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Archivio per la categoria 'VitaDaToro'


lunedì 16 Febbraio 2009, 15:04

Rossoblu, datevi una calmata

Sono sicuro che vi aspettate da me un commento un po’ più approfondito e documentato della media sull’ennesimo episodio di violenza del calcio, ovvero l’investimento di un tifoso del Genoa ieri sera fuori da Marassi, travolto dal pullman che trasportava la squadra della Fiorentina che il tifoso stesso, pare, stava prendendo a pugni.

Cominciamo col premettere che la dinamica dell’incidente è tutt’altro che chiara, e che ovviamente si spera che il “ragazzo” di 37 anni finito all’ospedale con ferite gravissime riesca a salvarsi; stamattina ho sentito da varie parti commenti come “un cretino di meno” e “un fortunato caso di darwinismo” e mi sembrano comunque fuori luogo.

La partita di ieri, Genoa-Fiorentina, era importante: entrambe le squadre sono in lotta per qualificarsi in Champions League, e una vittoria le avrebbe lanciate, mentre il pareggio favorisce soprattutto la Roma che insegue. Il match è stato rocambolesco: il Genoa, pur rimasto in dieci per una espulsione abbastanza presto, ha giocato benissimo fino a giungere sul 3-0; dopodiché, con molta fortuna, ma anche grazie al calo fisico finale del Genoa, inevitabile per una squadra che gioca con un uomo in meno, gli avversari sono riusciti a recuperare e a segnare il 3-3 finale al 92′, un attimo prima della fine.

Stando alle immagini televisive, l’arbitro Rizzoli non è stato decisivo per il risultato; non ci sono stati gravi errori in occasione dei gol, e l’espulsione ci stava; anzi, gli unici errori visibili sono relativi ad altre due mancate espulsioni, una per parte, che sarebbero state sacrosante.

Stando ai commenti postati un po’ ovunque in queste ore dai genoani, invece, la partita è stata uno scandalo; Rizzoli ce l’aveva col Genoa sin dal principio, tanto è vero che è stato fischiato ben prima che cominciasse la rimonta avversaria; ha continuato a favorire la Fiorentina in ogni modo finché non ha pareggiato; i giocatori viola avrebbero insultato i tifosi del Genoa in vari modi, sia durante che dopo la partita; e il tutto sarebbe parte di un complotto di palazzo orientato ad aiutare la Roma.

Su questo punto, forse vi sembrerà strano, ma sospendo il giudizio. Mi spiego meglio: io vedo, da tifoso, una ventina di partite casalinghe l’anno; bene, nella maggior parte di queste prima o poi si scatena una sorta di psicodramma collettivo, in cui trentamila persone cominciano tutte insieme a fischiare e insultare l’arbitro. Basta un minimo errore, una rimessa invertita, un fallo dubbio, naturalmente nel giudizio intrinsecamente di parte del tifoso al massimo della concitazione: e subito partono gli insulti.

Ora, quasi sempre basta qualche minuto e gli animi si calmano, e il tifo torna a concentrarsi sul gioco. Alle volte, però, l’arbitro insiste, e inanella troppe sviste di fila; magari gli errori si rivelano decisivi. A quel punto, le trentamila persone escono dallo stadio infuriate, convinte di aver subito un furto, più o meno premeditato. In genere, poi, si arriva a casa, si guarda la televisione, si realizza che quello che da ottanta metri di distanza sembrava “un rigore clamoroso per noi” in realtà era un caso di morte improvvisa da spostamento d’aria, o magari che si aveva ragione ma che non era poi così facile valutare il fallo in una frazione di secondo, e ci si calma.

Qualche volta, diciamo tre o quattro l’anno, le immagini confermano il furto, oppure omettono le prove del delitto, visto che spesso le partite si orientano nelle piccole cose, nel bloccare azioni e invertire rimesse, e non nei grandi episodi che vanno in TV; e vabbe’, l’Italia è l’Italia, non sapremo mai se era solo una lunga serie di sfortunate sviste o se veramente l’arbitro aveva in simpatia la squadra avversaria, o magari se l’è presa solo perché a un certo punto alcune decine di migliaia di persone hanno definito in coro sua madre una “puttana” (suscettibilone!). Ma uno se ne fa una ragione; più piccola e irrilevante è la squadra, più spesso subisce; il campionato di calcio italiano è sempre girato così, oggi a me, domani a te e lo scudetto a Juve, Inter o Milan.

Ieri, invece, a Marassi lo psicodramma è esondato. Certo, è difficile vedere allontanarsi la Champions League al 92′ dopo aver dominato; la delusione è grossa. Ditelo a noi, che domenica scorsa, in una partita decisiva per la salvezza, siamo stati raggiunti nei minuti finali da un bellissimo tiro di Italiano con velo di giocatore avversario davanti al portiere, che però era beffardamente preciso identico, dalla stessa zolla nella stessa porta e con lo stesso fuorigioco passivo, al gol di Rubin in Toro-Cagliari che invece ci fu annullato mesi fa, virando la nostra stagione verso il baratro. Ma succede; ci giravano le scatole a mille, ma mica abbiamo aspettato fuori l’arbitro; bastava piuttosto che i nostri broccacci segnassero un gol in più.

Questi, invece, non si sono limitati alle sceneggiate. Sorvoliamo sulle vistose proteste di fine gara da parte dei giocatori rossoblu, che vanno stigmatizzate ma nell’incazzatura del momento ci possono stare; tolleriamo a fatica (anzi, no) il fatto che dei “tifosi” della tribuna numerata (quella da cento euro a biglietto) siano andati a malmenare le due inviate di Quelli che il calcio, Aida Yespica e Giulia Bonazzoli, perché la seconda, rappresentando in trasmissione la Fiorentina, osava esibire una sciarpa nemica.

Ma qui, alcune centinaia di tifosi si sono fermati a lungo dopo la partita, e non se la sono presa nemmeno con l’arbitro, ma con i giocatori avversari. Ora, può anche darsi che l’arbitro ieri abbia pesato: anche se dai servizi TV non sembra, può darsi che sia stata una di quelle due o tre partite dove l’arbitro è decisivo contro di te (bisogna comunque dire che quest’anno in altre partite gli errori degli arbitri hanno favorito il Genoa in modo evidente; la teoria del complotto è un po’ difficile da sostenere). Ma i giocatori avversari, che c’entrano? E anche se c’entrassero, che senso ha aspettare il bus avversario per andare a dare manate sulle porte?

Naturalmente i genoani non ci stanno: pubblicano ovunque questo video:

con cui vorrebbero dimostrare che non c’è stato alcun agguato e che l’autista del pullman, o forse la camionetta della polizia, ha deliberatamente investito il tifoso guidando come un pazzo.

Voi magari non ci siete mai stati, ma io sono stato più volte su un pullman in trasferta nel dopo partita: arriva la polizia e ti scorta a velocità folle, bruciando i semafori, mentre ogni incrocio è bloccato dai vigili per farti passare. La velocità alta è obbligata, anzi, le ditte di autonoleggio mandano solo autisti esperti proprio perché è richiesto saper sfrecciare e curvare a ottanta all’ora con un bus per le viuzze cittadine (immaginate a Genova). Serve appunto ad evitare gli agguati; un bus fermo è un ottimo bersaglio per qualsiasi cretino del posto dotato di pietre o bombe carta (ieri i giocatori della Fiorentina hanno fatto tutto il tragitto chinati verso terra). Ora, se uno si butta a piedi contro un bus lanciato a ottanta all’ora, sa perfettamente di rischiare grosso, no?

