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lunedì 19 Maggio 2008, 10:21

Il prezzo di muoversi

Ieri sera stavo preparando una richiesta di rimborso spese per una trasferta a Pisa svolta a gennaio; per fare prima, ho aperto il file relativo a una trasferta analoga svolta nel gennaio 2007. La riga “pedaggio autostradale” del file recitava: “€ 42,30”. Così ho preso gli scontrini del viaggio fatto dodici mesi dopo, ho fatto i conti e ho inserito il nuovo totale: è risultato essere di € 46,40.

Ora, possono anche prendermi in giro con l’inflazione programmata al due per cento, ma se la matematica non è un’opinione l’aumento del pedaggio autostradale in un anno, almeno sulla tratta Torino-Pisa e ritorno, è stato del 10%. Vero è che l’anno scorso avevo ripreso l’autostrada a Viareggio – dopo una famosa sera in Versilia – e non a Pisa, quindi fino a un paio di euro di differenza saranno anche dovuti a quello, ma l’aumento dei pedaggi mi sembra comunque indecente, soprattutto a fronte del miglioramento dell’infrastruttura sulla tratta in questione (zero).

Ah, e ieri ho fatto carburante scoprendo che, in piena sintonia con il rapido passaggio degli italiani da auto a benzina a auto a gasolio, il prezzo del gasolio ha raggiunto quello della benzina. Ci credo che Moratti festeggia e compra un bidone milionario dietro l’altro… Hanno veramente la faccia come il culo.

[tags]prezzi, autostrade, benzina, inflazione[/tags]

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domenica 18 Maggio 2008, 13:12

Un ego che fa provincia

Ultimamente pare diventato di moda: a chiunque tu chieda cosa fare per salvare l’Italia, tra le prime cinque voci c’è l’abolizione delle province. Effettivamente, forse potremmo cavarcela con un po’ meno burocrazia… In realtà, si tratta di suddivisioni amministrative, nate per organizzare meglio la struttura burocratico-aziendale dello Stato. Come tali, “servono” o “non servono” a seconda di cosa gli si dà da fare, ragion per cui sarebbe probabilmente più produttivo andare ad esaminare le loro competenze – dalle strade all’edilizia scolastica – e capire se e come possono essere trasferite altrove in modo più efficiente, considerando che comunque qualcuno se ne dovrà occupare.

Purtroppo, però, raramente la questione viene affrontata in termini pratici; sulla discussione prevale sempre un altro aspetto, quello dell’ego collettivo delle comunità interessate, con il desiderio di vedere la propria città riconosciuta a livello nazionale, e con la conseguente creazione di burocrazia, posti di lavoro pubblici, infrastrutture di collegamento.

Del resto, il concetto stesso di provincia non è che l’evoluzione delle suddivisioni feudali in vigore fino all’era della rivoluzione industriale, divenute progressivamente inadatte con l’affermarsi della borghesia e l’incremento del peso centrale degli stati nazionali. In origine infatti non era certo questione di elezioni provinciali, ma semplicemente di governatori o prefetti inviati dal governo centrale per gestire un determinato territorio.

Fu l’inventore dello Stato moderno, Napoleone, a imporne la definitiva affermazione; e così, dopo la Restaurazione, lo Stato sabaudo si divise anch’esso sul modello francese, in dipartimenti (l’equivalente delle odierne regioni) a loro volta suddivisi in province. Erano province decisamente più piccole delle attuali, tanto è vero che per un territorio comprendente un sesto dell’Italia più la Savoia c’erano ben 49 province, a loro volta ulteriormente suddivise in centinaia di mandamenti formati da una manciata di villaggi. Non dissimile era la situazione negli altri regni pre-unitari.

Nel 1859, in piena seconda guerra d’indipendenza e con la prospettiva di annettersi gran parte dell’Italia, il ministro dell’Interno Urbano Rattazzi si rese conto che andare avanti con suddivisioni così piccole avrebbe implicato sprechi e difficoltà; e così, diede il via a una radicale ristrutturazione, basata proprio sul principio di “eliminare le province” spostando i poteri ai dipartimenti. Questa riforma, purtroppo, fu concepita con un piccolo problema di marketing: difatti si scelse di rinominare i nuovi dipartimenti in province, col risultato di far sembrare a 39 città di aver semplicemente perso lo status di capoluogo provinciale e di essere state “annesse” dalle rimanenti dieci.

