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sabato 19 Aprile 2008, 20:14

La magia dei numeri

So che alcuni di voi lo stavano aspettando, e quindi eccolo qui: il post dell’anniversario. Che in realtà è un doppio anniversario, prima perché esattamente due anni fa – pochi giorni dopo aver chiuso Toblòg, il precedente blog che risaliva al 2003 – nasceva questo blog, e poi perché questo è il post numero mille, anche se in realtà, visto il modo in cui WordPress numera gli articoli, effettivamente i post di questi due anni sono soltanto 915.

Questo è il primo blog in cui mi sia dato l’obiettivo di postare almeno una volta al giorno; non è un obiettivo semplice, perché io tendo a scrivere articoli complessi ed è raro che ci metta meno di mezz’ora a scriverli, anzi più facilmente, tra idea, raccolta e verifica delle fonti, stesura e revisione, ci vuole un’ora, talvolta due. Alle volte i post vengono un po’ forzati, ma in generale lo faccio volentieri e mi piace; del resto non ho obblighi e nessuno mi paga per scrivere, nemmeno indirettamente tramite pubblicità o visibilità.

Non sempre i post sono belli, o almeno, non sempre mi soddisfano; d’altra parte i post che più mi piacciono raramente sono quelli che piacciono ai lettori o che suscitano la loro reazione (peraltro le due cose non sempre sono correlate, anzi mi piacerebbe mettere un pulsantino per permettervi di diggare ed uppare i post che trovate più interessanti senza necessariamente doverli commentare). A me soddisfano di più i post contemplativi o metafisici, anche se mi ritrovo troppo spesso a pubblicare dei rant politico-sociali, e ripensandoci non è bello.

Un blog è un compagno di viaggio. Questo è nato in fretta e furia in un momento di cambiamenti (aprile, si sa, è periodo di ormoni agitati), per cui tre giorni dopo aver deciso di non avere più un blog, sentii l’esigenza di avere un blog. Il titolo – che onestamente non mi soddisfa affatto, non si capisce e non cattura l’attenzione – venne fuori per caso, così come lo stile grafico alberato, che invece continua a piacermi; del resto, ogni vero viaggio si snoda per una foresta oscura.

Di lì in poi, sui vostri schermi è passato un po’ di tutto; serietà, ironia, sarcasmo, saccenza, rabbia, meditazioni, consigli tecnici, musica, viaggi, aneddoti e racconti di vita. In effetti, più che un blog è un vagabondaggio, e anche lo stile e gli argomenti seguono la mia vita, che in questi due anni è cambiata parecchio (e qui cade bene, per chi non le ha mai viste, il link alla galleria di foto che mi ritraggono e a quella di foto che non mi ritraggono). Infatti, nei primi mesi mi capitava spesso di scrivere mezzi post e poi lasciarli lì, mentre ultimamente sono inappuntabilmente efficiente, persino troppo, tanto da farmi venire il dubbio che si sia un po’ perso il canale diretto tra l’animo e la tastiera.

Ad ogni modo, l’aspetto più gratificante di avere un blog è il confronto continuo con i pareri dei lettori, sia quelli che conosci direttamente che quelli che si sono aggiunti man mano; questo blog ha una media di quasi quattromila pageview al giorno, anche se, stando alle statistiche, più del 40% sono motori di ricerca e altri spider. Restano comunque un paio di migliaia di pagine viste ogni giorno da esseri umani; non ho idea di quante ne facciano i blog da top 100 o quelli da top 10 – e poi, ora che ci siamo liberati della classifica di Blogbabel, per fortuna non esistono più i blog da top 10, siamo tutti puzzoni uguale – ma per me restano tantissime, anzi faccio fatica a pensare che non sia Awstat che si sbaglia…

All’alba del terz’anno di vita, che cosa ci attende dunque? Non lo so; ultimamente ho realizzato di avere ancora da completare parecchio del programma degli anni ’80… non basta mica soltanto girare in tondo attorno a un buco nel terreno; c’è anche cantare una nuova canzone non si sa tra quanto, pensare d’aver pensato d’averti visto provare, viaggiare per il mondo e per i sette mari, benedire le piogge laggiù in Africa, capire una buona volta dove andiamo adesso, rimanere dentro un muto pozzo di tristezza, e infine morire (se devi morire) con gli stivali addosso. Ah, e capire perché, se aveva tutta ‘sta voglia di qualcuno che la toccasse e la facesse sentire se stessa, non aveva pubblicato il numero di telefono, ma solo uno strip poker per Commodore 64.

