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Archivio per la categoria 'TorinoInBocca'


venerdì 10 Ottobre 2008, 09:03

Grande sindaco

La sezione torinese di Repubblica ha pubblicato ieri una lunga intervista sdraiata (quelle non sdraiate non esistono più) a Sergio Chiamparino, dove il sindaco conferma la sua strategia per rilanciare l’economia torinese, che come ben sappiamo è in generale basata su cemento e scava-scava appaltati ai parenti grazie a fondi pubblici e regali delle fondazioni bancarie amiche, visto che Chiamparino l’economia di mercato non sa nemmeno cosa sia (trova persino il modo di mandare alla Fiat un pizzino mediatico per raccomandare la conferma dell’amico Marchionne, sempre per quella sana separazione tra politica e aziende che i politici italiani, da Berlusconi in giù, ci hanno insegnato ad apprezzare).

Il pezzo che io ho trovato eccezionale però e questo, sulla discussa fusione tra GTT e ATM milanese: “«Sulla carta è più probabile la fusione tra Gtt e Atm. È quella più facile, visto che rimangono le due società territoriali. C’è il nodo della pariteticità. Noi abbiamo fatto la nostra proposta di gestione alla pari blindata, aspettiamo la risposta da Milano. In futuro, ad esempio, non vorremmo che i 40 milioni di risparmi che verranno generati dal matrimonio vengano distribuiti in maniera disequilibrata. Non ci starebbe bene»”.

Speriamo che la “proposta di gestione alla pari blindata” non sia la stessa che politici e manager torinesi (anzi, politici-manager-politici tutti mescolati insieme: per esempio Chiamparino spinge Benessia a capo della Compagnia di San Paolo e poi Benessia gli scrive il piano economico comunale) hanno fatto per la fusione Sanpaolo-Intesa: i risultati ottenuti dai nostri fini negoziatori sono noti a tutti. Ma il messaggio più forte del nostro sindaco dalle palle d’acciaio è questo: “non ci sta bene” che “i 40 milioni di risparmi che verranno generati dal matrimonio vengano distribuiti in maniera disequilibrata”.

Cioè: facciamo subito questa fusione! Che fico! Facendola risparmiamo 40 milioni di euro e se siamo un po’ furbi venti toccano a noi!

E’ solo con un po’ di attenzione che capisci che nella realtà i “risparmi” sono quasi per intero dei licenziamenti, e che quel che sta prospettando Chiamparino è che, fatta la fusione, la distribuzione dei licenziamenti sarà “disequilibrata” a sfavore di Torino: la gente a casa qui, e i soldi risparmiati a Milano.

P.S. Quando parla del “centro del design insieme al Politecnico” da insediare a Mirafiori nei pezzi di fabbrica graziosamente da lui comprati dalla Fiat coi nostri soldi quattro anni fa e ancora inutilizzati, spero che non si riferisca a quello che stava nel palazzo Motorola nell’ufficio attualmente occupato da Glomera: non so cosa disegnassero, ma parevano dieci computer tristi con dieci stagisti tristi, e apparentemente erano più i loghi sulla porta che le commesse ricevute. Infatti anche Chiamparino chiosa “In alcuni casi meglio una sana liquidazione di un pervicace accanimento”, cioè newspeak per “i soldi che dovevamo dare alla Fiat li abbiamo dati, le palle che abbiamo raccontato per giustificarli non stanno più in piedi, allora sciogliamo tutto nell’acido e speriamo che nessuno si accorga di niente”. Scritto come l’ha scritto Repubblica sembrava un’altra cosa, vero?

