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Archivio per la categoria 'TorinoInBocca'


lunedì 4 Marzo 2013, 16:04

La televisione che uccide?

Il video che vedete qui sopra, ripreso da Repubblica, ha fatto il giro del Web: durante un sopralluogo ufficiale, due consiglieri comunali, Viale (radicale del PD) e Liardo (PDL), vengono praticamente alle mani. Io c’ero in mezzo e devo dire che l’intera scena è stata più ridicola che altro, ma adesso vorrei invece raccontarvi qual è la questione che suscita tanto accanimento, e che è stata purtroppo un po’ oscurata dalla rissa.

La stradina del video è quella che separa dalle case e dai loro abitanti il teleporto di via Centallo, una struttura costruita per fare fronte alle esigenze di comunicazione delle Olimpiadi, e che è in funzione da allora. In pratica, si tratta di un’area con una dozzina di enormi parabole, di diversi metri di diametro, che trasmettono e ricevono segnali televisivi e Internet dai satelliti in orbita geostazionaria attorno alla Terra.

Per poter raggiungere i satelliti, situati nello spazio a decine di migliaia di chilometri, il flusso elettromagnetico emesso deve essere piuttosto intenso; d’altra parte, non servirebbe a nessuno sprecare energia per mandare il segnale sulle case adiacenti anziché sul satellite, per cui si tratta di onde fortemente concentrate nella direzione del satellite stesso, ovvero dirette verso il cielo. Secondo i progetti di questi apparati, nonché secondo le misurazioni dell’ARPA, che ha lasciato le proprie apparecchiature di misura in funzione per anni, il campo elettromagnetico generato da queste onde sulle case vicine è trascurabile, ampiamente dentro i limiti di legge, e non può avere alcun effetto nocivo.

Tuttavia, secondo gli abitanti di queste case, la realtà è completamente diversa. Essi lamentano disturbi di ogni genere, tra cui impossibilità di dormire, bruciature sulla pelle, stordimento, dolori. Raccontano che uno di loro è stato visitato e diagnosticato come se fosse sotto l’effetto di droghe, pur non avendo mai preso niente. Dicono che di notte le antenne vengono girate e rivolte verso le case (secondo i gestori, questo può avvenire solo poche volte l’anno, a segnali spenti, per fare manutenzione). E’ evidente a chiunque parli con loro che non stanno bene; l’ASL, in un rapporto preliminare, ha parlato di “psicopatologia” e auspicato lo spostamento degli impianti (si attende lo studio definitivo).

Il teleporto è della società Skylogic, del gruppo Eutelsat, che l’ha costruito su un terreno già utilizzato da Telecom Italia. In questo impianto lavorano alcune decine di ingegneri e tecnici specializzati, che in caso di trasferimento dell’impianto potrebbero perdere il lavoro; spostare un impianto del genere richiede tempo e denaro, e a quel punto tanto varrebbe accorpare queste funzioni in impianti analoghi in altre parti d’Italia.

Il problema di fondo è che l’inquinamento elettromagnetico è ignoto e sfuggente, e non così noto, almeno negli effetti a lungo termine, come si vorrebbe. Ormai è acclarato che “troppe onde fanno male”, ma non c’è accordo su quante, quali, per quanto tempo; anche i limiti di legge sono fissati in maniera piuttosto aleatoria.

Per questo, mentre nel caso scandaloso del colle della Maddalena il danno alla salute è riconosciuto da tutti, e tutti i limiti di legge sono superati da vent’anni, in questo caso è difficile arrivare a un’analisi comune, e dopo il titolo ci vuole il punto interrogativo.

Per i fisici dell’ARPA e gli ingegneri delle telecomunicazioni, qualsiasi sintomo mostrato dagli abitanti è psicosomatico, o al massimo è il risultato di una incredibile sensibilità personale ai campi elettromagnetici; per loro, non c’è alcuna ragione per cui l’impianto si debba spostare. Per gli abitanti, i limiti di legge non sono abbastanza cautelativi; le misurazioni dell’ARPA non sono credibili, non sono fatte nel modo, nel momento o nel posto giusto; e loro stanno venendo ammazzati lentamente per via dei grandi interessi economici che ruotano dietro alla televisione e alle telecomunicazioni, e che controllano anche la politica.

Alla fine, è comunque chiaro che un problema di igiene pubblica esiste; nel momento in cui decine di persone non riescono più a vivere in salute in casa propria, fa davvero differenza che sia un effetto fisico o un disturbo psicosomatico? Purtroppo, l’errore è stato fatto nel 2006 quando si è scelto di mettere le parabole lì, davanti alle case; ora tutti pensano che sarebbe meglio se quelle parabole fossero da un’altra parte, ma è difficile capire come si possa imporre legalmente lo spostamento o la chiusura di un impianto industriale che, secondo le autorità preposte alla salute ambientale, rispetta tutte le norme in materia. E allora, nessuno sa più bene come uscirne.

[tags]telecomunicazioni, teleporto, inquinamento elettromagnetico, elettrosmog, televisione, torino, via centallo[/tags]

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sabato 23 Febbraio 2013, 13:10

Unipol-Fonsai, la storia d’Italia

Oggi non si fa campagna elettorale, ma i problemi di Torino non spariscono; e ce n’è uno che, secondo me, sintetizza bene il malcostume e il degrado dell’Italia.

La Sai è una delle storiche assicurazioni di Torino; attraversa tutto il Novecento per finire poi, a fine anni ’80, nelle mani dell’ingegner Salvatore Ligresti da Paternò, amico di Craxi, di Berlusconi, di Cuccia, di Dell’Utri, di La Russa e con inquietanti connessioni siciliane alle spalle. Tangentopoli lo vide arrestato e condannato per mazzette dalla Sai all’Eni, ma fu solo uno stop temporaneo; nell’era berlusconiana Ligresti rimane uno dei padroni di Milano, con partecipazioni un po’ ovunque, da Mediobanca alle grandi operazioni immobiliari. Nel 2003 Sai si compra Fondiaria, altra storica assicurazione; nasce Fondiaria-Sai o amichevolmente Fonsai, con sede legale e principale in corso Galileo Galilei 12 a Torino, sede che a tutt’oggi occupa circa 1500 torinesi.

