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Archivio per la categoria 'VitaDaToro'


mercoledì 31 Maggio 2006, 23:53

Storie granata

Questo racconto è stato inviato ieri sul forum di Toronews. Ne capitano spesso, di racconti così, in questo periodo di rinascita granata. Però sono sempre belli, per cui qualcuno ogni tanto lo vorrei ripubblicare anche qui, sperando di rendere più facile anche ai non tifosi capire il perchè il Toro sia così speciale.

Non so se puoi estendere ciò che ti scrivo al forum del toro.
Domenica, come ben sai, eravamo nei distinti in sette, tre bambini, una donna, tre uomini, per vedere il toro. Mai, in decine di partite viste allo stadio, ho visto tante donne, tanti bambini, tanti anziani, tante facce serene, tanta allegria e voglia di divertirsi come domenica.
Il toro ha vinto tre a zero, ora va ai play off.
Ma ha vinto soprattutto la gente granata.
Lo spirito granata, il cuore granata di tutti.
Tu lo sai, abitavo fino a dieci anni fa a San Mauro, sotto Superga; ogni giorno alzavo gli occhi e il pensiero andava all’aereo, e mi chiedevo come fosse stato possibile schiantarsi lì contro. Destino…
Una squadra già enorme, resa ancor più incancellabile ed inimitabile da quel maledetto muro della Basilica.
Sant’Agostino diceva:”Conosci il male per fare il bene”.
Credo che questo sia l’anima del tifoso granata: mai tifoso vide squadra più forte su campo d’erba, e quella squadra fu azzerata in tre secondi, lasciando sgomenti milioni di tifosi. Dal male della disperazione, dal male della separazione, dall’angoscia della perdita, il grande popolo granata ha sollevato lo sguardo verso Superga e ha preso in mano il testimone lasciato dai campioni, per arrivare a vivere il calcio, lo sport, con un rinnovato animo positivo.
Ho giocato a calcio per anni con le scarpe tacchettate che mi passava mio cugino, giocatore del Toro, quando per lui erano già “consumate”; il Fila per me è sempre stato di casa: mia nonna abita ancora in via Taggia, proprio davanti al mitico campo, e quando andavo dai nonni dopo la merenda si andava sempre a vedere l’allenamento. Ho visto da qui a lì (a volte stringendo mani) il Toro dello scudetto, sembrava di essere in cortile con gli amici più che all’allenamento di una squadra di serie A.
Ricorderai anche che l’amico Giovanni (Margaro) scatenò un putiferio nella tribuna dei Frogs a Busto Arsizio, quando il pubblico di casa sfotteva il sottoscritto mentre giocava a football…e quante partite abbiamo vissuto insieme tu, io, Giovanni, Massimo F. (Tauri41, n.d.r.) …
Tu lo sai, io tifo per la Roma.
Dopo la Roma, ovviamente, c’è sempre stato il Toro.
Domenica, prima di entrare allo stadio, mio cognato ha regalato il cappellino del toro a Gabriele, mio figlio; lui, che per convenienza sosteneva di essere della Juve, come sua mamma, se l’è calcato sulle 23, ed è entrato nel secondo anello poco convinto.
Ha guardato veramente poco la partita, ha giocato con i due suoi amichetti con i palloncini tutto il tempo, si è divertito un sacco, è stato pure lavato dai tifosi della Cremonese di fianco a noi; ma ha osservato. Ha guardato tutto. Ha visto tutto. Ha capito tutto. Quando siamo usciti dallo stadio mi ha chiesto di comprargli la bandiera:”Non quella piccola, papi, quella grandissima, la voglio appendere in camera!”, ha sentenziato.
Eppoi ha aggiunto:”Papi, tu sei della Roma, vero? Beh, io sono del Toro”.
Qualcosa, nella mia vita, è andato a posto.
Come quando paghi un debito, o come quando telefoni ad un amico che volevi chiamare da due anni, o come quando raggiungi una promozione dopo esserti fatto il culo…ora sono più sereno.
E forse anche un po’ più del Toro.
Un saluto a te, vecchio amico di mille battaglie, e a tutta la famiglia granata.

Paul

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mercoledì 24 Maggio 2006, 17:19

Senza vergogna

Il capitano della Nazionale e pilastro della Juventus – perquisito pure in cantina negli scorsi giorni, nonchè unico calciatore mai apparso in TV ridacchiando come un cretino mentre gli fanno una flebo nel braccio prima della partita – Fabio Cannavaro, parlando dal ritiro dell’Italia, ha esposto ai giornalisti il suo netto rifiuto dell’idea che la Gobba debba poter restituire gli scudetti vinti negli ultimi due anni: Io quei due scudetti me li sento, sono miei”.

Pare che poi abbia anche aggiunto: “Non ci credete? Ve lo provo: ho ancora qui in tasca lo scontrino!”

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lunedì 22 Maggio 2006, 23:29

Una domenica da ultrà

Dopo avervi raccontato del mio pessimo sabato, ecco anche il racconto di una interessante domenica: la mia prima trasferta calcistica, a Brescia.

