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giovedì 3 Aprile 2008, 17:46

Senza speranza

Senza speranza sono i nostri sindacati, che hanno deciso di far saltare il tavolo dell’Alitaglia, rilasciando dichiarazioni del genere “Ma tanto ci sono ancora soldi per qualche mese”, insomma meglio tutti a casa tra tre mesi che duemila licenziamenti adesso.

Mentre la Lega dissente da se stessa – Maroni dichiara “per fortuna che è saltato tutto così salviamo Malpensa” mentre Calderoli dichiara “il giudizio storico su Prodi per il fallimento della trattativa sarà pesantissimo” – e mentre la triste vicenda della “cordata italiana” assume i contorni della farsa con l’invito di Galan, presidente forzaitaliota del Veneto, affinché ogni imprenditore italiano versi duemila euro e se ne compri un pezzo, i sindacati non trovano di meglio che far scappare l’unico pretendente credibile, sparando pretese impossibili.

Come la pensi il mondo sull’argomento è chiaro, visto che l’annuncio della rottura delle trattative ha fatto guadagnare in pochi minuti quasi il cinque per cento alle azioni Air France. Che quindi facciamo gli schizzinosi noi italiani ha dell’incredibile, tanto è vero che persino i supersindacalizzati dipendenti dell’Alitalia oggi pomeriggio hanno manifestato contro i propri rappresentanti.

A meno che… ecco, intanto la rottura delle trattative è da sempre un trucco negoziale molto usato, per cui può ben darsi che domani mattina, travolti dall’ondata di sdegno, tutti facciano marcia indietro e ci si rimetta a negoziare. Ma anche l’ipotesi di vendere l’Alitalia dopo le elezioni e in stato di fallimento ha il suo fascino. Peccato che il fascino non sia per i dipendenti, ma per i compratori: perché l’amministrazione controllata, o addirittura il fallimento, permetterebbero di liberarsi molto più facilmente di tutti questi lavoratori stanchi e in esubero, e di acquistare soltanto ciò che vale veramente, ossia gli slot.

Sotto questa luce, anche il casino apparentemente insensato che ha fatto Berlusconi acquista un suo senso: se a forza di caciara si impedisce la vendita in questo momento, tra due mesi Silvio potrebbe trovarsi in mano una Alitalia fallita ma paradossalmente più appetibile e di buon valore: da dirigere prontamente, come già ci ha promesso, nelle mani dei suoi figli.

Nel contempo, comunque, non resta che augurarsi la definitiva sparizione dei sindacati italiani: il paese, partendo dai lavoratori, ne avrebbe senz’altro da guadagnare.

[tags]alitalia, sindacati[/tags]

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mercoledì 2 Aprile 2008, 15:06

Marchettare

Oggi mi hanno girato il link ad un sito che mi ha lasciato senza parole: per questo ho pensato di scrivere un paio di paginate di commento.

Il sito si chiama Web al femminile ed è… è… ecco, non ho ancora capito cos’è. Un portale? (Nel 2008 ancora gente che mette su portali, a parte Rutelli?) Una guida pratica all’uso del computer? Una comunità? Una campagna politica? Una forma nascosta di pubblicità per Microsoft?

No, perché in home page non c’è uno straccio di paragrafo che spieghi cos’è il sito, chi l’ha fatto e perché, a parte un’infilata di loghi di corporation note per spacciare fuffa, da Microsoft ad Accenture passando per la temibilissima Buongiorno. A ben guardare, si trova un video intitolato “Scheda introduttiva” in cui, alternate a immagini di mani che digitano che nemmeno nella sigla del TG5, compare una signora di Microsoft, platinatissima e tailleuratissima, che declama come tutto ciò sia “il progetto che ha l’obiettivo di divulgare come la tecnologia può essere una straordinaaaria alleata delle donne”.

Tutto chiaro no? No? Bene, allora si prosegue spiegando: “Per le donne che sono in azienda e vogliono fare carriera, per avere un’arma in più”. Scusa? Per prima cosa, stai suggerendo che nel 2008 una donna che si presenta a un colloquio di lavoro non sa usare il computer, evidentemente avendo trascorso il proprio tempo tra pentole e candeggina; per seconda, che usare il computer non sia una abilità basilare per qualsiasi lavoratore maschio o femmina che sia, ma che per le donne sia un optional, evidentemente supponendo che le donne normalmente facciano carriera grazie ad altre abilità e non diciamo quali; per terza, che tale optional sia “un’arma in più”, come se il ruolo delle donne negli uffici fosse quello di sparare ai colleghi o comunque di sottometterli a mazzate.

Ma non è finita qui: la microsoftiana platinata aggiunge ancora che il sito è anche “per le studentesse”, e poi conclude in modo spettacolare dicendo: “Ma è anche per le donne normali, le donne comuni!”. Insomma, secondo Microsoft se una donna lavora o studia all’università è una anormale.

Va bene, ma allora quali sono i contenuti di questo meraviglioso progetto di divulgazione sulla tecnologia, per la donna moderna ed emancipata? Beh, la prima casellina sotto i video recita “Test: Il tuo è un buon personal trainer? Conosci le nuove tendenze? Siete complici o rivali?”. Segue poi “Focus on: Salute e benessere – Bellezza – Maternità”. Di fronte a queste perle di modernità – che peraltro confermano che per gli estensori del sito la donna italiana non solo vive tra pignatte e pannolini, ma a pignatte e pannolini deve essere educata, sia pur tecnologicamente – non possiamo che toglierci il cappello: per fortuna che c’è questo sito, se ne sentiva la mancanza.