Ligresti, come tutti i “capitalisti” italiani della seconda Repubblica, cresce grazie al debito: con la compiacenza di banche di cui è azionista, su tutte Unicredit, riesce a conquistare grandi aziende con pochi soldi… finché non arriva la crisi. E chi è più liquido di un’assicurazione? Dunque Ligresti comincia a scaricare i buchi immobiliari su Fonsai, depredandola di decine di milioni di euro. A fine 2011, Fonsai è sull’orlo del fallimento: non ha nemmeno le riserve per garantire gli assicurati. Ma non si può mandare gambe all’aria la quinta assicurazione italiana: too big to fail. Che si fa?

E qui arriva “abbiamo una banca”: Unipol, ovvero il PD. Anch’essa non naviga proprio in buone acque, e allora – come già visto per le multiutility – si travestono due buchi come una sinergia, con la compiacenza della stampa, e si avvia la fusione tra Unipol e Fonsai, in cui ovviamente la prima sarà il nuovo padrone, dato che l’intero impero Ligresti è ormai vicino all’inevitabile tracollo.

Ma prima bisogna coprire i buchi, e allora, mentre la Consob si mette interi prosciutti sugli occhi e non risponde nemmeno agli esposti tramite avvocato, per prima cosa si annientano i piccoli risparmiatori. In un massacro stile Parmalat, di cui “curiosamente” parla solo Linkiesta e qualche giornale minore, agli azionisti si propone la seguente “scelta”.

In pratica, le azioni Unipol vengono svalutate di quasi il 90%; chi, al prezzo già in perdita di prima dell’operazione, ha 100 euro di azioni Unipol può scegliere tra sottoscrivere l’aumento di capitale, pagando altri 229 euro di tasca propria per ritrovarsi poi in mano la stessa quota di proprietà di prima in una azienda dal dubbio futuro, oppure veder crollare le proprie azioni a un valore di 11,5 euro.

Ma agli azionisti Fonsai va ancora molto peggio: qui la svalutazione è di quasi il 99%, con un concambio di 252 a 1: chi ha 100 euro di azioni Fonsai può scegliere tra tirarne fuori altri 299 per non perdere tutto, oppure vedere le proprie azioni ridotte al valore di 1,18 euro.

Ora, uno può dire che è normale che le azioni di una società semifallita diventino carta straccia, ma nessuno ha tutelato i risparmiatori in alcun modo, né prima – avvisandoli della crisi della società, mantenuta sottotraccia per anni esattamente come con Parmalat prima e con MPS poi – né dopo, obbligando i manovratori a concambi più umani. Intere famiglie hanno perso i propri risparmi per le manovre finanziarie di questa gente!

Mentre i risparmiatori finiscono in rovina, però, c’è chi ci guadagna: ad esempio Piergiorgio Peluso, figlio del ministro dell’Interno Anna Cancellieri, tuttora in carica a gestire le elezioni. Peluso fino al maggio 2011 stava in Unicredit, ed era stato lui a garantire gli assurdi crediti della banca alle società di Ligresti sempre più in crisi. Poi Ligresti lo assume come direttore generale di Fonsai, quando essa è già in crisi irreversibile, con un modesto stipendio di un milione e duecentomila euro l’anno. Poco più di un anno dopo, quando si conclude la cessione di Fonsai a Unipol, i nuovi padroni lo licenziano con una buonuscita di altri tre milioni e seicentomila euro.

In totale, Peluso in un anno ha incassato quasi cinque milioni di euro da una società semifallita che ha rovinato migliaia di risparmiatori.

No, scusate, lo scrivo in grassetto maiuscolo: IL FIGLIO DEL MINISTRO DELL’INTERNO HA INCASSATO IN UN ANNO CINQUE MILIONI DI EURO DA UNA SOCIETA’ SEMIFALLITA CHE HA ROVINATO MIGLIAIA DI RISPARMIATORI. Come mai non l’hanno scritto tutti i giornali in prima pagina?

Non è finita qui, perché ovviamente il danno successivo riguarda i lavoratori. Prima si tagliano gli agenti, poi, come facilmente prevedibile, i nuovi padroni vogliono spostare le sedi Fonsai di Torino e Firenze presso la sede centrale Unipol di Bologna o a Milano. Per Torino significa perdere la sede legale, con milioni di euro di tasse comunali e regionali, e millecinquecento posti di lavoro.

Giovedì mattina centinaia di lavoratori Fonsai hanno protestato, per noi c’era Alberto Airola che ha scattato questa foto: la settimana prossima saranno ricevuti da Fassino e noi faremo in modo che se ne parli in consiglio comunale. Ma non preoccupatevi, penso che Fassino risponderà da par suo: dopo tante parole, provvederà a promuovere una sollecita variante urbanistica che consentirà a Unipol di trasformare la sede ormai inutile, situata in una delle zone più eleganti di Torino, in nuovi palazzi di lusso. Giusto accanto a quelli che costruirà la Fiat sulla ex sede de La Stampa. Scommettiamo?

La grande finanza amica della politica incassa, i politici e i loro parenti incassano, gli unici che ci perdono sono le casse pubbliche, i lavoratori e i risparmiatori. Una classica storia d’Italia.

[tags]italia, unipol, fondiaria, sai, fonsai, crisi, ligresti, politica, pd, borsa, consob, parmalat, mps, cancellieri, peluso[/tags]

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venerdì 8 Febbraio 2013, 12:56

Una casa concreta

In questa campagna elettorale deprimente non si parla di niente di concreto, di nessuno dei grandi problemi degli italiani… salvo quando si può fare un bello spot ricordandosene all’ultimo minuto.

Per questo, quando ho visto il centrosinistra in Comune presentare il 21 gennaio una mozione sull’istituzione di un fondo “salva sfratti”, per poi discuterla in commissione il 29 gennaio e portarla in aula il 4 febbraio col comunicato stampa e articolo di Repubblica già belli pronti, mi sono un po’ girate le scatole: perché noi avevamo ferma da luglio 2012, mai discussa, una mozione, in linea con quanto sempre abbiamo detto, che cercava di affrontare il problema un po’ più in profondità.

L’idea della maggioranza, infatti, era quella di approvare l’istituzione di un fondo per aiutare i morosi a pagare l’affitto per qualche mese in più, evitando lo sfratto. Idea lodevole, ma non ci sono i fondi, né si è pensato, che so, di tagliare lo stipendio d’oro del portavoce del sindaco e altre spese inutili per metterceli dentro; al contrario, si è ipotizzato di andare a chiedere i 100.000 euro che già avevano messo in passato – una goccia nel mare – alle solite fondazioni bancarie… che poi magari nemmeno accetteranno, ma a quel punto le elezioni saranno già passate.