[tags]torino, repubblica, chiamparino, fiat, pd, sanpaolo, gtt, atm, milano, politica[/tags]

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martedì 7 Ottobre 2008, 14:29

Non c’è bisogno di andare fino in Sicilia

Questo è quanto successo pochi giorni fa al consiglio comunale di Rivoli: i vigili urbani sono intervenuti, hanno preso la telecamera a quelli che riprendevano la riunione (pubblica), hanno cancellato il video e poi hanno detto che il video era stato “spontaneamente cancellato” dall’autore…

[tags]torino, rivoli, consiglio comunale, fiato sul collo[/tags]

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lunedì 6 Ottobre 2008, 13:32

Cani e padroni di cani

La citazione elio-mangonica del titolo è relativa allo sdegno provato questa mattina nel leggere questo articolo, pubblicizzato per un po’ di tempo addirittura nella home page della cronaca cittadina. In breve, narra di una ricca signora della collina il cui cane di tredici anni, già malato e prossimo alla fine, fu trovato una sera agonizzante. La signora, però, non fidandosi della natura decise di organizzare una operazione stile C.S.I.: portò gli organi del cane in macchina fino a Parma per fare l’autopsia, scoprendo che il cane era morto per avere ingerito dei medicinali. A questo punto, la signora salta alle conclusioni e determina che il cane è stato avvelenato per ripicca dalla cuoca, a cui appartenevano le pillole, e la licenzia su due piedi; dopodiché assume uno stuolo di avvocati e la denuncia.

Io ho vissuto con gatti per vent’anni, e non credo di essere un bieco e insensibile maltrattatore di animali. Tuttavia, questa storia mi indigna: per prima cosa, perché è giusto cacciare una cuoca che ti ammazza il cane (magari cercando solo di farlo smettere di soffrire per le sue malattie), ma prima di far perdere il posto di lavoro a qualcuno ci vorrebbe qualche prova, visto che chiunque in casa può aver dato quelle pillole al cane, o che il cane potrebbe persino averle trovate e mangiate da solo. E soprattutto, perché alla fine le conseguenze di tutto questo le pagheremo noi: abbiamo un sistema giudiziario che non riesce a processare i criminali prima che i reati si prescrivano, e dobbiamo sostenere i costi della vendetta privata della signora.

E’ giusto che i maltrattamenti sugli animali vengano puniti, ma riserverei l’attività giudiziaria ai casi seri: alle fattorie dove massacrano il bestiame per farlo crescere più in fretta o per produrre di più, per esempio. Invece, sventrare gli animali vivi tutti i giorni a Porta Palazzo va bene, ma guai a toccare il cagnolino delle signore della collina. Forse questi signori, così ricchi da avere la villa in collina e la cuoca privata e così disumani da considerare il proprio cane più importante delle persone, potrebbero pagarsi un investigatore privato con i propri soldi.

[tags]torino, cani, animali, giustizia[/tags]

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domenica 5 Ottobre 2008, 13:53

Domande su Torino (2)

Bene, risolte tutte le domande della scorsa settimana – compresa la travagliata vita di via Udine – ho deciso di dedicare un altro appuntamento domenicale alle domande su Torino. Magari salta fuori qualcuno che può darmi un po’ delle informazioni che io non ho… e, in generale, si tratta di memorie spicciole difficilissime da trovare in rete, ma piuttosto interessanti.

Ho ridotto però le domande a tre per volta, visto che alla fine l’altra volta, a forza di commenti, sono venute fuori tredici schermate. Ne ho messa anche una facile facile, alla portata di tutti… Quindi buttatevi senza ritegno e partecipate, che se fate i bravi ci sarà pure una terza puntata.

6) Quale strada torinese ha solo tre numeri civici – il 366, il 368 e il 370 – e perché?

7) Non è ingiusto che, con tutti i monti che hanno una via a Torino e addirittura un intero quartiere dedicato al Monte Rosa, non ci sia una via Monte Bianco?

8) Perché, allo svincolo della tangenziale di corso Regina, l’uscita / immissione dal lato verso Rivoli è così larga e lunga?

[tags]torino, toponomastica, urbanistica, storia[/tags]

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mercoledì 1 Ottobre 2008, 12:50

Uè, figa

Da ieri, lo confesso, sono un po’ milanese anch’io. E’ che Elena ha preso casa a Milano, e dopo infinite vicissitudini ieri sera l’abbiamo inaugurata; gli impegni lavorativi sono i suoi, ma è probabile che ci capiti anch’io, una sera o due ogni paio di settimane.