Segue poi, finalmente, l’educazione tecnologica: che sarebbe? “Corsi formativi: Il mondo di Windows Live Messenger – Protezione in linea – Il mondo di Office – Antipirateria” Eh già, mica vorrai tu donna cadere vittima dei pericolosi pirati della rete: tra una peperonata e un bambino, non dimenticarti di comperare Windows, altrimenti come faremo a informarti sulle nuove tendenze primavera/estate?

Più si va avanti nel sito, peraltro, e più si rimane perplessi: perché si scava nella fuffa, e si trova soltanto altra fuffa. Ad esempio, c’è una casella intitolata “Mostre / Eventi: Ogni giorno potrai visualizzare nuovi Eventi e Mostre basate sulla donna per un futuro migliore di pari opportunità.” Ma che cacchio vuol dire?? Che cos’è una mostra basata sulla donna? Mica stenderanno una donna per terra e le metteranno le teche appoggiate sopra? E cos’è un evento per un futuro migliore di pari opportunità? Si saranno mica riunite le dieci donne in tailleur dei vari video dell’home page, e avranno discusso due ore per partorire (no pun intended) una perla marchettara del genere?

E così via: cliccando qua e là potete trovare la pubblicità di una community che “si è rinnovata graficamente e strutturalmente nel 2006 ampliando orizzonti ed obiettivi per diventare più multimediale e partecipativa, con una redazione allargata e diffusa che la rende sempre espressione del mondo delle donne in perenne mutamento e alla sua evoluzione.” Oppure la presentazione di un laboratorio della Bocconi che “Nasce con l’intento di costruire un know how di gestione delle diversità nel mondo aziendale e di comparare prassi operative orientate al tema. L’obiettivo è quello di fornire modelli interpretativi e strumenti per affrontare, gestire e valorizzare le differenze individuali.” Insomma, un caleidoscopio di parole che non vogliono dire niente!

In sé, questo sito è agghiacciante: parte da una visione ottocentesca delle donne italiane, e prosegue promuovendo la visione più triste della parità di genere, quella secondo cui la parità consisterebbe nel far diventare le donne stronze, tirate e carrieriste quanto gli uomini.

Ma fosse solo questo: alla fine, gira che ti gira, mi è venuto un orribile sospetto. Vuoi vedere che anche ‘sta roba, raffazzonata a forza di banalità e di fuffa marchettara con la scusa delle pari opportunità, è soltanto un collettore privato di finanziamenti pubblici addomesticati?

[tags]web al femminile, marketing, donne, pari opportunità, microsoft, finanziamenti pubblici[/tags]

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martedì 1 Aprile 2008, 17:44

Pane e Walter per tutti

Io non ho ancora deciso se e cosa votare; sono nel grande calderone degli indecisi. Sono ovviamente tentato dal votare il PD, non solo perché sono sempre stato di centrosinistra, ma anche perché qualche elemento di novità interessante effettivamente c’è.

Solo che mettetevi nei miei panni: guardo distrattamente i giornali, e scopro che stamattina Walter dice: “Investiremo tre miliardi di euro per costruire centomila nuovi alloggi!”. Lasciamo perdere il fatto che tre miliardi diviso centomila fa 30.000 euro per alloggio, e con 30.000 euro in una città italiana ci costruisci forse un garage; comunque, presa in isolamento può anche essere una boutade ancora perdonabile.

Però, riprendendo i giornali, scopro che Veltroni, solo negli ultimi due giorni, ha promesso anche: cure dentali sovvenzionate e calmierate per tutti; no alla burocrazia, taglieremo cinquemila leggi; libri scolastici gratis per tutti gli studenti italiani; basta ai burocrati di partito, nel governo ministri senza tessera; aumenti di stipendi, salari e pensioni per tutti, e prezzi controllati; fecondazione assistita più libera; e altro ancora. Lo confesso, mi cascano le palle: mi sembra di sentire il Berlusconi dei tempi migliori, o anche solo un vu’ cumprà da spiaggia che ti promette qualsiasi cosa purché tu compri la sua merce.

Di certo, non mi pare di sentire uno statista; perché uno statista serio, di fronte all’Italia di oggi, direbbe soltanto una cosa, cioé che la situazione è grigia, che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, che ci toccano lacrime e sangue, ma anche che comunque, smettendo di fare gli egoisti, i maneggioni e i piagnoni, e con un po’ di fiducia e tanto olio di gomito, ce la possiamo fare.

Eppure non ho sentito nessuno, ma proprio nessuno, proporsi con un messaggio del genere: anche i dieci nani, dalla Sinistra Polemica alla Destra Champagné passando per l’Unione Democratica della Libertà per i Cittadini Consumatori Non-Votanti e Specialmente le Donne (ci sarà di sicuro una lista con questo nome), scimmiottano i due nanoni aggiungendo in più un tono vittimista, cioè sostenendo che non è che noi non li votiamo perché, a parte forse un paio, sono quattro buffoni in cerca di visibilità personale e di briciole miliardarie di fondi pubblici, ma perché c’è da qualche parte un grande cattivo che non vuole che emergano le loro presunte qualità.

