Sky
Vittorio vb Bertola
Affacciato sul Web dal 1995

Sab 31 - 6:21
Ciao, essere umano non identificato!
Italiano English Piemonteis
home
home
home
chi sono
chi sono
guida al sito
guida al sito
novità nel sito
novità nel sito
licenza
licenza
contattami
contattami
blog
near a tree [it]
near a tree [it]
vecchi blog
vecchi blog
personale
documenti
documenti
foto
foto
video
video
musica
musica
attività
net governance
net governance
cons. comunale
cons. comunale
software
software
aiuto
howto
howto
guida a internet
guida a internet
usenet e faq
usenet e faq
il resto
il piemontese
il piemontese
conan
conan
mononoke hime
mononoke hime
software antico
software antico
lavoro
consulenze
consulenze
conferenze
conferenze
job placement
job placement
business angel
business angel
siti e software
siti e software
admin
login
login
your vb
your vb
registrazione
registrazione
domenica 4 Aprile 2010, 21:03

Infelice come una Pasqua

Nel giorno di Pasqua sarebbe meglio raccontare una storia a lieto fine; e questa non lo è. Però è una storia che dice molto dei nostri tempi.

E’ la storia di un camionista che gratta, gratta e infine vince: trova il biglietto della vita, un milione e 740 mila euro vitalizio compreso. Ma lui non è pratico di quel particolare tipo di biglietto, la cassiera si sbaglia, in due non capiscono e buttano via il biglietto, credendo che non valga niente. Dopo una settimana, scopre la verità; torna, setaccia la tabaccheria, perquisisce i cassonetti, visita persino la discarica; ma il biglietto, ovviamente, non esiste più.

Se il biglietto ora saltasse fuori, o se perlomeno (impossibile) gli fosse riconosciuta ugualmente la vincita, sarebbe una storia pasquale: di morte e resurrezione. E non sembri blasfemo il fatto che la morte in questo caso sia una morte di denaro, la scomparsa non di una vita ma di una montagna di soldi; perché nella nostra società, nella testa degli esseri umani che qui e ora vivono, la montagna di soldi vale come e spesso più della vita.

La ricchezza improvvisa è un bel problema da avere, ma è lo stesso un grosso problema; gli annali sono pieni di persone che, dopo aver vinto alla lotteria o al totocalcio, in breve tempo finiscono male; rovinati, imprigionati, persino ammazzati. Perché nella nostra società essere ricchi è, in apparenza, la soluzione ai propri guai, la libertà dalla schiavitù di un lavoro infame, dai creditori alle porte, dai mobili di cartone comprati a rate; è, soprattutto, la rimozione dei propri freni inibitori, perché ai ricchi tutto è permesso (soltanto i poveri sono pazzi, i ricchi sono eccentrici). Nella realtà questo non è poi così vero, ma, se è vero che i soldi non danno la felicità, almeno si evita l’infelicità che certamente dà la povertà.

Molto peggiore è il problema di aver perso la ricchezza improvvisa. Le dichiarazioni del camionista nell’articolo sanno di shock profondo; e, in una società in cui la ricchezza è propagandata come il principale obiettivo della vita, ci vogliono mezzi culturali e caratteriali molto forti per reggere a tale shock… e li deve avere anche chi ti sta attorno, altrimenti passerà la vita a rinfacciarti l’occasione perduta.

L’infelicità da povertà, peraltro, è indotta; viviamo in un sistema economico che si regge sul rincoglionire le persone con la comunicazione per indurre in loro falsi bisogni, distraendoli da quelli fondamentali (affetto, compagnia, cibo, calore e poco altro). La nostra è una società in cui l’infelicità è calcolata e promossa come strumento per rendere schiave le persone, per convincerle a lavorare docilmente e poi a ridare a chi di dovere il denaro faticosamente guadagnato, in cambio di un benessere materiale che per la maggior parte non serve, né compensa l’alienazione e il dolore provocati dalla competizione e dallo stress. Una vera riforma dovrebbe partire anche da questo; ma vorrebbe dire, davvero, rovesciare completamente il nostro ordine sociale.

[tags]torino, gratta e vinci, lotteria, ricchezza, povertà, ordine, schiavitù, infelicità, bisogni[/tags]

divider
venerdì 2 Aprile 2010, 16:48

La bomba assoluta

Piace a tutti sognare il futuro; fa parte della natura umana. Specialmente quando si è giovani e non ancora feriti, il senso del futuro si accentra su ciò che è più direttamente normale: amarsi, riprodursi, condividere la vita.

Per questo fanno ancora più impressione le immagini delle terroriste bambine di Mosca; perché sono la caricatura innocente e diabolica della vita stessa. Nate e cresciute in terre incancrenite di vendetta, compiono un atto disumano per eccellenza come una strage, spinte da un motore umano per eccellenza come il dolore. Diversamente dall’arroganza amorale di chi uccide per prepotenza e per interesse, uccidono e muoiono per un ideale distorto; che altro non è però che un velo di finzione che ricopre la rabbia di una persona che ha perso tutto, perché ha perso l’amore.