Noi torinesi amiamo sbeffeggiare Milano: già il nome della città sembra scelto apposta per permettere grevissimi giochi di parole sul mio buco del culo, tipo GiraMilano, PulisciMilano, LeccaMilano eccetera. Il massimo divertimento per noi è la praticità ingegnosa dei milanesi: dove altro troveresti un tizio la cui casa dà sulla ferrovia che appende sul balcone uno striscione tutto bello stampato a laser con scritto “EUROSTAR… PER FAVORE FERMATE PRIMA DEL PONTE”? In compenso, alle fermate dell’ATM le deviazioni sono scritte a pennarello, con grafia da quinta elementare; noi almeno c’abbiamo la stampante, e spero che Chiamparino valorizzi questo fondamentale asset nella prossima svendita all’ATM (pardon, “fusione alla pari”) del nostro GTT.

E poi, i bus di Milano hanno una cosa geniale. Invece di aprire le porte a ogni fermata, ci sono sia fuori che dentro dei pulsanti in modo che ognuno possa aprirsele da sé, solo se serve: sai che risparmio! E’ però indicativo il fatto che abbiano messo i pulsanti di apertura sia dentro che fuori anche sulle porte da cui si dovrebbe solo salire o solo scendere: così, se devi infrangere la regola, puoi farlo con maggior comodità. Fai solo attenzione, perché appena scendi sul marciapiede potresti essere investito dai ciclisti che vi circolano, dalle auto che vi stanno parcheggiando o dagli scooter che, percorrendo normalmente le corsie preferenziali, deviano un attimo sulla zona pedonale per sorpassare i bus in fermata.

Comunque, stringi stringi, si avverte subito che Milano è un altro mondo: sorprendentemente, qui non regna quel senso di decadenza, miseria e prossima apocalisse che permea Torino ormai da decenni. Pare quasi che qui le persone pensino di avere un futuro, e per noi è una sensazione davvero sconvolgente.

Come prima serata in questo mondo alieno, facciamo l’unione dei locali da noi già conosciuti e poi l’intersezione con la zona centro: se si esce, almeno andiamo a far lo struscio. Un dritto e morbido cinquantaquattro pieno di puzza di cingalese sporco (a scanso d’equivoci ribadisco cingalese sporco e non sporco cingalese) ci porta così fino in via Larga alla pizzeria Flash, locale intitolato non si sa se alla velocità del servizio (effettivamente notevole), al personaggio dei fumetti o al leggendario quiz con Mike Bongiorno. Le pizze base costano 7-8 euro invece dei 5-6 di Torino, idem la pasta, ma alla fine ce la caviamo con 27 euro senza scontrino fiscale. Io avevo la media chiara e quindi mi esalto.

Prendiamo piazza Duomo dal lato dove pisciano i barboni, e anch’io mi adeguo: desidero unirmi a questo eccitante clima di prossima ricchezza e di grandi possibilità, e proclamo quindi la mia intenzione di salire su tutti i pinoli della piazza per gridare “Libertà! (prooot) Libertà!”. Dando libertà sia al mio corpo che al mio cervello, intendo compiere un’opera d’arte estetico-provocatoria degna di un finanziamento dell’assessore Alfieri. Elena, invece, non afferra cosa io intenda per “pinoli”, nonostante gliene indichi alcuni che si rivelano però essere vacui, cavi e inutili cestini della spazzatura. Aggiungo esempi da tavola di nomenclatura, “i pinoli delle statue”, “i pinoli della seggiovia”, ma niente. Alla fine, anche in piazza Duomo l’estetica dannunzian-scorreggiona, simbolo dell’Italia da bere, esce sconfitta, nonostante sui bus campeggino perentori proclami di una “FESTA DELLA LIBERTA’ – BERLUSCONI – FINI” (presumo si parli di libertà condizionata).

