Sky
Vittorio vb Bertola
Affacciato sul Web dal 1995

Sab 24 - 5:01
Ciao, essere umano non identificato!
Italiano English Piemonteis
home
home
home
chi sono
chi sono
guida al sito
guida al sito
novità nel sito
novità nel sito
licenza
licenza
contattami
contattami
blog
near a tree [it]
near a tree [it]
vecchi blog
vecchi blog
personale
documenti
documenti
foto
foto
video
video
musica
musica
attività
net governance
net governance
cons. comunale
cons. comunale
software
software
aiuto
howto
howto
guida a internet
guida a internet
usenet e faq
usenet e faq
il resto
il piemontese
il piemontese
conan
conan
mononoke hime
mononoke hime
software antico
software antico
lavoro
consulenze
consulenze
conferenze
conferenze
job placement
job placement
business angel
business angel
siti e software
siti e software
admin
login
login
your vb
your vb
registrazione
registrazione
domenica 9 Settembre 2007, 09:05

Segni divini (2)

Io, devo dire, sono stato ragionevolmente buono. Mi sono vestito correttamente, con i capi nell’ordine e nelle posizioni richieste, e sono arrivato più che in orario. Mi sono sistemato buono buono dal lato della sposa, così che la sua testimone, per il lato cattolico della cerimonia, potesse avvicinarsi al leggio senza impallare gli sposi. Non ho bestemmiato, nè ho mancato di rispetto al Signore. Ho persino trattenuto le risate quando il sacerdote ha dimostrato che nessun uomo può riuscire a rendersi più ridicolo di un prete cattolico, intonando una canzoncina con un testo del tipo “Evviva la chiesa, la chiesa è bella, è la chiesa degli italiani e andiamo tutti in chiesa”, e invitando poi gli astanti a pregare “per la società civile, che riconosca e supporti i valori della chiesa” (e voti il risposato Casini, invece di rompere le scatole sull’ICI delle librerie e delle case di riposo). Nè ho commentato come il fatto che una persona si riduca in lacrime per l’emozione di sposarsi mi faccia venire dei dubbi sui suoi orizzonti di vita (però, buon per lei). Insomma, sono stato proprio bravino.

E per tutta risposta, quando a fine cerimonia siamo tornati a casa, sono rimasto chiuso nell’ascensore, insieme ad altri cinque, tra cui la cugina di mia mamma, claustrofobica. Siamo saliti, abbiamo premuto il pulsante, si sono chiuse le porte, l’ascensore ha sobbalzato e poi è morto lì. Abbiamo chiamato il numero verde, abbiamo suonato l’allarme, i vicini hanno provato a spegnere e riaccendere l’ascensore dal comando di corrente della sala contatori (riderete, ma parecchie volte ha funzionato), senza ottenere nulla. Nel frattempo, dentro il mio ascensore – che è una scatola cieca di metallo solido – c’erano quaranta gradi e una quantità di ossigeno pericolosamente in calo. Dopo dieci minuti (velocissimo, ad essere onesti) è arrivato il tecnico, che ha riportato manualmente l’ascensore al piano del garage e l’ha fatto aprire.

E poi ci ha pure cazziati, che “non si sale così in tanti, si fa due viaggi”. Ma io dico, se c’è scritto “Capienza 6 persone – Portata 480 kg”, e ci salgono sopra sei persone per un peso totale di circa 350 kg, l’ascensore dovrebbe andare, no? Se non ce la fa, scriveteci sopra una portata inferiore, no? E comunque anche se si blocca, dovrebbe bloccarsi con le porte aperte, no? E poi nella cabina dovrebbe essere previsto un foro di areazione per evitare che ci si possa soffocare dentro, no? E dopo tutto ciò, se fossimo veramente soffocati in sei perché stavi trombando e non potevi venire, tu saresti finito in galera per un considerevole numero di anni, no?