L’aspetto sportivo farà il suo corso; io spererei in pene severe per tutti. Una lunga squalifica di Marassi mi pare il minimo; se alcuni giocatori durante o dopo la partita hanno aizzato la folla, di una o dell’altra squadra che siano, vanno squalificati; e naturalmente Collina dovrebbe riguardarsi l’operato dell’arbitro per capire quanto ha sbagliato.

A me preoccupa di più il fatto che ci sia una tifoseria in buona parte in preda all’isteria, che vivrà questa storia come un ennesimo complotto di “poteri forti” contro la “piccola” squadra genovese (piccola tra virgolette, perché per soldi spesi è a ridosso delle prime), e qualsiasi punizione come prova del complotto stesso, come già avvenne quando Preziosi fu beccato a comprare la partita decisiva per la promozione in A, e il Genoa finì in C1. Mi preoccupa il fatto che non li si riesca a far ragionare, che alla prima partita girata male si rischi il morto: che dovrebbe succedere se per caso gli capitasse una stagione storta, di quelle dove a girare male sono dieci partite di fila?

Ancora di più, mi preoccupa che, nel post-Raciti, gli incidenti e i feriti leggeri siano in netto calo, ma i morti e i feriti gravi siano in aumento; a memoria d’uomo, non ci sono mai stati tanti morti nel calcio italiano come in questi ultimi due anni. Può essere che questo accada per un deterioramento sociale che le misure repressive più severe non riescono a compensare, o può darsi che la repressione si limiti a frustrare e gonfiare la rabbia dei più esagitati, facendo sì che, quando “finalmente” qualcosa accade, il risultato sia letale. In ogni caso, ci sarebbe da indagare con attenzione.

[tags]calcio, serie a, genoa, fiorentina, roma, rizzoli, arbitri, ultras, violenza[/tags]

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venerdì 13 Febbraio 2009, 15:44

Superciuk

È da due mesi che cerco di non parlare della vicenda di Mister X, il misterioso imprenditore senza volto che vuole comprare il Toro.

Essenzialmente, è perché la vicenda è una buffonata sin dal principio: poco prima di Natale, proprio quando il Toro ha da poco cambiato allenatore e infila due insperate vittorie di fila, il giornale cittadino spara a grandi lettere l’annuncio che un grande imprenditore “piemontese di mezza età, portatore di un cognome noto” che sta per ricevere una ricchissima eredità – col tempo si arriverà a 600 milioni di euro – vuole comprare la società, ed è pronto a mettere sul piatto “40 milioni di euro, ma se vuole anche 60” come prezzo per Cairo, nonché tutti i soldi necessari per riportare subito il Toro allo scudetto. Bisogna solo pazientare: prima bisogna finire le procedure ereditarie, ma a metà febbraio il nome di Mister X sarà svelato.

L’annuncio è credibile come una banconota da ventotto euro: infatti è portato da tal gobbissimo avvocato Massimo Durante, già difensore dei “ragazzi della curva bianconera” e ospite fisso delle trasmissioni calcistiche di quart’ordine sulle reti private, dove il suo ruolo è negare che Calciopoli sia mai esistita e difendere l’onorabilità della Juventus e quel gran brav’uomo di Moggi; nonché sodale del mitico Alex Carrera – che poi sarebbe stato uno dei “lodisti” dell’estate 2005 – in un pietoso tentativo di dieci anni fa di comprare il Toro mediante azionariato popolare.

Nonostante questo, la squadra è in un brutto momento e tanti purtroppo ci abboccano: sperano veramente che un ricchissimo magnate compri il Toro e lo faccia grande. I giornali soffiano sul fuoco: La Stampa, in particolare, pubblica in meno di due mesi una trentina di articoli, giorno dopo giorno, millantando i futuri grandi acquisti di Mister X e un drammatico calo di popolarità di Cairo, e arrivando a consigliargli abbastanza apertamente di vendere.

Nel frattempo, ovviamente, si scatenano le ipotesi: si cerca disperatamente un noto imprenditore piemontese a cui sia mancato da poco il padre. Emergono così ipotesi di vario genere: Bertone dell’acqua S. Anna di Vinadio, Garnerone della Sirena di Rosta, e poi persino la clamorosa ipotesi di Margherita Agnelli, notoriamente in rotta col resto della famiglia e vicina ad ottenere per vie legali una grossa fetta dell’eredità dell’Avvocato, e magari desiderosa di usare il calcio come rivalsa.

Poi le ipotesi si allargano a chiunque abbia un patrimonio di quelle dimensioni: escono fuori i soliti Lavazza e Ferrero, nonché l’affascinante ipotesi Briatore, e persino quella di una cordata Moggi-Giraudo, anche loro per rivalsa.

Per questo, quando ieri mattina, il giorno fissato per la conferenza stampa rivelatrice, il giornale della destra cittadina CronacaQui ha pubblicato in anteprima il nome di Raffaele Ciuccarini, sono rimasti tutti basiti: chi? Una rapida ricerca con Google restituiva solo cinque risultati: due erano l’articolo di CronacaQui, e gli altri erano film porno.

Eppure, nell’incredulità generale, la conferenza stampa confermava lo scoop: il famoso e ricchissimo imprenditore piemontese è Raffaele Ciuccarini, anzi no Stefano Ciucarini, anzi no Raffaele Ciuccariello, nato a Lucera (FG) il 7/2/1941. Nessuno in sala era veramente sicuro di come si chiamasse il tizio: hanno dovuto chiedere lo spelling. Carlo Nesti, che commentava in diretta streaming, ha sostenuto per oltre un’ora che il nome fosse Ciuccarini, ma che i tifosi sui forum avessero già cominciato a storpiarlo in Ciuccariello per prenderlo in giro.

Mi spiace non essere stato presente alla conferenza stampa di Durante e colleghi, perché pare sia stata un gran pezzo di cabaret: il programma comprende il riportare il Toro “almeno in Intertoto” (competizione abolita la scorsa estate), di “ritirare la maglia numero 12” per la Maratona (già ritirata da anni), di fare cinque nuovi campi e uno stadio tutto nuovo “da novantamila posti, ma se sono troppi meglio settantamila e staremo più larghi”, di “ripristinare la numerazione storica delle maglie da 1 a 11” (pratica vietata dalla Federcalcio), e così via; nel frattempo si specifica anche che il signor Ciuccariello ha dieci figli e vuole lasciare loro in eredità il Toro per creare una dinastia. Non stupisce che prima ancora della fine della conferenza Mister X fosse già stato ribattezzato Superciuk.

Sfortunatamente, un bel gioco dura poco, e le risate dei giornalisti e dei tifosi presenti si trasformano presto in sgomento, rabbia, indignazione: si rischia la rissa con qualche tifoso (a posteriori si capisce come mai ci fossero tre camionette di poliziotti schierate lì sin dall’ora di pranzo).