L’odio scava solchi che imbarazzerebbero una bestia; è un sentimento tipico dell’umanità evoluta. Il perdono è un sentimento del cervello, l’odio viene dal profondo del cuore. Senza la saggezza dell’età e del dolore capito, l’odio è fuori controllo, e figlierà altro odio; come il vaso di Pandora, una volta aperto il contenuto maligno si sparge incontrollabilmente in ogni angolo.

Spero che anche chi nelle nostre società, con leggerezza, sparge intolleranza, non ci porti a scoprire che stiamo giocando col fuoco.

[tags]mosca, attentati, terrorismo, odio, intolleranza[/tags]

divider
giovedì 1 Aprile 2010, 18:53

Grillo e De Magistris, le sirene del vecchio

Avevo promesso di cambiare argomento, ma oggi pomeriggio Beppe ha dedicato un post piuttosto pesante a Luigi De Magistris (all’inizio pensavo addirittura fosse un pesce d’aprile), che ha suscitato commenti molto forti sia a favore che contro; e così ho interrotto quello che stavo scrivendo per pubblicare alcune considerazioni.

La questione di fondo è quella che ci pongono in molti: ma voi, col vostro 4%, dove pensate di andare? Avete un bel programma, ma come pensate di realizzarlo restando all’opposizione di tutto? Non sarebbe meglio fare alleanze con partiti che la pensano in maniera abbastanza simile a voi, a partire da IDV?

Io stesso mi sono posto queste domande, molte volte: non sono un antipolitico, non mi piace la critica fine a se stessa, e credo di avere il dovere di portare ai miei elettori i risultati che gli ho promesso – non solo parlarne all’infinito per prendere qualche seggio e godermelo con i miei amici. A prima vista, dunque, l’idea di mettere in piedi qualche alleanza è interessante: nella base dei partiti, sia di sinistra che di destra, ci sono senz’altro molte ottime persone, che spingono per un rinnovamento interno di cui noi possiamo essere un catalizzatore.

Ma poi, a una seconda analisi, l’idea non regge. Il dialogo ci sarà certamente, e senz’altro non ci saranno problemi a presentare e votare insieme a questo o quel partito specifiche proposte che condividiamo nel merito. Ma un’alleanza organica non è possibile: perché ad essere morta è la forma partito, e noi dobbiamo essere quelli che la seppelliranno. Perché la democrazia della delega è finita, e non è compatibile con la partecipazione. E perchè il rinnovamento dei partiti è sempre, invariabilmente, soltanto apparente, dato che l’accumulo di potere insito nelle gerarchie e nei politici di professione porta questi ultimi a diventare servi del potere stesso (spesso anche della criminalità organizzata).

La proposta di De Magistris di una grande alleanza di sinistra, comprendente grillini, IDV, SEL, popolo viola e così via, in realtà è un abbraccio della morte, almeno se non si accompagna a un cambiamento radicale della mentalità e dei modi di operare di chi sta nel sistema politico tradizionale. L’unico che l’ha capito pare Vendola; peccato che gli manchi il salto dalla politica delle ideologie a quella delle idee, che non si schiera ma propone.

A Torino ancora insistono con la favoletta per cui noi siamo estremisti di sinistra; o lo fanno in cattiva fede, cercando di ridurci al partitino rifondarolo che non siamo e non saremo mai, o continuano a non capire. Giudicando da quel che mi scrivete e mi dite voi per strada, l’80% di chi ci vota non voterebbe più né la destra né la sinistra; sono voti sottratti all’astensione.

Del resto, dopo l’elezione, il comportamento di De Magistris e, in parte minore, di Sonia Alfano è stato oggettivamente deludente, e ancora di più lo è stato quello del loro partito.

Di Pietro ha fatto un giochino non proprio pulito: alle europee, elezioni che notoriamente nella politica italiana contano come il due di picche, ha “aperto alla società civile” portando a casa i voti grillini e quelli di tanta altra gente a cui i partiti non piacciono, e aprendo una vaga ipotesi di rinnovamento; dopodiché, alle regionali, ha rimesso il partito in mano ai boiardi ex democristiani, ha appoggiato De Luca, e praticamente tutti i candidati dell’area De Magistris-Alfano – da Serenetta Monti a Roma a Benny Calasanzio, nipote di Borsellino, in Veneto – sono stati sonoramente trombati dall’apparato di partito.

Da parte loro, De Magistris e Alfano si sono allontanati dalla loro base (c’è chi dice che il primo screzio risalga a quel 4 ottobre 2009, alla presentazione del Movimento a Milano, in cui Grillo li ha presentati al pubblico ma non li ha fatti parlare dal palco). A Sonia, che è rimasta indipendente, si può appuntare poco altro che l’aver portato e sostenuto candidati nelle liste IDV, in concorrenza con quelli delle cinque stelle; che però è già una bella scelta di campo (io, onestamente, spero che ci ripensi e lasci l’IDV del tutto). A De Magistris, invece, si può obiettare molto di più; l’aver accettato la candidatura De Luca in Campania, e nonostante questo aver preso la tessera di IDV, due giorni prima del voto; e i risultati concreti del suo lavoro, che se esistono sono francamente invisibili ai più. L’abbiamo eletto per fare l’eurodeputato, non certo per girare per le televisioni e lottare per diventare il numero 2 di IDV a livello nazionale.