Apriti cielo! Da Mortara a Biella, da Vercelli a Casale, da Asti a Savona, tutte le città degradate la presero maluccio. I più incazzosi, manco a dirlo, furono i genovesi dell’Oltregiogo: non solo gli avevano soppresso la provincia di Novi, ma, nonostante fossero da sempre stati parte della Repubblica di Genova, li avevano addirittura annessi ad Alessandria! Fu quello il momento in cui tutti i comuni della zona, in quello che De André avrebbe definito un atto di vibrante protesta, aggiunsero “Ligure” al proprio nome; e sono ancora incazzati adesso, tanto che il profluvio di pagine relative alla storia delle province italiane, in rete e su Wikipedia, viene quasi tutto da quei posti lì; e non ce n’è una che si dimentichi di buttar lì maliziosamente che Rattazzi era di Alessandria.

Tuttavia, questi episodi dimostrano come i confini amministrativi, anche quelli interni alla nazione, possano avere conseguenze significative sull’evoluzione storica dei territori. Per esempio, a tutti ormai sembra pacifico che la Lomellina sia un territorio lombardo, gravitante su Pavia; e invece, fino al decreto Rattazzi era un pezzo del dipartimento di Novara, tanto che non fu annesso al Piemonte in quegli anni come il resto dell’attuale Lombardia, ma faceva già parte del regno sabaudo sin dal 1707.

Oppure prendiamo Ascoli e Fermo, che al momento dell’Unità erano entrambi capoluoghi di provincia dello Stato Pontificio, entrambi con circa ventimila abitanti; per qualche misterioso motivo, nel 1860 lo Stato sabaudo decise che solo il primo sarebbe rimasto capoluogo, mentre il secondo sarebbe stato annesso dagli odiati vicini. Come conseguenza, partendo da condizioni simili – anzi Fermo è più vicina al mare e alle linee di grande comunicazione -, Ascoli e cintura ha oggi quasi il doppio degli abitanti di Fermo: quanto di questo sarà un effetto del ruolo di capoluogo? (Comunque dopo centocinquant’anni i fermani ce l’hanno fatta, e dal 2004 hanno di nuovo la provincia.)

Dopo le guerre d’indipendenza – a territorio sostanzialmente simile all’odierno – le province erano 69; oggi sono 110, cioè quasi il doppio. Certo sono aumentati anche gli abitanti, ma vi è indubbiamente una tendenza a un costante aumento del numero delle province, in seguito alle pressioni di questa o quella città aspirante capoluogo; negli ultimi anni poi è diventata una valanga (toh, divertitevi). In particolare in Meridione, dove la burocrazia pubblica è l’unica industria esistente, ogni buco di quattro case aspira ai suoi bravi uffici provinciali nuovi di zecca; tranne che in Sardegna, dove essendo regione autonoma ci sono già riusciti.

E quindi, forse è l’ora di tirar fuori un nuovo Rattazzi e di vietare ulteriori province, cercando poi di capire se le funzioni delle attuali non possano essere girate ad enti già esistenti, risparmiandoci qualche ciclo elettorale e un bel po’ di spese correnti; o perlomeno, dopo centocinquant’anni si potrebbe rimettere mano a un po’ di sani accorpamenti. Attenti, comaschi e verbani: Maroni è di Varese!

[tags]province, abolizione, burocrazia, rattazzi, novi ligure libera, lomellina piemontese, fermo provincia, collegno provincia[/tags]

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sabato 17 Maggio 2008, 10:09

E poi chiudono gli asili

Non voglio fare sempre quello che l’aveva detto: ma quando ce vo’…

Oltre un anno fa, questo blog aveva denunciato la demenziale idea del Comune di spendere cinque milioni di euro per costruire un ulteriore impianto, sempre nella zona della Continassa, per ospitare fantasmagorici maxiconcerti che non si sarebbero più potuti fare al Delle Alpi. Idea demenziale per chiunque, tranne che per il genero di Castellani, che aveva prontamente ricevuto l’appalto.