La trasferta inizia alle 8,30 di domenica mattina, quando il piazzale davanti alla stazione Lingotto brulica di maglie granata. Un migliaio abbondante di persone si affolla, versando le quote di trenta euro per ricevere in cambio il biglietto della partita, l’accesso al treno e una maglietta; e nel frattempo chiacchiera placidamente, legge il giornale o fa colazione al bar.

Ci vuole oltre un’ora per caricare tutti sul treno, attraversando una timida perquisizione da parte di un manipolo di poliziotti. Il treno ha una dozzina di carrozze, che sono suddivise a seconda del gruppo che ha venduto il biglietto. Io sono con il gruppo dei Geneticamente Granata, quello della curva Primavera, che per quanto riguarda le trasferte è affiliato ai Viking Granata. Saliamo tra gli ultimi, e per un colpo di fortuna troviamo uno scompartimento ancora libero, che viene prontamente occupato.

Scopro così che i treni dei tifosi non sono come i treni normali. Si tratta di carrozze vecchissime, adibite a questo solo scopo, e già deturpate da innumerevoli partite, ultima delle quali apparentemente un Livorno-Inter che ha lasciato a pennarello vari cazzi nerazzurri. La nostra carrozza risale probabilmente agli anni cinquanta, è una di quelle vecchissime carrozze a scompartimenti con i sedili di pelle marrone, tutti scassati, i braccioli rotti, l’illuminazione non funzionante. Un carro bestiame, insomma, in cui dobbiamo pigiarci in nove o dieci, stringendoci e facendo i turni a stare in piedi nel corridoio.

Nonostante questo, la trasferta parte verso le 10,20 in grande allegria. Il treno si dirige verso Alessandria; partono i cori, ed ogni occasione è buona per sporgersi dal finestrino e gridare qualcosa ai passanti. Il treno comincia a rallentare, a fermarsi, poi prende inopinatamente verso Pavia. Ci chiediamo da dove vogliono farci passare, visto che probabilmente ci rallentano per farci arrivare appena appena in tempo; ma poco importa.

Il momento più surreale si raggiunge all’altezza di Opera, alla periferia di Milano, quando il treno rallenta e si ferma in mezzo alla campagna, proprio di fronte a un campo di golf. I cumènda milanesi, vestiti griffati, sgranano gli occhi, quando un migliaio di persone si sporge dai finestrini e comincia a gridare come un sol uomo: “MERDE! BORGHESI DEL CAZZO! EHI, TU! QUELLA PALLINA INFILATELA SU PER IL CULO!”. Poi cominciamo a prenderli di mira facendogli “oooo…” mentre si concentrano per il drive. A un certo punto, dopo un quarto d’ora di fermata che ha decimato i golfisti, ci siamo rotti le scatole e cominciamo a gridare: “SE NON FATE RIPARTIRE IL TRENO SCENDIAMO E FACCIAMO PRANZO SUL VOSTRO PRATO!”. Detto fatto, il treno riparte di corsa.

Attraversiamo la periferia milanese e prendiamo per Treviglio. Man mano che ci avviciniamo a Brescia, diventiamo un po’ più seri; sappiamo che non è una trasferta qualsiasi. Non c’è buon sangue tra le tifoserie, e a Brescia ci sono ultras tanto duri quanto pericolosi.

Comunque, il treno arriva indenne in stazione alle 14, un’ora prima della partita, dove ci attendono su un binario secondario, a fronte del quale hanno piazzato un vecchio treno merci per evitare che qualcuno possa fuggire attraverso i binari. Tramite un cordone di agenti, ci forzano nel sottopassaggio, e poi… ci tengono lì. Per una decina di minuti un migliaio di persone sono pigiate in un corridoio di due metri per due; sudiamo, ci manca l’aria. Alla fine ci fanno uscire, e scopriamo che siamo rimasti soli.

Difatti, lo stadio di Brescia è lontano, ragion per cui i locali si sono dotati di appositi autobus per trasportare le tifoserie ospiti allo stadio (foto). In pratica, hanno preso i più vecchi bus urbani che avevano, hanno tolto i vetri, e li hanno sostituiti con delle grate di ferro spesso. Altri carri bestiame, insomma, su cui i tifosi vengono pigiati all’inverosimile. Ma i poliziotti, si sa, non sono forti in matematica: e per quanto si pigi, sui pullman che dovevano portarci allo stadio non ci stavamo tutti. E così, in un centinaio siamo rimasti indietro, staccati dal grosso; e questo, dal punto di vista dell’ordine pubblico, è demenziale: un invito all’agguato da parte dei bresciani.

T., uno dei capi degli Ultras, ci guarda in faccia uno per uno, e fa: “Siamo pochi…”. Poi sorride e aggiunge: “Pochi ma buoni!”. Nel frattempo il tempo passa; si fanno le 14,20, le 14,30… Siamo nervosi, abbiamo paura di perdere la partita: partono bordate di fischi. Nel frattempo, dal tam tam dei cellulari arrivano le prime notizie: il fotografo di Toronews aggredito da infami, quindici ultras contro due in una macchina targata Torino; sassaiole continue su tutti i pullman, sia i nostri che quelli dei club organizzati arrivati direttamente allo stadio.

