo vale la pena di votare per un partito europeista, e le scelte non sono molte.

Se devo guardare ai programmi e all’appartenenza istintiva, la scelta va senz’altro al Partito Pirata, nel quale peraltro sono candidati diversi amici. Sarebbe però un voto di pura rappresentanza, dato che è più facile che la Juve vinca la Champions piuttosto che vedere il Partito Pirata al 4% nelle condizioni attuali; e spero che loro si dedichino una buona volta a costruire un partito vero, anziché sparire come ogni volta fino alle successive elezioni europee.

Se uno quindi vuole un voto che pesi, l’unica scelta è +Europa/Italia in Comune, che però mi ha un po’ deluso non candidando Marco Cappato (che anzi ha lasciato il partito dopo un congresso che ha lasciato tutti perplessi), e nemmeno (da noi) Federico Pizzarotti; la mia preferenza andrebbe allora a un radicale puro come Igor Boni. Tra queste due possibilità deciderò all’ultimo.

Le elezioni regionali sono invece un disastro: i candidati presidente sono tutti deludenti. Il mio omonimo pentastellato è il peggio che il M5S potesse esprimere, uno che vive di politica da quasi dieci anni senza aver mai fatto niente di notevole se non stare in scia a Bono e Castelli. Chiamparino è Chiamparino, ha raggiunto i limiti di età da un pezzo. Cirio lo conosco poco, ma sembra un altro quadro di partito. La tentazione quindi è di fare come Fantozzi, entrare in cabina e tirare lo sciacquone.

Se no, l’alternativa è votare una persona che stimo, turandosi il naso su lista e presidente. Ci sono diverse persone che apprezzo dalla mia esperienza in consiglio comunale e che potrei raccomandare, partendo dall’ing. Piera Levi-Montalcini nei Moderati (o, se siete molto cattolici, Silvio Magliano) per arrivare a Marco Grimaldi in sinistra libera uguale o come si chiama adesso (l’ho chiesto già una volta e non l’ho ancora capito). C’è Silvio Viale in +Europa, che avrei votato sicuramente se non avessero aggiunto “Sì Tav” sul simbolo; e c’è Roberto Carbonero, già leghista non salviniano, nell’UDC (anche se l’UDC per me sarebbe davvero troppo). E il M5S? Beh, non lo voterò, ma se lo votassi darei la preferenza a Paolo Vinci, per amicizia e perché è uno di quelli che c’è da tempi non sospetti, che ha fatto i gazebo al gelo con me (“fatto” nel senso che lui li procurava e aggiustava pure) e che di sicuro non sgomita per essere eletto.

Insomma, per la prima volta farò parte del grande gruppo dei delusi che sceglierà all’ultimo; ma spero che il ragionamento possa comunque esservi utile.

P.S. Se vi serve, a questo indirizzo trovate tutti i candidati alle regionali a Torino e provincia, una informazione quasi impossibile da reperire.

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mercoledì 6 Febbraio 2019, 15:22

Una piccola cronistoria delle operazioni di pulizia del M5S di Torino

Non volendo troppo commentare i fatti di questi giorni nell’amministrazione comunale torinese, mi sono limitato a mettere insieme un riassunto dei fatti.

Novembre 2015: Appendino, appena scelta candidata sindaca, nomina Giordana (fino ad allora sconosciuto al M5S) come suo braccio destro e capo del programma. Basta chiedere in giro per scoprire che è un ex staffista di assessori PD, ex Fare, ex AN, ex FUAN, certo non una persona da Movimento. Gli attivisti del M5S torinese, con poche eccezioni, tutti zitti e concentrati sulla lista per le comunali.

Giugno 2016: Appendino, appena eletta sindaca, nomina Giordana suo capo di gabinetto (praticamente “sindaco ombra”) e come suo capo ufficio stampa Pasquaretta (fino ad allora sconosciuto al M5S). Basta chiedere in giro per scoprire che è un giornalista sportivo del giro Juve, nonché PR di discoteche e di “Torino Erotica”, noto per il carattere aggressivo, che sbarra le porte anche ai colleghi che hanno sostenuto il M5S da tempi non sospetti. Gli attivisti del M5S torinese, ora diventati in massa consiglieri comunali, ancora tutti zitti.