Eppure a Torino la casa è un’emergenza: nel 2012 ci sono stati circa 4000 sfratti per morosità, a cui rischiano di aggiungersene quasi 2000 (stime Caritas) per gli inquilini ATC che non possono più rientrare nelle regole delle case popolari, che la Regione ha rivisto al ribasso dallo scorso 31 gennaio; e ci sono altre migliaia di persone che hanno una casa grazie a fondi regionali e nazionali che sono a rischio. Insomma, rischiamo di avere presto migliaia e migliaia di torinesi in mezzo a una strada. Cosa potranno fare centomila euro di aiuti a pioggia?

Noi abbiamo presentato l’unica proposta che veramente potrebbe risolvere il problema: quella di fare incontrare l’enorme patrimonio abitativo inutilizzato in città – si parla di 50.000 alloggi – con le persone che ne hanno bisogno. Si potrebbe cominciare da due riserve immediatamente accessibili, quella degli interi palazzi in abbandono da decenni perché i proprietari non sanno che farsene (è incredibile, ma ce ne sono decine) e quella di diversi palazzi appena costruiti, ancora invenduti in gran parte e senza grandi speranze di essere venduti a breve.

Il Comune potrebbe gestire domanda e disponibilità, arrivare a un accordo con i proprietari, coprire le spese (costa molto meno che pagare gli affitti), pagare una assicurazione che protegga i proprietari dai danni degli inquilini, che potrebbero magari impegnarsi a fare in proprio lavori di risistemazione e manutenzione, se non possono pagare un affitto. Potrebbe farlo in accordo, ma anche, dove necessario, d’autorità, come la legge consente e come già è stato fatto a Roma.

Infatti, non è accettabile la requisizione forzata che di fatto è realizzata dal blocco degli sfratti, che scarica il costo di dare una casa a una famiglia indigente solo sulle spalle dello sfortunato proprietario di casa, che non sempre è un ricco strozzino e che talvolta, dal mancato pagamento dell’affitto a fronte delle spese e delle tasse che restano, viene portato in rovina anch’egli.

E’ invece accettabile la requisizione del patrimonio immobiliare inutilizzato e per cui non sono previsti utilizzi a breve, perché, come dice la Costituzione all’articolo 42, la proprietà privata è garantita ma con “limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”, e se tu lasci un palazzo in abbandono per vent’anni o ne tieni uno vuoto per far salire i prezzi, tra l’altro creando problemi di degrado al quartiere, allora è giusto prenderlo e usarlo per l’emergenza, garantendotene la custodia e la possibilità di riaverlo nel momento in cui tu ti presentassi con un piano concreto per usarlo.

Questa posizione ha suscitato alzate di sopracciglia e risatine, e alla fine la nostra mozione è stata bocciata quasi all’unanimità, mentre lo spot del fondo salva sfratti è passato (ovviamente abbiamo votato a favore anche noi, ci mancherebbe, e se salteranno fuori i fondi sarà comunque una cosa positiva). Ma una città che non si spende fino in fondo per garantire un tetto a tutti, chiedendo in cambio un contributo proporzionato alle reali possibilità, non è una città civile.

[tags]casa, sfratti, povertà, atc, torino, urbanistica[/tags]

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giovedì 24 Gennaio 2013, 17:08

Perché non sono andato da Napolitano

Come sicuramente ormai saprete, oggi in Municipio si è svolta una affollata commemorazione per il decennale dalla morte dell’avvocato Agnelli, alla presenza del presidente della Repubblica Napolitano. In qualità di capogruppo e in rappresentanza del Movimento 5 Stelle, io ero stato invitato ad assistere in Sala Rossa tra il pubblico e a incontrare il Presidente subito prima, senza però la possibilità di parlare. Da buon portavoce, già da ieri, sulla mia bacheca Facebook, ho chiesto la vostra opinione sull’opportunità di accettare questo invito; e vista anche la preponderante quantità di pareri negativi, alla fine ho deciso di non andare.

Non volevamo fare polemica, tanto è vero che non avrei probabilmente nemmeno scritto questo post, se non fosse che il Partito Democratico ha prontamente stigmatizzato la mia assenza in un comunicato stampa e su Facebook. Vorrei pertanto chiarire le motivazioni di questa assenza: molto semplicemente, noi non ci riconosciamo e non ci troviamo a nostro agio in questo genere di celebrazioni da VIP, tanto più in un momento in cui ogni risorsa disponibile andrebbe concentrata su chi ne ha veramente bisogno e non nel pagare scorte, auto blu e militari per difendere autorità che vivono in una torre d’avorio e hanno paura dei propri cittadini, salvo poi andare tutti insieme a mangiare al Cambio.

Non intendiamo mancare di rispetto alle istituzioni e a una commemorazione funebre e capiamo anche chi ritiene opportuna la presenza a prescindere (non la protesta clamorosa che pure alcuni ci avevano chiesto: non si disturba una commemorazione). Riteniamo però che il rispetto per le istituzioni si dimostri innanzi tutto non sprecandone le risorse, come noi da sempre facciamo, e concentrando l’attività delle stesse sul bene comune di tutti i cittadini, anziché sulle occasioni mondane per pochi privilegiati. L’attuale amministrazione manca di rispetto alle istituzioni ogni giorno, con le assunzioni arbitrarie a peso d’oro e con la svendita dei beni comuni, con un sindaco troppo preso per ricevere cittadini che chiedono udienza da mesi, con un presidente del consiglio comunale che fa cadere il numero legale in una seduta importantissima per andare a inaugurare il concerto di fine anno, con persone senza casa e senza lavoro che si accampano sotto il Municipio per chiedere aiuto e vengono trattate da invisibili, quando non gli si manda la polizia.

Personalmente – ma questa è una sensibilità personale – credo che una buona istituzione debba rispettare tutti i cittadini allo stesso modo, anzi, privilegiare gli ultimi rispetto ai primi. Credo che questa visione possa essere bene esemplificata parlando del simbolo per eccellenza, la toponomastica: quando si è trattato di intitolare le vie e i giardini della città il sindaco e la maggioranza hanno scelto sempre per potere e per visibilità, dal tunnel di corso Mortara intitolato a Donat Cattin fino a Marisa Bellisario per la toponomastica femminile e alle Vittime dell’11 settembre per il terrorismo. Tutto bene, ma noi invece abbiamo proposto due nomi, due ragazzi che nessuno conosce più, vittime di storie terribili: Maria Teresa Novara ed Emanuele Iurilli, che a trenta e cinquant’anni dalla morte aspettano ancora un ricordo formale. Quando vedrò una città altrettanto attenta a persone come queste, sarò più disponibile a partecipare alle commemorazioni.