Per sentirci più a casa andiamo da Grom, non senza esserci chiesti perché ci siano sedi del Credit Suisse a mazzi e che razza di banca sia la Banca Cesare Ponte. Qui almeno non c’è coda, però il gelato è lo stesso di Torino, ma costa mezzo euro in più; e inoltre, sommo insulto, hanno finito lo zabaione. Cioè, parliamone: chi diavolo può chiedere lo zabaione in piena Milano, se non un piemontese in trasferta? Ditemi pure che non l’avete mai avuto perché qui nessuno lo apprezza, no? E poi che razza di gelateria artigianale siete, se quando finite un gusto dovete aspettare che ve lo riportino?

Per finire, torniamo giù per la galleria, al centro della quale – e insistono che sia un ottagono, pur se il centro è un punto, per cui non ha forma né dimensioni – c’è un’adunata di pessima musica sotto la sconcertante insegna “Franco Nisi incontra i Modà”, presentata come se fosse ovvio di chi si parla. Sul palco, almeno a un primo sguardo, c’è un tamarro da antologia che canta canzoni da napoli, accompagnato da alcuni giovanotti firmatissimi. Ma non potevano incontrarsi da qualche altra parte? In piazza Duomo, in compenso, c’è una balera romena. Ora, non ho nulla contro la Romania, ma ha veramente rotto le scatole, visto che c’era una balera romena pure domenica in piazza Castello a Torino, con l’aggravante che invece di liscio romeno eseguivano una cover della musichina dell’Ultimo dei Mohicani. Ma non si può avere almeno ogni tanto un po’ di musica nostrana, di qualsiasi genere purché prodotta a meno di duecento chilometri dal Po?

Chiudiamo con un avvistamento: sempre in piazza Duomo, c’è una Feltrinelli dentro un autogrill, oppure un autogrill dentro una Feltrinelli, non è chiaro. La Feltrinelli è al piano cantina e puzza di fogna; Elena guarda i libri e a me verrebbe voglia di rendermi utile, che so, mettendomi lì davanti alla pila di copie del nuovo libro postumo della Fallaci ad aggiungere col pennarello sulle copertine tutte le i che mancano. Però la libreria è enorme, mica come la stiva pigiata che abbiamo noi in piazza Castello a Torino; e poi vuoi mettere la voglia di cultura che ti viene dopo una rustichella? Ma è tutta Milano ad essere cheappissima: in galleria di fronte al Savini c’è McDonald’s e in piazza Duomo campeggia una gigantesca pubblicità non di Prada o di Bvlgari, ma di un cappotto a trenta euro. Fa strano che non si scandalizzino.

In un dedalo di strade marmoree il cinquantaquattro ci riporta sul dritto, e poi a casa, quasi al fondo di viale Argonne. Questo è il posto più interessante, una serie di viuzze che sembrano congelate negli anni ’60, dove c’è tuttora un verduriere (un verduriere! e non ricostruito in un museo, ma vero e in piena azione!) e un Caffè Jesi ad un angolo da cui non passerà mai nessuno, coi tavolini di formica, l’insegna di lettere al neon e gli arredi rigorosamente fermi ai tempi delle figurine di Facchetti. E’ strano, perchè a Torino non è praticamente rimasto nulla di tutto questo; sulle vecche viuzze di periferia incombono i palazzoni di cartone di Franco Costruzioni, al posto delle fabbriche c’è una colata di cemento olimpica dietro l’altra (tutte già quasi in disuso) e verdurieri e latterie sono stati sterminati dalla politica di una Città Mercato (Fiat) qui, uno Sma (Fiat) là, un Auchan (joint venture Fiat-francesi) lì dietro e così via. Pensa, mi sa che adesso siamo noi la città senz’anima.

[tags]torino, milano, atm, gtt, grom, feltrinelli, supermercati[/tags]

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martedì 30 Settembre 2008, 09:06

Noi che non capiamo l’arte pubblica

Mi scuserete se in questo periodo parlo quasi sempre di Torino, ma alle volte saltano fuori delle storie allucinanti, che dicono bene quanto in basso siano cadute le nostre istituzioni.