Insomma, sia io che voi, nella vita, non solo possiamo ancora combinarne di tutti i colori, ma abbiamo una lunga lista di sogni d’infanzia da appagare: basta volerlo. E’ con questo spirito che vi lascio, e mi preparo alla stupefacente vittoria del Toro con l’Inter… Vabbe’, ok, a tutto c’è un limite. Ma sarà lo stesso un altro anno interessante.

[tags]blog, anniversari, anni ’80, near a tree[/tags]

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sabato 19 Aprile 2008, 08:48

Iva

Mi è capitato, nella settimana prima delle elezioni, di fare un lavoretto per la sezione locale di un partito; l’ex regista della compagnia teatrale parrocchiale in cui suonavo anni fa lavora lì, e aveva bisogno di qualcuno che gli montasse velocemente un piccolo servizio Web. L’importo della commessa, prezzo da amico, è stato di ben trecento euro lordi, più IVA.

Così, martedì mattina, mando la fattura; ricevo una risposta che mi dice che la fattura è sbagliata, perché ho applicato l’IVA al 20%. Chiedo lumi, e mi viene spiegato che “ai sensi del DPR 633/72, tabella A, parte seconda, n. 18 e successive modifiche, art. 18 L. 515/93”, su tutte le spese relative alla campagna elettorale i partiti (ma anche i singoli candidati) pagano l’IVA ridotta al 4%. Non so se ci siano dei limiti, ma ho il sospetto che pure i PC e i tavoli, se da usare durante eventi della campagna elettorale, possano essere acquistati risparmiando l’80% dell’IVA.

Pur mantenendo la mia indipendenza, non sputo nel piatto che mi ha pagato (una volta tolte le tasse) un paio di cene, e quindi alzo un sopracciglio ma non mi lamento; del resto, se le proprietà della Chiesa in Italia non pagano l’ICI, cosa c’è di male nel fatto che i partiti non paghino l’IVA? Solo, spero che questa non sia l’unica riduzione di tasse che il mondo politico riuscirà a partorire…
[tags]tasse, partiti, iva[/tags]

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venerdì 18 Aprile 2008, 14:53

Giustizia

È sempre interessante interrompere la sequenza di notizie serie, quando non frustranti, per leggere di qualche episodio strambo (per quanto, come in questo caso, con nefaste conseguenze per qualcuno dei protagonisti).

L’episodio di oggi è questo: a Lecco, una signora di 55 anni, pendolare, prende ogni mattina il treno per Milano. Un giorno, nel treno carico di pendolari, un giovane di circa trent’anni arriva, le fa spostare il cappotto, e si siede davanti a lei; non dice niente, non fa niente, i due non scambiano una parola; ma, secondo la signora, lui passa tutto il tempo a guardarle le tette. Anche il giorno dopo, il ragazzo si siede nello stesso gruppo di sedili della signora; e anche quel giorno, secondo la signora, pur non succedendo assolutamente niente, continua lo sguardo insistente. A questo punto, scesa dal treno, la signora corre dalla Polizia Ferroviaria, fa identificare il ragazzo, presenta denuncia, e dopo tre anni lui viene condannato da un giudice di Lecco a dieci giorni di reclusione per molestie.

La signora giornalista della Stampa Flavia Amabile non si scopre, e si limita a riportare l’episodio senza dire apertamente cosa ne pensi; i post del suo blog però tendono a presentarla come una femminista, a partire dall’articolo precedente dedicato alle donne che denunciano Di Pietro e Ferrara per discriminazione e all’introduzione nel sistema penale del concetto di “femminicidio”, ossia una aggravante quando una donna “viene uccisa in quanto donna” (non sono sicuro di aver capito). Penso quindi che sperasse in una risposta un po’ più calorosa per le sofferenze immateriali di questa povera signora.

I commenti del pubblico, invece, sono impietosi: oltre cento e non uno a favore della signora. Dall’indignazione allo scherno, la critica si divide equamente tra la presunta vittima e il giudice che ha trovato il tempo di darle ragione (e qualcuno se la prende anche con la giornalista). Anche io mi unisco alla pomodorata virtuale: se veramente non c’è stato di più, e se è stato sufficiente stare per due volte di fila nello stesso scompartimento per venire condannati per molestia, mi sembra che si sia completamente perso il senso della misura; la condanna si spiegherebbe soltanto con una visione pesantemente ideologica del giudice stesso.