Comunque, i segni inviatici sono chiari: ci è stato chiaramente comunicato che il matrimonio è Male!

divider
sabato 8 Settembre 2007, 09:05

Sagre

Ok, oggi sono impegnato, ma non posso non segnalare che domani a pranzo, come da tradizione, presenzierò al Festival delle Sagre di Asti, l’imperdibile evento culinario (qui la versione millenaristica della pioggia di due anni fa) dove, in mezzo a una folla strabordante, si possono mangiare piatti tipici a prezzi più che ragionevoli, con grande abbondanza di vino. Mi raccomando, andateci in treno: l’auto sarà una follia…

divider
venerdì 7 Settembre 2007, 12:04

Segni divini

Come vi avevo accennato, domani si sposa mio fratello – un’idea piuttosto insensata al giorno d’oggi, ma se uno vuole significare un rapporto di coppia tramite questo strumento, perché no. Ragion per cui, io sono favorevole e collaborativo; certo, frotte di amici di famiglia con un po’ più d’esperienza alle spalle mi avevano pregato di chiuderlo in una stanza vuota fino a fargli cambiare idea, ma io mi ero sempre rifiutato.

Non solo, ma ero stato addirittura prescelto per l’accompagnamento dello sposo alla chiesa, con la mia propria vettura; per cui, il mio programma prevedeva l’atterraggio a Malpensa ieri pomeriggio, il ritorno a Torino con l’auto appositamente parcheggiata, la consegna della vettura al meccanico per il tagliando ormai overdue, il ritiro stasera, l’autolavaggio, e l’accompagnamento domani mattina.

Peccato che ieri, mentre presso la ridente cittadina di Oleggio (NO) mi immettevo dalla tortuosa strada del ponte del Ticino sulla regia strada statale numero trentadue, sia stato bellamente tamponato da un signore brianzolo, non a caso originario di Vergate sul Membro o un nome del genere. Nulla di grave, se si eccettua il fatto che il baule non si chiude più e che ho pertanto dovuto giungere a Torino a ottanta all’ora per vecchie strade di pianura, con il portellone semplicemente appoggiato, evitando le buche per non farlo aprire, impiegandoci oltre due ore. Tuttavia, è abbastanza da privare lo sposo del suo mezzo di trasporto.

Ebbene, io dico, ma quando gli déi mandano segnali così chiari, non è forse segno di intollerabile hybris il voler insistere nei propri futili piani?

divider
martedì 4 Settembre 2007, 16:20

Conferenze spagnole

Anche oggi, alla fine, ho i miei cinque minuti di Internet cafe’ per dispensare pillole di saggezza.

Quella di oggi e’ che non bisogna far organizzare le conferenze agli spagnoli, specie se letterati. Non solo litigheranno continuamente con qualsiasi computer, rinunciando poi a mostrare le slide, peraltro orride e piene di testo; non solo si rifiuteranno pervicacemente di parlare in inglese, facendo infuriare la truppa tedesca che costituisce il nerbo dei partecipanti; non solo si lanceranno in eloquentissimi indirizzi di saluto a presenti, organizzatori, autorita’ e cittadinanza tutta, che porteranno via venti dei trenta minuti loro allocati, per poi sforare di altri quaranta.

Ma il secondo giorno, nel pomeriggio, costringeranno tutti a inerpicarsi su per la collina ripida, per tenere la sessione in un meraviglioso edificio-museo cinquecentesco, dove le seggiole sono scomode, non ci sono tavolini, non c’e’ interpretazione, non si puo’ avere il caffe’ al coffee break (coffeeless break?), e si deve subire un indirizzo di saluto del tipo sopra descritto da parte del direttore del museo; e si giustificheranno dicendo che si’, si rendono conto che in questo modo la mezza giornata di conferenza andra’ sostanzialmente sprecata, pero’ il museo era tanto bello e volevano assolutamente spacciarsi con te portandotici dentro.

