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venerdì 20 Novembre 2009, 08:47

Mi sono rotto i coglioni di Berlusconi

Anch’io, come già trecentomila italiani, mi sono rotto i coglioni di Berlusconi e voglio gridarlo forte.

Mi sono rotto i coglioni di essere preso per il culo tutte le volte che metto il naso all’estero, da qualche tedesco o francese che ricorda l’ultima buffonata o l’ultima sparata del nostro Presidente “più alto che educato”.

Mi sono rotto i coglioni di un Paese che va alla deriva perché tutta l’energia del nostro governo è concentrata sul fermare in qualsiasi modo i processi del suo premier, a costo di lasciare in libertà anche tutti gli altri criminali.

Mi sono rotto i coglioni di un sistema politico funzionale a una sola persona, in cui la maggioranza prende ordini da lui e l’opposizione lo usa come sponda nei propri giochi di potere interni, guardandosi bene dall’attaccarlo seriamente.

Mi sono rotto i coglioni dell’Italia degli ultimi vent’anni e credo che dirlo una volta di più non sia mai troppo.

Per tutte queste ragioni, vi invito a partecipare al No Berlusconi Day, il 5 dicembre: una manifestazione completamente apartitica, nata dalla rete e da Facebook. Chi può, salti su uno dei pullman e vada a Roma. Per chi non può, stiamo organizzando un raduno alternativo in piazza Castello in contemporanea con la manifestazione principale, con proiezioni di video, musica dal vivo, le immagini da Roma e tanti saluti a Silvio.

Per chi viene dal Piemonte, questo è il gruppo Facebook con tutte le informazioni; questa è la fan page nazionale a cui iscrivervi per segnalare il vostro supporto morale, e questo è l’evento torinese se pensate di venire in piazza Castello. Troverete gazebo informativi nel fine settimana sia in piazza Castello che in piazza San Carlo (io non sarò ai gazebo questo weekend, ci sarò il prossimo).

Concludo dicendo che l’altra sera sono andato per la prima volta alla riunione del gruppo organizzativo torinese, a titolo completamente personale in quanto la manifestazione è apartitica e stiamo tutti cercando di evitare che venga strumentalizzata in qualsaisi maniera (anche se sono piuttosto certo che il 5 dicembre, dopo che queste persone non avranno mai mosso un dito, spunteranno in piazza abbondanti bandiere dell’IDV e dei partiti di sinistra… vedremo come fare). Tranne un paio di noi grillini e un ragazzo di Sinistra e Libertà, tutti gli altri erano cittadini che non avevano mai fatto politica – esattamente come eravamo noi un paio di anni fa quando abbiamo cominciato a lavorare all’idea delle liste a cinque stelle. E’ stato davvero bello vedere che ci sono ancora tanti italiani che non mollano, e che sfruttano le potenzialità della rete per cercare di salvare il nostro Paese… e dunque vi lascio con la foto dell’altra sera.

nobday-pnuovo.jpg

P.S. Ovviamente il PDmenoL non aderisce, preferendo un “approccio costruttivo” basato su “azioni concrete” (tipo D’Alema tentato ministro in Europa con il supporto di Silvio). E un bell’“esticazzi” non ce lo vogliamo mettere? Una risata li seppellirà.

[tags]berlusconi, no berlusconi day, facebook, politica, cittadini, italia, protesta, manifestazione, torino[/tags]

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giovedì 19 Novembre 2009, 14:54

Topo Gigio raddoppia

Poco fa, sulla Rai, ho visto passare una nuova pubblicità di Topo Gigio, di quelle pagate coi nostri soldi che parlano dell’influenza suina.

Nonostante tutti i tentativi dei media di montare un’ondata di panico, gli italiani non si sono lasciati infinocchiare più di tanto: hanno capito che la grande campagna di vaccinazione serviva più agli interessi delle case farmaceutiche che a quelli della salute pubblica. E’ giusto prendere le nuove pandemie con cautela e proteggere le fasce più a rischio della popolazione, ma qui stiamo parlando di una influenza che, almeno nei paesi sviluppati, ha un tasso di mortalità inferiore a quello della normale influenza invernale, e per combattere la quale si sta cercando di imporre a milioni di persone vaccini sperimentali, perdipiù in un momento in cui il picco dell’infezione pare già passato (anche se è difficile trovare fonti credibili in materia).