Giugno 2017: Appendino e Giordana sono coinvolti nelle indagini sui fatti di piazza San Carlo. Una volta il M5S li avrebbe fatti dimettere, ora tutti zitti e concentrati a difendere il potere. Giordana resta lì; l’unico cambiamento è che viene cacciata l’assessora tecnica all’ambiente, Giannuzzi, per dare un posto in giunta al capogruppo Unia.

Ottobre 2017: Appendino e Giordana sono coinvolti in una seconda indagine, per un falso nel bilancio del Comune. Gli attivisti ancora tutti zitti.

Novembre 2017: Pasquaretta diventa capo di gabinetto, quando si scopre (tramite una soffiata ai giornali fatta da chissà chi) che Giordana ha fatto togliere una multa a un amico dal presidente di GTT, e a quel punto si dimette. Di Battista dichiara che il M5S torinese è pulitissimo, anzi se facessero così anche gli altri “resterebbero in tre”, anche se non si capisce chi siano gli altri, visto che nessun capo di gabinetto precedente è mai stato intercettato mentre faceva togliere multe.

Agosto 2018: Dopo la scoperta di una sua consulenza al Salone del Libro di dubbia consistenza e regolarità, che gli avrebbe permesso di intascare 5000 euro extra e che diventa oggetto di una ennesima indagine, Pasquaretta si dimette da capo di gabinetto. Il M5S torinese è talmente impegnato a fare pulizia che Appendino gli cerca un nuovo posto e che Laura Castelli lo ingaggia nel proprio staff a Roma.

Gennaio 2019: Parte una ennesima indagine su Appendino e il suo staff (la quinta, sesta, boh, si è perso il conto), quando si scopre che Pasquaretta avrebbe ricattato Appendino per farsi sistemare dopo le dimissioni, minacciando altrimenti di rivelare alla magistratura fatti sulla giunta Appendino che “avrebbero fatto venire giù il Comune”. I giornali dicono che Pasquaretta abbia chiesto mazzette a imprenditori per fargli ottenere colloqui con assessori e portare avanti progetti di loro interesse; e che dopo le dimissioni abbia ottenuto una ennesima consulenza in Basilicata, con relativo lauto compenso, in maniera irregolare (parte una indagine anche a Potenza). Appendino non ha mai denunciato il ricatto, né ha spiegato ai torinesi quali siano queste cose che “avrebbero fatto venire giù il Comune” (forse le scopriremo nei prossimi mesi); secondo le cronache, si sarebbe invece data da fare ad accontentare Pasquaretta. Il M5S torinese, quello che non ha mai cacciato né Giordana né Pasquaretta nonostante il profilo noto sin dal principio e poi le indagini multiple, quello che ha sempre accettato passivamente qualunque decisione della sindaca (compresa la marcia indietro sul 90% del programma) pur di non mettere a rischio le cadreghe, rilascia la seguente dichiarazione:

“Il Movimento 5 Stelle è sano, qui a Torino come in Italia e nessuno può provare il contrario.”

Sembra un po’ un tizio in fuga che grida “non mi prenderete maiiiii!”, ma questa è solo una impressione personale.

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domenica 11 Novembre 2018, 11:44

Una domanda sul futuro di Torino

Ieri si è, di fatto, aperta in prospettiva la campagna per le elezioni comunali torinesi del 2021.

Innanzi tutto, Appendino e il M5S sono morti che camminano, perché da una parte hanno perso il sostegno di quelle elite cittadine che pensavano che tutto sommato una persona come Chiara, che di quell’ambiente fa parte, potesse garantire una gestione più dinamica ed efficiente del vecchio Fassino; e dall’altra hanno deluso tutti quelli che li hanno votati per avere una amministrazione decisamente alternativa che funzionasse meglio della precedente e che rivoluzionasse la città, cosa che non è successa. E’ possibile che possano recuperare all’ultimo cambiando decisamente passo, ma pare difficile.

Il vero dramma è che l’affondamento del M5S rischia di affondare con sé l’idea stessa che una alternativa al governo dei salotti buoni, del triangolo PDFiatPolitecnico e delle grandi opere sia possibile – e questa è una responsabilità storica gravissima di Appendino & friends.