[tags]napolitano, agnelli, commemorazioni, istituzioni[/tags]

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venerdì 18 Gennaio 2013, 19:34

Inquinamento, basta con l’improvvisazione

Sono passati ormai diversi giorni dal consiglio comunale di lunedì e non si è ancora spenta l’eco della clamorosa mozione con cui la Sala Rossa all’unanimità ha imposto la revoca del blocco del traffico agli Euro 3 diesel in centro. Questo è stato il nostro intervento in aula.

Anche noi abbiamo votato a favore, e anzi abbiamo chiesto la revoca totale, liberalizzando anche la circolazione degli Euro 0 gpl e metano, perché sin dal principio – da novembre, quando il provvedimento fu annunciato – abbiamo contestato l’errore di fondo. Difatti, questo provvedimento non spinge le persone all’unica soluzione strutturale, ovvero lasciare a casa l’auto e utilizzare i mezzi pubblici, la bicicletta o le altre alternative, ma le invita semplicemente a cambiare auto e poi a continuare a girare come prima, discriminando inoltre tra chi ha i soldi per comprare un’auto nuova e chi non se lo può permettere.

Sicuramente bisogna disincentivare, limitare e talvolta fermare il traffico privato per motivi ambientali: siamo una delle città più inquinate del mondo e il fatto che ciò sia dovuto anche alla nostra posizione geografica non vuol dire che possiamo rassegnarci a morire di cancro e di asma. Tuttavia questo va fatto con equità sociale e in modo efficace, e non con provvedimenti tanto per fare e dall’efficacia quasi nulla, grazie anche all’elevato numero di eccezioni di ogni genere.

Questa è proprio l’obiezione maggiore che si può fare alla giunta Fassino: l’improvvisazione continua su quali provvedimenti prendere, e, per quanto riguarda la mobilità alternativa, un’abbondanza di annunci e dichiarazioni roboanti quasi mai seguite dai fatti. L’anno scorso non si sono fatti blocchi perché secondo la giunta e la maggioranza erano inutili, quest’anno invece (a fronte di dati circa uguali) i blocchi erano necessari, però dopo due settimane sono diventati di nuovo inutili e sono stati revocati dalla stessa maggioranza: che senso ha?

Nel frattempo, da tre anni si attende il piano della mobilità ciclabile, e non si è riusciti nemmeno a mettere in sicurezza i peggiori punti neri per le bici; sulla seconda linea di metropolitana si susseguono annunci, ma poi si approva di costruire un parcheggio pertinenziale proprio nel mezzo del percorso e se non sono io a sollevare il problema succede che l’amministrazione manco se ne accorga; le ulteriori pedonalizzazioni sono ferme non si sa perché; i mezzi pubblici sono sovraffollati e sempre più intasati; e così via, senza parlare poi degli interventi sulle altre sorgenti dell’inquinamento dell’aria.

Il piano originariamente concepito dalla Provincia, pur contenendo una serie di dati interessanti, è la stanca riproposizione della logica dell’auto nuova ogni tre anni che non è più sostenibile, né economicamente, né ambientalmente (anche perché il costo ambientale di costruire continuamente nuove auto non viene mai preso in considerazione). E’ ora di cambiare logica.

[tags]inquinamento, aria, torino, fassino, traffico, automobili, mobilità[/tags]

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domenica 13 Gennaio 2013, 19:35

Il problema del cranio

Qual è, secondo voi, la priorità del consiglio comunale di Torino di domani? Probabilmente vi aspettate che sia la discussione sui blocchi del traffico anti-smog (sui quali peraltro ribadiamo la posizione espressa da mesi), e invece no: il Partito Democratico ha chiesto di mettere al primo punto la mozione, presentata dal consigliere calabrese del PD Domenico Mangone, di restituire e seppellire il cranio del bandito ottocentesco Giuseppe Villella, conservato nel Museo Lombroso.

Anche se alla fine l’ordine è stato invertito, la discussione sarà calda; i consiglieri comunali stanno ricevendo decine di mail dalla Calabria che li invitano a votare a favore. Difatti è stato il sindaco di Motta Santa Lucia, paesino dei monti calabri di cui Villella era originario, a portare in causa il Comune e l’Università di Torino ottenendo dal tribunale di Lamezia una sentenza che li obbliga a restiuire il cranio al Comune d’origine, che per legge esegue la sepoltura in assenza di parenti; anche se la sentenza qualche giorno fa è stata sospesa dopo l’appello.

Difatti, la legge – articoli 410-413 del codice penale, articolo 32 del Regio Decreto 1592/1933 e articoli 40-42 del D.P.R. 285/1990 – permette l’uso di cadaveri di persone prive di parenti per studi scientifici, ma per un tempo determinato; alla fine tutti devono essere seppelliti o cremati, per rispetto della dignità dell’essere umano. Però è vero che, una volta che le spoglie umane entrano nel patrimonio di un museo, se rivestono valore “etnoantropologico” sono riconosciute come  “beni culturali” e come tali “non possono essere distrutti” (articoli 10 e 20 del D.Lgs. 42/2004).

Insomma, messa sul piano del rispetto delle spoglie, si tratta più che altro di una questione di sensibilità e di coscienza, su cui ognuno può pensarla come vuole: è infatti indubbio che ci sia secondo molti (inclusa l’associazione dei musei) un momento in cui le spoglie umane diventano bene culturale e reperto scientifico, altrimenti non potremmo esporre nemmeno le mummie egizie e gli scheletri dell’uomo di Neanderthal – cosa che peraltro altri invece ritengono giusta.

Per questo motivo, il Movimento 5 Stelle lascerà libertà di coscienza e Chiara probabilmente voterà contro la mozione, mentre io, se la discussione rimarrà su questo piano, voterò a favore auspicando la sostituzione del cranio con un calco, coerentemente con le posizioni già espresse. Infatti, solo poche settimane fa, sono stato io a sollevare la questione della “mostra” Human Body Exhibition, per la quale l’intera città è stata riempita di gigantografie pubblicitarie di cadaveri scuoiati e messi in pose buffe, con il patrocinio della Città. Alla mia interpellanza l’assessore ha risposto che tutto era regolare e che si trattava di cinesi condannati a morte e usati con il permesso del governo di Pechino, giustificazione che a me, sul piano etico, pare del tutto insufficiente.