Se lo sguardo dava fastidio, la signora poteva semplicemente chiedere di smettere, o al limite cambiare lei posto; ma soprattutto, non c’è nulla in questa faccenda che provi l’intenzione di offendere del ragazzo, o nemmeno la consapevolezza del fatto che il suo comportamento desse fastidio alla signora, visto che pare che lei non si sia degnata di dirglielo. Peraltro, come insegnano Freud e discepoli, nel cervello vige la legge del taglione: in mancanza di comunicazioni dirette da parte dell’altro, noi pensiamo istintivamente che lui voglia fare a noi ciò che noi vorremmo fare a lui. Saranno quindi un po’ malevoli i numerosi commenti che suggeriscono che la signora, in un approccio, più che altro ci sperasse; ma sono secondo me anche molto credibili.

Comunque, in attesa che a prendersi cura della dignità calpestata delle donne si adoperi il nuovo ministro della Famiglia Mara Carfagna – ammesso che lo diventi veramente e che non sia solo un pettegolezzo di centrosinistri frustrati -, il vero dramma di questa storia mi sembra il giudice, e la giustizia italiana in generale. Io non me ne intendo, e posso immaginare che il giudice che ha seguito questo caso non sia lo stesso che segue gli omicidi, i furti e lo spaccio di droga; ma in un sistema al collasso, dove i mafiosi escono per decorrenza dei termini o perché il giudice non si degna di scrivere la sentenza, dove la polizia si lamenta di rischiare la vita per arrestare spacciatori e rapinatori che il giorno dopo vengono rimessi in libertà, come può un giudice perdere tempo con una stupidaggine del genere?

La giustizia dovrebbe funzionare come una qualsiasi organizzazione, con priorità e con una catena di comando dove il dipendente che perde tempo, che non lavora, che si perde in indagini e processi inutili o che le spara grosse per visibilità personale, viene controllato ed eventualmente cazziato dai propri superiori, fino a perdere il lavoro. Invece, per esempio, il giudice che non scrive le sentenze e lascia in libertà i mafiosi è stato protetto ed assolto dal CSM, che comunque gli farà un procedimento, ma con la dovuta calma, come se il problema non fosse grave.

Certo che, a ripensarci, anche certe sparate di Berlusconi sembrano meno ingiustificate: non c’è dubbio che Silvio abbia depenalizzato i reati che gli interessavano (gli altri, peraltro, hanno fatto direttamente un indulto), ma non c’è nemmeno dubbio che la magistratura, pur contenendo al proprio interno un certo numero di eroi, sia in buona parte una struttura parastatale sclerotizzata e inefficiente, arroccata sulle proprie prerogative esattamente come tutte le altre.

[tags]giustizia, femminismo, lecco, molestie[/tags]

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giovedì 17 Aprile 2008, 17:23

Cielo

Oggi è una giornata decisamente grigia, tanto che fuori dalla mia finestra c’è il nulla, solo un bagliore smorto e lattiginoso disteso uniformemente sui tetti come se fosse il cielo.

E così, oggi non parlerò di politica se non per notare che per la prima volta, sulla mia lista di benpensanti internazionali del futuro della rete, è stato menzionato un politico italiano, e non solo: il suo pensiero è stato riportato da una delle persone più apprezzate e menzionato come illuminante, moderno e condivisibile. E’ interessante quindi notare come la citazione fosse “market if possible, state if necessary”, dalla lettera di Giulio Tremonti pubblicata ieri dal Financial Times: che dire, Tremonti è suscettibile, ma almeno sa scrivere in inglese.

Comunque, oggi il modo è pigro e sonnacchioso, e dal punto di vista lavorativo produco davvero poco. Però stamattina ho fatto una cosa che non si fa spesso: sono andato a piedi alle Gru.

E’ successo che ho portato la macchina dal solito carrozziere, quello convenzionato con la ditta di leasing, che due volte l’anno toglie le gomme invernali e mette quelle estive o viceversa, una roba che faccio perché è inclusa nel prezzo ma che prova ulteriormente come il nostro stile di vita sia, in termini di abuso di risorse, insensato.