(Comunque anche noi dovremmo tacere, che un dotto professore nordico a pranzo ci ha raccontato di come resto’ allibito quando, a una conferenza internazionale di linguistica da lui presieduta, professori del Nord Italia e professori del Sud Italia si presero a male parole davanti a tutti, in mezzo alla sala, al grido di “razzisti!” e “comunisti!”, sulla questione “il lombardo, il veneto e il piemontese sono lingue o dialetti?”. Non temete, comunque, lui concordava con me che sono lingue!)

divider
lunedì 3 Settembre 2007, 18:58

Toledo in breve

Avendo ancora soltanto cinque minuti di Internet cafe’, ecco Toledo in breve:

Una citta’ bellissima.

35 gradi all’ombra stabili quattro mesi l’anno.

La miglior cipolla cruda che abbia mai mangiato.

Viso +, tette ++, culo +++.

E soprattutto, la totale invasione di negozi che vendono i prodotti millenari dell’artigianato locale: i piatti di ceramica, e la spada del Signore degli Anelli.

divider
domenica 2 Settembre 2007, 09:47

Verso l’ignoto

Se non mi vedete apparire in questi giorni, è perché sono improvvisamente partito per uno dei miei viaggi, in particolare a Toledo, per questa conferenza. La cosa bella, però, è che per una volta non è una conferenza in cui sono io l’invitato; in sostanza, mi sono aggregato all’ultimo senza la minima idea di cosa fosse – se non che era una cosa estremamente e astrusamente erudita, a metà tra la rivelazione meravigliosa e il “mai più senza” intellettuale – e non ho nemmeno ancora letto il programma, prendendo la cosa come una totale vacanza. In pratica, potrei passare i quattro giorni in albergo a dormire, sperabilmente inframmezzando il sonno con visite alla città – che mi dicono bellissima – o magari con un giro nelle vicine Madrid, Avila o Segovia.

Poi già lo so che troverò una connessione a Internet, bloggherò, lavorerò, risolverò problemi… però lasciatemi pensare che, per quattro giorni, la mia vita possa non essere incasellata in un albergone ben programmato dalle sette alle ventuno a slot di quindici minuti, o in alternativa vagante per casa nell’eterna lotta tra le disparate incombenze da fare e il sotterraneo desiderio di logorante cazzeggio.

divider
sabato 1 Settembre 2007, 16:54

In un tripudio di cori e sfottò

Stamattina Recoba è stato presentato in pubblico, e ovviamente io ci sono andato; non solo, ma ho anche ripreso quasi per intero l’evento. Peccato che Youtube rompa le scatole sulle dimensioni dei video, costringendoti a spezzettarli e a ridurli di dimensione fino a che le persone non diventano dei pixel quadrati; comunque, potete vedere l’intera sequenza qui. Oppure, potete dare un’occhiata al video qui sotto, giusto per capire l’atmosfera di questo genere di eventi, e anche per scoprire la gentile risposta del presidente e di circa quattromila persone alla dama Evelina.

In un giorno così, nemmeno Tuttosport riesce a farci incazzare. Peraltro, loro ci provano insistentemente; mentre tutti gli altri quotidiani aprono le sezioni sportive con due notizie – il Milan che vince la Supercoppa e Recoba al Toro – loro aprono così:

tuttosport-010907.jpg

Per carità, sicuramente anche la Juve ha fatto una buona campagna acquisti, comprando per un dieci-venti milioni di euro l’uno campioni come Tiago, Andrade e SalimahSalihman… uno con un nome così, insomma; io non ne avevo mai sentito nominare nemmeno uno, ma è certamente colpa mia, che sono disinformato.

Se prendiamo la giornata di ieri, però – quella di cui normalmente i quotidiani si occupano, essendo, come dice la parola, quotidiani -, scopriamo che il Toro, dopo aver già acquistato una dozzina di giocatori nelle settimane precedenti, ha, nell’ordine, prelevato il junior rumeno Dobrescu, soffiandolo al Manchester United; ottenuto in prestito Recoba; ottenuto in prestito dal Palermo il nazionale Under 21 Dellafiore; acquistato dal Venezia il giovane Moro, girandolo poi in comproprietà al Messina; prestato al Crotone il difensore Ogbonna; venduto all’Ascoli il difensore Cioffi, in cambio della proprietà completa dell’attaccante Bjelanovic; fatto saltare con mezzi poco chiari il passaggio dell’ala Guberti e dell’Under 21 Ranocchia alla Fiorentina, in cambio di chissà cosa; e ottenuto dalla FIFA il nullaosta per il tesseramento del giovane francese Malonga, proveniente dal Monaco.