La piazza di ieri era piena della stessa gente che nel 2011 veniva ad ascoltare Grillo; gente normale, preoccupata per l’evidente degrado di Torino e delusa dall’incapacità dell’amministrazione (che molti di loro hanno votato). Furbescamente, l’elite di cui sopra adesso si traveste di populismo di segno opposto, elimina le bandiere di partito e però mette il cappello sulla delusione spingendola nella direzione che a lei conviene, quella del solito modello cementizio e megalomane (TAV, Olimpiadi, ipermercati…). In questa situazione, la gente sarà spinta al ritorno al passato, appena appena rinnovato in superficie con la promozione delle ex seconde file per raggiunti limiti di età di Fassino e Chiamparino, e/o con la classica cooptazione del professore/notaio/professionista di turno.

Eppure, i ragionamenti sui modelli di sviluppo originariamente alla base del Movimento 5 Stelle (e del movimento No Tav) sono ancora validi. La gente giustamente vuole sviluppo, ma davvero l’unico modello di sviluppo è quello del cemento? Io credo di no. Allora, come fare a disaccoppiare il fallimento del M5S, indiscutibile, dal fallimento del modello alternativo di sviluppo, che in realtà non è affatto fallito, perché il M5S non l’ha nemmeno provato? E’ possibile sostenere quel modello alternativo senza che esso sia identificato con l’impreparazione, l’arroganza e l’inefficienza dimostrati dal M5S in questi due anni e mezzo, e come?

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lunedì 1 Ottobre 2018, 14:15

Alcune domande sul reddito di gigginanza

Ci sono alcune cose che non ho capito del reddito di gigginanza, ossia la versione Di Maio del reddito di cittadinanza – e parlo di “versione Di Maio” perché il reddito di cittadinanza sarebbe una cosa seria, una misura che da anni viene discussa e sperimentata in mezzo mondo per provare ad affrontare in modo nuovo gli effetti della globalizzazione e della digitalizzazione dell’economia; ma qui non si capisce più cosa sia davvero.

All’inizio, infatti, anche nelle proposte del M5S il reddito doveva essere dato a tutti, potenzialmente a 60 milioni di italiani in quanto cittadini, come sostegno a tempo indeterminato “perché esisti”, e come forma di redistribuzione della ricchezza generata dall’automazione e dalla delocalizzazione, che tendono naturalmente ad eliminare i posti di lavoro meno qualificati e a concentrare la ricchezza nelle mani di pochi.

Era una visione nobile che guardava lontano, però si è capito che nel breve termine il progetto non stava proprio aritmeticamente in piedi, e allora, sin dalla scorsa legislatura e poi nel programma elettorale, Di Maio ha trasformato il reddito di cittadinanza in un sussidio di disoccupazione per 6,5 milioni di persone sotto un altro nome: te lo do ma solo fin che non trovi un nuovo lavoro, e solo se non rifiuti più di tre offerte di lavoro.

Poi però si è giustamente fatto notare che se ci sono 6,5 milioni di disoccupati non si capisce dove possano saltar fuori 6,5*3 = 19,5 milioni di offerte di lavoro; se ci fossero, i 6,5 milioni non sarebbero disoccupati. Allora, per rispondere all’accusa piuttosto sensata di voler mantenere i fancazzisti a vita (o, in alternativa, di sparare ogni giorno a cazzo la prima cosa che gli veniva in mente), Di Maio ha cambiato di nuovo versione, e il reddito di cittadinanza è diventato un lavoro socialmente utile: te lo do, ma solo in cambio di 8 ore a settimana di lavoro nel tuo Comune.

Ora, a parte il fatto che i lavori socialmente utili esistono da decenni e non hanno mai “abolito la povertà”, il problema è che 6,5 milioni di persone sono oltre un decimo degli italiani; a Torino, proporzionalmente, le persone da far lavorare nel Comune sarebbero 90.000, forse di più. Ma l’intero Comune di Torino ha 10.000 dipendenti: come farebbe a gestire 90.000 persone, generalmente poco qualificate, che lavorano un solo giorno a settimana, con un ricambio continuo che impedisce qualsiasi tipo di formazione o di pianificazione del lavoro? Ogni dipendente comunale avrebbe ogni giorno due persone diverse che lo guardano da dietro le spalle in attesa di fare qualcosa, e dovrebbe smettere di fare il suo lavoro per istruirli, salvo poi averne due diversi il giorno dopo? Oppure queste persone dovrebbero auto-organizzarsi e fare da soli qualcosa, pulire le strade, tagliare l’erba… ma in tal caso, chi gli dà i mezzi, chi gli spiega cosa devono fare, chi controlla il lavoro che fanno? Dove trovano i Comuni i fondi e il tempo per gestire questa massa di persone?