Per cambiare quattro gomme ci mettono un’ora; probabilmente ciò dipende anche dalla scena che ho visto entrando nell’ufficio, dove la vecchia contabile chiedeva al giovane aiutante come si potesse entrare nel computer. Il giovane le spiegava che doveva usare “admin, admin” come username e password. La signora sbuffava, se lo faceva ripetere due o tre volte, si faceva fare lo spelling di “admin”, e infine se ne usciva esasperata: “Ma insomma! Non potremmo avere una sola password uguale per tutti?”.

Non avendo voglia di aspettare un’ora in officina, io regolarmente ne approfitto: da via Villa Sant’Anselmo, praticamente all’angolo con via Bard, mi incammino per cinque minuti verso il centro; passo davanti a Roby, poi alla sede della Chiesa Cristiana Pentecostale (Chapel of Victory), e infine arrivo a girare a destra in via Porta Littoria. E’ una zona interessante, dove l’isola costruita della città si sfrangia contro l’oceano dei prati, e gli edifici sono bassi e irregolari, salvo qualche palazzo anni ’70 che si staglia ma sembra completamente fuori posto.

In breve, la via arriva all’orlo della città; l’ultima casetta prima del mare è il famoso “centro estetico”, una anonima villetta caratterizzata da una piccola targa d’ottone con la scritta “Centro Estetico – Suonare”; non ci sono insegne di alcun tipo e nulla che attiri l’attenzione, e naturalmente nessuno metterebbe mai un centro estetico al fondo di via Porta Littoria, una via di estrema periferia dove non puoi proprio arrivare per caso, se non fosse in realtà un “centro estetico”; tanto è vero che oggi, ripassando dopo mesi, ho scoperto che sulla targa d’ottone c’è appiccicato un cartello a pennarello con scritto “Il centro estetico ha chiuso DEFINITIVAMENTE”.

L’orlo della città è un luogo molto particolare; la strada principale che arriva dal centro finisce nello sterrato, e subito dopo nel sottosovrappasso pedonale della ferrovia, una stranezza topologica per cui l’attraversamento ferroviario passa sia sopra che sotto ai binari. Ci sono muratori romeni che bivaccano in macchina, vecchi rifiuti abbandonati, e a destra segue il prato, mentre a sinistra incomincia Torino. Il sottosovrappasso è squallido, e quasi sempre si incrocia qualcuno che piscia; l’interno è ripieno di scritte di studenti che si amano o si mancano, anche se non ci sono scuole nel raggio di chilometri.

Dall’altra parte, si sbuca sullo stradone delle Gru, anzi su un ponte sul verde, largo e recente, che si stacca ardito dalla borgata Lesna, trattenendo il fiato per saltare i prati, e giunge fino al centro commerciale, ignorando nel tragitto un antico podere di campagna che oggi è diroccato, ma che ai suoi tempi, un tre secoli fa, doveva essere davvero bello.

Se arrivate alle Gru in auto, non vedrete mai tutto questo; quei trecento metri saranno solo un lampo in una accelerata evaporazione di petrolio. A piedi, invece, si respira il non-luogo; un posto apparentemente insignificante e vuoto, dove però, tutto attorno, si stratifica con evidenza la vita umana. Respirando il vento e l’umidità del prato, ti puoi immaginare l’antica strada sterrata che portava a Grugliasco, i campi coltivati, la villa settecentesca prima florida, poi diroccata, poi la costruzione del lungo rettilineo della ferrovia per la Francia, la strada asfaltata, le case che cominciano a spuntare come funghi dall’altro lato, l’invasione della città sulla campagna, la chiusura del passaggio a livello che devia il flusso di auto e condanna il futuro centro estetico al suo magico isolamento. E poi il cantiere per il trincerone ferroviario per l’interporto, il centro commerciale, l’allargamento della strada e le invasioni barbariche di tutti i sabati pomeriggio, e siamo arrivati ai giorni nostri.

A metà di tutto questo, un’auto con la scritta “CITTA’ DI TORINO” si ferma proprio accanto a me e alla villa pericolante. Un tizio scende, guarda con attenzione un cartello, poi esclama: “Ma minchia!! E’ comune di Grugliasco!” (lo sapevo pur io, il confine passa proprio sulla strada). Il compare, dall’auto, fa un segno di stizza. Alla fine il primo esclama “Vabbe’, facciamo lo stesso le foto, poi le mandiamo al comune di Grugliasco”. Giornata salvata.