Tutto comincia quando ieri, su Specchio dei Tempi, una lettrice segnala indignata che sabato pomeriggio, con il centro pieno di gente per la fiera libraria per le vie, “una decina di giovani ha pensato di scalare il “Caval ‘d Brons”.”, il massimo monumento cittadino già tante volte in passato danneggiato da vandali di vario genere. La lettrice prosegue raccontando di avere chiamato i vigili, e che questi invece di intervenire si sono messi ad applaudire e godersi lo spettacolo.

Oggi, con un tempismo degno di migliori cause e ovviamente del tutto spontaneo, compaiono non una ma due repliche degli amministratori cittadini.

La prima è del comandante dei vigili urbani Mauro Famigli, che spiega che, sì, i vigili non hanno fermato né multato quelli che sono saliti sul monumento, però li hanno “stigmatizzati”: si sono messi sotto e hanno gridato “cattivi! dai, scendete… su, per favore… dai, venite giù…” Infatti non erano comuni vandali come pareva a tutti, ma “artisti di strada”, cioè gente che – non avendo evidentemente nient’altro da fare – passa il tempo a esibirsi ai semafori in cambio di elemosine, imbrattare i muri cittadini di graffiti e ora anche insudiciare i monumenti: basta mettersi un naso rosso e il Comune ti autorizza a fare qualsiasi cosa. E ti paga pure!

Dopo questa bella letterina del capo dei vigili (il cui stipendio è di 175.000 euro l’anno: se ci ha messo mezz’ora a scriverla, ci è costata 50 euro) scrive anche l’assessore alla Cultura Fiorenzo Alfieri, dicendo “torinesi cattivi! smettetela di salire sul monumento!”. Noi? Ma se gli unici che ci sono saliti li ha assunti e pagati lui finanziando la manifestazione! E in più chiude dicendo che, se la cosa si ripete, bisogna chiamare i vigili, gli stessi che dalle lettere precedenti si sa che non sono intervenuti! Ma ci prende per i fondelli?

E così, l’immagine pubblica dei chiamparinchi è salva: con la collaborazione de La Stampa (e ho anche il dubbio che qualcuno, per aver pubblicato quella lettera, sia stato cazziato) la frittata è stata prontamente rigirata per dimostrare che in realtà siamo noi, i torinesi, che vogliamo male alla nostra città e ai nostri monumenti; mica loro che, con i loro stipendi di giada pagati da noi, decidono di pagare qualcuno per salirci sopra (sempre con i nostri soldi) perché “è una forma d’arte”. E poi magari si lamentano pure che qualcuno vuole tagliare i miliardari budget cittadini della cultura…

[tags]torino, arte, caval ‘d brons, vandali, vigili, alfieri, famigli, la stampa[/tags]

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domenica 28 Settembre 2008, 10:58

Domande su Torino

La Stampa ospita molti blog, ma ne ho scoperto da qualche tempo uno che sembra fatto apposta per me: Questa è la mia città di Maurizio Ternavasio, che si occupa di descrivere la storia delle vie cittadine, compresa la toponomastica e la geografia urbana.

Queste due, infatti, sono uno dei modi migliori per ricostruire a posteriori la storia di una città. Persino la sola mappa cittadina di oggi, se guardata con attenzione, fornisce indizi che permettono di ricostruire la storia dell’espansione urbana; spesso basta unire i puntini. Se poi si riescono a recuperare mappe più vecchie si possono scoprire grandi cose.

Il Ternavasio, comunque, non è riuscito ancora a risolvere uno dei piccoli misteri sorti durante le mie peregrinazioni cittadine. Se percorrete corso Matteotti verso la periferia, l’ultima via è intitolata a tal Policarpo Petrocchi, filologo ottocentesco. Qualche anno fa, però, mentre passavo di lì in bici notai la targa di vernice recentemente restaurata, che portava la scritta “via Alessandro Pedrocchi” (mi pare Alessandro, dovrei controllare, ma il cognome era quello). Cosa sarà successo? Un errore nella targa? Una sostituzione di nome in tutta fretta, magari per eliminare un personaggio scomodo (per esempio fascista), cercando di sostituirlo con il nome meno diverso che si poteva trovare?