Alla fine, alle 14,45, arrivano quattro autobus a prenderci. Saliamo di corsa, incazzati, tesi. I tre “vecchi” che erano con noi hanno cambiato faccia; salgono per ultimi, si tolgono le cinture e le preparano, si aggrappano alle porte e gridano all’autista finchè non ottengono che l’autobus parta a porte aperte. Quest’ultimo è un requisito essenziale per tanti motivi; sia per non restare intrappolati se ti attaccano; sia per poter scendere e rispondere; sia per potersi sporgere a guardare avanti, ed anticipare gli agguati. E così, ci facciamo tutta Brescia a ottanta all’ora senza fermarci, tra camionette della polizia a sirene spiegate, con due persone appese e sporte fuori a far la guardia.

Quando arriviamo allo stadio sono le tre meno uno; l’autista non sa dove fermare, e sceglie il posto peggiore. Saltiamo giù, e ci rendiamo conto di essere esattamente a metà tra la testuggine dei caramba da un lato, e la prima fila di ultras, a volto coperto, dall’altro. Ci togliamo di mezzo alla svelta, ma la carica non parte: sta per iniziare la partita, e così ci affolliamo sull’unico cancelletto del settore ospiti.

Nessuno vuol perdere la partita a causa della disorganizzazione della polizia, e quindi i controlli all’ingresso non esistono più: si sfonda. Probabilmente qualche decina di persone entra senza biglietto, e volendo si sarebbe potuti entrare con un bazooka in tasca. Peraltro, il decreto Pisanu sui biglietti nominativi è chiaramente una pagliacciata: il mio biglietto non era nominativo, e in un tale delirio, in un ingresso bersagliato di bottigliette e sassi dai tifosi locali della curva a fianco, non c’è certo modo di star lì a chiedere documenti.

Entriamo, e la partita è iniziata da poco. Lo stadio Rigamonti è ridicolo: all’inizio credo di aver sbagliato posto. Sembra un campetto di periferia, con gli spalti fatiscenti e tenuti su col bostik, tutti uno diverso dall’altro, tutti storti, la maggior parte fatta coi tubi di alluminio; una specie di delirio dadaista progettato da un geometra ubriaco. Però siamo vicini al campo, anche se praticamente a livello terra.

Seguono novantanove minuti di delirio totale. Una partita vista così, da bestie pigiate, è un’altra cosa: tremila voci in una bolgia che non smettono un attimo di cantare. I tifosi locali sono annichiliti; a un certo punto parte “LA GENTE VUOLE SAPERE”, e lo sentono fino a Bergamo. Loro sono divisi in due curve, e passano il tempo a insultarsi tra di loro, e nel tempo che avanza a insultare i propri giocatori.

Il Toro gioca bene, nonostante un arbitro cornuto che caccia Lazetic per lesa maestà; e il gol di Abbruscato è lì a pochi metri, fa subito partire il delirio. Anche io perdo il controllo, scendo gli ultimi gradini sull’orlo dell’infarto, mi attacco alla barriera trasparente e urlo con tutto quel che ho (mi perdonino le signore): “SUUUCAAAAAAAA!!!”. Il secondo tempo non comincia mai, non finisce mai, pure sospeso per i loro fumogeni; la partita è dominata di intelligenza dal Toro, nonostante un paio di brividi.

Ma il meglio deve ancora venire: usciamo nell’antistadio, saliamo sui pullman, sempre più pigiati; a un certo punto parapiglia, ci fanno scendere, vediamo gente dei nostri che corre a rifugiarsi verso di noi. Si scopre che i bresciani si sono sparsi fuori, a ronde di venti persone, cercando di picchiare ogni bagliore granata; anche le donne, anche i bambini, anche i vecchi che cercano solo di riprendere la macchina. Restiamo pigiati dentro per un’ora, con la polizia a far da cordone; alla fine ci caricano sugli autobus e partiamo. Io sono finito sull’ultimo, e la cosa non promette nulla di buono.

Difatti, al primo incrocio c’è la pula, con ampio spiegamento di camionette; al secondo incrocio c’è la pula; al terzo incrocio non c’è più nessuno, salvo l’agguato dei bresciani.

Il nostro è l’unico autobus che si ferma, a forza di minacce all’autista, mentre ci arriva addosso qualche bottiglia e qualche pietra; ma loro sono solo quattro o cinque, di cui uno con un motorino; come armi hanno un casco, un ombrello e una stampella. Pensano di farci paura, corrono verso di noi; peccato che gli Ultras si siano organizzati, spargendo un po’ di gente tosta su ognuno dei pullman. Mentre l’adrenalina scorre e io non so che fare, scendono un po’ dei nostri, le cinghie in mano. Il motorino vola e si polverizza, mentre il suo proprietario se ne prende a sufficienza; i bresciani che possono scappano come conigli, ma li massacrano lo stesso. Dopo non più di quindici secondi, dalla porta entra l’ombrello, usato per agganciarsi al mancorrente e tirare su gli altri già di ritorno, mentre il pullman viene fatto ripartire sgommando. Dopo venti secondi arriva la pula, ma non c’è più nessuno. (Anche se pare che abbiano poi fermato uno dei nostri.)