E se poi anche si riuscisse a organizzare questo tipo di lavori, anche per un numero molto minore di persone, cosa sarà dei lavoratori di tutte le imprese e cooperative che attualmente forniscono servizi ai Comuni in subappalto? Verranno lasciati a casa perché il loro lavoro sarà già coperto dai “precari istituzionali” del reddito di cittadinanza? E poi si darà il reddito di cittadinanza anche a loro?

Ma allora, facendo un debito pubblico aggiuntivo da decine di miliardi di euro per sostenere il lavoro, non era meglio limitare il sussidio a un più modesto sostegno temporaneo per chi perde il lavoro, e poi investire nella creazione di posti di lavoro veri, dignitosi, inquadrati regolarmente, non dico nel privato tramite incentivi alle aziende (eresia!), ma almeno in quei settori in cui il pubblico impiego è davvero sottodimensionato? Sarebbero stati di meno, ma sarebbero stati reali, utili, stabili, e persino, se ci si fosse impegnati in tal senso, meritocratici.

O il problema era che così non si potevano gridare tanti slogan dal balcone, non si potevano sollecitare i voti di così tante persone, non si potevano dare soldi a pioggia a mezza Italia, anche a chi li aspetta come beneficio clientelare in cambio di nessuna fatica?

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mercoledì 27 Giugno 2018, 17:40

Travaglio Fede

L’ho già detto altre volte, ma io alla famiglia Travaglio sono legato da un rapporto, ancorché non particolarmente stretto (non li sento da un paio d’anni), che va oltre la politica. Li ho conosciuti già nel secolo scorso, prima che Marco andasse da Luttazzi e diventasse Marco Travaglio; sono stato a casa loro, anzi nel 2010, per le regionali, andai personalmente a casa dei genitori a portare una pila di volantini. Lo stesso rapporto affettivo c’è con il Fatto Quotidiano in generale; andai a Milano da Peter Gomez a discutere di progetti Web ben prima di diventare un politico, e lo ricordo prendere la parola a mio favore durante una puntata della Zanzara.

Eppure, quando oggi ho letto l’editoriale di Travaglio intitolato “L’Olimpiade dei cretini”, non sapevo bene se mettermi pietosamente a ridere o se incazzarmi. Praticamente, dopo una lunga premessa, l’editoriale è dedicato a dire che sì, le Olimpiadi sono tradizionalmente un disastro economico per le città che le ospitano e la fonte di sprechi e corruzione (e di finanziamento alle mafie, aggiungo io, anche se Travaglio pare esserselo dimenticato), però se le fa il M5S è diverso.

Contrordine compagni, abbiamo sempre detto che le Olimpiadi erano uno spreco ma ora abbiamo scoperto che portano ricchezza! E le riolimpiadi a cinque stelle saranno diverse, perché magicamente gli impianti abbandonati, ormai in gran parte ridotti a ruderi irrecuperabili (lo diceva anche il buon Pagliassotti in questo servizio di quattro anni fa di un giornale che curiosamente si chiamava proprio come quello di Travaglio), saranno ricostruiti con la sola imposizione delle mani e senza alcuna spesa, e non ci saranno sprechi e corruzione, no no.

Pur di promuovere il grande affare, Travaglio arriva a prendersela con i consiglieri comunali del M5S che si sono permessi di fare il loro lavoro e chiedere di vedere e discutere la candidatura prima di inviarla, visto che il dossier di Torino 2026 è noto a Travaglio, ad Appendino, a Grillo, a Christillin, Chiamparino e compagnia bella, ma non al consiglio comunale e ai torinesi, che dovrebbero essere gli unici a decidere. Nella teorica democrazia diretta del M5S, i cittadini avrebbero dovuto decidere tramite un referendum; ma anche in quella rappresentativa attualmente in vigore, è il sindaco ad obbedire ai consiglieri comunali e non l’opposto. Ma Travaglio, fregandosene della democrazia, gli dà invece direttamente dei cretini.