Nella stessa giornata, le operazioni di mercato concluse dalla Juventus sono state: dunque… ehm… aspetta… no, però si sono parlati col manager di Del Piero per il rinnovo del suo contratto, un incontro importantissimo, al termine del quale Del Piero ha dichiarato “il rinnovo del contratto è lontano, ma non lontanissimo”.

Persino il pavido “Abbondio” Nesti, nel suo sito, si sbilancia e dà al mercato del Toro mezzo voto in più. Solo che Tuttosport, in tempi di bile bianconera che sbocca, non ce la fa proprio: lo sa che, per una volta nei secoli, bisognerebbe dire che il Toro ha fatto un bel colpo di mercato, ma proprio non ci riesce. E così, la butta sul generico.

Per carità, le basi di partenza delle due squadre sono ben diverse, la Juve ha tuttora un parco giocatori che vale quattro o cinque volte quello del Toro, in teoria non c’è confronto. Però, per una volta, ha avuto ragione Cairo: comunque vada, quest’anno ci divertiamo.

divider
venerdì 31 Agosto 2007, 12:20

Pantani

Ho comprato per caso, a Londra, un corposo libro sulla vita di Marco Pantani. Io, come saprete, sono un grande appassionato di ciclismo; ricordo perfettamente la sorpresa, l’esaltazione, la gioia per quelle due tappe di montagna del Giro 1994, in cui, da perfetto sconosciuto al secondo anno di professionismo, Pantani fece fuori tutti i rivali con una impresa incredibile. Ricordo anche la tristezza quando finì di autodistruggersi, nel febbraio di dieci anni dopo.

Il libro è molto interessante, molto ben scritto, pieno di dati e di prove come solo un libro di un giornalista inglese potrebbe essere; nulla di più distante dalla pletora di agiografie che sono uscite in Italia negli ultimi anni, spesso col solo scopo di far soldi. E’, comunque, un libro straziante e devastante al tempo stesso, perché è impietoso, e non nasconde nulla, finendo per fare a pezzi il mito di Pantani e con lui tutto il ciclismo. Per questo, sono abbastanza sicuro che non sarà tradotto in italiano.

Difatti, seguendo l’ordine cronologico degli eventi, la prima metà del libro racconta la crescita di Pantani: l’infanzia, l’adolescenza, i primi successi, l’esaltazione, la costruzione del mito. E poi, la seconda metà lo distrugge, esaminando cifra per cifra tutti i dati medici dei suoi processi, e poi descrivendo nel dettaglio e senza pudore (ma con pietà) i suoi ultimi due anni da cocainomane allo stadio terminale – le liti, i colpi di testa, le macchine e le camere sfasciate, le cattive compagnie, le richieste di aiuto e il rifiuto dell’aiuto stesso, come un tossico qualunque.

La tesi del libro è chiara e inconfutabile: Pantani è un fenomeno chimico, il cui uso sistematico dell’eritropoietina (EPO) per pompare le proprie prestazioni risale perlomeno alle sue prime vittorie da professionista nel 1994, se non alla carriera da dilettante.

Questo, peraltro, lo sapevamo o lo sospettavamo già: in questi anni, è emerso chiaramente che – grazie al fatto che fino al 2001 non si poteva distinguere l’uso di EPO artificiale, ma solo sospendere chi si ritrovava con l’ematocrito sopra il 50% – praticamente qualsiasi ciclista degli anni ’90 faceva abbondante uso di EPO; del resto, non sarebbe altrimenti fisicamente possibile percorrere le strade in bicicletta a quelle velocità, nemmeno a quelle dei gregari.