Il problema, però, è che la discussione facilmente non rimarrà su questo piano. Il testo della mozione, difatti, è infarcito di attacchi alle qualità di scienziato di Cesare Lombroso, arrivando verso la fine a insultare la nostra Università accusandola di avere aperto un museo che espone reperti “senza alcuno scopo scientifico” e a riportare, anche se in politichese, la richiesta di non intitolarlo più a Lombroso; e, al fondo della prima pagina, accusa Lombroso di avere inventato il “razzismo scientifico” e gli attribuisce addirittura la responsabilità di avere pregiudicato “un equilibrato sviluppo del Paese”, insomma lo ritiene responsabile dell’arretratezza attuale del Meridione. Se queste accuse resteranno nel testo della mozione, il mio voto finale sarà contrario, dato che non le posso assolutamente condividere, e vi spiego perché.

Esiste da diverso tempo nel Meridione una campagna di revisionismo storico, tesa a presentare l’unificazione d’Italia come una conquista coloniale del Piemonte, che avrebbe occupato militarmente il Regno delle Due Sicilie, ricco e moderno, e l’avrebbe depredato, causando così la povertà attuale del Mezzogiorno, che senza i Savoia sarebbe oggi un’isola felice e borbonica. Di questa campagna, Villella è un simbolo due volte; la prima perché fu un brigante, morto in galera dopo essere stato catturato dalla polizia mentre era latitante nei boschi, e dunque secondo i neoborbonici un eroe della resistenza contro l’occupante “straniero”; la seconda perché proprio dallo studio del cranio del Villella Lombroso derivò la teoria dell’“atavismo criminale”, per cui alcune caratteristiche della forma del cranio, piuttosto diffuse in Meridione, sarebbero state correlate a una maggiore propensione alla criminalità.

Da questa campagna nascono pamphlet illeggibili e infarciti di vittimismo, come il tremendo Terroni di Pino Aprile, per cui pure Grillo tempo fa si prese una sbandata. Partendo da alcuni episodi storici della guerra d’indipendenza, come le terribili stragi compiute dall’esercito savoiardo in alcuni paesi meridionali appena conquistati, si arriva a sostenere l’analogia tra Vittorio Emanuele II e Hitler e a sostenere “fatti” estremamente improbabili, come quello per cui il Forte di Fenestrelle sarebbe in realtà stato un lager pieno di meridionali in catene. E se arriva uno storico serio come Alessandro Barbero a dimostrare che ciò non è mai accaduto, gli si risponde che lui è piemontese e dunque senz’altro intenzionato a manipolare la storia contro i meridionali; al punto che la Provincia ha persino concesso di affiggere nel forte una targa che commemora le inesistenti “vittime” di questa vicenda (Saitta e i suoi grandi elettori sono calabresi…).

E quindi, ora si chiede al consiglio comunale di Torino di abbracciare questa teoria, di dire che Lombroso era un criminale razzista e che per lui dobbiamo chiedere scusa, e anzi che dobbiamo censurarlo dalla storia della scienza. Che la teoria dell’atavismo criminale sia scientificamente infondata non c’è più alcun dubbio; ma lo possiamo dire ora, dopo centocinquant’anni. Che fosse studiata apposta per fomentare il razzismo contro i meridionali è invece una castroneria, se non altro perché il secondo “brigante” studiato da Lombroso, Vincenzo Verzeni, era delle campagne bergamasche, e perché la gran parte delle spoglie contenute nella sua collezione e ora nel museo sono di piemontesi.

Inoltre, il fatto che Lombroso abbia in vita proposto delle teorie successivamente rivelatesi infondate e magari persino fantasiose non è di per sé sufficiente per negarne la statura di scienziato o peggio definirlo un criminale; è, in realtà, il modo normale in cui la scienza procede, e moltissimi grandi scienziati sostennero in vita teorie sbagliate e ai nostri occhi incredibili.

Isaac Newton, a cui dobbiamo la legge di gravità, era in realtà principalmente un alchimista; credeva all’esistenza della pietra filosofale, che avrebbe trasformato i metalli in oro e donato l’immortalità, e passò la vita a cercare di produrla. Nikola Tesla, il genio dell’elettromagnetismo, credeva che la Terra assorbisse i raggi cosmici e grazie ad essi si espandesse costantemente come un palloncino, spiegando così la deriva dei continenti. E, già nella nostra epoca, Watson e Crick, premi Nobel per la medicina in quanto scopritori del DNA, si sono resi protagonisti di teorie alquanto surreali; secondo Crick, il DNA sarebbe giunto sulla Terra dallo spazio, speditoci dagli alieni mediante una cometa, mentre Watson, non più di cinque anni fa, è diventato nuovamente famoso per aver sostenuto che i neri sono geneticamente più stupidi dei bianchi, nonostante tutte le prove contrarie.

Eppure, nessuno si sogna di togliere il premio Nobel a questi scienziati o di sostenere che tutto ciò che hanno fatto non è scientifico e va censurato. Al contrario, la scienza impara dai propri errori, e proprio perché alcune teorie sono infondate è importante documentare come vennero concepite e propugnate all’epoca.

Inoltre, non tutto ciò che scrisse Lombroso è infondato; anzi, dalle sue ricerche nacquero la moderna medicina legale, la criminologia scientifica, e persino alcune delle teorie psicanalitiche di Freud. Lombroso fu anche il maestro di tanti altri scienziati illustri, tra cui Camillo Golgi (premio Nobel per la medicina nel 1906) e Mario Carrara (uno dei pochi professori a rifiutare il giuramento di fedeltà al fascismo, a cui tuttora è intitolato il parco della Pellerina), e di quella scuola di medicina torinese da cui nei primi decenni del Novecento emersero poi ben tre premi Nobel (Dulbecco, Luria e Levi Montalcini). Non c’è nessun motivo né per censurarlo, né per negarne il valore scientifico.

Quella di prendere una parte di verità e di ingigantirla in modo assurdo per sostenere le proprie teorie è peraltro una consuetudine dei neoborbonici. Dal fatto che a Napoli fosse stata costruita la prima ferrovia d’Italia si inferisce che il Sud fosse tecnologicamente molto più avanzato del Nord, e dal fatto che ci siano state delle rivolte contro i Savoia si conclude che nessuno al Sud volesse l’Unità d’Italia; fosse vero, non si capisce come lo stato di Napoli possa essere capitolato di fronte agli avventurieri di Garibaldi. Per il fatto che i ricchi forzieri del re di Napoli siano stati incamerati dai Savoia si afferma che lo stato italiano in centocinquant’anni ha impoverito il Sud più di quanto l’abbia sovvenzionato (la realtà è che, grazie al tipico stile di governo della politica italiana, ci ha impoveriti tutti).