Questa è la degna conclusione di una involuzione che dura ormai da qualche anno, in parallelo alla presa del potere da parte del M5S, con cui Travaglio si è trasformato da vittima dell’editto bulgaro a megafono del nuovo potere pentastellato, diventando per Di Maio ciò che Fede fu per Berlusconi. Il Travaglio di vent’anni fa se la prendeva coraggiosamente contro il potere, contro Berlusconi presidente del Consiglio, contro le mafie; il Travaglio di oggi fa killeraggio politico, prendendosela con una manciata di persone normali, sconosciute ai più, che hanno l’unico torto, dopo aver mandato giù tanti tradimenti del programma e delle promesse fatte ai cittadini, di aver concluso che quello sulle Olimpiadi è talmente clamoroso da non poter essere lasciato passare. Non c’è niente di coraggioso in quel che fa il Travaglio di oggi; anzi, è un attacco funzionale al potere e del tipo peggiore, quello fatto dai potenti non contro altri potenti, ma contro chi non ha i mezzi mediatici per potersi difendere.

Ma questo attacco scomposto a mezzo stampa è anche, secondo me, controproducente per lo stesso blocco di potere confindustrial-chiampa-grillino che vuole le Olimpiadi: perché più i consiglieri che si oppongono alle Olimpiadi vengono insultati e derisi, più perderanno la faccia se faranno marcia indietro, visto che ormai sarebbe come ammettere “sì, siamo dei cretini”. Già in molti dicono: vedrete che cederanno perché alla fine sono interessati alla poltrona, è gente senza arte né parte che ha bisogno dello stipendio da politico per vivere, pronta a obbedire a qualsiasi ordine. Se alla fine il dissenso rientrerà, questa sarà l’immagine che resterà attaccata ai consiglieri.

In politica, alla fine, i compromessi impossibili sono all’ordine del giorno; eppure sarebbe bello, un sussulto del Movimento che fu, vedere davvero uno scontro finale su un tema così importante e così simbolico. Al di là degli slogan e delle rivendicazioni di circostanza, e molto al di là delle questioni personali, questi sono stati due anni sempre più tristi per tutti i sostenitori di un tempo, per chi credeva in un sogno di cambiamento che, ormai è chiaro, non si è realizzato e non si realizzerà. Se anche i consiglieri staccassero la spina a questa tristezza, non sarebbe certo un male.

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venerdì 1 Giugno 2018, 09:24

Cambiare tutto per non cambiare niente

Non è facile essere un ex del M5S e commentare la politica in questo momento: i tuoi ex colleghi, schifati da tutti tranne che dai propri ultrà e dagli aspiranti riciclandi, si rifanno sfottendo te come cinquenni perché loro sono al potere e tu non sei più sul carro vincente, mentre i benestanti europeisti con lo stipendio di giada, quelli che oggi si allarmano e contestano ma che ignorando per vent’anni dalle loro posizioni di potere i problemi dell’immigrazione e dell’economia hanno creato le premesse sociali per questa situazione, ti considerano comunque un complice.

Tuttavia, tutto sommato questo mi permette di avere una visione abbastanza oggettiva dell’insieme del nuovo governo. E’ senza dubbio un insieme improbabile; è fatto di un po’ di establishment, ex presidenti di banca e direttori generali di Confindustria, ex ministri di Monti, di Letta, di Ciampi messi lì a garantire che nulla cambi veramente nelle cose importanti; un po’ di leghisti, gli unici che sembrano avere idee chiare su quello che vogliono, che però consiste in buona misura in un mondo medievale fatto di fucili, orgoglio patrio e omofobia; e un po’ di grillini, scelti per fedeltà a Di Maio e piazzati nei ministeri meno rilevanti, che danno l’impressione di essere lì da turisti che hanno vinto un viaggio premio, e di non avere molte idee concrete e grandi possibilità di concludere alcunché.