E così, abbiamo vinto due volte: sul campo e in strada. Il ritorno è festoso ma stanchissimo. Per battezzarmi, mi dicono di insultare qualcuno o qualcosa alla stazione di Alessandria; fuori è un deserto, e mi esibisco in un grido di protesta contro quel che c’è, cioè “POSTE ITALIANE VAFFANCUUULOOOOO!!!”. Applausi. Alle 22,30 siamo di nuovo a Lingotto: una domenica da incorniciare.

Naturalmente, adesso mi aspetto un po’ di commenti moralisti a proposito della violenza e del teppismo negli stadi. Questa era la mia prima trasferta in treno organizzato, in una città calcisticamente calda come Brescia, ed è stata fonte di molte sorprese.

Una è stata scoprire quanto è divertente; ho passato dieci ore in treno ridendo, scherzando e divertendomi, condividendo bibite e panini e cantando. Un’altra è stata vedere l’incapacità e il menefreghismo di chi dovrebbe difendere l’ordine pubblico, mentre ad esempio sono stati i nostri stessi ultras, i presunti teppisti violenti, a organizzare le scorte ai tifosi “normali” e a salvarli dagli agguati dei bresciani.

Infine, è stato interessante accorgersi che la violenza non è affatto imposta da un manipolo di delinquenti; si tratta di un intero sistema anti-sistema, in cui le regole del vivere civile vengono temporaneamente sospese per la soddisfazione di tutti. La società ti permette di insultare le vecchiette e i golfisti e, se vuoi, anche di menarti (ma se non vuoi e non sei fesso non ti succede nulla); in cambio, ti tratta da bestia per tutto il tempo.

Potremmo discutere se ci abbiano trattato da bestie perchè ci comportiamo come tali, oppure se ci comportiamo da bestie perchè tutto è organizzato per trattarci come tali. E’ una domanda interessante.

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giovedì 18 Maggio 2006, 22:24

Stile Juventus

Questa sera, per divertirci un po’, parliamo un po’ di stile Juventus.

Stile Juventus è, come avvenne anni fa, chiedere dei soldi per portare la squadra a giocare in una amichevole di beneficenza per ricordare il povero Andrea Fortunato, il giocatore della Juve che morì di leucemia.

Stile Juventus è anticipare la campagna abbonamenti (iniziata questa settimana, 250 euro per la curva) in modo da spremere un po’ di denaro dai propri tifosi senza che questi possano sapere se con quei soldi vedranno la partita col Milan, o quella col Pizzighettone.

Stile Juventus è essere così griffati e marchettari che quando viene la Finanza a perquisire la tua sede cercando i falsi che hai fatto in bilancio, li puoi mandar via con le carte impacchettate in eleganti sacchetti con il logo della società.

Stile Juventus è il figlio di Moggi che spende 10.000 euro per portare a cena in jet privato a Parigi la conduttrice di Campioni, Ilaria d’Amico, cercando disperatamente di farsela dare: e va lo stesso in bianco.

Ma, per chi dice che è solo un problema di Moggi, potete anche leggere lo stile Juventus con cui un vero gobbo istruisce il figlio di otto anni, a proposito di come rispondere all’amichetto milanista che lo prende in giro, e riporta orgogliosamente: “E così ha risposto: Rossonero pezzo di merda! Rossonero ebreo!”. E tutti gli altri che applaudono la risposta, “Grande!”, “Così si fa!”

P.S. Nel caso vi serva un controesempio, potete anche leggere cosa è successo ieri sera su Toronews quando un cretino, in risposta a un messaggio di uno juventino, si è permesso di ironizzare sulla tragedia dell’Heysel. Prendendosi immediatamente due pagine di reprimenda infuriata dagli altri tifosi del forum.

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martedì 16 Maggio 2006, 20:59

Ti amo campionato

Per chi dice che è tutta colpa di Moggi e che la Juve ha cominciato a rubare solo dopo che è morto l’Avvocato, può essere istruttivo rivedere queste immagini di otto anni fa.

Certo, nel 1998 queste cose, come sempre nei regimi, si potevano dire soltanto tramite le buffonate. Ma se togliete le immagini e ci mettete sopra la voce di Mentana, vi sembrerà di vedere la puntata di Matrix di ieri sera, a dimostrazione che, presso una certa squadra bianconera non a caso adorata da moltissimi italiani, l’onestà è diventata un optional da molto molto tempo.