E dalla violenta repressione di alcune rivolte si conclude che i Savoia erano razzisti e volevano organizzare la pulizia etnica dei meridionali, quando quello era semplicemente il normale stile di gestione dell’ordine pubblico nell’Ottocento, e i Savoia non esitarono a fare stragi in tutto il Nord, dal sacco di Genova del 1849 fino alle cannonate di Bava Beccaris sui milanesi nel 1898, passando per la strage di Torino del 1864.

C’è un altro movimento politico che adotta le stesse tecniche di manipolazione della storia in chiave localista: è la Lega Nord. Il movimento neoborbonico è lo specchio perfetto della Lega e ha lo stesso obiettivo: a parole, spaccare l’Italia, e più concretamente, usare l’orgoglio campanilistico di una parte della società per garantirsi visibilità, potere e poltrone.

Ma io sono orgoglioso di essere torinese, piemontese, italiano ed europeo; sono orgoglioso dei miei tre quarti piemontesi – dalla città, dalle colline astigiane e dalle risaie casalesi – come del mio quarto di nobiltà napoletana. Sono stato in quella parte della Calabria solo due mesi fa, dal mare fino alla Sila passando per il centro storico di Cosenza, e credetemi, è davvero bellissima. Ogni angolo d’Italia ha una storia, una cultura e un ambiente unici al mondo, e invece di litigare su storie di secoli passati dovremmo chiederci come tutelare tutte queste diverse culture dal declino e dalla globalizzazione.

Se dunque nella mozione resteranno gli attacchi alla figura di Lombroso e i riferimenti all’ideologia neoborbonica, anche il mio voto non potrà che essere contrario, come lo sarebbe a una mozione leghista che prendesse di mira i meridionali. Ad ogni modo, siamo qui per parlarne e dunque sono lieto di ricevere i commenti dei cittadini torinesi e di chi vorrà prendere parte alla discussione.

[tags]lombroso, razzismo, questione meridionale, torino, savoia, borboni[/tags]

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venerdì 21 Dicembre 2012, 16:18

La variante che licenzia la gente

Questa è una storia che inizia molto tempo fa, ben prima che facessi politica; già allora (parliamo del 2007 e poi del 2009) il mio blog menzionava con un certo sconcerto la vicenda della vendita della casa Gramsci di piazza Carlina, dal Comune ai De Giuli – ben connessi immobiliaristi torinesi – al prezzo stracciato di 7 milioni di euro, per farne un albergo di lusso.

Il nuovo hotel sarebbe poi stato gestito dal gruppo spagnolo NH; e anche qui si tratta di amici di famiglia, dato che la filiale italiana NH Italia è una joint venture tra gli spagnoli e Intesa Sanpaolo, che ne detiene tuttora il 44,5%. NH Italia, avendo comprato il gruppo Jolly Hotel, si ritrovava già proprietaria di diversi alberghi a Torino: l’ex Art & Tech al Lingotto, l’Ambasciatori e il Ligure di piazza Carlo Felice.

Si sa, a Torino grazie al megainvestimento olimpico il turismo tira… o forse no, visto che gli alberghi entrano in crisi uno dopo l’altro: è per questo che già nel 2009 la proprietà annuncia l’intenzione di chiudere l’Hotel Ligure e trasformarlo in appartamenti. C’è un piccolo particolare: il piano regolatore di Torino prevede che lì ci sia un albergo; per poterne fare appartamenti è necessaria una variante che, come dice la legge, deve andare nel pubblico interesse (non è sufficiente che ci sia un interesse privato).

A settembre 2011 arriva così in consiglio comunale, per il primo passaggio, una variante urbanistica per cambiare la destinazione d’uso del palazzo da alberghiero a residenziale. In aula, l’unico che ha qualcosa da dire sono io. Ci è stato detto che la chiusura dell’albergo è propedeutica all’apertura di quello in piazza Carlina e che i lavoratori del Ligure saranno semplicemente spostati là, o comunque ricollocati negli alberghi torinesi di NH; addirittura ci è stata mostrata una lettera scritta della proprietà che si impegna in questo senso, e che viene richiamata nella delibera.

Un mese dopo, però, le cose cominciano a non tornare: sul giornale si parla di 37 licenziamenti, e allora presentiamo una interpellanza. A metà dicembre, ancora in attesa di risposte, arriva la delibera per il secondo passaggio in aula. E’ allora che si scopre una situazione drammatica: il problema si è addirittura allargato, in quanto molti lavoratori del Ligure sono stati ricollocati all’Ambasciatori lasciando però senza lavoro i precedenti lavoratori di quest’ultimo.

La delibera viene bloccata in attesa di capire come salvare i lavoratori. Il problema, però, è che il gruppo NH si è sostanzialmente dileguato; ha già venduto il palazzo a un operatore immobiliare, la MGB, per 22 milioni di euro (lo stesso patron della MGB, in commissione, farà notare la grande differenza tra quanto ha incassato NH vendendo un palazzo per appartamenti e quanto ha incassato il Comune vendendo un palazzo simile per albergo). E’ vero che la variante ancora non c’è, ma il valore pagato è stato già stimato “come se”, con una notevole fiducia nella disponibilità del Comune.

Alla fine, dopo un anno di melina, la giunta dice che è ora di approvare la variante: il palazzo chiuso crea degrado, e inoltre l’acquirente si è indebitato per l’acquisto e ora se non fa partire i lavori rischia il tracollo, coinvolgendo altre società del suo gruppo. Tutto vero, ma ancora una decina di lavoratori degli alberghi non hanno ritrovato un lavoro. Ci viene spiegato che NH Italia è in crisi e che il Comune addirittura non riesce nemmeno più a parlare con loro (il che, per una società posseduta a metà dal Sanpaolo, è quantomeno curioso). E quindi, i lavoratori devono arrangiarsi a sperare che saltino fuori posti di lavoro da commesso nei negozi che apriranno nel fu atrio dell’albergo; se no… problemi loro.