Certo anche a me spiace veder litigare Beppe e De Magistris; io non avrei usato quei toni, e magari avrei tentato di far riflettere De Magistris sui propri errori. Ma l’unità dell’opposizione è un falso mito; per eliminare Berlusconi bisogna eliminare il berlusconismo, di cui i partiti attuali sono tutti figli e sostenitori. Dunque, avanti per la nostra strada, senza ascoltare le sirene – quelle il cui unico obiettivo è riportare i nostri voti all’indietro, nel vecchio teatrino dei partiti.

[tags]politica, beppe grillo, de magistris, movimento 5 stelle, idv, vendola, berlusconi[/tags]

divider
mercoledì 31 Marzo 2010, 16:55

Comunicato stampa del centrosinistra piemontese

Poi da domani, prometto, si parla di nuovo di problemi veri.

Cari elettori piemontesi,

dopo lunghe e approfondite analisi abbiamo potuto concludere che la ragione della nostra sconfitta è da attribuirsi all’incredibile e inqualificabile scelta, da parte della maggior parte degli elettori, di non votare per noi.

Questa scelta ci addolora profondamente, e anzi vorremmo denunciare che non può essere vera. I nostri esperti – che paghiamo coi vostri soldi –  ritengono che nessuno potrebbe mai votare Berlusconi o Bossi, dunque ci sono senz’altro stati dei brogli. Se però davvero esistessero degli elettori che non hanno votato per noi, vorremmo invitarli al dialogo dicendogli: coglione, pezzo di merda! Sei veramente una testa di cazzo. Siamo certi che in questo modo la prossima volta voteranno per noi.

Se ciò non fosse sufficiente, i preti, che ospitiamo abbondanti nella nostra coalizione, ci hanno consigliato di giocare sui sensi di colpa: suuuu, daaaai, Gesù Bersani è tanto triste, un votarello, disgiunto disgiunto, che ti costava? Una moneta dottò, una moneta per una povera nonnina, che non riesce più a camminare da tutte le botte che per mesi le ha dato Chiamparino.

Vorremmo denunciare anche l’incredibile qualunquismo di sedicenti liste civiche che si sono presentate alle urne senza sistemarsi in alcuna delle due curve da stadio della politica italiana. E’ indispensabile che gli elettori siano sempre accecati dal tifo, altrimenti potrebbero anche accorgersi che sotto sotto il risultato lo decidiamo noi negli spogliatoi insieme agli altri. Certo ci chiediamo perché tutte le volte noi decidiamo di perdere, ma ci sembra che gli elettori sottovalutino ingiustamente il valore dell’esperienza e della professionalità in politica: i professionisti della sconfitta siamo noi.

Non riusciamo a capire come mai i torinesi non abbiano reagito di fronte alle brillanti linee strategiche della nostra campagna, esposte con scioltezza dal segretario Morgando: riproporre sempre le stesse facce di prima, imbarcare chiunque in coalizione e dire che Milano ci sta sulle scatole. Il fatto che l’UDC faccia o meno parte della nostra coalizione è al giorno d’oggi uno dei problemi primari dell’Italia; infatti non si parla d’altro tra le persone che frequentiamo, tutte quadri del nostro partito – che paghiamo coi vostri soldi.

E poi non è vero che siamo lontani dagli operai, l’ultimo giorno Bresso e Bersani sono venuti a Mirafiori a regalare brioche al cioccolato – che paghiamo coi vostri soldi – in cambio del voto, dimostrando così la loro alta considerazione della gente comune, prima di salire su un’auto da 50.000 euro e andare a prepararsi per il pranzo al Cambio – che paghiamo coi vostri soldi.

Dunque è evidente, se abbiamo perso è colpa dei grillini: sono colpevoli di esistere. Basterebbe farli sparire, e poi eliminare anche Berlusconi, Bossi, Fini, Casini, Lombardo, Storace e tre quarti degli italiani, e poi governeremmo noi… per tre mesi: fino alla prima lite tra D’Alema e Veltroni!

[tags]elezioni regionali, piemonte, movimento 5 stelle, partito democratico, bresso, chiamparino, bersani, piagnisteo, strategie politiche brillantissime[/tags]

divider
martedì 30 Marzo 2010, 02:46

Una serata storica

Beh, che dire? Se dopo le due di notte avete visto qualcuno, vagamente alticcio, aggirarsi per i Giardini Reali cantando Meu amigo Charlie Brown, ero io.

I risultati sono lusinghieri, incredibili: a scrutinio quasi finito si parla di 3,66% come lista e 4,08% come candidato presidente, rispettivamente 68.000 e 90.000 voti. Se ci aggiungessimo lo 0,7% preso dalla Lista Grillo di Rabellino e gli oltre 20.000 voti di persone che hanno erroneamente barrato solo il simbolo destro e non quello sinistro, saremmo arrivati al 5%. Ma cambia poco; sempre due consiglieri dovrebbero essere, uno a Torino (Davide Bono) e uno a Cuneo (Fabrizio Biolé). Stando ai dati non definitivi ma quasi, a Torino e provincia abbiamo preso il 4,36%, in molti paesi della Valsusa siamo vicini al 30%, a Torino città siamo al 3,7%. Siamo sotto soglia solo a Vercelli e Alessandria, in compenso ad Asti e provincia siamo sopra il 4% (che si siano stufati di Galvagno?). Ah, e avrete sentito del 7% in Emilia