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domenica 14 Maggio 2006, 21:52

Il calcio davvero

Qualche giorno fa, scambiando mail con .mau., cercavo di spiegargli cosa possa spingere degli appassionati di calcio non solo a dedicare il proprio tempo in settimana per organizzare le coreografie ed altre attività collaterali, ma persino a passare la partita a dirigere il tifo, anzichè a guardare la partita stessa.

Credo che la spiegazione migliore sarebbe stata esserci ieri, in curva Primavera, quando ho fatto il mio debutto definitivo e ufficiale nell’organizzazione delle coreografie, proprio in contemporanea con il debutto ufficiale del gruppo, personalmente battezzato “Geneticamente Granata” addirittura da Margaro, la leggenda vivente del tifo granata; anche se, nonostante queste nobili ascendenze, si tratta di un pretesto per divertirsi conoscendo nuovi amici e facendo un po’ di colore per sostenere il Toro, e non certo di un gruppo ultras.

La cosa era iniziata in settimana, in un sotterraneo in un punto imprecisato della città, ritrovandosi dopo cena per preparare la coreografia; dopo una rapida riunione, si era optato per riciclare il retro di vecchi striscioni, tagliandoli e creando una cinquantina di “ALE'”, due metri per uno, con cui riempire la curva, affiancati a un classico striscione centrale di incoraggiamento (“FORZA RAGAZZI CREDIAMOCI”). E così, dotati di rulli e di vernice granata, la serata era andata via velocemente, tra frizzi e lazzi sul disastroso destino dei gobbi, in modo però molto produttivo. Il mio unico rimpianto resta quello di non aver messo in atto il mio machiavellico stratagemma per uno slogan anti-juve, cioè di scrivere un tranquillissimo “GOBBO MAI”, che la censura ante stadio (tutti gli striscioni vengono visionati in anticipo dalle forze dell’ordine…) avrebbe certamente lasciato passare, e poi, al momento di esporlo, appiccicarci in fondo uno degli “ALE”. Ma sapevamo che già si sarebbe sbizzarrita la Maratona (“LAPO E’ GELOSO PERCHE’ TUTTI VOGLIONO INCULARSI MOGGI” è lo sfottò che ha riscosso più successo).

Ieri, invece, mi sono risparmiato il mattinale, lasciando che fossero altri a recarsi allo stadio a mezzogiorno per poter entrare e portare dentro striscioni e materiale (tamburi, trombe, coriandoli…). Mi sono quindi presentato bello bello meno di un’ora prima dall’inizio della partita, a gruppo già entrato da tempo; per farmi perdonare, ho preso in mano con altri una delle operazioni che si fanno nell’ultima mezz’ora prima della partita, cioè la distribuzione dei coriandoli.

Ho preso il grande sacco nero pieno di striscioline di carta – realizzate tritando risme di avanzi d’ufficio sottratti alle principali aziende torinesi – e ho attaccato il mio settore di curva, quello al centro del lato destro, guardando la curva dal campo; quello dove sono sempre stato seduto fino ad oggi. E ho scoperto così una realtà incredibile, e cioè che lo stadio è estremamente diverso, se visto a rovescio.

Guardando il campo dalla curva, specie in uno stadio enorme come il Delle Alpi, si ha una sensazione di vuoto e di soggezione; sei tu, un numero in mezzo ad altre trentamila persone, marginale rispetto a qualcos’altro. Gli altri spettatori sono lì, ma sono praticamente invisibili, perchè il tuo sguardo è concentrato sul prato verde; persino le persone con cui sei venuto allo stadio spesso spariscono per interi quarti d’ora, mentre ti concentri su ciò che accade in mezzo al campo. Di fatto, sei tu da solo in mezzo a una moltitudine di altre persone in singolo, nodi periferici della situazione.

Quando invece gestisci il tifo, e più ancora quando giri per la curva a distribuire materiale e dare istruzioni, la prospettiva è completamente rovesciata. Il campo è alle spalle, e non esiste nemmeno; tu, invece, guardi verso l’alto e verso l’esterno, e puoi vedere ogni singola persona davanti a te, osservarne il volto, le emozioni, le sensazioni. Dopo qualche minuto, è come se tutte le persone che sono lì ti diventassero familiari, e si crea un senso di appartenenza e di condivisione.

E quindi, passato l’imbarazzo dei primi secondi, ci ho velocemente preso gusto: man mano che scorrevo col mio sacco attraverso la curva, il mio arrivo diventava una festa. Certo, qualche volta dovevo smuovere le persone, fare un bel sorriso e chiedere gentilmente una mano, che prendessero i coriandoli e li lanciassero all’arrivo delle squadre; più spesso, le persone mi vedevano arrivare e mi aiutavano, scambiavamo due parole, ci facevano i complimenti per lo sforzo. Più di un vecchietto si è offerto spontaneamente di lasciare qualche moneta, per contribuire alle spese; molti hanno cominciato a sbracciarsi, per attirare la mia attenzione e reclamare anche loro una quota di striscioline.