Questo non lo so, però, per quelli di voi che vogliono dilettarsi a riflettere su grandi e piccoli cambiamenti urbani con qualche piccolo quiz, lascio qui cinque domande con cui potete cimentarvi. Sparate pure senza ritegno.

1) Dove passava la circonvallazione di Torino e perché fu costruita?

2) Qual è l’unico Lungo Dora che non costeggia la Dora, e soprattutto, perché?

3) Dove sta via Udine? Attenzione, non mi basta un tratto di via Udine: esigo tutto il percorso della via dall’inizio alla fine…

4) Come è possibile che via Lanzo porti a Lanzo, ma passando da una strada (la direttissima della Mandria) che quando via Lanzo è stata così denominata non esisteva ancora?

5) Se percorrete corso Potenza tra via Pianezza e via Valdellatorre, vi accorgerete che a un certo punto c’è un grosso ponte sopra qualcosa… ma cosa?

[tags]torino, blog, la stampa, toponomastica, urbanistica, storia[/tags]

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mercoledì 24 Settembre 2008, 11:59

La dinamica madama

Stamattina, su La Stampa, è uscito un articolo che annuncia l’arrivo di telecamere a bordo dei bus, con lo scopo di riprendere e multare chi viola le corsie preferenziali. Personalmente la trovo un’ottima iniziativa, visto che per me le preferenziali sono sacre; al massimo, in assenza del bus, le uso qualche volta come svincolo degli ultimi venti metri prima dell’incrocio, per girare a destra dai viali senza far rallentare il traffico dietro di me.

C’è però, su una delle arterie principali di Torino – l’asse Potenza – Trapani – Siracusa – una invenzione magica che da tempo lascia tutti noi perplessi. E’ arrivata dopo le Olimpiadi, e nonostante siano passati due anni nessuno ha ancora capito bene cosa vuol dire: è la “corsia preferenziale promiscua”.

Trattasi di una corsia delimitata con la canonica striscia gialla, però tratteggiata; è accompagnata da cartelli che dipingono artisticamente le tre corsie con quella di destra separata da una riga gialla continua e occupata dal bus, però con il sottotitolo “CORSIA PREFERENZIALE PROMISCUA – DARE PRIORITA’ AL BUS”.

Avete capito tutto? Beati voi: nessuno è veramente sicuro se, alla fine, su quelle corsie si possa andare o meno. Va detto che creare una vera preferenziale in quel punto sarebbe da incoscienti: l’unico autobus che ci passa – il 2 – ha frequenze simili alle morti dei Papi, ma in compenso il traffico privato è intensissimo, visto che è la principale arteria di collegamento nord-sud a ovest del centro città. Già così in ora di punta ci sono code lunghissime, figurarsi con una corsia in meno.

Deve essere per questo che hanno messo un “mezzo divieto”: alla fine, la versione più o meno ufficiale è che quelle corsie sono liberamente percorribili, a patto di dare “priorità” al bus. Nessuno sa bene cosa voglia dire dare “priorità”: il Codice della Strada non menziona alcunché di tutto questo. E’ un’altra geniale invenzione dell’assessore Sestero e dei suoi fidi, dopo il quartiere a 30 all’ora, la rotonda di piazza Derna, il sottopasso che porta solo nel parcheggio di 8 Gallery, le piste ciclabili più impercorribili dell’universo, le “onde rosse” sui viali per aumentare il più possibile i tempi di percorrenza, l’abbattimento della sopraelevata di corso Mortara e tante altre cose che l’hanno resa il bersaglio preferito delle lettere di Specchio dei Tempi.

Per questo – ma anche per fornirvi una prova inconfutabile a vostra discolpa, quando i vigili vi fermeranno sulla corsia di corso Potenza – è utile che guardiate anche questo video (qui a bassa risoluzione), ossia la risposta della “dinamica madama” all’interrogazione di un consigliere comunale, che chiedeva appunto cosa volesse dire “corsia preferenziale promiscua”. Stretta nel suo golfino, ci mette solo tre minuti e mezzo di divagazioni per venire al punto, cioè che tutti quei cartelli e quelle strisce tratteggiate coi nostri soldi non vogliono dire nulla più di un generico invito “per favore, fate passare i bus”, ma sono state fatte così per spaventare un po’ i guidatori sabaudi meno coraggiosi.