Inoltre, il mio risultato personale è francamente incredibile: siamo oltre le mille preferenze, e dovrei risultare nettamente terzo, alle spalle delle due persone che tutti pronosticavano in cima (Davide, che come candidato presidente ha goduto di una visibilità nettamente superiore a tutti, e Marco Scibona, il candidato No Tav). Nessuno si aspettava un risultato personale del genere (700 preferenze solo a Torino città): con un budget di ben 155 euro ho preso il doppio di preferenze di persone che (in altre liste) fanno politica da anni e hanno investito decine di migliaia di euro. Di questo devo ringraziarvi, non sarebbe stato possibile senza tante persone che hanno creduto in me e si sono sbattute a presentarmi e far circolare i miei volantini; sapevo che questa non era l’elezione in cui potevo essere eletto, ma questa valanga di preferenze è un buon viatico per un ruolo importante alle prossime elezioni comunali ;-)

So che chi tifa sinistra è incazzato, molti seguono il ragionamento indubbiamente strano secondo cui tutti i nostri voti sono “roba loro”. In realtà chi dei nostri elettori temeva la Lega ha fatto il voto disgiunto, sono stati a naso circa uno su cinque, gli altri hanno votato per Bono (qualcuno anche per Cota, come l’altra preferenza per me che mi son trovato nel mio seggio) perché di far vincere la Bresso non gli importava nulla. Tant’è: gente di sinistra, se non riuscite a vincere nemmeno con il vantaggio di candidare la presidente uscente e mettendo in piedi un’armata brancaleone che va da Rifondazione all’UDC, forse è ora di farvi qualche domanda da soli. In fondo, la tessera del PD a Grillo l’avete negata voi, no? Ma su questo argomento scriverò qualcosa di più domani.

Nel frattempo, grazie ancora a tutti, vedremo di ripagarvi in qualche modo, soprattutto col lavoro e la fiducia. Metto via il dolce pasquale Lidl con cui stavo festeggiando, ci sentiamo domani con più calma.

[tags]movimento 5 stelle, piemonte, elezioni regionali, beppe grillo, cota, bresso, risultati[/tags]

divider
venerdì 26 Marzo 2010, 23:59

Grazie

Questo è l’ultimo post prima del voto – fino a lunedì pomeriggio non scriverò più niente. Vorrei innanzi tutto ringraziare tutti quelli che si sono dati da fare per il Movimento e per me; amici di vecchia data e persone conosciute sul momento, tutti sorridenti e contenti di aiutarci in questa impresa. Come ho scritto anche sul blog collettivo della lista, a partire da stanotte non sarà più permesso fare campagna elettorale in pubblico, ma è ovviamente consentito parlare, telefonare, mandare sms e e-mail e insomma mobilitare tutti i vostri amici, parenti e conoscenti ad andare al seggio e votare per il Movimento 5 Stelle.

Per me, comunque vada, è stato un grande onore e un grande piacere essere parte di questa campagna elettorale; mi ci sono buttato al massimo e ho cercato di farla al meglio. L’anno scorso in piazza Castello, alla fine della campagna delle elezioni provinciali, avevo salutato la piccola folla dicendo “se siamo qui in 200 stasera, l’anno prossimo saremo in 2.000 e l’anno ancora dopo in 20.000”. Bene, in realtà siamo arrivati a 20.000 con un anno di anticipo e mi faccio un punto d’orgoglio di aver mantenuto la promessa.

L’inverno è stato durissimo, da soli in un lungo viaggio al gelo per riuscire ad esistere sulla scheda, ma poi è arrivata la primavera. In queste ultime due settimane – da quando i politici e i giornalisti hanno capito che facciamo sul serio – ce ne hanno dette, me ne hanno dette di tutti i colori: qualunquista, populista, dilettante, velleitario, leghista, fascista, berluscoide, lacché di un comico, lustrascarpe di Grillo (queste ultime due sono di un simpatizzante PD e dipendente della Regione, che mentre è pagato coi miei soldi passa i pomeriggi a insultarmi sui forum). Ma dopo la primavera arriverà inesorabilmente l’estate; tutto sta maturando in fretta e il clima sarà caldissimo.

La crisi sarà pesante; farà differenza avere al timone persone che pensano soltanto a salvare se stesse, o persone che pensano a salvare tutta la nave. Io spero solo di meritare la fiducia che tante persone hanno riposto in me; se ne avrò la possibilità, vedrò di giustificarla coi fatti. E spero di poter affrontare le sfide difficili che ci aspettano con gli stessi risultati che sono riuscito ad avere in passato.

Nel frattempo, vi ringrazio ancora e auguro anche qui un buon fine settimana a tutti noi.

[tags]elezioni regionali, piemonte, politica, movimento 5 stelle, beppe grillo, crisi, futuro[/tags]

divider
giovedì 25 Marzo 2010, 19:20

Due parole sull’Università

Nei giorni passati, alcune persone hanno cercato di organizzare al Politecnico un confronto tra i vari gruppi politici sui temi dell’università e della ricerca. La persona che avrebbe dovuto intervenire per il Movimento 5 Stelle ero io, perché ho un trascorso al Politecnico non solo da studente ma anche da rappresentante degli studenti nel Consiglio d’Amministrazione e negli altri organi, nella seconda metà degli anni ’90; e perché, dato che la mia compagna è ricercatrice, conosco direttamente i problemi del settore. Alla fine il Politecnico non ha concesso gli spazi e il confronto non si è fatto; tuttavia vorrei rendere pubbliche le mie idee in merito, trattandosi di temi importanti.