Nel frattempo, dal Web, si scoprono cose interessanti: per esempio che, dalla Camera di Commercio, la grande azienda del signor Ciuccariello parrebbe essere una pizzeria al taglio chiusa un paio d’anni fa per fallimento, data in cui il signore risultava completamente insolvibile. Si scopre che il signore, come il suo figlio prediletto Norbert Ciuccariello, sono ardenti monarchici; alcuni, sul forum, riportano aneddoti sostenendo che anni fa Raffaele frequentasse circoli nobiliari esibendo il bon ton di uno scaricatore di porto. Altri sostengono che il signore sia noto presso le banche torinesi per prestare soldi in maniera informale a tassi piuttosto elevati. Infine, compare persino un probabile nipote, fotografato seminudo in atteggiamenti intensi.

Ora, per carità: è possibile che sia vera l’unica ipotesi che si è riusciti imbastire, cioé che il signore sia un figlio illegittimo di qualche Savoia e che i 600 milioni di euro siano l’argent de poche legato ad un molto tardivo riconoscimento familiare. Anche fosse così, né il modus operandi finora seguito né le modalità di arricchimento sembrano far pensare che il signor Ciuccariello possa essere per vent’anni un oculato e munifico presidente di una squadra di calcio di serie A.

Oppure potrebbe essere il prestanome di qualcuno di più grosso; ma quale serio e capace imprenditore si sceglierebbe un prestanome e un avvocato così? Appunto: quale entità plurimiliardaria potrebbe essere interessata ad acquistare una attività notoriamente in perdita e a farsi rappresentare in questo dal signor Ciuccariello di Lucera (FG)? A voi le possibili risposte.

Resta l’ipotesi che è sotto gli occhi di tutti: che questa sia una gigantesca presa per i fondelli, architettata per destabilizzare l’ambiente granata in un paio di mesi cruciali di una stagione difficile, o per farsi pubblicità gratuita, o per spillare soldi a un cliente neo-ricco e poco accorto. Io non lo so; so però che se una cosa così fosse successa vent’anni fa, o fosse successa ieri a Napoli o a Catania, l’avvocato Durante sarebbe sicuramente finito all’ospedale entro mezz’ora dall’inizio. Infatti, qui si sta parlando di prendere apertamente per il culo centinaia di migliaia di persone, compresa una numerosa frazione che solo tre anni e mezzo fa, per molto meno, occupò le piazze cittadine per sette giorni e devastò un albergo.

In un paese civile, sarebbero intervenute di corsa le autorità: la Procura sarebbe andata a indagare se è vero che un tizio nullatenente fino a ieri ha ottenuto 600 milioni di euro di botto, e come mai; il direttore de La Stampa avrebbe cazziato furiosamente i giornalisti che hanno dato seguito e visibilità a una cosa del genere senza alcuna verifica (e invece oggi Gramellini pubblica pure una surreale intervista); e l’Ordine degli Avvocati starebbe verificando quanto sia compatibile con la deontologia professionale il mettere a rischio l’ordine pubblico cittadino per farsi pubblicità.

Qui da noi, invece, abbiamo giudici che vanno per anni ospiti da Biscardi e continuano a giudicare, finché non vengono arrestati per corruzione; e quindi, fare l’avvocato, l’ospite televisivo in trasmissioni di infimo livello e il protagonista dei colpi di Superciuk sono considerate tre attività perfettamente compatibili. Evviva la credulità popolare e chi la sfrutta!

[tags]toro, mister x, cairo, calcio, torino, la stampa, durante, ciuccariello, lucera, serie a[/tags]

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domenica 18 Gennaio 2009, 11:29

Vergogna e diritti

Oggi è giorno di partita e, sui forum granata, è scoppiato il “caso vergogna”.

Il caso è nato quando in settimana i gruppi della curva Primavera, dopo la deludente prestazione di sabato scorso a Genova, hanno chiesto il permesso di esporre il seguente chilometrico striscione: “Quarti d’ora, maniche rimboccate, pugni chiusi, sedie alzate al cielo, la nostra gloria… voi la nostra vergogna!”.

Personalmente vado controcorrente e aggiungo che non condivido lo striscione: non c’è nulla di vergognoso nel perdere, anche male. La vergogna, questa sì, può esservi quando questi ragazzotti plurimiliardari fanno i capricci, saltano gli allenamenti, fanno la fronda all’allenatore, finiscono vittima delle proprie bravate, scommettono sulle proprie partite, smettono di giocare per essere venduti a una squadra che gli aggrada di più (e queste cose nel calcio sono comunissime). La vergogna, più ancora, è istruire la propria squadra a fare continue sceneggiate in campo per perdere tempo, è pagare i giocatori quindici milioni di euro l’anno, è finire in serie B per illecito sportivo (e per fortuna queste cose al Toro non si sono ancora viste).

Nel caso si perda perché si è semplicemente scarsi, non vedo vergogna; né si può pretendere che una squadra come il Toro di questi anni non infili in una stagione parecchie brutte sconfitte, o indignarsi per esse. Al contrario, forse iniettare un po’ di fiducia nell’ambiente potrebbe rivelarsi più utile.

La vergogna maggiore, però, è il motivo per cui quello striscione non si farà. Le attuali regole prevedono che tutte le bandiere e tutti gli striscioni non minuscoli debbano essere sottoposti con una settimana d’anticipo a una doppia approvazione: quella della Questura della città dove si svolge la partita, e quella della società ospitante.

In pratica, qualsiasi richiesta che contenga una qualsiasi espressione di opinione, anche se priva di insulti e di riferimenti violenti, viene regolarmente respinta. In questo caso, poi, la bocciatura non è stata imposta dalla Questura, ma (pare) dallo stesso Torino FC, per impedire la contestazione. Come dicevo, penso anch’io che esporre quello striscione sarebbe stato un errore; ma che senso ha che i contestati possano vetare la contestazione dei tifosi?

Lo stadio di calcio ormai è un luogo speciale, dove tutti i diritti civili sono sospesi a prescindere. Il principio base dello Stato di diritto – che ognuno è innocente fino a prova contraria – viene ribaltato solo per i tifosi, che per entrare devono identificarsi, farsi perquisire in ogni modo e dimostrare di non avere cattive intenzioni. Alle volte non basta: già vi parlai del Sampdoria-Torino del febbraio 2001 (ben prima della morte di Raciti) in cui, in risposta alle intemperanze di un gruppetto, tutti gli oltre mille tifosi furono trattenuti dentro lo stadio fino all’una di notte, identificati, fotografati, e successivamente almeno cinquecento di loro, scelti non si sa come, vennero diffidati, compresi donne e anziani che sicuramente non c’entravano niente. Alcuni di questi, solo per aver assistito a una partita senza fare niente di male, ebbero problemi sul lavoro, furono rifiutati come volontari per le Olimpiadi, furono fermati e rifermati e trattenuti per controlli in ogni occasione successiva.

C’è chi sostiene che, per la Questura di Genova, quel Sampdoria-Torino fu una prova tecnica per il G8, che si sarebbe tenuto di lì a pochi mesi. Infatti, gli ultras sono una minoranza che contiene numerosi violenti e che aggrega in certe città (Napoli in primis) tutta la feccia delle periferie, ma che è stata criminalizzata a tal punto da essere perfetta per le prove di repressione e di regime; repressione che viene poi applicata tale e quale a tante altre forme di dissenso, alle tante manifestazioni di piazza sgradite al potere (dai No Tav agli studenti in piazza Navona pochi mesi fa). Ed è inquietante la totale somiglianza tra la morte di Carlo Giuliani e quella di Gabriele Sandri; l’agente Spaccarotella che uccise Sandri, stando alle testimonianze dei presenti e in particolare di una turista giapponese, si fermò, prese la mira e sparò ad altezza nuca attraverso l’autostrada; e se Giuliani era nel mezzo di un tafferuglio, quando Sandri fu colpito stava andando via, e tutto si era calmato. Quanto in questi casi c’è di iniziativa personale, e quanto c’è di forze dell’ordine sovreccitate e gasate per cultura o per scelta dei propri superiori?