Bene, ieri persino La Stampa ha trovato il coraggio di segnalare lo scandalo: l’impianto, nel frattempo concluso, non sarà mai nemmeno inaugurato, o almeno non quest’anno, perché quei pochi megaconcerti previsti a Torino l’hanno evitato come la peste. Del resto, andate a vederlo: in pratica è un enorme spiazzo sterrato (ossia un mare di fango nei temporali estivi) con quattro lampioni in mezzo e due prefabbricati al bordo a fare da biglietteria. Come possa essere costato cinque milioni di euro è un mistero: lo costruivano tre romeni con una vanga in una settimana. Come si possa poi pensare di spendere cinque milioni di euro in una cosa del genere, quando il Comune dichiara di non avere i soldi per tenere aperti gli asili e per riparare le buche nelle strade, sfugge ad ogni logica se non a quella degli amici degli amici.

Speriamo che venga di nuovo Grillo in città, così Chiamparino avrà la scusa per darsi dei soldi da solo e organizzarci almeno la contromanifestazione…

[tags]torino, sprechi, arena rock, concerti[/tags]

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venerdì 16 Maggio 2008, 13:22

[[Coldplay – Violet Hill]]

Anche questa è stata una settimana musicale, e non solo perché dopo il coro di Livorno sono andato a scaricarmi Pet Sounds dei Beach Boys; in quel caso ammetto di essere rimasto un po’ deluso, perché è un album di cui ho sentito parlare (da Doonesbury) fin da quando ero ragazzo, e se leggi la pagina sulla Wikipedia inglese sembra il prodotto di uno sforzo creativo mahleriano, dalla complessità inenarrabile e dalla sofferenza infinita; poi lo metti su e ci sono quattro ragazzini che fanno coretti “uuu-uuu-uuuh, pa-ppaa” con la profondità emotiva di un criceto.

Cioè no, ok, è iperprodotto, è orecchiabile, è carino, God Only Knows è un capolavoro che fece rosicare pure Paul McCartney, e c’è dentro più o meno qualsiasi strumento musicale sia stato mai inventato, tanto che sembra sponsorizzato da un grande magazzino specializzato, tipo il leggendario Meruladibrà, che poi nessuno ha mai capito perché se vuoi comprare una chitarra a Torino devi andare fino al paese di tre lettere. Ma è proprio vero che la storia della musica moderna comincia da Hendrix, quel che c’è prima è archeologia.

Ma non divaghiamo: lo scopo di questo post è segnalare che sta uscendo il nuovo disco dei Coldplay. Potevate farne a meno? Potevatelo, ma sarà impossibile lo stesso. Io ho molto apprezzato X&Y, ma solo perché ero in un periodo depresso: riascoltato ora, è una vera lagna… ma magari è solo che i dischi si consumano, quando ne hai sfruttato completamente il contenuto emotivo li puoi archiviare e ritirare fuori solo ogni tanto per una rimpatriata. Comunque, c’è una buona notizia: il sound del singolo Violet Hill è piacevolmente diverso dal disco precedente. Radiofonico, leccatino, ma un po’ più duro e con una spaziale armonia di piano solo alla fine. Promette bene.

Audio clip: Adobe Flash Player (version 9 or above) is required to play this audio clip. Download the latest version here. You also need to have JavaScript enabled in your browser.

[tags]musica, beach boys, pet sounds, coldplay, violet hill, bra[/tags]

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giovedì 15 Maggio 2008, 14:05

Craxi nostri

Ho letto in giro tanti commenti alla scelta dei ministri, ma quasi nessuno ha parlato dei sottosegretari; eppure, in quella lista ci troviamo tanti nomi interessanti. E non mi riferisco soltanto allo scontato Martinat, al fatto che finalmente abbiano trovato una seggiola su cui piazzare la Brambilla, o che abbiano scontatamente ringraziato Pizza con un posto all’Istruzione, o che uno dei due sottosegretari “tecnici”, ai Trasporti, sia il nostrano Bartolomeo “Mino” Giachino, che di pullman sicuramente se ne intende.

Non mi riferisco soltanto alla brillante assenza di Lucio Stanca dalla lista dei sottosegretari dopo aver mancato quella dei ministri, il che significa che per il momento l’innovazione tecnologica è vacante (suvvia, almeno potevano metterci Malan, che a un IGF è venuto).