Da cittadino italiano, come a qualsiasi governo, anche a questo auguro di fare il meglio possibile, visto che ne va della mia vita quotidiana. Li giudicheremo sui fatti, anche se i fatti devono arrivare subito, e qualsiasi tentativo di dire “lasciateci lavorare” e “è colpa di quelli prima” va respinto da subito; la situazione generale è pessima ma era perfettamente nota a tutti già prima della campagna elettorale, quindi ciò che è stato promesso e scritto nel contratto può essere realizzato in fretta senza scuse.

Prevedo comunque che molte delle sparate difficilmente realizzabili saranno realizzate solo per finta, anche se la propaganda dirà il contrario; arriverà la flat tax, ma con un aumento di tasse su tutto il resto per compensare; la legge Fornero sarà abolita per introdurne un’altra quasi uguale; e ci sarà un reddito di cittadinanza, ma in realtà sarà un sussidio di disoccupazione poco più ampio di quello di Renzi.

Resta comunque la considerazione che mentre la Lega è rimasta se stessa, e a Salvini per conservare il consenso basterà prendere a fucilate un po’ di barconi, invece il M5S per andare al governo ha rinnegato tutto ciò che ha sempre detto, da cima a fondo: niente alleanze, niente compromessi, ministeri assegnati per competenza, e persino “né di destra né di sinistra”, visto che molti punti del contratto, specie in termini di visione sociale, sono esplicitamente di destra.

Qualcuno ha scritto che se i dirigenti grillini di oggi incontrassero i se stessi del 2009 riceverebbero uno sputo in faccia; non è completamente vero, perché i dirigenti grillini di oggi sono quelli che già allora erano disponibili a qualunque compromesso pur di arrivare al potere, altrimenti se ne sarebbero andati nel frattempo. Ma indubbiamente, se il Di Maio di oggi andasse a una riunione del meetup di Napoli del 2009 verrebbe fischiato e mandato via.

Alla fine, questo periodo storico dimostra platealmente l’immutabilità del potere, che si trasforma per rimanere se stesso, cooptando i rottamatori e i loro slogan per svuotarne la carica distruttiva. Era già successo con i leader del ’68, diventati boiardi e dirigenti dell’Italia di fine secolo, e succederà anche con questa nuova generazione; e comunque, se l’alternativa è un’avventura ventennale fascista o venezuelana, la conservazione non è nemmeno poi così male.

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giovedì 1 Marzo 2018, 13:11

Cosa voterò alle elezioni

Non penso davvero che sia qualcosa che meriti una discussione pubblica, ma visto che da settimane me lo chiedono tutti e me l’ha chiesto persino un giornale locale, non ho problemi a dire chiaramente, alla fine, chi ho deciso di votare.

Naturalmente, visto lo scenario, è un voto al meno peggio. Sono andato per esclusione: l’astensione la capisco ma alla fine mi ripugna, non è nelle mie corde, è come gettare la spugna. Ho considerato seriamente anche il M5S: come ho scritto nell’analisi semiseria di un paio di settimane fa, ha tuttora diversi aspetti positivi; alla fine, secondo me, prenderà più del 30% e sarà il vincitore morale, anche se nessuno sa se riuscirà poi a costruire una maggioranza e andare a governare. Penso che si preparino invece a usare i voti ricevuti per andarsene tranquilli all’opposizione, naturalmente dopo una lunga sceneggiata napoletana – già anticipata in questi giorni – sulla democrazia violata e l’ingiustizia della repubblica parlamentare e del suo Presidente che non fa governare chi “vince” le elezioni, il che è un discorso profondamente eversivo, distruttivo verso la Costituzione che a parole dicono di tutelare, ed è già di per sé una ragione per non votarli.

In più, ovviamente nei ragionamenti entrano anche i candidati del collegio; fossi stato nel collegio di Alberto Sasso – uno che è vicino al Movimento fin dai tempi eroici, e che nel 2010 rifiutò persino la candidatura a presidente del Piemonte, lasciando la via libera a Bono – alla fine sarei stato molto tentato di votarlo. Ma a me hanno rifilato il professore universitario esperto di finanza islamica: anche no, grazie. Peggio ancora al Senato, dove c’è Elisa Pirro, un quadro di partito e una delle persone più arriviste e arroganti che abbia incontrato nel M5S (opinione personale, s’intende).