L’amministrazione ha insistito nel dire che si è fatto tutto il possibile; la chiusura dell’albergo era già stata decisa da prima per via della crisi del mercato (ma non eravamo la nuova meta turistica del millennio?), i lavoratori sarebbero rimasti comunque senza lavoro, in tante città non si pensa nemmeno di legare promesse occupazionali alle varianti urbanistiche, non è colpa di nessuno se l’intero gruppo NH è andato in crisi.

Resta il fatto centrale: senza variante urbanistica, il proprietario sarebbe stato costretto a riaprire l’albergo oppure a tenere il palazzo chiuso all’infinito – e parliamo di una variante urbanistica che ha aumentato il valore del palazzo di almeno una decina di milioni di euro, per un presunto interesse pubblico ad avere davanti a Porta Nuova più appartamenti e meno alberghi. A fronte di questo, al proprietario originale è stato permesso di prendersi un impegno alla ricollocazione dei lavoratori e poi disattenderlo tranquillamente, lavandosene le mani perché, come in un gioco delle campanelle, nel frattempo il palazzo è stato passato a qualcun altro e loro hanno già incassato.

Alla fine, noi siamo stati gli unici a votare contro l’approvazione definitiva della variante urbanistica; anche la nostra mozione che chiedeva all’avvocatura comunale di studiare una richiesta di danni contro il gruppo NH è stata bocciata da tutti i partiti. Con molti auguri ai lavoratori dal consiglio comunale.

[tags]torino, alberghi, urbanistica, immobiliare, nh, jolly[/tags]

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lunedì 17 Dicembre 2012, 17:34

Malati di movida

Ricorderete la polemica della scorsa estate, una delle tante montate ad arte dai giornali, su “Grillo contro la movida”. In realtà nessuno vuole fermare la vita notturna o impedire alle persone di divertirsi, ma si vorrebbe semplicemente garantire a tutti la possibilità di vivere in pace in casa propria.

Il video che vedete è infatti stato girato dagli abitanti delle zone “calde” di Torino, da piazza Vittorio a San Salvario; zone che per diverse notti a settimana si trasformano sempre più spesso in una bolgia priva di regole. A nessuno farebbe piacere restare sveglio una notte dopo l’altra, di fronte a persone che in strada si divertono a fare rumore per il puro piacere di farlo, o che si picchiano selvaggiamente, magari mentre i vigili passano e vanno via.

Il Comune ha oggettivamente poche possibilità di gestire una situazione che ormai pare sfuggita di mano; la legge non permette di porre veri limiti alla proliferazione dei locali, e molto del rumore viene prodotto dopo l’orario di chiusura, quando la gente ubriaca si sposta in strada. Eppure, a Torino per vent’anni l’industria dell’intrattenimento notturno ha potuto fare ciò che voleva, al punto che è intervenuta la magistratura per far smontare i dehors abusivi dei Murazzi. Eppure, almeno dal punto di vista della mobilità – San Salvario di notte è invasa dalle auto in cerca di un parcheggio inesistente – il Comune potrebbe fare di meglio.

La vera questione da porsi, tuttavia, è come mai fasce crescenti di persone trovino il disturbo notturno come unico sfogo alla propria voglia di evasione. A qualsiasi persona sociale risulta ovvio cercare di disturbare gli altri il meno possibile, e invece in molte di queste immagini si vedono persone che nel fare rumore, nel sapere di danneggiare qualcun altro, sembrano trovare una realizzazione personale. Senza nemmeno rendersene conto, è come se – persi i freni inibitori – si vendicassero sugli incolpevoli abitanti delle case circostanti per tutti i crescenti problemi della vita di oggi, o se questo fosse il loro modo per sentirsi protagonisti dell’attenzione pubblica.

Non si può generalizzare, e la maggior parte di chi esce la sera vuole semplicemente svagarsi e stare con gli amici. Eppure, in queste immagini c’è qualcosa di profondamente inquietante, come se di notte la città si trasformasse in una giungla pericolosa e senza regole, sempre più lontana dalla civiltà.

[tags]movida, torino, piazza vittorio, murazzi, san salvario, rumore, legalità[/tags]

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mercoledì 12 Dicembre 2012, 15:42

Sull’acqua pubblica Fassino rema contro

Nel giugno 2011 milioni di italiani, recandosi alle urne, hanno mandato un messaggio chiaro alla politica: l’acqua e gli altri servizi pubblici essenziali devono restare in mano pubblica. All’epoca, tutti i partiti del centrosinistra, dopo la vittoria a sorpresa, fecero a gara a cavalcarne il risultato con manifesti e celebrazioni di ogni genere, pur non avendo mostrato grande interesse nella fase di raccolta delle firme.

Passata la festa, gabbato lo santo: e così, l’amministrazione di Fassino da tempo rema contro. In teoria, dal luglio 2011 è diventato illegittimo ricaricare sulle bollette degli italiani la quota relativa alla remunerazione garantita degli investimenti, che a Torino rappresenta oltre il 15% del totale; eppure, questa quota continua a venir fatta pagare, in attesa da un anno e mezzo che qualche autorità suprema decida di toglierla; e ai cittadini che per “obbedienza civile” si sono autoridotti le bollette si preannuncia di staccare l’acqua, come ai peggiori morosi.

Nell’assemblea delle decine di comuni torinesi soci di Smat, solo pochi (in testa Avigliana e Rivalta) hanno avuto il coraggio di dire che gli abbondanti utili di Smat dovrebbero essere messi da parte per restituire ai cittadini quanto ingiustamente addebitato; la città di Torino ha invece continuato a insistere che, accantonati sei milioni di euro assolutamente insufficienti a coprire la restituzione (si stima che servano fino a trenta milioni), tutto il resto degli utili potevano essere distribuiti ai comuni. Difatti, Torino ha bisogno di soldi; e dunque anche Smat diventa una mucca da mungere, con la scusa che una volta i Comuni ricevevano i canoni per lo sfruttamento dei pozzi e ora non ricevono più null e dunque è giusto che si prendano gli utili.

Il consiglio comunale, con grandi peana anche di esponenti della maggioranza, ha approvato dal 2011 due mozioni che chiedono di trasformare Smat in una società veramente pubblica; adesso, infatti, è una SpA, anche se posseduta dai Comuni, e come tale potrebbe essere facilmente venduta come sta accadendo per le varie GTT e Amiat (e non pensate che nei corridoi nessuno abbia già ventilato l’ipotesi).