L’EPO, per chi non è pratico, è una sostanza che è presente naturalmente nel corpo, e che regola la produzione dei globuli rossi nel sangue; i globuli rossi sono quelli che trasportano l’ossigeno ai muscoli, e quindi rendono possibile lo sforzo fisico di resistenza senza accumulare acido lattico. Più globuli rossi ci sono nel sangue, più prolungato è lo sforzo che un atleta può fare. Quando negli anni ’80 l’industria farmaceutica riuscì a produrre EPO di sintesi, lo scopo era curare gli anemici; eppure, pare che a fine anni ’90 l’EPO fosse il terzo farmaco più venduto d’Italia.

L’ematocrito è la percentuale di globuli rossi nel sangue; ha un valore che, a seconda della persona, sta tra il 40 e il 50 per cento, variando abbastanza poco nel tempo. Più l’ematocrito sale, più il sangue diventa denso, quasi un gel; esso può portare più ossigeno, ma diventa più pesante, sovraccaricando il cuore, e creando seri rischi di infarto.

I ciclisti cominciarono a fare iniezioni di EPO, arrivando artificialmente anche al 60 per cento, per incrementare le prestazioni fino al 7-10 per cento, che su una gara di cinque ore vuol dire venti-trenta minuti in meno: distacchi impossibili da colmare, anche col talento. Non c’è limite ai rischi che un essere umano può prendersi pur di vincere, diventare famoso, guadagnare bene; o anche, ai rischi che un manager e un dottore possono far prendere a un ventenne con la terza media pur di vincere e guadagnare bene alle sue spalle. Certo, ci sono alcune controindicazioni; ad esempio, i ciclisti dormono di notte con un apparecchio che li sveglia se il battito cardiaco scende sotto una certa soglia, perchè a quel punto l’infarto sarebbe molto probabile; in tal caso, si alzano e – magari dopo sette ore di gara di giorno – fanno un’oretta di cyclette, non perchè si divertano, ma semplicemente per sciogliere il sangue e non morire.

Non potendo individuare l’EPO artificiale, i controlli si limitavano a sospendere i ciclisti con l’ematocrito troppo alto, ossia soggetti a rischio di infarto; per questo, i ciclisti – che spesso sapevano in anticipo dei controlli, e comunque avevano alcuni minuti di preavviso – si limitavano a diluirsi il sangue con una soluzione fisiologica subito prima del controllo, in modo da risultare momentaneamente sotto la soglia.

Nel caso di Pantani, sono raccontati un paio di episodi agghiaccianti: come quando, dopo il terribile incidente alla Milano-Torino del 1995 giù per le rampe di corso Chieri, al CTO gli trovarono un ematocrito del 60%, che però crollò nei giorni successivi, fino a scendere al 20% e ad indirizzarlo verso una probabile morte per anemia; ciò è spiegabile col fatto che, di fronte a massicce iniezioni di EPO artificiale, la produzione naturale di EPO si blocca, e se si interrompono le iniezioni ci mette comunque un paio di settimane a riprendere; per cui non si dovrebbe smettere di colpo, ma gradualmente. Pare, anche se non è provato, che Pantani si sia salvato dalla morte solo perché qualcuno si infilò nella sua camera di ospedale e ricominciò a bombarlo di EPO di nascosto.

Quando poi nel 1999, alla fine di un Giro già vinto, lo beccarono, lui parlò di complotti; si portò avanti per sempre l’idea di essere una vittima, e la trasmise alle legioni dei suoi fan. Certamente non pensava di farsi beccare; certamente il modo da cannibale in cui vinceva, senza lasciare niente a nessuno, non piaceva al resto del gruppo; certamente, molti furono contenti quando lasciò la corsa. Insomma, che Pantani fosse effettivamente ben sopra il limite è certo, ma c’è comunque la possibilità che il complotto – non per incastrarlo artificiosamente, ma per farlo beccare – ci sia davvero stato, anche se ci sono altrettante possibilità che sia stato tutto solo un caso, che Pantani ha interpretato in modo vittimistico.