L’apoteosi si aveva quando raggiungevo una zona piena di bambini; perchè, se la curva Maratona è quasi completamente popolata di ragazzi e adulti di sesso maschile, la Primavera è molto più variegata, e vede una quota molto maggiore di anziani e di famiglie con bambini, mai numerose come quest’anno. E così, venivo prontamente assaltato da uno stormo di marmocchietti, maschi e femmine dai tre ai dieci anni, che facevano a gara per essere i primi a ricevere il mazzetto di carta, se lo litigavano, o più spesso si mettevano ordinatamente in fila, mentre li rassicuravo che ce n’era per tutti. Oppure, in qualche caso, individuavo con lo sguardo il classico bambinetto timidissimo, che si mangiava con gli occhi tutti i mucchietti che partivano dal sacco e si sparpagliavano tra torme di mani, ma non aveva il coraggio di chiederne uno; e così dovevo farmi avanti io, allungandomi fino ad arrivargli proprio davanti e a fargli capire che sì, quel groviglio arruffato di striscioline era proprio per lui.

E poi, proprio mentre ritornavo al centro passando dalla prima fila, sono stato individuato da una tifosa, perdipiù molto carina, che non solo mi ha riconosciuto dalla fotografia che appare regolarmente sul forum di Toronews, ma mi ha pure fatto i complimenti per come scrivo, compreso il blog. Naturalmente, leggendo il blog, forse sapeva che il risultato sarebbe stato quello di farmi arrossire, anche se ho fatto in tempo (spero) a ringraziare per bene… (A proposito, guardate che io do sempre per scontato che questo blog sia letto solo da poche persone che conosco personalmente; adesso mi viene il dubbio che l’assenza di commenti sia dovuta invece al fatto di non saperli provocare :-) )

Insomma, è stato un bel pomeriggio, e sì, non ho nemmeno visto il gol di Rosina, perchè in quel momento ero impegnato a sostenere il nostro lanciacori, che cercava di smuovere le persone e spingerle a battere le mani. Ma ho capito ancora meglio perchè così tante persone si appassionano al tifo del calcio. Si sente sempre dire che i tifosi, tanto più quelli più accaniti, sono dei teppisti violenti, asociali e disadattati, che vanno allo stadio in branco perchè non riescono a socializzare in altro modo. In realtà, almeno per me, è risultato molto più sociale ed appagante intensificare la mia partecipazione al tifo del Toro, che dedicarmi ad attività ludiche considerate “normali” o “per bene”, come ad esempio la discoteca di ieri sera.

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venerdì 12 Maggio 2006, 22:21

La Juve nel mondo

Vabbe’, dai, so che non devo mettermi anch’io a sparare sulla Juve. Ha ragione chi dice che per noi granata questa settimana è come Natale, Capodanno, Pasqua e il Carnevale di Rio tutto insieme; più che altro, quando per anni dicevi che certe cose erano truccate, che la Juve rubava, ti guardavano sempre male e ti davano del paranoico, e adesso si scopre che non solo era tutto vero, ma c’era molto di peggio.

Tipo, Moggi che prima, di propria iniziativa, ordina agli arbitri di far perdere una serie di partite alla Fiorentina per spingerla sul fondo della classifica, e poi, quando Della Valle viene da lui in ginocchio sui ceci, ordina agli arbitri di aggiustarne altrettante per salvarla dalla B.

Oppure, Moggi che dopo una partita inopinatamente persa a Reggio Calabria entra negli spogliatoi di arbitro e guardalinee, li insulta a morte, e poi li chiude dentro e li lascia lì ad libitum (sequestro di persona, per intenderci), con il timido osservatore dell’Associazione Arbitri che, spaventato, scappa e si chiude nel bagno per non vedere e non sentire, ricevendo per questo, il giorno dopo, i complimenti dal presidente della suddetta associazione.

Sembrerebbe fantascienza, se non ci fossero tanto di telefonate registrate che lo provano in abbondanza. (Del resto, sembrerebbe fantascienza anche l’idea che Romano Prodi proponga Gianni Letta, dipendente Milanmediasconi, come commissario per ripulire il calcio; e invece è vero.)

Ma siccome in Italia su queste cose c’è sempre la tendenza a minimizzare e a lasciar stare, forse è bene che vi dia un’idea di come questa vicenda abbia raggiunto i titoli di molti giornali internazionali. E quindi, potete leggere cosa scrivono a proposito della Juve e dell’Italia in Inghilterra, Francia, Belgio, Spagna, Stati Uniti e Cina, solo per dare qualche esempio. Giusto in caso a qualcuno (compreso un Presidente del Consiglio in cerca di inciuci) venga in mente di sostenere che sono solo chiacchiere e non c’è poi bisogno di questi grandi interventi.

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sabato 6 Maggio 2006, 13:01

Magia e silenzio

Quando hanno abbattuto lo Stadio Filadelfia, il 26 febbraio 1998, io avevo 23 anni. Ero tifoso del Toro già da venti, andavo regolarmente allo stadio da una decina abbondante, ed ero già stato abbonato per un certo numero di stagioni. Eppure, non ero mai stato al Fila.