P.S. Naturalmente, dopo essere tornato a casa, la carrozzeria mi ha richiamato per dirmi che avevano montato le gomme sbagliate, cioè due vecchie invece di due nuove che mi erano “dovute” (cioè, che potevano essere montate sulla mia auto addebitandole alla ditta di noleggio e facendo quindi aumentare il conto). Quindi dovrò fare un’altra passeggiata la prossima settimana; nel frattempo, però, per sconfiggere un po’ il cielo grigio (e per averlo promesso a Fabbrone ieri sera), ecco qui Soledad Pastorutti con la sua Tren del cielo. Viva il cielo azzurro, e viva un po’ di sano folk-rock latinoamericano; basta con la plastica stinta della musica anglosassone, e con la roba da vecchi che tira regolarmente fuori Suzukimaruti!

[tags]torino, le gru, tremonti, suzukimaruti, soledad pastorutti, musica argentina, admin, password, carrozzeria, porta littoria, passeggiate urbane, vita, cielo[/tags]

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mercoledì 16 Aprile 2008, 13:18

Tanto tuonò che piovve

Vorrei potervi raccontare della bella cena della curva Primavera tenutasi ieri, ospite d’onore Alberto Pozzo, e in un angolino c’era anche Matteo Sereni che lo ha premiato.

Arriva ora però una notizia surreale: Cairo avrebbe appena esonerato Walter Novellino, richiamando al suo posto nientepopodimenoche Gianni De Biasi, l’allenatore cacciato in agosto prima ancora che cominciasse il campionato, richiamato a febbraio, ricacciato a luglio e ora richiamato in aprile.

Certo, ieri all’allenamento c’era stata una contestazione pesante, con insulti e sputi alla squadra e ad alcuni giocatori in particolare (Recoba e Di Michele su tutti), ritenuti pigri e svogliati. E può darsi che cambiare allenatore fosse l’unica cosa da fare, nel caso in cui si sia giunti a una situazione di incompatibilità tra lui e la squadra. Pare sia vero che dopo il buon primo tempo di Toro-Empoli Novellino sia rientrato negli spogliatoi isterico e mandando tutti affanculo, al punto che due o tre giocatori si sarebbero rifiutati di rientrare in campo e solo l’intervento di Cairo li avrebbe convinti in extremis a desistere (basta che guardiate quelli che sono usciti dal tunnel due minuti in ritardo, facendo aspettare tutto lo stadio e i compagni già schierati); risultato, secondo tempo fantasma e sconfitta.

Ciò detto, nel calcio c’è anche una dignità; e riprendendo un allenatore scarso e viscido, uno che ha manovrato lo spogliatoio per tutto lo scorso anno per far fuori il collega che l’aveva rimpiazzato (e chissà se ha ripetuto l’exploit in queste settimane), Cairo ha veramente compiuto una buffonata. Bastava prendere un Pigino o uno Zaccarelli qualsiasi, per traghettare la squadra per cinque giornate verso il suo destino, qualsiasi esso sia; tanto a questo punto la tattica fa poca differenza. Invece, Cairo – dopo tre anni di errori – ha voluto rendersi ridicolo, e ha reso ridicolo anche il Toro. E io, dopo molti anni, non so se domenica avrò voglia di andare allo stadio: perché, anche se dovessero arrivare i risultati, la coerenza, la dignità, l’onestà e la serietà vengono prima di tutto.

[tags]torino, cairo, calcio[/tags]

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martedì 15 Aprile 2008, 08:20

Il V-day della sinistra

Oggi, 15 aprile, è il V-day della sinistra: quello in cui tutti i blog intellettuali e benpensanti, così come le case della borghesia progressista, si riempiono di lamenti e imprecazioni che alla fine possono essere riassunti come “Vaffanculo, Italia!”; in risposta peraltro a una elezione in cui l’Italia ha chiaramente mandato affanculo l’idea stessa di sinistra così come tradizionalmente concepita nel nostro Paese.

Certo, l’idea di un Parlamento in cui il senatore più di sinistra sarà Emma Bonino fa effetto (per quanto, come dissi, la Bonino sia uno dei maggiori motivi per il mio voto al PD, spero anzi che possa conquistarsi più visibilità). Tuttavia, liquidare questo voto con analisi che, più o meno elegantemente, concludono che gli italiani sono tutti mafiosi o egoisti o stupidi o ignoranti o tutte queste cose insieme sarebbe una ulteriore prova di quella incapacità che ha portato la sinistra alla disfatta: l’incapacità di ripensarsi, di avere la mente sgombra da pregiudizi ideologici, di affrontare i problemi invece che giudicare le persone e pretendere di avere sempre ragione per principio.