Diciamoci la verità: sarebbe una grande commedia, se nel frattempo l’Italia non andasse a rotoli. Così, purtroppo, rischia di diventare una tragedia.

[tags]veltroni, berlusconi, elezioni, coglioni[/tags]

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lunedì 31 Marzo 2008, 16:58

Morire all’autogrill

Vorrei non dover parlare dell’ennesimo morto nel calcio; avendo però ben presente il qualunquismo imperante sui media quando si parla di ultrà, mi sento in dovere di fare un paio di considerazioni sul tragico incidente di ieri.

Nessuno ha ancora esattamente capito cosa sia successo all’autogrill di Felizzano. La versione degli juventini, mandata in onda da Controcampo con una intervista ripetuta a ciclo continuo, è che un pulmino di un club juventino (quindi tifosi normali, non ultras) sia stato aggredito da due pullman dei Boys, cioè gli ultras del Parma, con tanto di cinghie, catene e bottiglie; a quel punto l’autista avrebbe cercato di ripartire e scappare e senza accorgersene avrebbe investito l’ultrà parmense. Secondo il presidente del Parma, invece, i tifosi gialloblu presenti nell’autogrill erano soltanto dei pacifici cinquantenni in gita premio, e non vi sarebbe stato alcuno scontro.

E’ noto che tra le due tifoserie non corre buon sangue: tre anni fa addirittura si scontrarono in campo al Tardini, a fine partita, e pare che proprio per aver partecipato a quell’episodio il ragazzo morto fosse stato diffidato; questa era una delle sue prime domeniche di calcio dopo tre anni di assenza forzata. Bene hanno fatto quindi a sospendere la partita per evitare altri guai, nonostante i fischi corali degli juventini allo stadio, al momento dell’annuncio.

Ora, questi sono i commenti più ricorrenti nel mondo ultrà: il primo è che gli juventini se la sono andata a cercare, perché fermarsi con le sciarpe della propria squadra in un autogrill già occupato da tifosi della squadra opposta è una chiara provocazione allo scontro; il secondo è che l’autista ha perso la testa, perché la versione del lancio di bottiglie e cinghiate contro il pullman pare quantomeno esagerata – da quel che si è visto non c’erano cocci per terra e non c’erano ammaccature sul pullman – ed è probabile che al massimo stesse partendo qualche sfottò e qualche gestaccio. L’autista stesso pare aver dichiarato di non aver mai trasportato tifosi negli ultimi anni e di non essere stato assolutamente preparato a un episodio del genere. Gli juventini, comunque, si difendono sostenendo che il loro pullman non era di ultras e che quindi l’attacco dei Boys parmensi sarebbe stata un’infamata.

Possibile dunque che basti fermarsi nell’autogrill sbagliato per farci scappare il morto? Possibile sì, visto che è successo, ma perché? La base è quella cultura demenziale per cui se ci si incrocia con tifosi avversari all’autogrill, invece di offrirsi un caffé, ci si deve per forza menare; certo, la “mentalità” prevederebbe che ciò accada solo se entrambi i gruppi sono di ultrà, ma è ben difficile che su un pulmino di un club gobbo non ci fossero almeno un po’ di giovani maschi bardati da drugo, proprio come paiono mostrare le immagini riprese davanti alla questura di Asti.

A ben vedere, però, non sarebbe successo nulla se l’autista non fosse stato terrorizzato a morte da due manate sul vetro; esattamente come Gabriele Sandri non sarebbe morto se non fosse passato di lì un agente alle prime armi con l’idea di dover fare il Rambo. Perché? Perché è da dodici mesi, dopo la morte di Raciti, che è in corso una campagna isterica di criminalizzazione del tifo calcistico, al punto che chiunque veda un ultrà pensa di essere in pericolo di vita; e reagisce di conseguenza, sparando o accelerando a tavoletta, come se veramente fosse questione di vita e di morte propria o dell’altro.

Solo che a morire alla fine sono sempre gli ultrà; una categoria indecifrabile ma spesso ben diversa dagli stereotipi, se è vero che il ragazzo morto ieri era sì talmente “caldo” da minacciare di menare gli Offlaga Disco Pax – gruppo alternativo dell’odiata Reggio Emilia – se si fossero permessi di suonare a Parma, ma anche talmente normale da laurearsi in ingegneria, avere un lavoro fisso e nel tempo libero fare il volontario. Non un buzzurro insomma, non un analfabeta o un disadattato. E chissà quanto “caldo” veramente oltre alle parole: anni fa, dopo un Sampdoria-Torino, al questore di Genova venne la bella idea di diffidare tutti i tifosi granata che erano andati in trasferta, i cinquanta casinisti insieme ai mille delle famigliole e dei pensionati: gente di cinquant’anni con la Daspo… questo per dire come la diffida sia tutt’altro che un segno certo di attitudine a menar le mani.