E così, io il Filadelfia, prima che cessasse di esistere, non l’ho mai visto.

Ho scoperto della sua esistenza soltanto negli anni successivi, leggendo sui giornali le prime polemiche sulla ricostruzione promessa e mai fatta, su tutte le successive vicissitudini. La prima volta che, curioso, ci sono andato, ho fatto fatica a trovarlo: “ma è veramente questa roba qui?” Io sono un sentimentale, ma proprio non riuscivo a capire che cosa avesse quel prato di particolare. A dire il vero, non riuscivo nemmeno a capire bene come mai in un presunto monumento cittadino si dovesse entrare da un buco nella recinzione.

Poi è arrivata quest’estate pazzesca, cominciata per me timidamente, in fiduciosa attesa della fidejussione del presidente Romero; diventata poi un affanno di reload continui sulle pagine del forum di Toronews; e infine, sfociata nella settimana di passione in piazza, favorita da un agosto da cani, vuoto e solitario, in città. Da allora, il Filadelfia è diventato piano piano una meta sempre più frequente, prima come luogo di ritrovo, poi anche solo per meditazione, dipanando un fascino segreto che prima o poi, immancabilmente, ti avvolge.

Forse la svolta definitiva è stata in una fredda domenica di fine gennaio, quando, non sapendo che fare, ho tirato fuori la bici senza una meta particolare. E sono finito lì, al Fila, nel silenzio più completo. Poco più in là c’era la folla, distratta e rumorosa, davanti allo stadio Olimpico appena terminato, o nei giardini in piazza d’Armi; ma quel prato era uno specchio per pensieri in libertà.

Eppure, il Fila non è uno specchio neutro. Rimanda agli occhi attenti le tracce dei fantasmi di ottant’anni di vita, storie belle e brutte, esistenze passate che emergono all’improvviso dall’erba e dal cemento, e ti chiedono: e tu? Avrai la storia tragica di Gigi Meroni, o quella leggendaria di Enzo Bearzot? Salirai anche tu un giorno sull’aereo sbagliato per un premio beffardo, come Dino Ballarin, o ne sarai graziato da un caso miracoloso, come Sauro Tomà?

Se il calcio è la metafora della vita, il Fila è una Divina Commedia lunga cento metri, fatta di volti, di sudore, di sangue, di vite uniche e diverse chiamate a raccolta. Lo è, però, solo per chi sa vedere, capire, immaginare.

Ci sono tuttavia delle esperienze che facilitano la comprensione; una di queste fu, nello scorso febbraio, proiettare le immagini del Grande Torino, di notte, sopra l’intero campo. Un’altra invece è stata quella di giovedì, con ventimila persone in una festa grandiosa, completamente autoorganizzata da decine e decine di tifosi, che spesso senza nemmeno parlarsi e conoscersi sono passati dal Fila, chi per due ore, chi per due giorni, chi per due mesi, a tagliare gli sterpai, rimuovere immondizia, portar via macerie, smontare gli accampamenti clandestini, ripiantare l’erba del campo, e poi montare transenne e palchi, organizzare partite per 180 bambini, preparare una grigliata di dimensioni inusitate, allestire stand e banchetti, accogliere ex calciatori e vip vari, organizzare un concerto con gruppi di rilievo nazionale, e gestire l’esibizione della squadra e del presidente di fronte a un entusiasmo strabordante. Questa festa è stata un miracolo di grandi proporzioni, e se anche è vero che, come dice Gramellini, “la speranza è l’ultima a morire, e dopo arrivano i tifosi del Toro”, credo che stavolta il vecchio cuore granata abbia fatto davvero gli straordinari.

Di quanto sopra, però, nulla è stato emozionante come i due minuti di silenzio che hanno ricordato la tragedia di Superga. All’improvviso il mondo si è fermato, e una folla traboccante di ventimila anime si è zittita in modo così completo che si sentivano le auto due isolati più giù, e persino le televisioni nei salotti delle case di fronte. E’ stato uno dei momenti più eccezionali della mia vita, perchè un silenzio così denso non si trova da nessuna parte, tantomeno nel bel mezzo di una città in piena ora di punta. Lì, ogni persona si è trovata a fare i conti col vuoto e con le domande del Fila; anziani signori in lacrime che ricordavano la propria infanzia, e giovani smarriti che forse erano lì per la prima volta, ed erano un po’ storditi da quel punto interrogativo così impietoso.

Vi scrivo queste cose perchè dopo quest’estate molto è cambiato, nel rapporto tra Torino e la sua squadra di calcio. Se l’anno scorso, per un Toro-Ascoli di campionato, allo stadio c’eravamo io e gli ultras, quest’anno anche Toro-Avellino è una partita da pienone. Adesso, tutti sono del Toro, tutti ne parlano, tutti si vantano di questa rinascita; ci sono persino dei poveracci che, per rubare qualche voto, si candidano alle elezioni sotto il simbolo del Toro. Eppure, il Filadelfia è rimasto un po’ ai margini di tutto questo; molti, moltissimi tifosi non l’hanno ancora veramente scoperto.