Frequentare gli stadi, specie in trasferta, fa bene: ti apre un mondo, ti aiuta a capire che non è tutto bianco o tutto nero, che sia tra gli ultras che tra i poliziotti ci sono brave persone e persone meno brave, gente tranquilla e gente violenta, alcuni comprensivi e altri prepotenti, alcuni altruisti e altri egoisti; e che l’antipatia che molti portano per le forze dell’ordine non si basa su rifiuti ideologici o sulla propensione a delinquere, ma su episodi di discriminazione o di violenza subiti senza motivo, per aver incontrato il poliziotto sbagliato.

Del resto, sarebbe possibile eliminare la violenza nel calcio con qualche azione mirata alle poche persone che ancora la praticano, proprio come si potrebbe fare molto contro la criminalità legata all’immigrazione con interventi mirati e pene severe; ma è più conveniente non farlo, per alimentare nell’italiano medio un clima di paura, che poi giustifica ulteriori manganelli e ulteriori criminalizzazioni, finalizzate alla conservazione del potere, e che in futuro potrebbero venire dirette anche contro di noi. Tutte le volte che ci viene istintivo auspicare cariche e repressioni, è bene che questo pensiero ci venga in mente.

[tags]censura, diritti civili, calcio, ultras, immigrazione, violenza, polizia, repressione[/tags]

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martedì 23 Dicembre 2008, 14:28

Buon Natale, gobbo

Oggi, essendo di buon umore, anticipiamo gli auguri di Natale a tutti: anche ai gobbi.

E dire che, da parte loro, i gobbi non pensano mai ai tifosi del Toro; sono troppo impegnati a duellare con l’Inter per il maggior regalo arbitrale dell’anno. Eravamo all’ultima giornata ed era un bel testa a testa, ma l’Inter sabato sera sembrava aver chiuso la partita, facendosi convalidare il gol della vittoria segnato con mezza squadra in fuorigioco: non uno, ma quattro o cinque giocatori. E invece no, la Juve ha saputo reagire da par suo, e domenica pomeriggio ha compiuto l’impresa: la Vecchia Signora ha risposto all’Inter facendosi convalidare un gol su azione di un giocatore che non solo era in fuorigioco di due metri, ma lo era a non più di venti centimetri dal guardalinee (l’omino in rosso all’estrema destra della foto). Essendo fisicamente impossibile non vedere un giocatore ramingo proprio davanti ai propri occhi, non si sa esattamente cosa sia successo alla vista del guardalinee: un improvviso mancamento, uno stormo di moscerini, una subitanea crisi esistenziale… fatto sta che a Bergamo non volevano più lasciar uscire l’arbitro dallo stadio, ma i tifosi della Juve hanno festeggiato alla grande.

Al contrario, noi del Toro pensiamo spesso ai nostri cugini ricchi ma finti, persi dietro ai loro abbonamenti Sky ma con lo stadio spesso semivuoto. Già, perché la querelle storica è sempre la stessa: ovviamente la Juve, a livello nazionale, ha un numero di tifosi nettamente superiore a quello del Toro, visto che l’italiano medio tifa per chi ha i soldi, quindi vota Berlusconi e nel calcio sceglie Juve, Milan o Inter a seconda dei periodi. Ma in città, qual è la squadra prevalente?

Gli indizi ci sono tutti, da anni: per esempio nessun’altra squadra, invece di giocarsi la Supercoppa di Lega nello stadio di casa, avrebbe insistito per andarla a giocare davanti al proprio pubblico a Tripoli, come fece la Juve nel 2002; e mentre cori e striscioni del Toro sono spesso in piemontese, la curva gobba – che pure ogni tanto ci prova – ha con la grammatica piemontese seri problemi (del resto li ha pure con quella latina).

Ma la risoluzione finale del dilemma è arrivata questa settimana, quando al gioiellino Iago Falqué – diciottenne supertalento della primavera juventina, strappato in estate al Barcellona – hanno fatto un’intervista e gli hanno chiesto: visto che ormai sei qui da qualche mese, cosa ti ha colpito di Torino? Lui se la sarebbe potuta cavare con il barocco o i gianduiotti, e invece no: che ti va a dire? Testualmente, “La Juventus è la squadra più amata d’Italia, ma non di Torino. E’ un fatto curioso. In città ci sono più tifosi gra­nata che bianconeri, nono­stante la Juve sia più forte e abbia grandi campioni…

In attesa che lo mandino per punizione all’Albinoleffe, noi prendiamo nota dell’ingenua voce della verità, pur sapendo che altri vent’anni di ministre veline e di gol in fuorigioco finiranno per eliminare definitivamente tra le giovani generazioni qualsiasi tifoso non juve-milan-interista; e auguriamo buon Natale e un buon anno nuovo anche ai gobbi, segnalando loro però nel contempo, a scanso di equivoci, che tra “buon” e “anno” non ci vuole l’apostrofo.
[tags]toro, juve, inter, milan, calcio, auguri, albinoleffe, tripoli, serie a, grammatica, sfottimenti[/tags]

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giovedì 11 Dicembre 2008, 17:10

Servizio clienti

Si sa, i tifosi di calcio – specie quelli che ancora si azzardano a seguire la squadra in trasferta – devono rassegnarsi a subire qualsiasi imposizione, sensata o insensata che sia; compresa quella di andarsi a comprare i biglietti con giorni di anticipo, personalmente, documento alla mano, senza poter usare Internet e senza potersi affidare al tabaccaio di fiducia o ai normali canali di vendita, perché ogni società si mette in piedi i propri canali nei modi più assurdi, assoldando negozi di vario genere non si sa come, oppure affidandosi alla banca cittadina; e comunque, molto spesso vai nei luoghi indicati e non ne sanno nulla.

Però, a vedermi dare un elenco di biglietterie settore ospiti in cui i due punti vendita più vicini a me sono un colorificio e la mia ex palestra di capoeira mi pare di aver toccato proprio il fondo!

[tags]calcio, tifosi, biglietti, toro, bologna, colorifici[/tags]

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domenica 7 Dicembre 2008, 12:09

Quest’anno ci divertiamo

Se è un po’ che non scrivo più di Toro non è solo per via dei cicli a cui naturalmente tutte le passioni sono soggette: è che ultimamente è meglio non parlarne. La storia granata, racchiudendo tutte le emozioni della vita, è sfociata in commedia numerose volte; questa domenica potrebbe però segnare un nuovo record di ridicolo.

Riassumiamo per i meno attenti le puntate precedenti della gestione Cairo. Arrivato con una telenovela di piazza nell’agosto 2005, Cairo, senza alcuna esperienza di calcio, si affida per l’annata di serie B a un tecnico minore: Gianni De Biasi, il cui curriculum comprende soprattutto serie B e C, una stagione in A col Modena e due col Brescia. Ricordo che la sera in cui De Biasi fu annunciato ufficialmente una giornalista sportiva mi disse che le voci al riguardo provenienti da queste città non erano molto positive: dicevano di un allenatore bravo soprattutto a intortarsi l’ambiente.