Grazie all’isteria del dopo-Raciti, il calcio è molto più pericoloso oggi di prima, come dimostrano due tifosi morti in quattro mesi, cosa mai successa nella storia. L’abolizione delle trasferte organizzate e dei treni speciali ha trasformato ogni viaggio in una avventura in territorio nemico, dove sei solo con il tuo gruppetto e dietro ogni angolo può esserci uno che ti mena; e quindi, a molti viene anche la voglia di colpire per primi. Quelle frange disadattate che una volta, nel gruppo, venivano controllate dagli stessi capi ultrà ora sono libere di andare in giro a far danno per i fatti propri. E in più, basta vedere un tifoso di calcio perché la folla gridi all’uomo nero: e questo aumenta negli ultras la sensazione di essere una tribù di emarginati in lotta per sopravvivere.

Di tutto questo, fatico ad attribuire la responsabilità soltanto a una manciata di gruppi organizzati, o agli stessi disadattati di cui sopra: certo è ora di abbandonare la violenza per sempre, ma se uno nasce e cresce in un certo ambiente e con una certa testa, è ben difficile che sia in grado di cambiare comportamento. Trovo invece molto peggiore il comportamento di chi avrebbe i mezzi culturali per contribuire a un clima migliore, e non lo fa.

E qui possiamo partire dai dirigenti irresponsabili, come ieri l’ineffabile Galliani, che con tutto quel che era successo, dopo l’ennesima prestazione inguardabile della sua squadra, non ha trovato di meglio che andare in televisione a piangere come un bambino lamentandosi dell’arbitro e di presunti complotti anti-Milan: e questo non agiterà forse gli animi dei più violenti tra i suoi tifosi, la prossima volta che gli si parerà innanzi un tifoso con sciarpa nerazzurra?

Soprattutto, è vergognoso il comportamento dei “giornalisti”, che paiono interessati solo a fare sensazione. Perché alla fine quello di ieri è stato veramente un incidente, pur se aiutato dal clima assurdo creato attorno al calcio: non certo un tifoso ammazzato da altri tifosi in uno scontro, ma un investimento involontario da parte di un poveraccio che era lì soltanto per lavorare e che ora rischia la galera. L’unica cosa ragionevole da fare era abbassare i toni, come hanno fatto le due società, come ha fatto il questore.

Eppure, per tutto il pomeriggio e tutta la serata Italia 1, quest’anno la TV ufficiale del calcio, ha soffiato sul fuoco, cercando assolutamente di dimostrare che c’erano stati scontri, che c’era della violenza, fino a presentare una testimonianza che non stava né in cielo né in terra. Sono proprio i Piccinini, i Mosca, gli Ordine, i Liguori ad essere vergognosi, a fomentare un clima di isteria e di violenza per fare audience, per vendere la loro pubblicità; quando non è contro gli ultras è contro gli arbitri, messi alla gogna per ogni minimo errore. Su questo, hanno assolutamente ragione i Boys nel loro comunicato.

Per evitare queste situazioni non serve certo militarizzare tutti gli autogrill d’Italia; basterebbe ricominciare con le trasferte organizzate e scortate, possibilmente facendo pagare il costo delle forze dell’ordine agli stessi tifosi o alle loro società. Io stesso pagherei volentieri venti o trenta euro in più, le rare volte in cui vado in trasferta, per non rischiare di venire pestato da qualche “tifoso” avversario. E poi, che tutti si facciano un esame di coscienza, e comincino a comportarsi da adulti: tutti, non solo gli ultrà.

[tags]calcio, tifosi, parma, juventus, violenza, autogrill[/tags]

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domenica 30 Marzo 2008, 12:07

Giornalisti in Cina

Dopo aver visto la qualità dei giornalisti nostrani, non posso che segnalare con ancora più convinzione questa splendida intervista di Hardtalk, programma giornalistico della BBC, a Wu Jianmin, uno dei portavoce del governo di Pechino.

Si nota subito come, all’estero, i giornalisti non si facciano problemi a incalzare l’intervistato sulle domande più scomode, invece di disporsi a novanta gradi sin dalla prima battuta; tanto che già verso il quarto minuto il cinese comincia a sbattere furiosamente e incontrollabilmente le sopracciglia, una azione che nella cultura locale significa “se io non fossi così bene educato, ti avrei già strappato le palle a morsi per poi immergerle in una salsa piccante e mangiarle per cena”.

Soprattutto, questa intervista rende in modo drammatico lo scontro di culture politiche e sociali che è in atto in questo periodo storico. Il giornalista inglese e il diplomatico cinese proprio non si capiscono, parlano due lingue incompatibili; il primo chiede dei diritti umani, e il secondo risponde che c’è lo sviluppo economico, e non è forse la ricchezza il più importante diritto umano, quello che cambia la qualità della vita delle persone molto più della libertà di parola? Il giornalista chiede perché non si possa vedere la televisione straniera in casa, e il diplomatico risponde che la televisione straniera non interessa a nessuno, è in inglese, e che comunque gli occidentali continuano a valutare la Cina secondo i propri modelli culturali invece che secondo quelli dei cinesi. E poi si parla di dinamiche politiche interne, di pericoli di instabilità, e di altre questioni che i nostri media non ci hanno mai raccontato.

Comunque la pensiate sulla Cina, è un pezzo che vale la pena di vedere.

[tags]cina, tibet, diritti umani, bbc, giornalismo[/tags]

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domenica 30 Marzo 2008, 11:52

L’ultima opportunità

repubblica-veltroni-ortografia.png

Per l’ortografia, invece, a Repubblica l’ultima “chanche” l’hanno persa da un pezzo.