E non parlo nemmeno dei vari cognomi noti e figli di papà, da Giuseppe Cossiga alla Difesa – sì, è il figlio di Cossiga; sì, persino Cossiga si è riprodotto – a Enzo Scotti agli Esteri – e in questo caso non è il figlio, è proprio lui, l’ex ministro democristiano degli anni ’70 e ’80.

Parlo invece di un caso che è così esemplare di come stia la politica italiana in questi anni che è incredibile che non sia citato su tutti i blog. Sapete chi era sottosegretario agli Esteri nel governo Prodi? No? Era lui, Vittorio “Bobo” Craxi. E chi è sottosegretario agli Esteri nel nuovo governo Berlusconi? Ma, ça va sans dire, è lei, Stefania Craxi. E noi stiamo ancora qui a scannarci tra sostenitori del PD e sostenitori del PDL

[tags]politica, governo, berlusconi, sottosegretari, craxi[/tags]

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giovedì 15 Maggio 2008, 11:17

Gli americani son sempre avanti

Ieri sera un nutrito gruppo di commentatori regolari di questo blog, aiutandosi con una pinta di Super Storm, mi ha convinto che se tutti i blog d’Italia dedicano ampio spazio al profilo LinkedIn di Rocco Siffredi (che peraltro è al mio terzo livello) allora io posso dedicare un post al bukkake.

Stando a Wikipedia, il bukkake “è una pratica di sesso di gruppo in cui una serie di uomini eiaculano a turno o insieme su una donna o su un uomo, spesso inginocchiato/a”; ma non è questo l’importante. L’importante invece è notare che, sempre stando a Wikipedia, “alcuni movimenti cristiani americani hanno vivamente protestato per la sua diffusione negli Stati Uniti, per la contravvenzione all’ordine divino di non disperdere il seme. Dopo diversi dibattiti, tali associazioni hanno deciso di ritirare la protesta a condizione che il seme disperso venga subito raccolto e donato ad associazioni benefiche che si occupano delle coppie con problemi di sterilità.” Non c’è che dire, in termini di moralismo ipocrita gli americani sono sempre anni luce avanti a noi!

[tags]bukkake, sesso, rocco siffredi, linkedin, stati uniti, moralismo[/tags]

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mercoledì 14 Maggio 2008, 11:49

Ladri di bambini

Ha suscitato molto clamore nei giorni scorsi la vicenda della ragazzina rom che, a Napoli, avrebbe tentato di rapire un neonato; molto clamore e anche le solite reazioni standardizzate, da quella della sinistra radicale secondo cui il problema non esiste ed è tutto razzismo, a quella della gente comune che va a tirare le molotov sui campi nomadi.

E’ vero che l’idea che i rom rapiscano i neonati italiani per rivenderli o per crescerli come propri (come se non ne facessero abbastanza loro) è al momento priva di prove, insomma una leggenda metropolitana. Non è una leggenda, invece, una situazione di cui i giornali invece non parlano quasi mai: quella dei bimbi rapiti dallo Stato.

Già, perché ogni giorno succede che qualche assistente sociale si presenti senza preavviso davanti a una scuola o a una porta di casa, accompagnata dai carabinieri, e “per il loro bene” si porti via uno o più bambini. Se avviene a scuola, i genitori vengono informati solo quando i bambini sono già via; se avviene a casa, hanno venti minuti per preparargli una borsa e salutarli. Spesso, i genitori non riavranno mai più i loro figli; al massimo otterranno un incontro settimanale, presso la comunità dove sono ospitati.

Certo, direte voi, queste cose sono dolorose ma inevitabili, perché ci sono tanti genitori incapaci di crescere dei figli, drogati, pazzi, immaturi, incapaci di mantenerli. Eppure, quelle poche volte in cui queste storie assurgono all’onore delle cronache, ci si accorge che ci sono tante, troppe cose che lasciano perplessi. Per esempio, potete leggere la storia di Basiglio, dove è stato sufficiente un disegno fatto da non si sa chi ma quasi certamente falso, insieme alle maldicenze della gente, per far rapire i figli alla famiglia. Oppure quella di Ivrea, dove è stato sufficiente un asciugamano sporco per condannare una bambina di una famiglia perfettamente normale a un anno e mezzo senza padre e chiusa con la madre in una comunità di donne tossicodipendenti.