Per esempio, una delle tesi suggerite dal libro è che, come risulta dalle cronache, i medici deputati al prelievo di sangue si siano presentati oltre un’ora dopo quella prevista; in questo caso, anche se ci si è diluiti il sangue, l’organismo ha già cominciato a smaltire l’acqua in eccesso, e l’ematocrito è già risalito un po’. Oppure, si dice che il medico della squadra fosse sparito dopo una notte brava, e non fosse lì a fare la flebo di soluzione quando sarebbe servita. E’ ragionevole pensare che comunque il 53% rilevato dal controllo, pur sufficiente a sospenderlo, fosse decisamente meno di quanto Pantani avesse nel sangue fino alla sera prima.

Il problema, però, è che stando alla ricostruzione del libro Pantani aveva una personalità che conosco fin troppo bene: nell’adolescenza, preso tra una madre iperprotettiva e un padre poco presente, isolato a scuola per il suo buffo aspetto, aveva trovato nella solitudine del ciclismo la sua strada vincente, abbracciandola in modo ossessivo. Nella ricostruzione, Pantani appare come il più grande nerd che il ciclismo abbia mai avuto, sempre solo, sempre chiuso nel suo mondo interiore, concentrato sulla necessità di vincere sempre e comunque per compensare la mancanza di autostima, e incapace di costruire relazioni profonde con gli amici e a maggior ragione con le donne. Lo psicologo che lo visitò all’inizio della fine diagnosticò seri disturbi di personalità, di tipo narcisistico, dipendente, paranoico e ossessivo.

Non stupisce quindi che, da buon narcisista e quindi egocentrico, abbia preso la squalifica di Campiglio come un complotto ai propri danni, così come gli incidenti e le cadute e gli altri episodi di sfortuna che costellarono la sua carriera. Non stupisce nemmeno che, pochi giorni dopo quella squalifica, abbia cominciato con la cocaina, e ne sia diventato progressivamente schiavo, aiutato dal fatto di avere soldi infiniti e un sacco di persone accomodanti attorno. Purtroppo, non si può da questo concludere che Pantani sia stato distrutto dal mondo del ciclismo; ha sicuramente pagato più di altri una pratica che facevano tutti, ma il modo autodistruttivo in cui ha reagito è stata una conseguenza della sua personalità, non certo un destino ineluttabile.

In più, la cosa è stata peggiorata da quanti hanno insistito per continuare a farlo correre, anche quando chiaramente non era più competitivo, fino a pochi mesi prima della morte; le persone attorno a lui, sostenendo che farlo correre era un modo per tenerlo lontano dalla droga, hanno continuato a guadagnare, ma lui, mangiando la polvere degli altri, ha perso l’armatura che teneva in piedi la sua autostima; e senza autostima si muore per autodistruzione.

Qual è la morale di questa storia? Chiunque guardi il ciclismo sa perfettamente che tutti gli atleti moderni, chi più chi meno, sono dopati come e più dei cavalli, certamente in questo sport, probabilmente in tutti gli altri (è normale che un calciatore di ventidue anni, di una squadra minore che è diventata incredibilmente vincente in due anni, muoia di un “imprevedibile” infarto?). Finora, però, ero riuscito a confinare questo pensiero in un angolo del cervello, a considerarlo un male da combattere, ma che non offuscava la bellezza incredibile di questo sport. In fondo, se tutti si dopano, alla fine sono tutti alla pari, no? Anche quelli tra i fan di Pantani che riconoscono il suo doping hanno sempre ragionato così: Pantani era un fenomeno, un ciclista campione che si sottoponeva a “normali” pratiche di doping. Se il doping non fosse esistito, avrebbe vinto non di cinque minuti, ma di mezz’ora.