[tags]ortografia, repubblica, giornalisti?[/tags]

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sabato 29 Marzo 2008, 16:28

Conferenze d’Egitto (2)

Se la parte turistica del mio viaggio in Egitto è stata caotica, la parte di conferenza è stata davvero ottima, anche se sicuramente diversa da come sono abituato. Già vi ho detto di alcuni aspetti positivi e negativi: devo aggiungere il buffo incidente avvenuto quando uno dei relatori, con un gran sorrisone, ha rassicurato la platea che noi occidentali non eravamo venuti lì per imporre all’Egitto le nostre politiche e i nostri valori, ma semplicemente per spiegargli come funzionavano certi meccanismi in modo che potessero trovare in autonomia la propria strada. A noi relatori europei sembrava un discorso gentile, ma tra i notabili c’è stato un brusio, e tra le nostre facce un po’ sorprese il moderatore della sessione ha subito interrotto l’intervento; e, davanti alla first lady, ha preso la parola per precisare che l’Egitto non ha niente da imparare da nessuno, che è un paese leader mondiale delle nuove tecnologie e che lo scopo della conferenza era soltanto quello di condividere l’esperienza egiziana con il resto del mondo.

Bisogna anche dire che, guardandosi attorno, gli egiziani avevano i loro più che validi motivi d’orgoglio: la conferenza si teneva nel cosiddetto Smart Village, una ampia zona a parco – con tanto di palme, laghetti ed erba verde dappertutto, un abuso idraulico mai visto – situata nel bel mezzo del deserto, una ventina di chilometri fuori dal centro del Cairo. Sparsi in tutto il villaggio, vi sono palazzi bianchi e azzurri, tutti appena costruiti, che ospitano le sedi delle organizzazioni governative e delle principali aziende tecnologiche del paese: Vodafone, Mobinil, Ericsson, Microsoft… Con una battuta, il dirigente Microsoft locale ci ha detto che una sede così non l’avevano nemmeno a Redmond. Il centro conferenze, poi, era veramente grandioso, con una enorme hall piena di schermi, la vista su un laghetto con una piramide monumentale al centro, una sala da pranzo dove ci hanno cibato fino a farci scoppiare con gamberi, salmone e della carne buonissima, e poi una sala conferenze con maxischermi e traduzione simultanea.

Certo, è una di quelle operazioni che sono possibili solo in paesi autocratici, dove il governo ordina a tutti di spostarsi lì e loro si spostano, e dove può reperire a bacchetta i fondi per creare un’isola modernissima in mezzo a un mare di degrado e povertà. Ciò nonostante, è anche vero che per questi paesi l’ICT è una buona opportunità di sviluppo: a titolo d’esempio, nonostante fossimo stanchissimi, a fine conferenza ci hanno portato a vedere il fiore all’occhiello, cioè un call center che gestisce l’assistenza Microsoft per mezza Europa, compresa l’Italia. Se attivate Windows via telefono, o se avete bisogno di assistenza sull’X-Box, la vostra telefonata finisce esattamente lì: c’erano due piani pieni di ragazzi che prendevano telefonate.

Comunque, credo di avere anche capito varie cose del circo delle conferenze internazionali, vedendo alcuni relatori – tra l’altro persone molto famose in questi circoli – sdilinquirsi in lodi veramente sperticate alla first lady, e quanto era brava, e quanto era bella, e quanto sembrava giovane; e subito dopo cercare di vendere tra le righe una consulenza miliardaria al governo egiziano. Ho capito che io non ci sono proprio tagliato.

[tags]conferenze, egitto, call center, microsoft[/tags]

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venerdì 28 Marzo 2008, 14:09

Il Cairo a piedi

Non so se sono contento di aver speso una paccata di soldi – quasi duecento euro, tra tutto – per concedermi una giornata extra al Cairo; comunque, i soldi spesi in visitare posti nuovi non sono mai sprecati, e quindi pubblicherò ancora qualche appunto preso sul posto.

La città, come ogni altro posto, è interessante; certo io l’ho presa di punta, e ho rischiato di esserne travolto. Difatti, invece di lasciarmi spaventare dalle storie di turisti rapinati o minacciati, mi sono lasciato convincere dall’allegro entusiasmo della mia Lonely Planet, e da buon ingegnere ho pianificato un giro a piedi che toccasse tutti i punti principali.

Peccato che abbia capito soltanto dopo che il motivo per cui la Lonely Planet insisteva sul prendere spesso il taxi non era soltanto la fatica; questa, oggi, non è una città turistica, e anzi in certi tratti ero totalmente perso nel magma di quartieri che potevano tranquillamente (anche in termini di distruzione e sporcizia) essere a Baghdad o a Kabul. Non credo di essere mai stato veramente in pericolo, ma in certi punti ero chiaramente l’unico occidentale nel raggio di un paio di chilometri, e il modo con cui sono stato guardato – pur avendo una faccia che da queste parti non dà troppo nell’occhio, e pur essendo abituato a scivolar via con lo sguardo basso, la macchina foto ben chiusa e ben stretta, e l’autocontrollo sufficiente per non reagire assolutamente a niente – mi è piaciuto poco.