E’ vero che l’Italia ha un problema morale, che il voto di scambio è diffuso, che moltissimi pensano col portafoglio (cosa peraltro più che legittima e sarebbe ora di capirlo), che manca il senso dello Stato e della collettività. Tuttavia, questo genere di italiano forma uno zoccolo duro che da sempre vota Silvio (ma anche UDC, ma anche centrosinistra in certi casi), ma non costituisce certo quella parte di elettorato che ha smesso di votare il centrosinistra per andare al mare, o che a valanga si è spostata da Bertinotti a Veltroni e separatamente da Veltroni a Casini e Berlusconi. Non si può concludere che gli italiani sono imbecilli oggi che votano Berlusconi, ma erano civili e moderni due anni fa quando votavano Prodi; anche questa sarebbe una prova di arroganza e di supponenza.

La verità è diversa: Berlusconi ha stravinto semplicemente perché il governo Prodi è stato ridicolo e quindi, come in ogni paese normale, ora tocca agli altri. Non è certo finita la democrazia solo perché si è perso, anzi, è meglio così che nei cinquant’anni di DC obbligatoria.

Se mai, bisogna chiedersi perché si è perso; e la risposta sta nella mentalità vecchia, incapace e obsoleta di gran parte del centrosinistra italiano. Veltroni, perlomeno, ha capito il problema e ha iniziato un bel progetto di rinnovamento, che secondo me, se continua, permetterà al centrosinistra di tornare a governare. Bertinotti, Diliberto, Pecoraro Scanio e compagnia sono irrimediabilmente vecchi e quindi, per esplicita volontà degli italiani, da oggi sono dei pensionati. Se la sinistra non è in Parlamento non è certo colpa di Veltroni o della “mancanza della falce e martello nel simbolo” (la lucida analisi di Diliberto), ma è perché, a parte uno sparuto manipolo di residui militanti che sono ancora con la testa agli anni ’70, nessuno ne sente il bisogno; anzi, visto come si è comportata, è davvero meglio così.

Come ho già spiegato a Suzukimaruti, ecco un esempio di mentalità obsoleta su una questione che è sempre in cima a tutti i sondaggi su “qual è il problema che vorresti veder risolto per primoâ€: Torino – come tante altre città italiane – è ormai una città piena di zingari, mendicanti, bambini scippatori, lavavetri, parcheggiatori abusivi, venditori di rose (quattro in un’ora di ristorante)… una cosa mai vista in alcuna città europea. Lo fai notare con un po’ di preoccupazione e la risposta della sinistra è: va bene così, anzi sei uno sporco razzista! Di fronte a tal prosciutto sugli occhi, tu che vuoi fare? Ci credo che poi Bertinotti sparisce (a Torino città la Sinistra Arcobaleno è al 4%, due anni fa i partiti che la compongono erano al 14,4%) e la Lega raddoppia i consensi…

E’ facile dire che gli italiani sono egoisti e individualisti quando non ti votano e lungimiranti quando lo fanno. E’ meno facile farsi un esame di coscienza e capire che, dopo due anni in cui non si è riusciti a guidare perché si è passato tutto il tempo a sgomitare e darsi manate per sottrarre il volante ai propri “alleati”, gli italiani hanno scelto uno che dava l’aria di essere abbastanza sicuro perlomeno da riuscire a mettere la prima e uscire dal parcheggio.

Eppure, gli ideali tradizionali della sinistra sono ancora attuali, anzi lo sono più che mai: la sinistra ha ancora molto da dire, e da dare, all’Italia e al mondo. Deve però abbandonare gli arnesi del passato, e abbracciare i nuovi modelli sociali, la globalizzazione, il libero mercato, la flessibilità, lo Stato snello, la libertà individuale, le nuove tecnologie, cercando di renderle più eque ma senza rinnegarle; differenziando la sinistra dalla destra non su una visione ideologica legata a una realtà che non esiste più, ma su un obiettivo di altruismo, equità basata sul merito, libertà personali, giustizia ed efficienza, opposto al puro interesse personale, al razzismo retrogrado, al neoclericalismo e agli stallieri mafiosi. Di un progetto così c’è molto bisogno, e se verrà fatto riscuoterà ampio consenso. Basta solo capirlo.