Comunque, sulle ali dell’entusiasmo, con una squadra forte ma messa insieme all’ultimo, il Toro viene promosso e De Biasi viene confermato, salvo poi venire cacciato prima ancora che il campionato inizi: le sconfitte in amichevole con squadroni come Alessandria e Cuneo convincono Cairo ad affidarsi subito ad un tecnico esperto come Zaccheroni. La squadra per la A è debole, ma Zaccheroni ottiene buoni risultati, almeno fino a quando i giocatori non decidono di farlo fuori. Chievo-Toro 3-0, con i giocatori che apertamente passeggiano per il campo, è un messaggio chiaro; meno chiare, ma insistenti, sono le voci secondo cui la rivolta sarebbe stata manovrata dall’esterno dallo stesso De Biasi, facendo leva sui suoi ex giocatori. Con De Biasi i giocatori ricominciano a impegnarsi, ma la situazione non migliora; il Toro si salva solo grazie ad un incredibile, fortunoso successo sul campo della Roma.

Secondo tentativo: come dice Cairo, “quest’anno ci divertiamo”. De Biasi non viene confermato e se ne va, per la seconda volta, lanciando critiche di lesa maestà; la squadra viene affidata a Novellino, un allenatore circa coetaneo di De Biasi ma con una carriera decisamente più prestigiosa. L’organico è migliore rispetto all’anno prima, ma privo di attaccanti di livello, a meno che Ventola e Bjelanovic non siano da considerarsi tali; e in serie A senza punte forti non si combina niente. Novellino, nonostante molti infortunati, infila una serie infinita di pareggi e riesce a mantenere la squadra al di fuori della zona retrocessione, ma anche qui, in primavera, i giocatori gli tagliano le gambe, complice anche il suo carattere non facile. E così, a Genova si ripete la scena dell’anno prima: giocatori che passeggiano svogliati, Genoa-Toro 3-0, esonero e clamoroso terzo ingaggio di De Biasi, che per tornare pretende addirittura due anni e mezzo di contratto a cifre principesche.

A questo punto molti avevano già capito il problema: l’esplosivo mix tra un allenatore scarso ma bravissimo a manovrare lo spogliatoio, e un presidente accentratore, decisionista, incapace di delegare e attorno al quale non cresce nemmeno l’erba. Già, perché il Torino FC, come società, è una burla: lo staff dirigenziale cambia altrettanto velocemente degli allenatori, si risparmia persino sulle magliette, gli investimenti sul vivaio sono ridotti, quelli sulle infrastrutture – tra cui l’agognato centro sportivo granata sul ricostruito stadio Filadelfia – sono totalmente assenti, le biglietterie e le relazioni con i tifosi sono totalmente disorganizzate, e insomma si vive alla giornata.

Nonostante i brontolii, De Biasi – che prende una squadra comunque strasalva, e la porta al termine dell’annata salva di un punto – rilascia dichiarazioni roboanti: “sono tornato per vincere uno scudetto”. In estate, Cairo finalmente investe, compra due punte di primo livello come Bianchi (7 milioni di euro) e Amoruso (3 milioni), e la squadra sembra pronta per il salto di qualità. E invece, sotto la guida del “mago di Sarmede” con complessi da Napoleone – De Biasi ha dichiarato, per esempio, che Mourinho non è un granché perché si è limitato a copiare i suoi metodi – la squadra affonda: otto sconfitte in quattordici partite (tante quante Novellino in ventinove), gioco generalmente latitante, e la sensazione di un totale sbando tecnico, con i giocatori scelti a caso e disposti senza una logica, adottando come schema unico la mitica spizzaiola di Roberto Stellone.

Sebbene Cairo abbia comprato al tecnico i giocatori che voleva, in campo è un totale pastrocchio: in queste giornate De Biasi ha schierato un’ala destra come terzino destro, un terzino destro come ala destra, un terzino sinistro come ala sinistra, un terzino sinistro come centrale, un centrale come terzino sinistro, un interditore come laterale di spinta, una prima punta come ala di rinforzo, sbagliando tutto lo sbagliabile in termini tattici e peggiorando le cose con i cambi, tanto che a un certo punto in curva si è cominciato a ipotizzare che le sostituzioni venissero decise estraendo dei nomi a caso da bigliettini messi in un cappello.

Bene, che fare? La soluzione logica sarebbe stata non richiamare un allenatore provatamente scarso; in subordine, si potrebbe cacciarlo ora e chiamarne uno più capace. C’è però un piccolo problema: un altro allenatore costa (a meno che non sia Novellino, che è ancora a libro paga ma che è un rischio, essendo già stato fatto fuori dai giocatori l’anno scorso). E così, già da un paio di mesi si tira a campare con una squallida pantomima in cui Cairo fa finta di non voler cacciare De Biasi sperando che se ne vada lui, e De Biasi nega anche l’evidenza, attribuendo l’incredibile serie di sconfitte a: arbitri, giocatori, sfortuna, episodi negativi, stanchezza, giornalisti, clima negativo, insomma a qualsiasi cosa tranne che a se stesso.

Fin qui, tutto tristemente normale; ma il peggio comincia un paio di settimane fa. Sembra che l’agognato esonero stia infine per arrivare, e che succede? Il Centro Coordinamento Toro Club, cioè una manciata di persone che gestiscono i rapporti tra i vari gruppi organizzati, rilascia un comunicato in cui a nome di tutti i tifosi si sdraia a difesa di De Biasi, parlando addirittura di “gioco che non vedevamo da anni”, tanto da far venire il dubbio che avessero visto le partite di altre squadre.

Sui forum ci si infuria: non si capisce il perché di questa uscita, né come si possa pretendere di parlare a nome dei tifosi quando l’umore della piazza è evidentemente diverso; alcuni fanno subito due più due e pensano a una qualche manovra orchestrata dallo stesso De Biasi per salvarsi la poltrona. I responsabili del coordinamento sono costretti a una rapida marcia indietro, sostenendo che tutta la prima parte dello scritto è da intendersi sarcastica e quindi con significato opposto a quello letterale.

Arriva un buon pareggio col Milan – per quanto regalato dal Milan stesso e dall’arbitro – e la situazione si calma per un attimo, ma la trasferta di Siena è una vera vergogna: contro una concorrente diretta per la salvezza, la squadra non realizza neanche un tiro nello specchio della porta in tutta la partita. Partono sondaggi bulgari in cui il 96% dei tifosi chiede l’esonero immediato; Cairo, ancora sperando di salvare il portafoglio, nicchia.

E che succede allora? L’attesa contestazione non si materializza; arriva invece un secondo comunicato che attacca Cairo frontalmente, scaricando su di lui tutte le responsabilità, e recita che “non possiamo accettare continui cambi tecnici” e “che gli allenatori vengano abbandonati al loro destino”. Sarebbero parole sensate in una calma discussione estiva, ma in questo contesto diventano semplicemente un attacco a Cairo per salvare De Biasi a tutti i costi; in più, ancora una volta vengono espresse a nome di tutti i tifosi quando invece ne rappresentano solo una parte, probabilmente anche piuttosto piccola.