Il mio giro è iniziato da Garden City, il quartiere coloniale dei grandi alberghi, seguendo la passeggiata sulle rive del Nilo. Il fiume è uno spettacolo, sa già di mare anche se siamo a duecento chilometri dalla foce, ed è coperto dal vento, tanto da esser pieno di barche a vela. La passeggiata quindi non è male, ci sono le panchine e le piante e le coppiette locali che si scambiano effusioni sconce in maniera disgustosa – voglio dire, due si tenevano addirittura per mano! Sembra molto Borghetto Santo Spirito, però a Borghetto non ci sono quattro corsie di traffico impazzito e strombazzante subito a fianco della fila di magnolie, perciò alla fine Borghetto S.S. 1 – Il Cairo 0.

Il problema è quando poi lasci la riva del fiume e ti addentri nelle case, cercando di risalire verso la collina della Cittadella. Non solo l’orientamento è complicato, visto che poche vie hanno il nome scritto anche in inglese e che comunque la cartina di quella zona sulla Lonely Planet è molto deficitaria; a un certo punto vai a sbattere contro un cavalcavia. Ora, io in tre giorni ho già acquisito abilità stupefacenti in questo continuo Frogger dal vivo che è attraversare la strada al Cairo; per dire, sono in grado di fermarmi sulla riga tratteggiata tra due file di traffico che sfrecciano a sessanta all’ora a non più di tre centimetri dal mio naso, o di sfruttare lo spazio triangolare dinamico generato temporaneamente da due veicoli che stanno lentamente divergendo, o di attraversare a pancia retrattile, cioè davanti a un veicolo in movimento e ritraendo la pancia sopra il cofano per superare gli ultimi venti centimetri con un salto proprio quando già esso pare avere le ruote sopra di me. In generale, comunque, mi metto a valle di un locale usandolo come scudo umano e stando però attento a calcolare bene il parallasse, che se no dove passa lui poi non ci passo più io.

Comunque, tutto questo va bene, ma a percorrere a piedi un cavalcavia largo come una macchina più una zanzara non ci penso proprio; e così ho dovuto tuffarmi nelle viscere del quartiere, trovare la stazione della metro, usarla come scavalco, attraversare il mercatino di carabattole (tutte made in China) che occupava la stazione degli autobus iniziata e mai finita che stava dall’altro lato, e poi trovare un vialone che risaliva verso nord, in un quartiere popolare, fino a una grande piazza occupata da una moschea dove si intravedevano torme di donne velate, e non son certo andato ad indagare. Ecco, questo pezzo qui è stato uno dei più inquietanti, anche perché ho dovuto interpretare la mappa sempre un po’ di soppiatto e senza fermarmi in mezzo alla strada con il libro bene in mano (il che equivale a “ehi, sono qui, sono straniero e mi sono perso, fate di me ciò che volete”).

La salita verso la Cittadella però è interessante, perché si svolge per una strada tranquilla piena di ruderi che si rivelano essere pezzi di chiese copte del nono secolo abbandonati lì e usati come discarica di letame, oppure come motoofficina o come stalla per gli asini che tirano i carretti, sempre abbondanti per queste vie. A metà salita, però, c’è la Moschea di ibn-Tulun ed ecco, questa è la cosa che valeva il viaggio: un gigantesco quadrato circondato da un porticato, il più antico edificio ad archi a sesto acuto che si conosca. Al centro del grande cortile, a rompere la luce del mezzogiorno, c’è una cupola che copre una fontana, o un altare, o chissà cosa.

Mi siedo lì sotto e mi godo il vento e la bellezza mozzafiato del luogo. Ignoro le mezze richieste di mancia dei custodi – che svolgono anche il lavoro di fornirti i copriscarpe di tela – e percorro il cortile esterno fino al minareto; salgo proprio in cima, e c’è una vista mozzafiato su tutta la città, con la Cittadella da un lato, e dall’altro una distesa di case tutte coperte di parabole satellitari; la più vicina ha anche un attico al quarto piano sul cui terrazzo c’è una capra che fa la cacca.

Il resto della giornata, invece, è snervante; alla Cittadella nemmeno entro, ho letto che non vale la pena, ma proprio lì davanti vengo abbordato. E’ normalissimo venire abbordati nei paesi arabi, di solito è qualcuno che in inglese ti chiede da dove vieni, e poi si offre di farti da guida, e alla fine ti porterà in un negozio di un amico da cui prende commissioni, oppure ti chiederà soldi lui, o entrambe le cose.

Qui hanno una tecnica più raffinata; basta un attimo di esitazione per offrirsi di aiutarti, e poi la seconda battuta è “oh lì dove vuoi andare è chiuso, ma vieni con me, ti porto in un altro bellissimo posto”. Io sapevo benissimo che la Cittadella era aperta, ma ciò è irrilevante: questi sono capaci di dirti “vedi quel bar lì dove c’è una folla che prende il gelato? quel bar lì è chiuso, ma vieni con me”. L’unica soluzione è sorridere, dire no grazie, e partire con decisione nella direzione opposta, non importa quale sia e dove porti (potete sempre fermarvi dietro il primo angolo).