Del resto, tutti questi bei candidati dell’uninominale, dati alla mano, non hanno praticamente alcuna speranza di vincere il collegio, per cui i voti a loro sono in realtà voti per Laura Castelli e la stessa Pirro, e per tutti i fedelissimi piazzati nelle liste del proporzionale dopo aver superato il vaglio pro-indagati e anti-dissenso di Di Maio. L’unico candidato uninominale che può vincere è il nuotatore novarese a Torino nord, anche se io, se fossi l’abitante di una periferia disagiata, mi chiederei che razza di considerazione hanno di me per paracadutarmi uno sportivo da fuori, giusto per dargli il collegio sicuro.

Di base, per cultura, io sono un elettore irrequieto del centrosinistra; a seconda delle volte ho sempre votato qualcosa tra DS/PD, Verdi, le varie incarnazioni della sinistra e le varie incarnazioni dei Radicali. Certo, crescendo si diventa conservatori e non escludo più a priori il centrodestra (tra l’altro, ho conosciuto Marco Francia, il loro candidato a Torino centro, e mi ha fatto una buona impressione), ma alla fine chi voti: Berlusconi? i razzisti? i fascisti? Non è fattibile; quando ci sarà un serio partito laico e liberale in Italia, potrei votarlo senza problemi; per ora però niente.

Ora, volendo votare il centrosinistra ma non volendo assolutamente avere nulla a che fare con Matteo Renzi (anzi: sperando con forza che il PD vada ben sotto il 20% e lui sparisca per sempre), l’unica scelta possibile è +Europa: non ce ne sono altre. E a me sta più che bene; del resto, l’ultima cosa che ho votato (nel 2008) prima di entrare nel Movimento fu il PD proprio perché aveva Emma Bonino come capolista. Come ho scritto nell’analisi, non sono completamente d’accordo con tutto quel che dice; va bene l’austerità, ma senza esagerare; e vorrei molto meno entusiasmo per le frontiere aperte. Tuttavia, sono più preoccupato dalle sparate populiste, dallo scarso rispetto per le istituzioni e dalle promesse di spesa a debito che caratterizzano tutti gli altri.

Alla fine, in questo momento storico, l’Italia è davanti alla scelta se guardare alla Germania o al Venezuela; e io scelgo la Germania. So che è una scelta controcorrente, che molte persone (molti amici di sinistra, molti ex sostenitori del M5S) mi guarderanno come un traditore amico dei banchieri e del Blidrebregg; ma è meglio essere ultimi in Europa che primi nel Terzo Mondo.

C’è, comunque, ancora un però. Votare +Europa vuol dire votare all’uninominale i candidati del centrosinistra; e se alla Camera non ho alcun problema a votare Paola Bragantini – persona che conosce bene il territorio e con cui, quando ho avuto occasione, ci sono sempre state chiacchierate tranquille e piacevoli – al Senato dovrei votare Stefano Esposito. A Esposito posso riconoscere una qualità, quella di non aver paura di dire le cose come stanno; per il resto, però, ci sono troppe cose che ci dividono, dal Tav alla buona educazione.

Pensavo di risolvere il problema votando invece la persona: Enzo Pellegrin, un santo avvocato che, pur non essendo del Movimento, negli anni in cui ero consigliere si è fatto carico dei problemi legali di tanta povera gente che gli abbiamo presentato; ed è sicuramente, come spirito, molto più movimentista lui della Pirro. Peccato che la sua lista – il Partito Comunista di Rizzo – sia stata esclusa all’ultimo dai collegi piemontesi. E quindi, penso che annullerò la scheda.

Nel complesso, penso che queste elezioni sconvolgeranno lo scenario politico più di quanto non si creda; i sondaggi saranno in buona parte smentiti, come già successe nel 2014, ma stavolta in senso opposto. Se ci sarà un governo M5S, spero che ne emerga la parte costruttiva e riformista e non quella complottista, venezuelana o peggio che vuol semplicemente sistemarsi e poi fare le stesse cose degli altri (vedi Torino). Se ci sarà una grande coalizione, penso che il M5S vincerà alle elezioni successive, a meno che qualcuno non riesca davvero a costruire nel frattempo qualcosa di nuovo, serio e in linea col mondo sviluppato – e in quest’ottica, +Europa è l’unico potenziale seme. In ogni caso, speriamo che l’Italia se la cavi.

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