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giovedì 25 Settembre 2008, 13:04

Turno di notte

Prendo questi pochi appunti su una trasferta di calcio infrasettimanale a Verona con un taccuino e una matita dell’Ikea, stando ben attento però a lasciarli sul pullman una volta giunti allo stadio: infatti, l’ultima volta che per caso sono arrivato allo stadio con una matita dell’Ikea in tasca, me l’hanno sequestrata. D’altra parte è giusto, non avete idea di quanto facile sia per noi irriducibili ultrà-ninja abbattere interi branchi di pacifiche famiglie con una matita dell’Ikea.

Ci troviamo in una trentina, in un luogo segretissimo che nessuno mai immaginerebbe, per partire alle 15 di un bel pomeriggio autunnale. Un bolide Giachino è pronto per noi: siamo contenti, è intero, pulito e ha quasi tutte le marce. Si presenta la pattuglia della polizia per il controllo preventivo, che si esaurisce nella domanda collettiva “Vero che c’avete tutti i documenti e il biglietto? che poi se no faccio brutta figura con quelli di Verona”. Il capo poliziotto è simpatico, e mentre aspettiamo i ritardatari chiacchieriamo di calcio; dopo un po’ lui comincia ad innervosirsi, perché noi siamo ancora in attesa e rischiamo di non arrivare in tempo per l’inizio della partita; anche lui è del Toro e non vuole perderselo.

Il ritardo è dovuto a una donna; per la precisione, quella già nota ai lettori di questo blog per via di questa foto. Solo uno schema di pensiero femminile può concepire di prenotarsi per un appuntamento a Torino alle 15, avendo come vincolo l’uscire dal lavoro a Ivrea alle 15. Infatti, lei si presenta alle 15:40, e l’autista parte bestemmiando; pagheremo il ritardo con un rigido freno alle soste autogrill, che normalmente sono lunghe e abbondanti (per dire, Torino-Genova ci richiese oltre quattro ore).

Dopo l’ormai consueta fermata alla rotonda di Santena per caricare un po’ di meridionali, a Villanova ci aspetta un gippone; e così, i pericolosi ultrà si avviano per le autostrade italiane scortati da ben due pattuglie coi lampeggianti accesi. (Sono in due perché se no si rompono le scatole, così invece si danno il cambio: fanno un centinaio di chilometri a testa, poi accelerano e vanno a riposare un po’ in autogrill.) Rischiamo continuamente la vita per via delle manovre assurde di TIR polacchi, sloveni e ucraini: altro che pericolo ultras, in Italia ormai c’è il pericolo autostrada!

Viaggiare con la pattuglia davanti, poi, è una tortura: uno dopo l’altro arrivano BMW o Cayenne sparati, passano il bus, vedono la macchina della Polizia e inchiodano di colpo rientrando e tagliandoci la strada. Ogni tanto i poliziotti devono tirare fuori il braccio e fare l’inequivocabile gesto di “rimettiti a 170 e non star qui in mezzo a romperci i coglioni”; alla fine chiamiamo la pattuglia via cellulare e li preghiamo di mettersi dietro anziché davanti.

Il bus ospita due gruppi: davanti noi vecchi flemmatici, e in fondo i ragazzini, da cui arriva un odore di canne e gita scolastica. Incredibilmente, manteniamo una media di 100 orari; l’unica sosta pipì è in una piazzola all’altezza di Stradella, accuratamente priva di grill per non offrire distrazioni. Riusciamo così a garantirci una sosta vera, per cenare alle 18:55 coi panini Autogrill in quel di Desenzano. Il capo bus rassicura la cassiera gridando a voce alta in mezzo alla sala “Oh, non rubate niente, capito!”. Io esco con un pacchetto di grisbì alla nocciola e vengo criticato dal resto del mio gruppo, che dubita del fatto che i grisbì alla nocciola siano ammessi dalla mentalità ultrà. Solo che dieci secondi dopo uno dei duri del fondo bus esce con un pacchetto di grisbì al cacao, così la discussione deve riparare sul punto che il cacao è per veri uomini, mentre la nocciola è per donnicciuole.

Comunque, tutto fila liscio, e in mezzo ai cori del fondo bus che – causa tasso alcoolico – degenerano nell’assurdo (tipo “Noi non siamo esseri umani”) per le otto meno venti siamo a Verona. Come al solito, c’è l’accoglienza casello: tre macchine della Polizia locale vengono a scortarci. Naturalmente non c’è proprio alcun motivo per tutto questo spreco di dipendenti pubblici, ma per giustificare la loro esistenza i veronesi riescono a far fermare il nostro bus proprio in mezzo al piazzale, bloccando per cinque minuti tutto il casello. Partiamo dietro alle sirene spiegate – o meglio lo faremmo, se la seconda non sparisse improvvisamente costringendo l’autista a partire in terza.