Dalla Cittadella poi vi è una lunga discesa in un altro quartiere simil-Baghdad (ho incrociato una vecchia 131 che aveva ancora la targa di Milano, vecchio sistema arancio su nero, sopra cui avevano direttamente incollato quella egiziana…), dove l’asfalto finisce e si scende una via stretta piena di ogni cosa, auto, moto, bici, persone, animali, vecchiette sedute, cumuli di monnezza, scavi di non si sa bene cosa e altro ancora.

Ogni tanto sul lato si vede qualche edificio medievale davvero bello, alcuni restaurati, altri meno. La sporcizia è davvero pesante: qui è proprio pieno Terzo Mondo, c’è un livello di schifo elevato persino per l’Africa, sembra quasi Napoli. I bambinetti però sono simpatici, e dopo un po’ ti abitui a schivare con le orecchie le auto e i pick-up che scendono per la via a velocità folle. Qui vedo anche il mio primo incidente: da una via secondaria arriva a tutta velocità un ragazzino più piccolo su una bici, che viene centrato in pieno da un ragazzino più grande su una moto che percorreva la via principale. Il colpo è secco e il più piccolo vola per almeno un paio di metri sulla sabbia, ma i due mica litigano; semplicemente il più grande dà un bacio in fronte al più piccolo e poi ognuno riparte.

Arrivo alla fine a Bab Zuweila, la porta con i due minareti, un altro edificio molto bello e suggestivo: dalla porta si entra nella città vecchia, lasciando fuori questo borgo di case affastellate e piene di bambini (un paio provano anche ad attaccar briga, ma io li ignoro decisamente). Dentro comincia il mercato, e mano a mano la via si riempie di bancarelle di jeans e borse cinesi; non c’è assolutamente niente di interessante se non vestiti e zainetti delle tre marche che vanno fortissimo tra i giovani egiziani, cioè Diesel, Diessil e Dolce (non ho capito che ne abbiano fatto di Gabbana). Non ho nemmeno capito se quelli che hanno scritto Diesel facciano i bulli con quelli che hanno scritto Diessil o viceversa. Lungo questo percorso però ci sono edifici ancora più belli, tra cui la grande fontana di Pasha che purtroppo non ho potuto fotografare a causa dei banchetti del mercato.

Giungo infine al famoso Cairo Islamico, pensando chissà che, visto quanto era islamico tutto il resto. Invece si rivela una mezza delusione; l’antica università è piena di gente che prega e batto in ritirata; oltre la piazza Hussein, superati i caffè pieni di turisti e di acchiappaturisti, comincia un altro quartiere piuttosto degradato; c’è qualche altro bell’edificio medievale, ma la zona del mercato (Khan Al-Khalili) è sostanzialmente una grossa carta moschicida per mosche da torpedone (e qui, dopo tre ore di cammino, vedo i primi occidentali, ad eccezione forse di un paio incontrati dentro ibn-Tulun).

Qui è dove scoppio: c’è semplicemente troppa gente, troppo rumore, troppe cose strane e troppa sensazione di essere un alieno in un mondo forse non proprio ostile, ma certamente non amichevole; raramente mi sono sentito così rigettato come qui.

Faccio per ritornare, e mi tocca percorrere una infinita via di mercato, dove nel mezzo metro libero dalle bancarelle turisti e locali si superano a varie andature. Il mercato è infinito, arriva fino in piazza dell’Opera, interrotto solo da corso Porto Said, che si supera con un sovrappasso pedonale perché lì nemmeno un locale ce la farebbe ad attraversare. Mi chiedo cosa vendessero queste bancarelle prima che arrivassero le importazioni cinesi.

Alla fine scopro ancora un’altra anima del Cairo, il cosiddetto Downtown: una zona di vie dritte e palazzoni all’europea, mal tenuti ma comunque imponenti, e parecchio estesi. Qui il traffico è ancora peggio, e compaiono pure alcuni semafori, anche se sono del tutto inutili perché non li guarda nessuno, e parecchie volte trovo le auto col verde diligentemente ferme in attesa che le altre auto col rosso rallentino, per potersi infilare. Trovo però anche parecchi giovani in giro per shopping con un gelato in mano, e una timida rivendita di panini e bevande dove con circa un euro e venti centesimi pranzo (alle quattro passate) con un paninone di shawarma e una Pepsi Light.

Devo ancora laurearmi in attraversamento, per riuscire a superare piazza Tahrir, e poi arrivo al mio albergo; l’ultimo attraversamento è proprio sulla curva di un vialone a tre corsie dove le auto sfrecciano, eppure lo faccio in souplesse, calcolando in automatico che le auto si sposteranno leggermente più all’interno o più all’esterno a seconda della posizione del pedone che attraversa tre metri più a monte di me, e quindi sfruttando i coni di spazio che egli crea. Arrivo in albergo dopo cinque ore di giro, e ovviamente l’idea di andare ancora al Museo Egizio è passata da parecchio; anzi crollo sul letto a guardare i cartoni animati, finché non arriva un bellissimo tramonto sul Nilo.

Credo di aver capito che pochi percorrono il Cairo a piedi, senza guida e senza un veicolo. Sono contento di averlo fatto, però che stanchezza!

[tags]cairo[/tags]

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giovedì 27 Marzo 2008, 23:36

Alitaglia ancora

Sono arrivato or ora a casa, e come sessione di rilassamento mi sono seduto in ufficio e ho deciso di parlare ancora una volta male di Alitaglia, che però se lo merita proprio.