Credo che i problemi dell’Università in Italia si possano riassumere in due grosse categorie: mancanza di investimenti e mancanza di meritocrazia.

Gli investimenti nell’università e nella ricerca scientifica da noi sono storicamente bassi, contrariamente ad altre nazioni europee (ad esempio la Germania) dove, intelligentemente, si è tagliato su tutta la spesa pubblica ma non su questo settore, che è vitale per la modernità sia della nostra cultura che della nostra economia. Mancano fondi per la ricerca un po’ in tutto – laboratori, progetti, attrezzature, viaggi, biblioteche, abbonamenti alle riviste, gli stessi stipendi – e il risultato è che le nostre università non sono competitive e, se producono risultati di rilievo grazie alle numerose eccellenze individuali, lo fanno nonostante l’organizzazione delle università e non grazie ad essa; e chi vuole fare ricerca in Italia è condannato al precariato fino ad età avanzata.

Mancano fondi anche per la didattica, per esempio nel sostegno agli studenti fuori sede, e talvolta si assiste a fenomeni di “solidarietà inversa” per cui i ricchi pagano tasse universitarie ridotte grazie ai fondi presi anche dalle tasse degli operai, che però i figli al Politecnico spesso non li possono mandare proprio perché manca un sostegno a tutti gli altri costi.

Il fatto che gli Atenei debbano aprirsi al mondo dell’industria e aumentare i ricavi da commesse esterne, che pure è sacrosanto, non può diventare una foglia di fico per tagliare fondi e servizi all’infinito, né per eliminare completamente ciò che non genera ricavi a breve, un’ottica che è contraria allo spirito stesso della ricerca scientifica. E’ giusto aumentare l’efficienza eliminando sprechi e doppioni, ma senza confondere un lavoro creativo e concettuale con una catena di montaggio per produrre diplomi di scarso interesse (magari moltiplicati per aumentare le cattedre) e di scarso contenuto.

Il problema più grave, però, secondo me è la mancanza di meritocrazia; l’organizzazione per baronie, il nepotismo, il fatto che per quasi tutti i concorsi i vincitori siano già noti in anticipo, i giovani brillanti la cui carriera viene azzoppata per non mettere in pericolo il mediocre di turno. Anche se le situazioni variano da Ateneo ad Ateneo e da caso a caso, questi fenomeni sono molto diffusi ed evidenti.

L’Europa e gli Stati Uniti sono pieni di giovani cervelli italiani fuggiti all’estero non solo perché le attrezzature, i fondi e la stabilità del lavoro da noi scarseggiano, ma soprattutto per non dover subire l’umiliazione di farsi superare dai raccomandati e dai “figli di”, oppure di accettare il sistema. E’ vero che la cooptazione è da sempre il metodo di selezione adottato dall’accademia, ma in Italia questo sistema è degenerato in pratiche clientelari che vengono ormai date per scontate; e anche quando si cambiano le regole per affrontare il problema, viene subito trovato il modo di aggirarle, perché il problema è la testa di chi controlla gli Atenei, prima ancora che le regole. Alla fine chi vuole affrontare per passione la carriera universitaria si trova inevitabilmente davanti al bivio tra chinare la testa e adeguarsi al sistema, oppure emigrare; con il rischio che, emigrati i migliori, nelle nostre università spadroneggino quelli che non sono lì per merito.

Anche nell’Università, come nella politica e nell’industria, è dunque necessario un radicale rinnovamento della classe dirigente, che liberi le energie represse di chi ora è costretto a subire, di chi ha nuove idee e una visione moderna, meritocratica e internazionale.

[tags]università, ricerca, politecnico[/tags]

divider
mercoledì 24 Marzo 2010, 10:19

Lavoro, giustizia, merito

Lunedì pomeriggio ho fatto una gita, lontano dal computer e dai faccioni dei candidati sui muri, e sono andato davanti ai cancelli di una fabbrica, la ZF Sachs di Villar Perosa, a farmi raccontare la loro storia (se poi sbaglio qualcosa mi perdoneranno, possono precisare nei commenti).

In questo periodo di crisi, la Sachs ancora se la cava: produce ammortizzatori e se quelli per auto (originariamente era una fabbrica Fiat) non tirano più, quelli per le moto vanno ancora bene. “Ancora se la cava” di questi tempi vuol dire magari mettere persone in mobilità o in cassa integrazione, ma almeno la fabbrica non chiude. Peccato che abbia da poco chiuso l’altra fabbrica che stava nello stesso capannone, la Stabilus, azienda dello stesso gruppo tedesco che ha lavorato qui per quindici anni e che non era affatto in crisi, ma che al primo stormir di fronde i tedeschi si son riportati in casa: dato che loro non son fessi, preferiscono licenziare comunque gli italiani e riportarsi il lavoro in Germania, a differenza degli imprenditori italiani, che preferiscono licenziare comunque gli italiani e portare il lavoro in Romania, salvo poi scoprire che non esiste più un mercato interno per i loro prodotti perché nessuno qui ha più una lira da spendere.