In un’epoca di calcio caciarone, parolaio, volgare, venduto, il Filadelfia restituisce tutta la diversità di questa maglia e di questa città; concede il brivido del vuoto, il brivido del nudo. In uno stato di devastazione figlio di infinite bugie e prese in giro, elimina le finte giustificazioni facilone e ti riporta sempre, come un martello, a quella domanda: e tu? Stai anche tu dalla parte del rigore, della serietà, della fatica, della capacità, della vita talvolta tragica e talvolta dolce ma in fondo in fondo giusta, con cui il Toro ha conquistato ogni centimetro di ciò che ha, con cui Torino ha conquistato ogni centimetro di ciò che ha, spesso per poi vederselo portar via dai maneggioni e dagli arroganti?

Anche io spero che il Filadelfia venga ricostruito, almeno come centro sportivo per gli allenamenti; anzi, ho tutta l’intenzione di continuare a vivere questa storia. Ma ogni tanto, di fronte alla magia strapotente di quel vuoto così esplicito, mi chiedo se non sarebbe meglio conservarlo così.

In conclusione, credo che un medico vi direbbe che soltanto un pazzo, vittima delle proprie allucinazioni, può vedere tutte queste cose in un prato spelacchiato, in qualche moncone di gradinata. Se è così, però, è bello essere pazzi tutti assieme; perchè, per dirla con Saint-Exupery, “l’essenziale è invisibile agli occhi”.

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giovedì 4 Maggio 2006, 12:20

La festa del Toro

E’ la festa del quattro maggio, l’anniversario della tragedia di Superga, e anche quest’anno si festeggia al Filadelfia, con grigliata, partite tra bambini, vecchie glorie, la squadra, e il concertone finale fino a notte. Io sto per andare là… per maggiori informazioni vi rimando a Toronews.

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sabato 29 Aprile 2006, 22:58

Silenzio

Io non sono un fan dei minuti di silenzio. Spesso, anzi, mi fanno arrabbiare, quando sono chiamati in modo parziale, quando si sceglie di onorare certi morti e non altri, quando sono imbevuti di vuota retorica paternalista, quando vogliono imporci di onorare persone che forse, in vita, non erano poi così onorabili. Tuttavia, non mi permetterei mai di offendere un lutto e chi ne è straziato, solo per via del giudizio che della persona avevo quando era in vita.

Per questo io, come moltissime altre persone, sono rimasto allibito quando oggi allo stadio, subito prima di Toro-Avellino, gli Ultras e gli altri gruppi organizzati a centro curva hanno scelto di ignorare il minuto di silenzio per le nuove vittime di Nassiriya, proseguendo imperterriti a cantare i soliti cori da stadio. C’è stato qualche secondo di smarrimento anche in Maratona, quando il resto dello stadio ha cercato di coprire quei cori con gli applausi, ma (pare anche in seguito ad esortazioni un po’ accese da parte dei capi curva) i cori sono ripresi subito.

Pare che la cosa sia stata premeditata, perchè “agli sbirri nessun onore”, o anche, come dice uno dei motti ultrà più diffusi, ereditato dagli hooligans inglesi, “all cops are bastard”; o in alternativa – visto che, si sa, la curva del Toro, pur avendo anche i suoi bravi gruppi con la croce celtica, è prevalentemente anarchica – “nessun onore per chi imbraccia le armi e va in guerra”.

Nella successiva discussione su Toronews, ci è addirittura stato detto che bisognava apprezzare il fatto che si fossero fatti solo cori di incitamento per la squadra, e nessuno dei tradizionali cori contro le forze dell’ordine.

A me i morti di Nassiriya, lo dico chiaramente, non stanno particolarmente simpatici. Capisco tutte le osservazioni sul fatto che ci sarebbero tanti altri morti da onorare, a cominciare da quelli che i nostri alleati (noi, non mi risulta) hanno fatto in Iraq, o da quelli che hanno fatto, per deviazioni varie, le forze dell’ordine stesse. Eppure, una morte è una morte, trascina nel lutto e nello strazio tutte le persone care, e merita rispetto anche solo per questo.

Perdipiù, una persona morta servendo le nostre istituzioni, servendo insomma noi tutti, merita il rispetto dovuto a chi si è sacrificato anche per noi; perchè potremo anche non condividere le scelte del nostro governo in materia di missioni di pace internazionali, ma, una volta che esse sono state democraticamente prese, sono le scelte di tutto il Paese.

Forse è meglio lasciar perdere; forse il silenzio dovrebbe coprire allora una scelta infelice da parte di questi tifosi. Ma dovremmo chiederci com’è che l’Italia ha fallito nel creare in tutti i propri cittadini, di qualsiasi classe sociale e di qualsiasi idea politica, la mentalità di appartenenza civica, di rispetto per le istituzioni comuni, di accettazione dei diritti e dei doveri che vengono dal fatto di vivere insieme in un sistema democratico.

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