Purtroppo, il libro fa notare (con tanto di puntatore ad articolo scientifico di supporto) una verità triste ma ovvia: che in uno sport in cui sono tutti dopati non vince chi è geneticamente e mentalmente più portato per quello sport, ma chi geneticamente e mentalmente reagisce meglio alle terapie di doping. In altre parole, Pantani forse non era un ciclista campione che si sottoponeva a un normale doping, ma un ciclista normale che si sottoponeva a doping da campioni, probabilmente in modo ossessivo, esagerato e rischiosissimo come le sue famose discese.

Questo dubbio, purtroppo, non lo risolveremo mai: Pantani era veramente un campione o no? La sua storia da giovane è comunque piena di dimostrazioni di talento eccezionale; la bici era il suo destino. Certamente il suo bisogno di vincere a qualsiasi costo non era arrogante e cattivo, ma disperato ed essenziale. Certamente, la storia di Pantani è una storia molto triste, di una persona che ha avuto dalla vita premi eccezionali, senza mai essere felice; e li ha pagati a carissimo prezzo.

Forse possiamo concludere che Pantani è campione nel rappresentare quanto è marcio lo sport moderno, in cui gli sportivi sono le prime vittime, circensi pagati per farci divertire a qualsiasi costo, anche a quello della loro vita. Le immagini straordinarie delle imprese di Pantani restano nei miei occhi, ma come quelle di un fantasma; nonostante la fatica immane che sono comunque costate, non erano reali, ma soltanto show-business. Come Pantani, esistono dieci, venti, forse più, ciclisti morti d’infarto o di droga negli ultimi anni, a meno di quarant’anni di età, senza nemmeno l’onore delle telecamere. Il modo giusto di onorarli sarebbe quello di spezzare l’omertà, e di smettere finalmente di doparsi, tutti.

Peccato che gli ex colleghi di Pantani, dopati come lui, siano i nuovi dirigenti del ciclismo attuale.

divider
venerdì 31 Agosto 2007, 10:12

Comunicazioni di servizio

Non è ancora ufficiale, ma oggi pomeriggio alle 14:15, alla Sisport di corso Unione Sovietica, presentazione alla stampa del nuovo acquisto (prestito, per la verità) del Toro, Alvaro Recoba. Giocherà con la maglia numero 4. A partire dalle 15:40 porte aperte a tutti per assistere all’allenamento.

Va detto (a quelli che non volevano cambiare allenatore) che Recoba è venuto al Toro essenzialmente per i buoni rapporti personali e la credibilità indiscussa del nuovo allenatore Novellino. Un po’ come Balestri con De Biasi

divider
giovedì 30 Agosto 2007, 12:07

Matrimoni

Io non riesco a capire perché uno, soltanto per essere parente dello sposo, debba venire:

  • Mobbato dai parenti per due mesi sulla necessità che il vestito sfoggiato per l’occasione sia assolutamente nuovo;
  • Portato a forza all’acquisto del suddetto vestito proprio il pomeriggio in cui c’è Toro-Rimini di Coppa Italia alle 18;
  • Trattenuto per oltre un’ora a provare ogni diversa sfumatura di taglio, colore e tessuto che si possa immaginare;
  • Trattenuto per un’altra ora per trovare tutti gli accessori necessari ad andar bene col vestito scelto;
  • Deprivato di oltre seicento euro del proprio patrimonio;
  • E infine, come se non bastasse, intimato di lavare la macchina prima dell’occasione (no dico, la mia macchina!)

Sono stato peraltro gentile: a cena davanti alla futura «non so la parola per indicare la moglie dei fratelli e speravo di non doverla mai imparare», mi sono trattenuto dal riferire il messaggio che almeno due diversi amici di famiglia sulla quaranta-cinquantina mi hanno vivamente invitato a propagare, che conteneva in vari punti le parole “cretino”, “ne riparliamo tra cinque anni”, e “pagherai alimenti tutta la vita”.

Comunque viva gli sposi, eh!

divider
 
Creative Commons License
Questo sito è (C) 1995-2025 di Vittorio Bertola - Informativa privacy e cookie
Alcuni diritti riservati secondo la licenza Creative Commons Attribuzione - Non Commerciale - Condividi allo stesso modo
Attribution Noncommercial Sharealike