[tags]elezioni, sinistra, italia, politica[/tags]

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lunedì 14 Aprile 2008, 22:35

Una prece

Ho passato l’ultimo paio d’ore a discutere su un forum che, come la maggior parte degli ambienti che frequento, è popolato da centrosinistri, sinistri e supersinistri, di quelli che hanno fatto campagna per il PCDL. E quindi mi sono dovuto sorbire le solite uscite a base di “l’Italia è fatta di imbecilli”, “hanno vinto gli evasori fiscali” e “adesso emigriamo”, che magari saranno anche comprensibili nella delusione dell’immediato, ma che dimostrano il vero problema, ossia la tendenza del centrosinistra a percepire il proprio compito come quello di educare il popolo invece che servirlo. Anche i blog sono muti: Mantellini deve essere svenuto subito dopo la prima proiezione…

Volevo però cogliere subito l’occasione per offrire una prece: la prece per la scomparsa dei comunisti e dei verdi dal Parlamento italiano. Obiettivamente si chiude un’epoca: venticinque anni di verdi e quasi novanta di comunisti non ci sono più. Era però davvero ora, vista la barzelletta della Sinistra Arcobaleno: un’ammucchiata di vecchioni, di snob e di micro-cricche di potere alla Pecoraro Scanio, che in dieci anni non hanno fatto altro che far cadere governi e manifestare contro se stessi. Il disastro è epocale: tutti insieme hanno infatti preso metà dei voti che aveva la sola Rifondazione all’ultimo giro, e non molto di più di quelli che ha preso la Santanché con un movimento messo su in tre mesi.

Può darsi che in futuro, con una legge diversa, ritorni in Parlamento un partito comunista; certo che, nel 2008, può forse avere senso recuperare i valori e gli ideali, ma non i simboli e le ricette sociali. Leggevo sul forum un rifondarolo che si lamentava della stupidità dei “milioni di operai e di lavoratori” che hanno votato Lega invece che Sinistra Arcobaleno; peccato che i milioni di operai in Italia non ci siano più, e che i lavoratori siano alle prese con problemi, dalla sicurezza spicciola alle aziende che chiudono, che la sinistra si è dimostrata non solo incapace, ma anche riluttante ad affrontare. La sinistra italiana non ha capito queste cose con le buone; o le capisce ora con le cattive, o sparisce per sempre. E non riesco a pensare che sia un male, pur con il rischio inquietante che parte di chi si sente escluso dalle istituzioni possa vedere nelle proteste di piazza, quando non nella violenza, l’unico modo rimasto per difendere le proprie idee.

Diverso è il discorso dei verdi, perché un partito ecologista in senso lato, a favore della globalizzazione, della rete e dello sviluppo, ma di uno sviluppo equo e sostenibile, avrebbe ancora molto senso. Forse è il caso di dire: morti i verdi, viva i verdi! Sperando che possa nascere un movimento diverso, libero dalla pessima classe dirigente che in questi ultimi anni ha dissipato un patrimonio di voti e di idee.

[tags]elezioni, sinistra, verdi[/tags]

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lunedì 14 Aprile 2008, 15:12

Reazioni agli exit poll

A me sentir menzionare l’Istituto Piepoli fa pensare alla caduta dei capelli…

[tags]elezioni, sondaggi, piepoli[/tags]

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lunedì 14 Aprile 2008, 13:40

Abbordato dal qualunquismo

Sono andato poco fa a votare, riuscendo a bagnarmi parecchio nonostante il portone di casa mia e quello della scuola sede di seggio distino duecento metri.

Uscendo dal seggio, sono stato abbordato da una ragazza bruna e secca che aveva appena votato al mio stesso seggio, tra i venticinque e i trent’anni e con marcato accento siciliano. Ha attaccato un discorso che sembrava più che altro uno sfogo, e che più o meno era fatto così: “Certo che oggi piove proprio… che poi tanto votare non serve a niente, non cambia niente… io a votare non volevo proprio venirci, solo che siamo obbligati… comunque tanto fanno tutti schifo… pensi che mi avevano promesso un bonus di duecento euro e lo sto ancora aspettando, quindi fanno tutti schifo… che poi almeno quello là, Berlusconi, mangiava ma qualcosa faceva… questo qui ultimo ha soltanto mangiato.”