Si arriva al tutti contro tutti: il coordinamento viene sconfessato, alcuni dei suoi membri pensano alle dimissioni, e da Internet – che questi giochini di potere li sconfessa subito – emergono controcomunicati e una richiesta univoca: cacciare l’allenatore e poi, con calma, discutere degli errori del presidente. Dal coordinamento sono costretti all’ennesima rettifica, sprofondando ancora di più nel ridicolo. Ma non è nemmeno questo il peggio.

La cosa più ridicola, infatti, è leggere della prevista autogestione: De Biasi non si è fatto vedere, ha cancellato le interviste, non si sa dove sia. Il sito di Rosina – già in passato responsabile di uscite inopportune – pubblica addirittura la notizia che in panchina oggi ci sarà il secondo, il baffuto Charalambopulous, in quanto De Biasi si sarebbe “autosospeso”. Di fatto, la squadra è nel caos e secondo Tuttosport la formazione la farà Cairo coi giocatori stessi, anzi Cairo potendo sarebbe addirittura andato in panchina lui. Siamo, insomma, al Borgorosso Football Club di Alberto Sordi, ed è di poca consolazione il fatto di averlo anticipato già quasi due anni fa.

Cosa succederà oggi allo stadio, contro la Fiorentina? Probabilmente una disfatta, ma non è detto; il calcio riserva sorprese proprio in questi momenti. Ad ogni modo, sperabilmente domani arriverà un nuovo allenatore; e poi si potrà discutere su tutto il resto, compresi gli errori di Cairo. Resta però il dubbio di come una persona come Cairo, evidentemente capace a gestire aziende, possa essere ancora qui dopo quattro anni a circondarsi di uomini sbagliati; continuo però a pensare che difficilmente ci possano essere alternative migliori di lui per il Toro in questo momento, e spero che, semplicemente, inizi a fare tesoro dell’esperienza. Per voialtri che non seguite il calcio, invece, spero che questa storia sia stata interessante: perché il mondo del calcio è più complesso di quello che sembra, e riflette tutte le bellezze e le miserie degli uomini.

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domenica 26 Ottobre 2008, 12:49

Ritorno

Oggi è una bella giornata: il sole splende, la temperatura è piacevole, e sto per andare a mangiare su per i bricchi parlando di politica. Sono arrivato a Caselle ieri pomeriggio tardi, sono stato riaccompagnato a casa, ho aperto la valigia, mi sono rilassato, ho cenato… poi c’è un buco di qualche ora, e non ricordo proprio cosa sia successo. Se qualcuno ricorda qualcosa di ieri sera, quindi, è pregato di non dire nulla.

Colgo invece l’occasione per dare un giudizio culinario su Cagliari: positivo ma con dei distinguo. Infatti la trattoria Lillicu in via Sardegna, zona delle trattorie tipiche, è stata davvero buona, anche se ci siamo riempiti dei soli antipasti; invece i ristoranti eleganti dove ci hanno portato per il convegno erano buoni ma troppo elaborati. Se vi piace la cucina sarda elaborata in modo elegante e costoso, sia il ristorante Flora (tradizionale) che il ristorante Pomata (nouvelle cuisine) sono molto interessanti; quest’ultimo in particolare si è riscattato con una eccezionale bistecca di tonno, cotta fuori e cruda dentro come fosse carne. Però non puoi prendere la commessa di dar da pranzo a centocinquanta persone nella pausa di un convegno e preparare un menu di cinque portate che richiede due ore e mezzo per essere servito; e nemmeno avere un cuoco giapponese e definirti “susci bar” o addirittura “scusci bar”!

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giovedì 25 Settembre 2008, 13:04

Turno di notte

Prendo questi pochi appunti su una trasferta di calcio infrasettimanale a Verona con un taccuino e una matita dell’Ikea, stando ben attento però a lasciarli sul pullman una volta giunti allo stadio: infatti, l’ultima volta che per caso sono arrivato allo stadio con una matita dell’Ikea in tasca, me l’hanno sequestrata. D’altra parte è giusto, non avete idea di quanto facile sia per noi irriducibili ultrà-ninja abbattere interi branchi di pacifiche famiglie con una matita dell’Ikea.

Ci troviamo in una trentina, in un luogo segretissimo che nessuno mai immaginerebbe, per partire alle 15 di un bel pomeriggio autunnale. Un bolide Giachino è pronto per noi: siamo contenti, è intero, pulito e ha quasi tutte le marce. Si presenta la pattuglia della polizia per il controllo preventivo, che si esaurisce nella domanda collettiva “Vero che c’avete tutti i documenti e il biglietto? che poi se no faccio brutta figura con quelli di Verona”. Il capo poliziotto è simpatico, e mentre aspettiamo i ritardatari chiacchieriamo di calcio; dopo un po’ lui comincia ad innervosirsi, perché noi siamo ancora in attesa e rischiamo di non arrivare in tempo per l’inizio della partita; anche lui è del Toro e non vuole perderselo.

Il ritardo è dovuto a una donna; per la precisione, quella già nota ai lettori di questo blog per via di questa foto. Solo uno schema di pensiero femminile può concepire di prenotarsi per un appuntamento a Torino alle 15, avendo come vincolo l’uscire dal lavoro a Ivrea alle 15. Infatti, lei si presenta alle 15:40, e l’autista parte bestemmiando; pagheremo il ritardo con un rigido freno alle soste autogrill, che normalmente sono lunghe e abbondanti (per dire, Torino-Genova ci richiese oltre quattro ore).

Dopo l’ormai consueta fermata alla rotonda di Santena per caricare un po’ di meridionali, a Villanova ci aspetta un gippone; e così, i pericolosi ultrà si avviano per le autostrade italiane scortati da ben due pattuglie coi lampeggianti accesi. (Sono in due perché se no si rompono le scatole, così invece si danno il cambio: fanno un centinaio di chilometri a testa, poi accelerano e vanno a riposare un po’ in autogrill.) Rischiamo continuamente la vita per via delle manovre assurde di TIR polacchi, sloveni e ucraini: altro che pericolo ultras, in Italia ormai c’è il pericolo autostrada!

Viaggiare con la pattuglia davanti, poi, è una tortura: uno dopo l’altro arrivano BMW o Cayenne sparati, passano il bus, vedono la macchina della Polizia e inchiodano di colpo rientrando e tagliandoci la strada. Ogni tanto i poliziotti devono tirare fuori il braccio e fare l’inequivocabile gesto di “rimettiti a 170 e non star qui in mezzo a romperci i coglioni”; alla fine chiamiamo la pattuglia via cellulare e li preghiamo di mettersi dietro anziché davanti.

Il bus ospita due gruppi: davanti noi vecchi flemmatici, e in fondo i ragazzini, da cui arriva un odore di canne e gita scolastica. Incredibilmente, manteniamo una media di 100 orari; l’unica sosta pipì è in una piazzola all’altezza di Stradella, accuratamente priva di grill per non offrire distrazioni. Riusciamo così a garantirci una sosta vera, per cenare alle 18:55 coi panini Autogrill in quel di Desenzano. Il capo bus rassicura la cassiera gridando a voce alta in mezzo alla sala “Oh, non rubate niente, capito!”. Io esco con un pacchetto di grisbì alla nocciola e vengo criticato dal resto del mio gruppo, che dubita del fatto che i grisbì alla nocciola siano ammessi dalla mentalità ultrà. Solo che dieci secondi dopo uno dei duri del fondo bus esce con un pacchetto di grisbì al cacao, così la discussione deve riparare sul punto che il cacao è per veri uomini, mentre la nocciola è per donnicciuole.