Anche per testimonianze dirette, le visite delle assistenti sociali e delle psicologhe dei servizi sociali – quasi sempre donne, anche senza figli propri, e quindi con (teorica) preparazione sui libri ma non sul campo – sono descritte come delle specie di inquisizioni che, se non avessero conseguenze così drammatiche, ricorderebbero Homer Simpson che va a fare l’esame della patente dalle cognate: c’è una macchia di sugo sulla tovaglia? Meno un punto. La casa è poco luminosa? Meno due punti. Il padre torna a casa, incespica in uno spigolo e bestemmia? Meno cinque punti. Insomma, un sistema in cui il requisito è la perfezione, e qualsiasi cosa è presa come giustificazione per punire.

Eppure, chiunque può dirvi che, fino a che i genitori non diventano molto violenti o totalmente incapaci, qualsiasi genitore è meglio di nessun genitore o della comunità, che sono traumi spaventosi e comunque insanabili; e anche – per bambini già grandi – dell’affido o dell’adozione, che comunque non saranno mai come una famiglia naturale. E invece, ogni volta che se ne parla saltano fuori storie disperate, certo raccontate dal punto di vista distorto dei genitori, ma comunque agghiaccianti.

L’ultima è questa: due genitori chiaramente sempliciotti, chiaramente immaturi, a cominciare dall’idea di fare cinque figli senza poterli mantenere perché “così vuole Iddio”, per proseguire con la malsana pensata di farsi sfrattare apposta per avere più punti per la casa popolare, rimanendo poi in mezzo a una strada. Ne penso tutto il male possibile, non gli darei mai una casa, ma leggendo i commenti si scoprono tante cose preoccupanti, a partire da quanto questi genitori comunque si sbattessero per i loro figli.

Sembra insomma che ci sia una pratica diffusa di portare via i bambini alle famiglie non appena ce ne sia la scusa, per sbatterli in qualche comunità. Perché? Ecco, io non vorrei pensare male, ma ognuna di queste comunità – molte cattoliche, molte private – riceve cinquemila euro al mese per bambino per il disturbo, dandogli poi da mangiare, come risulta dai racconti, merendine scadute e fondi di magazzino, tenendoli al freddo e risparmiando su tutto.

Esattamente come gli anziani e come i disabili, anche i bambini “assistiti” sono un enorme business; ancora più semplice, perché non li devi legare al letto e non devi rispondere del loro trattamento a nessuno, dopo che i genitori sono stati squalificati per legge. E c’è qualcuno di voi disposto a pensare che non ci siano casi di comunità che passano mazzette per avere più bambini, di assistenti sociali che ricevono percentuali, di giudici burocrati e scazzati che timbrano affidi senza neanche guardarli, e infine di un grande giro di soldi pubblici che ricade su tutti gli amici degli amici?

E’ certamente difficile valutare cosa sia meglio per un bambino, ed è difficile scoprire la verità di una vita dai racconti dei giornali, specie in un contesto dove si parla di affetti e psicologia, quindi dove la verità oggettiva non esiste. Proprio per questo, il mondo dei furti statali di bambini dovrebbe ricevere molta più attenzione. Ma fa molto più notizia la leggenda dei rom.

[tags]rom, bambini, affido, adozione, assistenti sociali, comunità, basiglio, ivrea, torino[/tags]

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martedì 13 Maggio 2008, 13:23

Empatia

Si potrebbe parlare di Travaglio, di Fazio, di come questo Paese stia lentamente scivolando verso una dittatura molle e melensa, anzi forse lo è già, visto che certe cose non si possono dire e comunque vengono fatte passare per normali, e che l’aspirazione principale di moltissimi italiani, anche quelli più acculturati, non è rovesciare la casta ma entrare a farne parte. Ma forse è meglio parlar d’altro.

Infatti, anche in una situazione così grigia c’è per fortuna qualcosa da cui si può ripartire: l’umanità. In mezzo a tante discussioni per questioni pubbliche, fa bene ogni tanto leggere le storie private, che poi non sono così diverse tra loro. Ad esempio, fa bene leggere la rubrica di cuori solitari di Gramellini, su Specchio; saranno spesso banalità, ma importa poco, perché lo scopo non è trarne buoni consigli per se stessi, che tanto i buoni consigli servono a poco fino a che le cose non si maturano da soli. Fa bene, invece, per sviluppare empatia; per imparare a mettersi nei panni degli altri, soprattutto emotivi.