L’unica nota positiva è il cibo – è migliorato ed era anzi buono, devono essersi conto che il panino di pane era troppo. Però… ecco, passi per il check-in del Cairo, disorganizzatissimo, dove fanno mettere tutti in coda per 30 minuti in una fila, e poi aprono quella a fianco, e poi ci mettono una tipa che pareva non aver mai visto un computer in vita sua. Passi per il fatto che gli aerei sono vecchi scassoni oltre il limite della decenza, e anzi l’aereo che mi ha riportato a Torino aveva la cornicetta di metallo del finestrino del pilota vistosamente piegata e penzolante nel vuoto. Passi che la sporcizia a bordo è allucinante, e se apri il tavolinetto ti volano addosso briciole e resti dei voli precedenti.

Passi che il personale è sempre più scortese – oggi la hostess ha cazziato violentemente il tizio accanto a me, che si era osato unificare il proprio vassoio con quello della figlia seienne per permetterle di riprendere a giocare, dicendo qualcosa come “ma vede che cazino m’ha combinato, mo’ nuncentrappiù ner cazzetto”, e costringendo il tizio a riseparare i rifiuti in due vassoi separati.

Passi anche per le figure di m… che ci fanno fare con gli stranieri, non solo con le leggendarie fascette da bagaglio per le coincidenze a Fiumicino – sui bagagli che vanno in Italia c’è scritto “in Italy”, su quelli che vanno all’estero c’è scritto “out Italy”: nunzedicecossì? – ma con un fantastico documentario sulla storia bio-geologica del Mediterraneo, fatto evidentemente dal cugino di un amico, le cui didascalie in inglese cominciavano testualmente così: “15 miliards years ago…”.

La cosa che proprio non passa è che due giorni prima del mio ritorno hanno contattato l’agenzia egiziana, che ha contattato me, per dirmi che il mio volo per Torino era cancellato e che mi riprogrammavano su quello dopo. Io ho passato un’ora e mezza in più a grattarmi a Fiumicino, e alla fine ci avrei messo meno tempo a passare da Francoforte o da Parigi; ma non è solo questo, è proprio che, essendo stata fatta con due giorni di anticipo, è una chiara manovra per tagliare i costi a spese del servizio, dopo aver già venduto il suddetto. Nessuna linea aerea cancella un volo già ad orario, indipendentemente da quanto è pieno; è questione di rispetto verso i clienti, e lo vidi fare solo a Swissair sul fu Zurigo-Torino due mesi prima di fallire. Se si riducono a tagliar voli per risparmiare, anche a costo di rendere il volo successivo una stalla e di lasciare a terra qualcuno (come certamente è successo), vuol dire che sono veramente ben oltre la frutta.

[tags]alitalia[/tags]

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martedì 25 Marzo 2008, 11:13

Conferenze d’Egitto

Non ho ancora deciso cosa pensare di questa conferenza: per certi versi e’ molto interessante, per altri e’ piena di banalita’ (si parla di rischi di Internet per i minori, e non vi dico il profluvio di filmatini con bambole abbandonate nel fango – questo presentato da poliziotto inglese – o con personaggini carini carini che spiegano ai bambini di prendere a calci nelle palle qualsiasi estraneo gli si avvicini).

Comunque, e’ la prima conferenza internettiana a cui vado in cui e’ strettamente vietato entrare con un portatile, e non solo, anche con una macchina fotografica, e non solo, anche con un cellulare. Oggi la sicurezza in realta’ e’ lasca, ma ieri c’era la regina e quindi il controllo era ferreo. Il momento piu’ kitsch e’ stato quando, concludendo il proprio discorso, il ministro delle Comunicazioni, a nome del Movimento Internazionale Femminile per la Pace “Suzanne Mubarak”, ha insistito nel conferire un dono a Suzanne Mubarak per premiarla del suo impegno nell’organizzare l’evento. Ed e’ buffo quando nel bel mezzo della conferenza un cameriere in giacca e cravatta attraversa tutta la sala per portare alla signora Mubarak, sul tavolino di marmo personale che le hanno messo davanti, un nuovo bicchiere d’acqua fresca, rigorosamente in cristallo lavorato a mano.

Ci sono pero’ allo stesso tempo anche elementi di modernita’ che in Italia sarebbero incredibili: ve la vedete una nostra first lady organizzare una conferenza su Internet e i minori invitando trenta esperti internazionali di sicurezza e di Internet – mica preti e presentatori TV – e facendogli fare le domande direttamente da un gruppo di ventenni? E la sala sara’ anche piena di madri di famiglia a testa coperta, pero’ parlano tutte inglese meglio della media dei nostri ministri e dirigenti d’azienda, tanto e’ vero che a parte i discorsi ufficiali la conferenza e’ tutta soltanto in inglese, senza alcun tipo di traduzione in arabo.

Io parlero’ oggi pomeriggio, e avendo dimenticato la chiavetta con le slide finiro’ per parlare a braccio, seguendo la traccia. C’e’ ovviamente un webcast qui. Sono curioso di vedere che ne verra’ fuori!

[tags]cairo, internet, minori, conferenze, egitto[/tags]

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