Chiusa la Stabilus, a catena rischia anche la Sachs: perché i costi per tenere attivo un capannone sono grandi e se chi ne occupa metà sparisce, i costi per l’altro raddoppiano. Così tutti – perché una fabbrica così è un patrimonio per tutta la valle, non solo per gli operai – si sono dati da fare per trovare qualche modo per migliorare la situazione, e invece di avere come unica idea quella di farsi dare fondi a babbo morto, hanno detto alla Regione Piemonte: aiutaci con dei fondi per ricoprire il tetto del capannone di pannelli fotovoltaici, così la fabbrica produrrà energia, taglierà i costi energetici e incasserà anche qualche lira vendendo l’eccesso.

E la Regione, naturalmente, non ha risposto; perché erano già tutti in fregola pre-elettorale. Cota o Bresso, Bresso o Cota, finché non finisce il derby dei faccioni non si muove foglia, e chissà per quanto tempo ancora dopo. Dopo, chissà se ci sarà ancora la fabbrica.

Racconto questa storia non solo perché è un dovere, perché di storie così ce ne sono tante ma arrivano al massimo fino all’Eco del Chisone, mentre i “grandi giornali” come La Stampa sono impegnati a raccontarci che un candidato alle regionali, sconosciuto ma con agganci al giornale, ha mandato una lettera a Obama (questa sì che è una grande idea per risolvere i problemi del Piemonte).

La racconto perché spesso ci dicono che siamo velleitari, che vogliamo creare lavoro ed eliminare la precarietà ma che non abbiamo la minima idea di come farlo. E invece vedete che chi lavora arriva da solo a capire la portata della rivoluzione energetica. Se fossimo un po’ più furbi ci saremmo messi da tempo ad aprire aziende su queste tecnologie; prima di quanto pensate, i nostri tetti dovranno coprirsi tutti di pannelli, le nostre case dovranno dotarsi di pompe di calore, i nostri impianti idraulici andranno riprogettati per non sprecare acqua e così via.

E vedete che, se in Italia ci fosse una amministrazione pubblica che funzionasse decentemente, la crisi non sparirebbe, ma la si potrebbe affrontare meglio; si potrebbero usare i pochi soldi che ci sono per aiutare le persone o per riconvertire le fabbriche a produzioni più vendibili, invece che sprecarli in grandi opere non particolarmente utili (quando non sono sprechi puri e semplici) e nei costi allucinanti della corruzione, delle clientele e della politica in genere.

Sarebbe comunque velleitario pensare di poter risolvere la crisi semplicemente cambiando la classe dirigente, perché la crisi è sia locale che globale; tolta quella locale, rimane comunque la crisi mondiale del modello di sviluppo adottato fino ad oggi. Tuttavia, un cambio di classe dirigente e di politiche del lavoro può permettere di affrontare la crisi con più giustizia, con regole eque e solidali per tutti.

Lo stesso concetto di precarietà, per esempio, può comunque essere affrontato rivedendo le regole. La globalizzazione da una parte (in sé fenomeno positivo, di incrocio, conoscenza e pacificazione mondiale) e l’immigrazione dall’altra sono stati usati per distruggere quel po’ di benessere, di diritti e di giustizia sociale che era stato faticosamente costruito in cent’anni di lotte operaie, a favore dell’arricchimento sfrenato di pochi.

Non esiste nessuna ragione per cui dobbiamo accettare passivamente che i nostri “imprenditori” trasferiscano le produzioni in Cina per sfruttare la manodopera schiavizzata e senza diritti che possono trovare là, oppure che licenzino le persone regolarmente assunte per “esternalizzare” il lavoro a immigrati e giovani senza diritti. Il problema non sono tanto i dazi, non sono “gli immigrati che rubano il lavoro” (come ripete la Lega, che poi da vent’anni mantiene gli immigrati nell’illegalità perché possano essere sfruttati meglio, e se a forza di illegalità finiscono a delinquere tanto meglio, così si rafforza la paura), ma è la possibilità di aggirare le regole sulla salute dei lavoratori, sulla sicurezza dei prodotti, sul trattamento fiscale e assistenziale, mediante l’uso delle sacche di illegalità e di precarietà che vengono accuratamente mantenute in Italia, o portando il lavoro là dove i diritti non esistono.

Non esiste nessuna ragione per cui il mondo del lavoro italiano debba essere diviso tra finte partite IVA, di quelle che ogni mese fatturano la stessa cifra alla stessa azienda, e contratti a progetto – persone che per quanto lavorino non hanno mai welfare, cassa integrazione, assistenza, garanzie sul futuro – e poi un insieme di lavoratori intoccabili che possono anche rubare o non presentarsi a lavoro e, di fatto, quasi sempre restano al loro posto. Invece di avere una giungla di contratti diversi, in cui ognuno difende i propri piccoli privilegi mentre l’intero sistema economico affonda, basterebbe un contratto di lavoro uguale per tutti o quasi, in cui a tutti è garantita una tutela in caso di perdita del lavoro secondo il “sistema danese”: un vero e proprio sussidio di disoccupazione pari allo stipendio per i primi mesi, che poi decresce progressivamente incentivando la persona a trovare un nuovo lavoro.