Mentre lo guardate, ricordatevi la carriera della signora Maria Grazia Sestero Gianotti: preside di liceo, assessore provinciale PCI, consigliere regionale, parlamentare di Rifondazione Comunista per due anni, poi trombata nel 1994; mentre Chiamparino perdeva tra gli operai di Mirafiori Sud con Meluzzi, lei bissava perdendo altri quartieri rossi come Pozzo Strada e Mirafiori Nord. Dopodiché, riciclata dai DS in Comune, fino a fare l’assessore al traffico. Le sue competenze in materia sono sconosciute; le ragioni della sua brillante carriera politica sono misteriose, a meno che il suo secondo cognome Gianotti non implichi una parentela con Lorenzo Gianotti, ex senatore comunista di Rivoli. Sicuramente degnissime persone, ma la competenza della Sestero in materia di traffico è davvero poco credibile.

Quando la guardate presentarsi in consiglio comunale vestita come se stesse andando a far la spesa, senza il rispetto che si deve all’istituzione, pensate a quanti vestiti eleganti potrebbe comprarsi con i 3108 euro mensili che riceve come pensione per i due lunghi anni di Parlamento, che naturalmente si cumulano con lo stipendio da assessore (e magari anche con l’aspettativa da dipendente pubblico?). Sarebbero comunque soldi che sarei lieto di contribuire a pagare, se servissero ad assumere una persona con capacità specifiche, o perlomeno sinceramente disposta a fare ciò che i torinesi vogliono; invece – lei come tutti gli altri – di arrivare in una posizione di potere qualsiasi grazie a una carriera puramente partitica, e, una volta lì giunta, imporre a tutti i cittadini le proprie preclusioni ideologiche. Purtroppo, questo è ciò che passa il convento della politica italiana in questi anni.

[tags]torino, traffico, politica, sestero[/tags]

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lunedì 22 Settembre 2008, 11:30

L’autovelox è nudo

È nota la mia scarsa simpatia per i limiti di velocità troppo bassi, tipicamente messi per due ragioni – il desiderio di far cassa con le multe e l’avversione ideologica della sinistra radicale all’auto privata, in quanto simbolo borghese da punire – che non hanno nulla a che fare con la sicurezza stradale, la lotta all’inquinamento e la scorrevolezza del traffico.

Per molto tempo mi sono sentito un po’ isolato, di fronte ad assurdità cosmiche (come l’idea di mettere un limite di velocità a 30 km/h in un intero quartiere, viali compresi) che pure trovavano qualcuno talmente imbevuto della suddetta avversione ideologica da essere pronto a giustificarle. Questi giorni, però, sono stati pieni di soddisfazione.

Prima si è scoperto che tutti, ma proprio tutti, gli autovelox del Nord Italia sono gestiti tramite quelle che gli stessi inquirenti hanno definito “associazioni a delinquere”: due o tre ditte che non solo fanno contratti “chiavi in mano” a percentuale con i Comuni – con l’incentivo per tutti a regolare semafori e a definire limiti in modo che sia praticamente impossibile rispettarli senza impazzire – ma che “ricompensano” sindaci e vigili mediante assunzioni di parenti o vere e proprie mazzette; e poi, pare, taravano pure male gli autovelox in modo da barare.

Poi, il capolavoro: un sabato di “follia” – così lo chiama La Stampa – con mezza città in tilt per questo incidente:

regina1.jpg

Notate niente? Io sì: la cisterna si è ribaltata praticamente sotto il famigerato autovelox di corso Regina, quello che impone i 70 orari nel mezzo di quello che è in pratica un raccordo autostradale, e che ha staccato decine di migliaia di multe in pochi mesi. Chissà se l’autovelox c’entra qualcosa?