Qui, d’improvviso, l’atmosfera cambia. Siamo in territorio nemico, e l’etichetta ultrà prevede che si battano i pugni sui vetri cantando cori offensivi per la città ospitante. L’autista sfodera racconti epici, e di quando a Pescara dovette fuggire col pullman per le vie, e di quando a Cesena i poliziotti locali per vendicarsi dei cori manganellarono la gente a caso. Qualcuno menziona il leggendario Paolella, un distinto signore di mezza età sosia di Bassolino, autista storico degli ultras massimi, quelli della Maratona; solo che il suo antico bus a carbonella è ancora a Cremona (arriveranno a metà primo tempo). C’è nell’aria uno strano brivido, lo percepisci chiaramente; la probabilità di scontri stasera è pari a quella di essere colpiti da un meteorite, ma l’arrivo in terra straniera è sempre così.

I tifosi del Chievo sono simpatici a noi esseri umani, ma, in termini ultrà, ridicoli: pensate che in piena curva, dove in tutta Italia campeggiano teschi, svastiche o volti del Che, loro hanno lo striscione “Amici del bar Pantalona”; e nei distinti campeggia addirittura un “Viva la diga”. A Verona, però, ci sono anche quelli dell’Hellas: quelli sì che sono tifosi seri, razzisti e picchiatori come si deve… Proprio per via dell’amichevolezza di questi ultimi, a Verona c’è una cosa che non c’è da nessuna altra parte: una strada costruita in trincerone a servizio di un’area di parcheggio blindata riservata agli ospiti, auto private comprese. Così ci ingabbiano e si rischia il patatrac.

Ci troviamo difatti in quasi duecento, provenienti da mezza Italia, davanti a un cancello aperto per un lembo, fermi e pigiati in mezzo al gelo notturno. Aspettiamo, riaspettiamo, chiediamo che succede e la risposta è “Zitti e aspettate”: hanno tracciato una riga e tu devi restarci dietro senza che ti diano un perché. Alla fine si fanno le 20:15 ed è chiaro che, con tutta quella gente da controllare, non c’è speranza di entrare tutti in tempo per l’inizio, ed è altrettanto chiaro che la cosa è fatta apposta per romperci le scatole; e dopo avere speso 23 euro di biglietto (gli ultrà si possono ladrare impunemente) più il viaggio, la cosa fa girare alquanto gli zebedei. A un certo punto, quindi, scatta la rivolta; uno steward ha un attimo di pietà, allarga un po’ il passaggio, la gente spinge per non restare fuori e in un istante il cancello si apre e un centinaio di persone sono oltre la riga.

Conoscendo l’accurata selezione della polizia scaligera, siamo tutti fermi con le mani in alto, il biglietto in una e la carta d’identità nell’altra; ciò nonostante, un fronte di una dozzina di poliziotti locali in assetto di guerra avanza dal fondo urlando ordini con fare nazista. Li eseguiremmo anche, se il mix di urlo secco e accento veneto non li rendesse del tutto incomprensibili! Un paio di signori cinquantenni vanno a parlamentare, spiegando che vorremmo soltanto vedere la partita, ma vengono spinti via dai poliziotti. Poi spunta il digo (singolare di digos, ndr) di Torino, parla con un paio di persone chiave, e finalmente i veronesi decidono di essersi sfogati abbastanza; sequestrano qualsiasi cosa gli giri e ci fanno passare. Dietro c’è ben uno sportello che, in sette minuti, dovrebbe consegnare i biglietti a circa cento persone che li hanno comprati su Internet: auguri (memo: mai comprare biglietti di calcio su Internet). Noi passiamo dal tornello, che non funziona, così ci strappano il biglietto a mano e via.

La calda accoglienza veronese continua: il settore ospiti è una curva piena zeppa di cacca di piccione e sporcizia varia; non la puliscono dal ’23, tanto ci vanno solo gli ultrà nemici. Ci sistemiamo alla bell’e meglio in balconata. Il Bentegodi è un catino triste, l’acustica è orrenda e non si sente niente; dall’altra parte gli ultras del Chievo – i North Side, anche se stanno in curva Sud: vorrebbero venire di qui, cioè all’opposto della curva dell’Hellas, ma il Comune non ha voglia di costruire un secondo trincerone con gabbia per gli ospiti – sfoderano una coreografia di ben dodici bandierine (avevano l’autorizzazione per portarne fino a 300; a Torino per una coreo media si parte da cinquemila). Cantano e non si sentono, noi siamo diverse centinaia ed è una bella sensazione, si canta sempre, dal primo all’ultimo minuto.

La partita di calcio vista così è completamente un’altra cosa rispetto a quella che conoscete voi, non ci sono commentatori dementi e leccaculo assortiti, non ci sono moviole e vittimismi ma al massimo dei sani fanculi esagitati; c’è solo il campo con gli omini sopra e l’audio di te che canti, e che ogni tanto chiedi al vicino cos’è successo perché non sei riuscito a vedere. La partita vola via in un battito di ciglia, il primo tempo sembra duri cinque minuti; loro lo passano a protestare, noi facciamo gol su rigore netto.