Il comitato referendario ha raccolto le firme e presentato una proposta di delibera di iniziativa popolare che vorrebbe trasformare Smat in azienda speciale consortile di diritto pubblico. Possono i partiti che hanno sbandierato la loro adesione al referendum non votare una delibera simile? No, e difatti succede che i dirigenti comunali hanno dato un parere tecnico negativo, sostenendo che legalmente questa trasformazione è impossibile; a quel punto, è facile che “a malincuore” la maggioranza si senta “costretta” a votare contro. Peccato che la stessa trasformazione sia stata fatta a Napoli solo quattro mesi fa, e che diversi luminari abbiano firmato un controparere che dimostra come essa si possa fare.

Per questo abbiamo presentato una interpellanza la cui discussione è mostrata nel video; è piuttosto lunga, ma alla fine è chiara. Almeno così abbiamo ottenuto che venisse detto chiaramente: Fassino e la sua giunta sono contrari a trasformare Smat in una società di diritto pubblico e ritengano che l’acqua si possa gestire soltanto all’interno di dinamiche di mercato. Almeno, adesso lo sanno tutti.

[tags]torino, fassino, acqua pubblica, smat[/tags]

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venerdì 30 Novembre 2012, 16:38

I conti della Continassa

Ha suscitato un certo scalpore, ieri, la contestazione al Comune di qualche centinaio di tifosi del Toro, che in occasione dell’intitolazione al Grande Torino della piazza davanti allo stadio Olimpico hanno rumorosamente criticato l’operazione di cessione alla Juventus dell’area Continassa, esibendo cartelli con la scritta “0,58 € sul campo”, con riferimento al prezzo dell’area al mq e all’anno, praticato dal Comune alla Juventus, che noi per primi avevamo calcolato nella nostra analisi dell’operazione e che ha poi fatto il giro dei media anche nazionali.

In serata, e poi stamattina, si sono scatenati tutti i media: TGR Piemonte, La Stampa, Repubblica, persino Tuttosport hanno riportato con evidenza i conti secondo l’amministrazione, la quale dice: i 10,5 milioni di euro vanno divisi non per i 180.000 mq di superficie dell’area ma per i 33.000 mq degli edifici che saranno costruiti; così facendo, viene 318 euro al mq. Vorrei allora spiegare un po’ più approfonditamente le cifre in gioco, così ognuno potrà decidere se preferisce il conto fatto da Fassino e dall’assessore Curti oppure quello che ho fatto io.

Intanto, l’idea di dividere solo per i mq costruiti è un po’ strana: è come dire che se io voglio un terreno pubblico per un uso che non prevede di costruirci sopra, ad esempio per giardino o parcheggio privato, il Comune me lo deve dare gratis. Intorno agli edifici non ci saranno solo, come dice l’amministrazione, “strade e piazze” – anche perché riempire 180.000 mq di strade e piazze è un po’ duro – ma ci saranno giardini e spazi a diretto servizio della sede sociale, dei palazzi e delle attività commerciali della Juventus, su terreni che per i prossimi 99 anni saranno in possesso della Juventus. Non si capisce perché il terreno per costruire tutto questo dovrebbe essere gratis.

Ma anche seguendo questa linea, l’assessore arriva a cifre che in realtà sono simili alle mie, ma le presenta in modo diverso. In sostanza, dire che uno paghi 318 euro al mq per avere un terreno in concessione per 100 anni, o che paghi 3,18 euro all’anno al mq, è la stessa cosa. Se dividiamo per tutta la superficie, si può dire che la Juventus pagherà 0,58 euro all’anno al mq, oppure che pagherà 58 euro al mq nel complesso dei 100 anni.

A dimostrare che il prezzo praticato alla Juventus è sottodimensionato di diverse volte ci sono però altri confronti possibili. Per esempio, la stessa amministrazione soltanto due anni fa ha deciso di concedere a privati per 50 anni un lotto di 14.352 mq nella stessa identica area, tra via Traves e corso Ferrara, con una superficie costruibile di 6000 mq e con un vincolo a una destinazione decisamente meno lucrosa dei palazzi e dei negozi, ovvero a impianti sportivi privati.

In quel caso, la richiesta della Città è stata di 2.700.000 euro, il che vuol dire con il mio metodo 3,76 €/mq/anno (oltre sei volte quanto chiesto alla Juventus) e con il metodo dell’assessore Curti 450 euro per 50 anni, ovvero 9 €/mq/anno (il triplo di quanto chiesto alla Juventus). L’asta è andata più volte deserta, dunque si può pensare che il prezzo fosse troppo alto; ma la differenza con il prezzo praticato alla Juventus è clamorosa, e comunque non si capisce perché con la Juventus si sia partiti direttamente dal prezzo stracciato, facendolo anzi fissare direttamente alla Juventus, mentre con l’altra area (che, ci dissero, interessava alle palestre Virgin) si sia partiti da un prezzo così più alto, nonostante la destinazione d’uso meno lucrosa.

Crediamo dunque di avere spiegato concretamente perché il prezzo praticato alla Juventus è di grande favore, senza scomodare paragoni ancora più imbarazzanti ma meno pertinenti (per esempio, la tariffa richiesta per affittare il suolo pubblico per attività temporanee è di 0,28 € al mq al giorno, che diventa 0,70 € al mq al giorno per le attività commerciali e 2,80 € al mq al giorno per i parcheggi; anche per le attività più grandi e stabili di tutte, come i grandi circhi, la tariffa è di circa 10 €/mq/anno). E anche le giustificazioni sull’incasso degli oneri di urbanizzazione non reggono, dato che a fronte dell’incasso la Città dovrà fare almeno altrettante spese: per esempio, la Juve verserà un milione di euro aggiuntivo per la sistemazione dell’area circostante, ma la Città dovrà abbattere l’ex Palastampa, spostare i giostrai, fare il parco…

Ribadisco comunque che non ci importa se l’operazione la fa la Juve, il Toro o una società che fa tutt’altro (non è questione di tifo) e che siamo ben contenti di accogliere investimenti privati per risanare un’area semiabbandonata (anche se poi c’è sempre da discutere se negozi e palazzi siano una riqualificazione), ma che il punto è che le aree, beni di tutti noi, vengano pagate alla Città un prezzo giusto. Su 10,5 milioni di euro, anche un piccolo sconto vale milioni di euro; se poi la tariffa è, a seconda dei metodi di calcolo, da un terzo a un sesto di quella praticata ad altri, lo sconto comincia a diventare astronomico.

[tags]continassa, juventus, torino, fassino, calcio, urbanistica[/tags]

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