Con un uso intelligente dell’informatica non è difficile scovare i dipendenti travestiti da professionisti e l’evasione fiscale; basta volerlo fare. I soldi in Italia ancora ci sono, le strade sono piene di SUV da 50.000 euro, i ristoranti sono pieni, i negozi eleganti pure. Ma se nel mondo civile la ricchezza è un indicatore di capacità, e chi si arricchisce viene ammirato perché vuol dire che ha lavorato molto e bene, da noi troppo spesso la ricchezza è un indicatore di furbizia, e manda il messaggio che per avere successo bisogna fregarsene degli altri e violare le regole. Questo è un messaggio devastante che va cambiato, va sostituito con la meritocrazia, con il premio alla preparazione, alla capacità, all’onestà.

E infine – ma non diciamolo troppo forte – bisognerà prima o poi affrontare il problema delle piramidi che esistono tuttora nella nostra società. Il loro simbolo sono le banche, accumuli di denaro prelevato dalle tasche di tutti e gestito per garantire potere e controllo. Ma la ricchezza collettiva dovrebbe essere al servizio della collettività, investita in ciò che serve a tutti, utilizzata anche per la solidarietà, anziché per lo strozzinaggio al primo segno di difficoltà economica di una persona o di una azienda. Il problema della proprietà del denaro, del controllo delle banche centrali, del futuro dell’Europa affidato a un Parlamento di trombati e di burocrati in modo che il vero potere sia in mano alle lobby, è un problema fondamentale per la costruzione di una nuova società futura. Non è una elezione regionale il momento per affrontarlo, ma bisogna comunque metterlo sul tavolo.

Mi sono dilungato e me ne scuso, ma le cose che non vanno sono tante. Almeno, noi abbiamo una lista, e la volontà di metterci mano non appena ne avremo l’opportunità. Attendo volentieri i commenti e i suggerimenti dei lettori.

[tags]economia, lavoro, assistenza, equità, giustizia sociale, meritocrazia, politica[/tags]

divider
martedì 23 Marzo 2010, 01:40

Alcune idee per l’aeroporto di Caselle

Ho visto che sul blog di FlyTorino – l’associazione per lo sviluppo dell’aeroporto di Caselle, di cui sono socio – sono state raccolte le posizioni di vari candidati in merito al futuro dell’aeroporto stesso, e così ho inviato la mia, che trovate qui sotto. Del resto questo blog, negli anni, ha parlato spesso delle magagne del nostro aeroporto…

Sono Vittorio Bertola, candidato del Movimento 5 Stelle Piemonte, e vorrei esporre le mie idee per il futuro dell’aeroporto di Caselle.

Premetto che sono socio FlyTorino sin dallo scorso anno e che, nella mia attività di conferenze internazionali, uso da dieci anni Caselle per spostarmi in giro per il mondo (ero Senator Lufthansa fino allo scorso mese). In questi anni, nonostante l’ampliamento olimpico, si è potuto assistere a un progressivo decadimento del servizio, tanto è vero che molte delle rotte che ho percorso negli anni (via Zurigo, via Amsterdam, via Vienna) oggi non sono più possibili. Si è anche assistito al progressivo sviluppo del traffico low cost… su Malpensa e su Bergamo.

Caselle è evidentemente rimasto vittima di giochi politici, in cui – come purtroppo accade in tanti altri servizi pubblici, vedi autostrade – l’aeroporto è stato asservito ai profitti del socio privato, mentre i soci pubblici hanno rinunciato a pretendere qualità del servizio per i cittadini e hanno pensato soltanto a incassare i dividendi necessari a puntellare i propri bilanci, e magari a piazzare qualche amico nelle posizioni di sottogoverno.

E’ scandaloso come migliaia di torinesi siano costretti ogni giorno a trascorrere ore sulle autostrade piemontesi e lombarde per poter prendere un aereo. Noi non siamo favorevoli alla crescita dei trasporti – pensiamo che nella nostra società si viaggi troppo, e che per via dei problemi ambientali, economici e di qualità della vita creati dal pendolarismo e dai viaggi di lavoro sarebbe meglio incentivare il telelavoro e la teleconferenza dovunque possibile. Tuttavia, là dove viaggiare in aereo è necessario, i torinesi hanno il diritto di farlo il più possibile dall’aeroporto di casa, e di non venire usati come merce sacrificale per nascondere il fallimento del progetto di Malpensa 2000.

Penso dunque che ci sia spazio per una crescita del numero di passeggeri di Caselle e conseguentemente dell’occupazione, non aumentando i viaggi dei torinesi, ma riportando a Caselle tutti quei voli pieni di torinesi che oggi partono da Malpensa e da Bergamo; e a questo scopo è necessaria la base low cost, promessa e mai ottenuta per via di quelle che sembrano resistenze più o meno evidenti della classe dirigente torinese, un po’ per non intaccare il business aeroportuale e un po’ per non dispiacere agli amici a cui è stata regalata Alitalia. Certo trovo un po’ ridicolo che gli stessi amministratori che hanno remato contro Ryanair per anni ora ci dicano che si spenderanno prontamente per farla arrivare…

L’unico caveat che vorremmo esporre in merito alla base low cost è che essa non deve rappresentare però una occasione di ulteriore sfruttamento dei lavoratori. La vicenda Aviapartner è emblematica di come ogni appiglio venga sfruttato per incrementare i margini di profitto sulla pelle della gente. Non è detto che prezzi bassi voglia dire peggiori condizioni di lavoro – spesso vuol dire semplicemente una gestione “europea” invece che “all’italiana” – ma è un appunto che va fatto.