All’inizio del secondo tempo cadono le prime vittime, gente che si affloscia di botto con la faccia sul cemento della curva per via di troppa vodka e troppe canne (non sono tutti così, ma ce n’è alcuni che fanno questa vita solo per sversarsi). Loro pareggiano, il Toro non esiste più da un po’, noi ci difendiamo con la grinta, incitando i nostri e insultando loro e varie altre città italiane. De Biasi sfodera i suoi famosi cambi assortiti, nel senso che ha lì due cappelli pieni di bigliettini, uno con i nomi degli undici in campo e uno con quelli della panchina, ne piglia a sorte uno da ognuno e ordina il cambio, tipo Ogbonna per Abbruscato. La terna arbitrale già da venti minuti alla fine punta all’1-1 senza danno, fischiando falli di confusione non appena una delle squadre si avvicina alla porta. Finisce così, e il loro portiere Sorrentino (ex granata) si gira verso di noi e ci saluta; noi reagiamo facendo il dito medio per istinto, e solo dopo capiamo che non stava sfottendo.

Ripartiamo alle undici passate, e arriva l’ultimo gentile regalo della squadra mobile di Verona: ci scortano in colonna non a Verona sud (sulla A4) ma a Verona nord (sulla A22), peccato che lo svincolo di immissione dalla A22 verso Milano sia chiuso per lavori sin dal mattino. Possibile che non lo sapessero e che non abbiano nemmeno visto i numerosi cartelli? In pratica ci spediscono verso la bassa padana, e a quel punto il meno peggio è andar dritti e passare da Modena (!) per tornare a casa, allungando di un’ora.

Così, un po’ delusi e stanchissimi, a mezzanotte meno un quarto ci fermiamo al Fini grill Po ovest di Mantova, anzi Mbntovb. Dentro ci sono due tizie che puliscono e non più di cinque panini stantii; noi siamo due bus di affamati. Io riesco a infilarmi in cassa per terzo, e mi tocca un dialogo alla Ionesco:

vb: “Buonasera, vorrei un panino”.
cassiera: “Quale panino?”
vb (indicando col dito la teca a fianco in cui giacciono solo due panini): “Quello lì.”
cassiera: “Vuole un ‘Oro giallo’?”
vb: “Non so come si chiamino i vostri panini, ma quello lì con la mozzarella.”
cassiera: “Sì, ma vuole un ‘Oro giallo’ o un ‘Caprese’?”
vb (guardando la teca dove, comunque, c’è un solo panino con la mozzarella): “Non so, quello che c’è lì!”
cassiera (scazzata): “Va bene, se non me lo vuole dire faccia pure, intanto le batto lo scontrino visto che costano tutti uguale!”

Alla fine, mentre mangio un panino vecchio e imbottito solo dal lato visibile, avendo pagato 6,35 euro per quello più una bottiglietta, vedo qualche ragazzino che si frega da bere e mi chiedo se sia più furto quello, o il costringerti a pagare 6,35 euro in regime di monopolio per un panino e una coca. Ma noi siamo i pericolosi ultrà; c’è persino un tizio che si affaccia alla porta dell’autogrill, grida “Forza Chievo!” e scappa a gambe levate, manco avesse infilato una mano nella gabbia dei leoni.

Il resto sono sensazioni confuse, fino all’approdo finale alla mia auto, alle 3:40. Mi chiedo come faccia l’autista a restare sveglio, e lui alla fine confessa: ascolta gli Iron Maiden. Ecco cos’era quel rumore di sottofondo.

[tags]sport, calcio, ultras, tifo, torino, chievo, verona, autogrill, polizia[/tags]

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7 commenti a “Turno di notte”

  1. Ciskje:

    Ma non sarebbe meglio una gita in campagna con gli amici e con una bella bionda sul sedile di fianco?

  2. simonecaldana:

    Come fai a tenere in equilibrio una birra su un sedile di autobus?

  3. vb:

    Perché dovresti tenerla in equilibrio? La stappi, la bevi (o la passi in giro e finisce in 30 secondi) e butti la bottiglia sulla gradinata della porta posteriore, di modo che alla prima sosta, aprendo le porte, la rumenta si scarichi automaticamente sull’asfalto del parcheggio dell’autogrill.

  4. D# AKA BlindWolf:

    Sì, il cacao è per veri uomini :-)

    (e comunque gli Iron Maiden per me sono rilassanti)

  5. elena:

    ma non esistono i grisbì al gianduja?

  6. mfp:

    HAAAAAALT!

    Leggendoti avevo quasi voglia di entrare in uno stadio per la prima volta in vita mia… provare a fare il tifoso… e alla fine hai rovinato tutto dicendo che gli Iron Maiden sono confusione. E così anche questa volta non andro’ allo stadio.
    Quest’estate mi sono addormentato in tenda a 200m dal palco dove stavano facendo il bis di “Fear of the dark”… son emozioni eh! Non mi puoi chiudere un post sputando sugli Iron Maiden! E che cavolo!

  7. vb:

    Ma gli Iron Maiden non sono confusione (A Piece Of Mind è uno dei punti più alti della storia del rock), solo che sentiti nella radio a volume bassissimo su un bus sgangherato e lanciato in autostrada mentre dormicchi verso le due di notte lo diventano facilmente…

 
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