Ecco, l’empatia è una cosa che va sempre più svanendo, nella nostra società. Siamo tutti presi a recitare una funzione, anzi esistono precise direttive contro l’essere comprensivi per gli altri, a partire dal concetto che esprimere emozioni durante lo svolgimento del proprio lavoro sarebbe “poco professionale”. Si arriva al caso limite dell’uomo macchinetta, peggio dell’operaio di Tempi moderni; per esempio, l’uomo macchinetta che ti vende i biglietti del tram all’edicola di Milano Centrale, a cui vorresti dire fermati, aspetta, come ti chiami, di che umore sei oggi, dove vai quest’estate in vacanza, e invece lui è lì che spara biglietti come carte di poker, ritirando le fiche dalle mani di una folla anonima, e guai ad inceppare il suo funzionamento.

Dev’essere un trucco; eliminare le emozioni dalla società ne aumenta l’efficienza. Ma l’efficienza per cosa? Non per la felicità; per quella, soddisfatte due o tre esigenze materiali primarie, è appunto questione di beni immateriali; di empatia e di rapporti con gli altri e prima ancora con se stessi. Oggi, la naturalezza dei nostri scambi emotivi è sotterrata sotto una pila di vincoli e costruzioni e pressioni di vario genere; per questo, ogni tanto, è bene ritirarla fuori, meditarci, e condividerla con gli altri.

[tags]stampa, gramellini, cuori, specchio, amore, empatia[/tags]

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lunedì 12 Maggio 2008, 12:28

Questa è una malattia

Che cos’è che ti fa svegliare alle sette del mattino di una domenica, salire su un pullman alle otto, scenderne alle due e un quarto – tu seduto, ma alcuni dopo sei ore di viaggio in piedi causa overbooking – e poi cantare per tutta una partita e anche dopo, anche quando non c’è più nessuno, anche dopo anni di delusioni e figuracce, e poi risalire sul pullman alle sei meno un quarto, sciropparti altre sette ore di autostrade e di code, per arrivare a casa all’una e mezza di notte?

Ieri eravamo in tantissimi, a chiedercelo, allo stadio Armando Picchi di Livorno, e abbiamo concluso che è una malattia, l’affezione al calcio come era e come dovrebbe essere, dove il risultato è irrilevante, e lo spettacolo non è in campo, è sugli spalti. Il racconto completo in diciannove video è sul forum di Forzatoro, qui ne metto soltanto quattro: l’ingresso, la festa nell’intervallo, il coro che sfida il vuoto, il cuore che non finisce mai. Per capire meglio cosa significa il tifo “vecchio stile”, contro il calcio moderno.

[tags]toro, calcio, serie a, ultras, tifo, livorno[/tags]

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sabato 10 Maggio 2008, 10:25

Sputtanando i blog

Lo so che non devo parlar male di Mantellini. Lo so che, in Italia, parlar male di chiunque sia famoso o potente all’interno di un qualsivoglia circolo sociale viene ripagato con croci sopra il tuo nome e anni di silenzioso ostruzionismo, per cui dopo potrai essere bravo e capace quanto vuoi, ma ti vedrai continuamente passare davanti quelli che parlano sempre bene di tutti o quelli che leccano il culo al capo fino a rendersi la faccia indistinguibile dal posteriore. Però a me viene naturale fare così; ho messo al blog un apposito sottotitolo, “come rovinarsi una brillante carriera in Italia”, e me ne farò una ragione. E soprattutto, nel caso specifico, Mantellini se le cerca da solo.

Sappiamo tutti che esiste sulla rete italiana un circolo di qualche decina persone di cui onestamente ignoro l’occupazione ufficiale, ma che hanno tempo e soldi per andare a spazzolare i buffet di questo o quell’evento pubblicitario, in cambio del parlarne entusiasticamente sul loro blog. Questi blogger hanno sicuramente dei meriti, se no la gente non li leggerebbe (anche se questo, pensandoci bene, si potrebbe dire anche di Bruno Vespa); però si ha effettivamente l’impressione che i loro blog abbiano perso lo scopo, e si siano ridotti a un po’ di chiacchiericcio e un po’ di link al video buffo o all’argomento del giorno, nel puro tentativo di preservare traffico e status.