Inoltre, è necessario intervenire per migliorare i servizi di collegamento con la città – tutti. Anche qui, la sensazione è che si pensi non a semplificare la vita agli utenti, ma a spremerli il più possibile. Almeno non si spendono più 7 euro per un’ora di attesa di un passeggero in arrivo, ma rimane il costo spropositato dei taxi (la tariffa fissa per la città, durante la sua esistenza, si è rivelata più una presa in giro che altro).

I trasporti pubblici sono la nota più dolente: ci chiediamo chi si assumerà la responsabilità dello spreco del tunnel sotto via Stradella, da buttare via dopo vent’anni per spendere un’altra carrettata di denaro e scavare sotto corso Grosseto – e noi paghiamo. In attesa di scavare e riscavare, sarebbe sufficiente un semplice bus urbano espresso ogni 15-20 minuti, che parta da Porta Nuova e non da Dora, che faccia tre fermate in tutto, che non carichi anche gli studenti dei paesi intermedi e che non costi una fortuna. Ce la fanno in città paragonabili a Torino (es. Dublino), possiamo farcela anche noi.

Da utente di Caselle, concordo dunque di cuore con tutti e sette i punti di FlyTorino, ad eccezione del mezzo punto relativo alla Tangenziale Est, opera da noi ritenuta dannosa ed inutile; sarebbe ora che anche da noi, come in tutta Europa, si arrivasse negli aeroporti principalmente col trasporto pubblico.

[tags]torino, caselle, aeroporto, flytorino, trasporti, aerei[/tags]

divider
domenica 21 Marzo 2010, 23:11

Massaggini

Che dire: un’altra giornata da incorniciare. Piazza piena a Bussoleno, piazza piena (anzi parco pieno) a Novara… fino a Verbania non sono andato, ammetto che ero troppo stanco.

In più, prima del comizio ero sul palco (che poi era un pezzo di scalinata) davanti alla stazione di Bussoleno, arriva Beppe, mi saluta e mi fa: “Belin, ho letto il tuo curriculum, se è vero è incredibile…”. Ovviamente gli ho risposto “Certo che è vero!”, ma lo capisco, nel senso che ci sono tantissimi trentenni italiani con capacità ed esperienze internazionali di rilievo, ma quasi tutti purtroppo sono già all’estero da un pezzo; ci han lasciato qui nella bagna, anche se con la morte nel cuore e con sincera rabbia e nostalgia. Qui, purtroppo, è più facile trovare quelli che le capacità o le esperienze di rilievo non le hanno, ma se le fabbricano ad arte nel curriculum.

A Novara seconda puntata: Beppe finisce il suo discorso e, come sempre, si prepara a passare il microfono ai candidati. Stavolta, però, vede me, mi prende sotto braccio e comincia a dire: “Vedete, per esempio qui abbiamo un ingegnere, un esperto internazionale, un curriculum così ce l’hanno solo lui e Steve Jobs…” – o meglio non sono completamente sicuro di cosa abbia detto, perché penso di essere diventato un bel po’ viola, e per fortuna che era già quasi buio. Parlo, racconto dei miei video, faccio la mia solita domanda – ho deciso che è una buona domanda, dunque la vado ripetendo in ogni piazza. Poi parlano gli altri, e a quel punto spunta fuori Beppe e si mette dietro di me, davanti a tutti, a farmi i massaggini alle spalle. Ovviamente più lui mi massaggia e più io mi irrigidisco, che diamine! non solo siamo uomini: siamo piemontesi e ci diamo del lei pure a letto.

A questo punto, se questo fosse un partito, i miei compagni di lista mi farebbero trovare una testa di cavallo davanti alla porta. Invece eravamo tutti contenti… d’altra parte, con queste folle che si palesano in tutte le tappe del giro di Beppe, non potrebbe essere diversamente; lo spazio per gli ego, che pure in politica è inevitabile, è messo in secondo piano.

Non so, non so davvero come andrà a finire, se supereremo il 3% o no, se cambieremo il mondo poco, tanto, completamente o per niente. So però che tutta la fatica che abbiamo fatto sta venendo ripagata dall’affetto che incontriamo, e soprattutto, ancora più importante, dal vedere tante altre persone che si attivano; nemmeno che ci seguono, ma che cominciano a “movimentarsi” in prima persona di propria iniziativa.

[tags]politica, movimento 5 stelle, beppe grillo, elezioni regionali, piemonte, bussoleno, novara, emigrazione, fuga dei cervelli[/tags]

divider
 
Creative Commons License
Questo sito è (C) 1995-2024 di Vittorio Bertola - Informativa privacy e cookie
Alcuni diritti riservati secondo la licenza Creative Commons Attribuzione - Non Commerciale - Condividi allo stesso modo
Attribution Noncommercial Sharealike