E’ probabile che non lo sapremo mai; bisognerebbe conoscere la dinamica dell’incidente. Magari la cisterna era sotto i limiti ma andava comunque troppo veloce, o l’autista ha avuto un colpo di sono. Magari, però, la cisterna non è riuscita a cambiare corsia, operazione che ormai è quasi impossibile tra tre file di auto tutte in lento movimento, oppure ha inchiodato per non tamponare quello davanti che ha rallentato a 60. Oppure il traffico si è incasinato per via di qualcuno che cercava di immettersi dallo svincolo che vedete sulla sinistra della cisterna: infatti, nelle ore di punta immettersi su corso Regina da via Pietro Cossa o corso Marche è diventato quasi impossibile, visto che le auto vanno troppo lentamente per lasciare strada libera per un tempo sufficiente. Oppure, ancora peggio, il guidatore della cisterna ha inchiodato di colpo accorgendosi all’ultimo dell’autovelox e temendo la multa (e ne ho visti vari fare questa manovra in quel punto, passando in pochi metri da 110 a 70); in questo caso ovviamente la responsabilità è la sua, ma senza l’autovelox paradossalmente l’incidente non sarebbe successo.

Un limite di velocità – o una qualsiasi regola sociale – dovrebbe essere naturale; dovrebbe servire a punire quel 5 – 10 per cento di indisciplinati e incoscienti che statisticamente esiste in qualsiasi attività umana. Se invece la regola è tale per cui la maggior parte delle persone si troverebbero in fallo se agissero in modo normale, allora c’è un problema con la regola, che o finisce per essere disattesa col tacito accordo di tutti e infine abolita, o richiede costi mostruosi per essere fatta rispettare. Questo vale per molte cose, dal divorzio allo scaricamento di file da Internet, e vale anche per i limiti di velocità.

Io sono assolutamente a favore degli autovelox e di un rispetto pignolo delle regole, ma dopo che le regole sono state rese rispettabili e tali da rispecchiare il sentire comune, e non quando le regole sono disegnate apposta per vessare le persone. Noi, purtroppo, siamo ancora pieni di politici vecchio stampo, quelli che vengono da una formazione ideologica; e l’ideologia altro non è che la pretesa di insegnare al mondo a girare nel verso opposto, con uno sforzo tanto immane quanto inutile. Spiace notare che l’assessore al traffico Sestero ancora non l’ha capito.

[tags]torino, traffico, autovelox, regole, velocità, sestero, corso regina[/tags]

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domenica 21 Settembre 2008, 12:51

Amo quest’uomo

Urbano Cairo è fatto così; è abituato a non accontentarsi e a insistere nelle negoziazioni ben oltre il tempo limite dell’essere umano medio, pur di strappare alla fine il risultato migliore. Questo implica il lasciare mugugnare per mesi tutti i tifosi, fino a fargli pensare che in realtà non stia facendo nulla e stia soltanto banfando, per poi saltar fuori all’ultimo con il coniglio dal cilindro.

E’ successo così per l’acquisto di Rolando Bianchi ed è successo così anche per lo sponsor: alla vigilia della terza giornata di campionato, il Toro era l’unica squadra a non avere ancora trovato lo sponsor principale e i tifosi mugugnavano: “Ma come si fa… ma che figura da polli… che dilettantismo…”. Dopodiché, in settimana ne sono arrivati due: prima è stato annunciato un accordo da sponsor secondario con Seat (la casa automobilistica), e poi ieri è stato presentato il nuovo main sponsor e la relativa maglia:

maglia_toro_08_544.jpg

Che dire: due sponsor automobilistici concorrenti della Fiat in una sola settimana, come messaggio all’altra sponda e alla cupola cittadina non c’è male. Naturalmente nessuno crede che siano stati scelti apposta per quello – Cairo si sarà limitato a scegliere le migliori offerte che aveva sul piatto – però, perlomeno, non si è posto alcuna remora, e questo sarebbe stato impensabile anche solo dieci anni fa. Vedremo insomma come andrà il derby tra i trattori della Fiat e i camion francesi…

[tags]torino, toro, juventus, calcio, sponsor, fiat, renault, seat[/tags]

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