Comunque, attualmente noi cittadini stiamo continuando ad acquistare milioni di dosi di vaccino che, data la debole risposta alle numerose campagne di vaccinazione, rimarranno a giacere negli scatoloni – ma intanto le abbiamo pagate. E naturalmente non contribuisce alla fiducia pubblica nell’operazione il fatto che il ministro della Salute Sacconi sia il marito della signora Enrica Giorgetti, direttore generale di Farmindustria ossia l’associazione delle industrie farmaceutiche: un lievissimo conflitto d’interesse.

Dunque, qual è la reazione del governo al flop dei primi giorni di vaccinazione e del primo spot di Topo Gigio? Beh, il secondo spot di Topo Gigio, che dice che sì, l’influenza suina sta passando, ma già che ci siete vaccinatevi due volte, anche contro l’influenza stagionale! Per fortuna che la popolarità e la credibilità del Topo Gigio di pezza sono più o meno simili a quelle del Topo Gigio umano, Walter Veltroni: dunque anche questo spot sarà accolto con una risata.

[tags]influenza, topo gigio, pubblicità, vaccino, farmaci, sacconi, industria farmaceutica[/tags]

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giovedì 19 Novembre 2009, 11:36

Shock

Stamattina, tornando dall’aeroporto di Caselle (tra l’altro sia la superstrada che la strada di Borgaro sono interessate da lavori in direzione Torino: aspettatevi code epiche su entrambe), sono andato a fare la spesa al solito Lidl di corso Potenza. La scena che mi si è presentata è stata raccapricciante.

Per tutto il supermercato, anziani, immigrati, coppiette e massaie si aggiravano smarriti, non sapendo più cosa fare, dove andare, come comportarsi. Ogni tanto lo smarrimento lasciava il posto all’ira, e uno dei clienti si avventava su un malcapitato commesso gridando “i pelati!! dove avete messo i pelati!!!”, mentre il commesso atterrito si aggrappava alle pareti cercando invano di resistere. Altri clienti, persa ogni speranza, scoppiavano improvvisamente in lacrime, cercando inutilmente di consolarsi a vicenda.

Non si trattava del normale caos da discount, con casse di prodotti abbandonate in giro e prezzi ballerini attaccati con lo scotch. No, il dramma è molto più radicale: per qualche imperscrutabile motivo, almeno in quel punto vendita, Lidl ha completamente rivoluzionato la disposizione dei prodotti.

All’inizio, dove c’erano crackers e patatine, ora ci sono i dolci e il cioccolato, che da sempre stava in fondo alla terza corsia. Al posto del cioccolato (e del tonno e scatolame, che stava sul retro dello stesso scaffale) ora c’è una serie di bassi espositori per vestiario. Là dove c’è sempre stata la verdura, ora c’è il frigo con gli hamburger, inopinatamente messo a inizio giro in modo che la carne vada a male prima. I pelati sono finiti al posto della schiuma da barba… insomma, un disastro, una blasfemìa, un’empia violazione di tutte le regole non scritte del mio shopping.

Non so se il cambiamento sia definitivo – imposto da qualche markettaro che ha concluso che si vende più cioccolato mettendolo all’inizio – oppure temporaneo, per via di qualche lavoro (stavano armeggiando coi frigo). So che nel negozio c’erano sconti mai visti persino su prodotti di punta (i Fior di Cioccolato a 1,39 euro!), il che mi fa pensare che lo sconvolgimento sia stato davvero profondo. Ma nessuno sconto di quaranta centesimi può valere il senso di vuoto e di perdita che ci ha colpiti tutti stamattina.

[tags]lidl, spesa, supermercato, marketing[/tags]

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mercoledì 18 Novembre 2009, 17:17

Le scale fisse

Io, di mestiere, non fabbrico scale mobili. Eppure non riesco a capacitarmi di una cosa: come è possibile che le scale mobili siano così spesso rotte?