Comunque, tutto fila liscio, e in mezzo ai cori del fondo bus che – causa tasso alcoolico – degenerano nell’assurdo (tipo “Noi non siamo esseri umani”) per le otto meno venti siamo a Verona. Come al solito, c’è l’accoglienza casello: tre macchine della Polizia locale vengono a scortarci. Naturalmente non c’è proprio alcun motivo per tutto questo spreco di dipendenti pubblici, ma per giustificare la loro esistenza i veronesi riescono a far fermare il nostro bus proprio in mezzo al piazzale, bloccando per cinque minuti tutto il casello. Partiamo dietro alle sirene spiegate – o meglio lo faremmo, se la seconda non sparisse improvvisamente costringendo l’autista a partire in terza.

Qui, d’improvviso, l’atmosfera cambia. Siamo in territorio nemico, e l’etichetta ultrà prevede che si battano i pugni sui vetri cantando cori offensivi per la città ospitante. L’autista sfodera racconti epici, e di quando a Pescara dovette fuggire col pullman per le vie, e di quando a Cesena i poliziotti locali per vendicarsi dei cori manganellarono la gente a caso. Qualcuno menziona il leggendario Paolella, un distinto signore di mezza età sosia di Bassolino, autista storico degli ultras massimi, quelli della Maratona; solo che il suo antico bus a carbonella è ancora a Cremona (arriveranno a metà primo tempo). C’è nell’aria uno strano brivido, lo percepisci chiaramente; la probabilità di scontri stasera è pari a quella di essere colpiti da un meteorite, ma l’arrivo in terra straniera è sempre così.

I tifosi del Chievo sono simpatici a noi esseri umani, ma, in termini ultrà, ridicoli: pensate che in piena curva, dove in tutta Italia campeggiano teschi, svastiche o volti del Che, loro hanno lo striscione “Amici del bar Pantalona”; e nei distinti campeggia addirittura un “Viva la diga”. A Verona, però, ci sono anche quelli dell’Hellas: quelli sì che sono tifosi seri, razzisti e picchiatori come si deve… Proprio per via dell’amichevolezza di questi ultimi, a Verona c’è una cosa che non c’è da nessuna altra parte: una strada costruita in trincerone a servizio di un’area di parcheggio blindata riservata agli ospiti, auto private comprese. Così ci ingabbiano e si rischia il patatrac.

Ci troviamo difatti in quasi duecento, provenienti da mezza Italia, davanti a un cancello aperto per un lembo, fermi e pigiati in mezzo al gelo notturno. Aspettiamo, riaspettiamo, chiediamo che succede e la risposta è “Zitti e aspettate”: hanno tracciato una riga e tu devi restarci dietro senza che ti diano un perché. Alla fine si fanno le 20:15 ed è chiaro che, con tutta quella gente da controllare, non c’è speranza di entrare tutti in tempo per l’inizio, ed è altrettanto chiaro che la cosa è fatta apposta per romperci le scatole; e dopo avere speso 23 euro di biglietto (gli ultrà si possono ladrare impunemente) più il viaggio, la cosa fa girare alquanto gli zebedei. A un certo punto, quindi, scatta la rivolta; uno steward ha un attimo di pietà, allarga un po’ il passaggio, la gente spinge per non restare fuori e in un istante il cancello si apre e un centinaio di persone sono oltre la riga.

Conoscendo l’accurata selezione della polizia scaligera, siamo tutti fermi con le mani in alto, il biglietto in una e la carta d’identità nell’altra; ciò nonostante, un fronte di una dozzina di poliziotti locali in assetto di guerra avanza dal fondo urlando ordini con fare nazista. Li eseguiremmo anche, se il mix di urlo secco e accento veneto non li rendesse del tutto incomprensibili! Un paio di signori cinquantenni vanno a parlamentare, spiegando che vorremmo soltanto vedere la partita, ma vengono spinti via dai poliziotti. Poi spunta il digo (singolare di digos, ndr) di Torino, parla con un paio di persone chiave, e finalmente i veronesi decidono di essersi sfogati abbastanza; sequestrano qualsiasi cosa gli giri e ci fanno passare. Dietro c’è ben uno sportello che, in sette minuti, dovrebbe consegnare i biglietti a circa cento persone che li hanno comprati su Internet: auguri (memo: mai comprare biglietti di calcio su Internet). Noi passiamo dal tornello, che non funziona, così ci strappano il biglietto a mano e via.

La calda accoglienza veronese continua: il settore ospiti è una curva piena zeppa di cacca di piccione e sporcizia varia; non la puliscono dal ’23, tanto ci vanno solo gli ultrà nemici. Ci sistemiamo alla bell’e meglio in balconata. Il Bentegodi è un catino triste, l’acustica è orrenda e non si sente niente; dall’altra parte gli ultras del Chievo – i North Side, anche se stanno in curva Sud: vorrebbero venire di qui, cioè all’opposto della curva dell’Hellas, ma il Comune non ha voglia di costruire un secondo trincerone con gabbia per gli ospiti – sfoderano una coreografia di ben dodici bandierine (avevano l’autorizzazione per portarne fino a 300; a Torino per una coreo media si parte da cinquemila). Cantano e non si sentono, noi siamo diverse centinaia ed è una bella sensazione, si canta sempre, dal primo all’ultimo minuto.

La partita di calcio vista così è completamente un’altra cosa rispetto a quella che conoscete voi, non ci sono commentatori dementi e leccaculo assortiti, non ci sono moviole e vittimismi ma al massimo dei sani fanculi esagitati; c’è solo il campo con gli omini sopra e l’audio di te che canti, e che ogni tanto chiedi al vicino cos’è successo perché non sei riuscito a vedere. La partita vola via in un battito di ciglia, il primo tempo sembra duri cinque minuti; loro lo passano a protestare, noi facciamo gol su rigore netto.

All’inizio del secondo tempo cadono le prime vittime, gente che si affloscia di botto con la faccia sul cemento della curva per via di troppa vodka e troppe canne (non sono tutti così, ma ce n’è alcuni che fanno questa vita solo per sversarsi). Loro pareggiano, il Toro non esiste più da un po’, noi ci difendiamo con la grinta, incitando i nostri e insultando loro e varie altre città italiane. De Biasi sfodera i suoi famosi cambi assortiti, nel senso che ha lì due cappelli pieni di bigliettini, uno con i nomi degli undici in campo e uno con quelli della panchina, ne piglia a sorte uno da ognuno e ordina il cambio, tipo Ogbonna per Abbruscato. La terna arbitrale già da venti minuti alla fine punta all’1-1 senza danno, fischiando falli di confusione non appena una delle squadre si avvicina alla porta. Finisce così, e il loro portiere Sorrentino (ex granata) si gira verso di noi e ci saluta; noi reagiamo facendo il dito medio per istinto, e solo dopo capiamo che non stava sfottendo.

Ripartiamo alle undici passate, e arriva l’ultimo gentile regalo della squadra mobile di Verona: ci scortano in colonna non a Verona sud (sulla A4) ma a Verona nord (sulla A22), peccato che lo svincolo di immissione dalla A22 verso Milano sia chiuso per lavori sin dal mattino. Possibile che non lo sapessero e che non abbiano nemmeno visto i numerosi cartelli? In pratica ci spediscono verso la bassa padana, e a quel punto il meno peggio è andar dritti e passare da Modena (!) per tornare a casa, allungando di un’ora.