Insomma, i “top blog” italiani mi sembrano un po’ come quei locali che da appena aperti fanno un successone, perché sono nuovi e perché si mangia bene e costa poco; poi, piano piano, i gestori perdono la voglia, cominciano a tirare sui prezzi o sulla qualità per guadagnare di più, scelgono la marca della birra per motivi di marketing invece che perché è buona, e insomma tu continui ad andarci per inerzia e perché ormai tutti si sono abituati a trovarsi lì, ma ti rendi conto che non è più come prima.

L’occasione dell’ennesima discussione è stata questo post di PaulTheWineGuy, che nonostante il nick fighetto e TuttoInCamelCase (questo lo devo dire perché, come detto, io parlo male di tutti nel modo più offensivo possibile) è spesso linkato da .mau., quindi deve essere un tipo intelligente; il post definisce i blogger di cui sopra delle “scimmiette ammaestrate”, e anche se l’epiteto a me sembra davvero eccessivo, la descrizione del fenomeno mi pare corretta.

Mantellini ha risposto alla provocazione e, pur intercalando qualche complimento (lui invece deve comunque parlar bene di tutti), gli ha dato dell’“esterno”. In pratica gli ha detto: io e te siamo razze diverse, io sono “top blogger”, tu sei solo “blogger” e le due cose sono ben diverse.

La cosa finirebbe lì se dai commenti non avessi notato una cosa preoccupante: la marchetta. In pratica, prima Mantellini fa un post con una enorme foto della WiiFit, suggerendo che se la vuol comprare. Poi, guarda caso, qualche tempo dopo compare sulla destra del suo blog un bel banner della WiiFit con il link al sito della Nintendo. Pubblicità? Certo, è spiegato qui: “dopo molti anni ho deciso che anche questo blog come tutti gli altri doveva contenere una sezione pubblicita’”. Come tutti gli altri?? Gli altri quali?

Francamente, non ho visto molti blog con una “sezione pubblicità”; ho visto qualche blog con le AdWords di Google, che sono un modo per monetizzare un po’ il traffico senza però avere rapporti diretti con inserzionisti e quindi senza avere potenziali vincoli economici su quel che si scrive. La maggior parte dei blog che leggo, comunque, non ha nemmeno mezza riga di pubblicità.

Però, dice Mantellini, faccio pubblicità gratis e solo a prodotti che mi sono piaciuti. Ok, l’ho fatto anch’io, con Lidl; ma l’ho fatta con dei post argomentati e non con degli slogan, e poi l’ho criticata quando ha alzato i prezzi, e soprattutto non mi sognerei mai di ospitare un banner Lidl gratis. Paradossalmente, sarebbe meglio essere pagati (e renderlo noto): almeno è un rapporto commerciale chiaro, e a quel che scrivi i lettori fanno la tara. Così, invece, anche se fatta con buone intenzioni, diventa una unilaterale leccata di culo… ma nemmeno a una persona, a una multinazionale! Dall’esterno, è semplicemente naturale avere il dubbio se Mantellini, la WiiFit, l’abbia davvero pagata; se gli piaccia davvero o se esageri in cambio dell’invito al prossimo buffet. E il dubbio è terribile, perché è un fantasma che, anche trovandosi nella miglior buona fede, non si riesce mai a disperdere completamente.

Ecco, questa è la cosa che più mi urta: che i blog, Internet, sono lo strumento abilitante per rompere la cappa di disinformazione e di regime che soffoca l’Italia, per far circolare idee e informazioni che i media tradizionali omettono accuratamente. E invece, se per “blog” si intende quella cosa lì, la parola “blog” viene presto sputtanata: perché a forza di suscitare dubbi del genere, anche se fossero completamente infondati, molti cominceranno a pensare che non ci si può fidare nemmeno più dei blog, tutti, indistintamente. E ci toccheranno altri cinquant’anni di informazione di regime.

[tags]blog, blogosfera, pubblicità[/tags]

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