Io ho borbottato qualcosa e cambiato direzione, perché non sapevo proprio cosa rispondere: come puoi ribattere a un ragionamento del genere? Però la ringrazio, perché almeno ho capito che il risultato delle elezioni italiane dipende soltanto dal livello di regalie promesso e mantenuto dai vari politici; se poi questi sono i criteri di voto in un seggio della periferia medio-borghese di Torino, figuriamoci come ragionano gli elettori delle periferie degradate o delle campagne.

Allo stesso tempo, continuo a chiedermi cos’è che codesta elettrice di Silvio volesse dire esattamente con “io a votare non volevo proprio venirci, solo che siamo obbligati”.

[tags]elezioni, politica, italiani[/tags]

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domenica 13 Aprile 2008, 09:18

Blog e censure

Ha fatto scalpore, negli ultimi giorni, il caso del blog del giornalista e critico gastronomico dell’Espresso Enzo Vizzari, che l’Espresso stesso ha chiuso dopo che il giornalista l’aveva usato per dichiarare di “vergognarsi profondamente” della copertina dell’ultimo numero della testata. La copertina in questione è intitolata Velenitaly e presenta l’inchiesta, contenuta all’interno, che svela l’abbondanza di vino adulterato in Italia; il fatto di essere stata pubblicata proprio in contemporanea al Vinitaly, la fiera che determina il business estero dei vinificatori italiani, e perdipiù prendendolo esplicitamente in giro, non è certo stato ben accolto dagli addetti ai lavori enologici, che immagino si siano lamentati col Vizzari stesso.

Anche qui, in rete si è subito scatenata un’ondata di conformismo da caso Luciani: tutti, da Mantellini in giù, a condannare l’Espresso con parole di fuoco: giù le mani dai blog. Eppure, qualche espressione di dissenso c’è, anche se guarda caso sui blog dell’Espresso stesso: è quella di Gilioli, colui che diventò famoso per la questione della mancata intervista a Grillo. Io dissento dalla retorica di Mantellini & friends, ma anche sulla replica di Gilioli concordo solo in parte: sostenere che un blog ufficiale è diverso da un blog personale e che su un giornale nessuno si deve permettere di insultare i colleghi è condivisibile, ma il dissenso è la base di una discussione proficua: ricordo sui giornali inglesi e americani la presenza tra gli editoriali di rubriche costruite appositamente mettendo a confronto ogni volta due opinioni contrapposte sullo stesso argomento.

Nessuno però ha notato una cosa secondo me importante: è vero che il blog di Vizzari è stato censurato dall’Espresso per avere criticato la pubblicazione della copertina, ma è altrettanto vero che ciò che Vizzari aveva richiesto era altrettanto censorio. Vizzari, dicendo che la copertina dell’Espresso è vergognosa, suggerisce implicitamente che quella inchiesta non doveva andare in copertina, o comunque non doveva richiamare il Vinitaly, e insomma non doveva essere presentata con tale evidenza, anzi magari sarebbe stato meglio aspettare e pubblicarla in un altro momento. Perché? Ovviamente perché non doveva disturbare il business dei suoi amici produttori di vino.

Io trovo invece che sia una grande fortuna che esista ancora in Italia qualche rivista che fa inchieste giornalistiche, e che ci rivela come anche in quei business che vanno di moda, che vengono presentati come ecologici e solidali, e su cui c’è gente che lucra moltissimo – una volta si comprava il Barbera a pintoni per due lire, adesso costa quasi di meno il whisky – ci sia abbondanza di fregature, quando non di attentati alla nostra salute. La risposta di Vizzari, permettetemi, è un po’ da casta: vergognatevi per aver messo in evidenza che anche tra noi ci sono dei farabutti.

Che poi questo giustifichi la chiusura di un blog, non è detto; anche se vale comunque il principio che l’editore decide cosa pubblicare, il che è un pilastro della libertà di espressione esattamente quanto il principio che il giornalista decide cosa scrivere. Ma se l’Espresso avesse deciso di privarsi dei contributi di Vizzari non per “lesa maestà” della testata, ma perché non gli piace chi dichiara l’obiettivo di far passare la trave nei propri occhi per una pagliuzza, non ci sarebbe proprio niente di male.

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