Così, un po’ delusi e stanchissimi, a mezzanotte meno un quarto ci fermiamo al Fini grill Po ovest di Mantova, anzi Mbntovb. Dentro ci sono due tizie che puliscono e non più di cinque panini stantii; noi siamo due bus di affamati. Io riesco a infilarmi in cassa per terzo, e mi tocca un dialogo alla Ionesco:

vb: “Buonasera, vorrei un panino”.
cassiera: “Quale panino?”
vb (indicando col dito la teca a fianco in cui giacciono solo due panini): “Quello lì.”
cassiera: “Vuole un ‘Oro giallo’?”
vb: “Non so come si chiamino i vostri panini, ma quello lì con la mozzarella.”
cassiera: “Sì, ma vuole un ‘Oro giallo’ o un ‘Caprese’?”
vb (guardando la teca dove, comunque, c’è un solo panino con la mozzarella): “Non so, quello che c’è lì!”
cassiera (scazzata): “Va bene, se non me lo vuole dire faccia pure, intanto le batto lo scontrino visto che costano tutti uguale!”

Alla fine, mentre mangio un panino vecchio e imbottito solo dal lato visibile, avendo pagato 6,35 euro per quello più una bottiglietta, vedo qualche ragazzino che si frega da bere e mi chiedo se sia più furto quello, o il costringerti a pagare 6,35 euro in regime di monopolio per un panino e una coca. Ma noi siamo i pericolosi ultrà; c’è persino un tizio che si affaccia alla porta dell’autogrill, grida “Forza Chievo!” e scappa a gambe levate, manco avesse infilato una mano nella gabbia dei leoni.

Il resto sono sensazioni confuse, fino all’approdo finale alla mia auto, alle 3:40. Mi chiedo come faccia l’autista a restare sveglio, e lui alla fine confessa: ascolta gli Iron Maiden. Ecco cos’era quel rumore di sottofondo.

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domenica 21 Settembre 2008, 12:51

Amo quest’uomo

Urbano Cairo è fatto così; è abituato a non accontentarsi e a insistere nelle negoziazioni ben oltre il tempo limite dell’essere umano medio, pur di strappare alla fine il risultato migliore. Questo implica il lasciare mugugnare per mesi tutti i tifosi, fino a fargli pensare che in realtà non stia facendo nulla e stia soltanto banfando, per poi saltar fuori all’ultimo con il coniglio dal cilindro.

E’ successo così per l’acquisto di Rolando Bianchi ed è successo così anche per lo sponsor: alla vigilia della terza giornata di campionato, il Toro era l’unica squadra a non avere ancora trovato lo sponsor principale e i tifosi mugugnavano: “Ma come si fa… ma che figura da polli… che dilettantismo…”. Dopodiché, in settimana ne sono arrivati due: prima è stato annunciato un accordo da sponsor secondario con Seat (la casa automobilistica), e poi ieri è stato presentato il nuovo main sponsor e la relativa maglia:

maglia_toro_08_544.jpg

Che dire: due sponsor automobilistici concorrenti della Fiat in una sola settimana, come messaggio all’altra sponda e alla cupola cittadina non c’è male. Naturalmente nessuno crede che siano stati scelti apposta per quello – Cairo si sarà limitato a scegliere le migliori offerte che aveva sul piatto – però, perlomeno, non si è posto alcuna remora, e questo sarebbe stato impensabile anche solo dieci anni fa. Vedremo insomma come andrà il derby tra i trattori della Fiat e i camion francesi…

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martedì 22 Luglio 2008, 10:16

A dieta di pere cotte

La nuova stagione calcistica è iniziata già da una decina di giorni, e il Toro era l’unica squadra a non avere ancora aperto la propria campagna abbonamenti. Dopo due stagioni buone rispetto alla storia recente del Toro, ma deludenti rispetto alle aspettative incautamente generate da Cairo, la piazza è abbastanza in fermento; e una campagna acquisti all’insegna della rivendita di pera cotta – in cui il Toro è stato schifato pure da un croato del Livorno, e non è riuscito a comprare nulla se non un ulteriore vecchio e costosissimo attaccante da aggiungere alla collezione geriatrica – non ha affatto aiutato le cose.

Da alcune indiscrezioni, dopo lo iellatissimo slogan dell’anno scorso “Quest’anno ci divertiamo”, la locandina di quest’anno doveva essere così:

cairo20082ae7inflated.jpg

Invece, è stato svelato il mistero, ed ecco il manifesto vero:

abbonamenti2008.jpg

Per la prima volta in quattro anni, Cairo non ci ha messo la sua faccia sopra (chissà quanto ci hanno messo a convincerlo), e ha invece lanciato un messaggio chiaro: io me ne lavo le mani, mo’ so’ tutti cacchi vostri. A tale scopo, ha prodotto un mostro di photoshoppatura che in confronto quelli di Maxim sono dei dilettanti, montando insieme una coreografia notturna, un cielo azzurro artificiale e un bandierone in primo piano appiccicato col copia e incolla. E nel frattempo, anche quest’anno si è “dimenticato” di praticare un qualsiasi sconto ai ragazzi nelle curve, una strategia suicida per il futuro (per dire, la Lazio gli abbonamenti ridotti di curva li regala).

Insomma, butta male; del resto, di Cairo ormai conosciamo sia le qualità – è un buon manager, sa comunicare, parla italiano – che i difetti – è accentratore, banfa a mille, fatica a riconoscere i propri limiti e, nella scala di misura del calcio, non ha una lira. Il risultato è una società che non sta in piedi, che ha cambiato allenatore cinque volte e direttore sportivo quattro volte in tre anni, che ha una struttura organizzativa che fa ridere di gusto chiunque la guardi e che dipende ancora completamente dalle paturnie del presidente, con i giocatori che fanno quello che vogliono ma che si sentono abbandonati (dopo venti giorni il nuovo DS non aveva ancora parlato con la squadra, nemmeno per telefono…).

Il risultato sono perle amare, una dietro l’altra; in soli dieci giorni ne abbiamo già viste due eccezionali.

La prima è quando Di Michele, già in polemica prima ancora di cominciare, è andato a dichiarare ai giornali che non si sentiva abbastanza considerato dall’allenatore De Biasi. La risposta di De Biasi è stata una lunga arringa in cui dichiarava che i veri uomini le cose se le dicono in faccia, pubblicata tramite il suo sito Web.

L’altra è stata ieri, quando sempre De Biasi ha rivelato ai giornalisti di aver richiesto l’acquisto del laziale Mauri, suo vecchio pallino, che ritiene fondamentale per il suo modulo di gioco. La risposta di Cairo, sempre ai giornalisti, è stata: ma no, Mauri non è adatto al modulo di De Biasi, piuttosto voglio comprare una mezzala. A parte il fatto che di mezzali il Toro ne ha una decina, e quel che manca è una punta centrale, dove si è mai visto il presidente che spiega all’allenatore quali sono i giocatori adatti al suo modulo di gioco?

E però, siamo al terzo anno consecutivo di A e ciò non succedeva da quindici anni; speriamo bene che ce ne sia un quarto.

[tags]toro, cairo, abbonamenti, pere cotte[/tags]

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