In particolare mi riferisco a quelle della metropolitana torinese, che sembrano rompersi con una frequenza preoccupante. Forse le cose sono leggermente migliorate da qualche settimana, ma c’è stato un periodo in cui alla stazione Rivoli, dove io scendo, sia la scala mobile che porta dalla piattaforma all’atrio che quella che porta dall’atrio alla strada erano regolarmente rotte. Ma la stessa cosa mi è successa alla fermata della metro di Porta Nuova qualche settimana fa, a quella Re Umberto ieri, alla nuova Porta Susa sotterranea la settimana scorsa.

Eppure si tratta di impianti nuovissimi o comunque con due-tre anni di vita al massimo, eppure le scale mobili sono una tecnologia consolidata e vecchia di cent’anni… come è possibile? O chi gestisce i nostri soldi per queste grandi opere compra apparecchi di scarsa qualità, o forse risparmia sulla manutenzione, finendo poi per spendere il triplo in riparazioni; o magari vuole proprio spendere il triplo in riparazioni, chissà. Oppure, più facilmente, chi è responsabile della cura di questi impianti se ne frega, tanto lo stipendio a fine mese arriva comunque.

Io credo però che siano proprio queste piccole cose che danno più fastidio, e che lasciano nel cittadino il segnale più amaro: quello che ormai il bene pubblico, anche quando appena costruito con gran profluvio di denaro, sia abbandonato all’incuria nell’indifferenza generale.

[tags]torino, metro, ferrovia, porta susa, scale mobili, manutenzione, appalti, grandi opere, cura del bene pubblico[/tags]

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martedì 17 Novembre 2009, 11:32

Perché in Italia non si fa la rivoluzione

Il filosofo Umberto Garimberti e padre Alex Zanotelli spiegano qual è il vero potere che controlla la società. Al di là delle conclusioni personali inserite nella seconda parte del video da chi lo ha fatto, quelle dei due intervenuti mi sembrano osservazioni interessanti e molto centrate.

Per chi volesse saperne di più, mercoledì 2 dicembre (ore 21 al Teatro Araldo di via Chiomonte 3/a) Torino a 5 Stelle presenta il telepredicatore finanziario Eugenio Benetazzo, che nel suo spettacolo spiega a suo modo le dinamiche dell’economia mondiale. Non ho mai visto lo spettacolo e non so se sarò d’accordo con tutte le sue conclusioni (del resto, non ho nemmeno comprato la biowashball) ma ne ho sentito parlare bene da chi l’ha già visto. Il biglietto costa 7 euro, una parte va a lui (che di questo ci vive) e una parte va a pagare le spese del teatro e, se ci avanza qualcosa, a finanziare l’associazione. Ecco una piccola anteprima:

[tags]economia, rivoluzione, italia, wto, banca mondiale, garimberti, zanotelli, benetazzo[/tags]

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lunedì 16 Novembre 2009, 16:27

Treni vuoti, però velocissimi

Dal 13 dicembre, con l’orario invernale, entra in funzione per intero la nuova linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Milano.

Essa sarà percorsa da ben sette treni al giorno, che collegheranno le due città in un’ora e permetteranno di andare da Torino a Roma in 4 ore e 10 minuti, ritardi permettendo. I treni non sono nemmeno cadenzati; da Milano i ritorni partono due ai :00 da Centrale, quattro ai :58 da Porta Garibaldi, uno dai :15 da Centrale – portatevi dietro gli orari.

Il tutto, per il modico e accessibile prezzo di 31 euro (per Milano) o 93 euro (per Roma), sola andata di seconda classe: andarci da soli con una berlina costa la metà.

Ah già, e però, per velocizzare l’attraversamento di Milano, nella maggior parte dei casi questi treni non andranno a Milano Centrale, ma a Milano Porta Garibaldi (l’unica stazione principale di Milano senza una metro che porti in Duomo) e poi a Milano Rogoredo. Se volevate scendere a Milano Centrale per prendere un treno per, che so, Venezia, Lugano, Pavia, Parma… o i bus per gli aeroporti milanesi, dovrete metterci in mezzo un tratto in metropolitana.

Infine, per risparmiare ben tre minuti sulle quattro ore e dieci tra Torino e Roma, dal 13 dicembre i treni alta velocità NON fermeranno più a Torino Porta Susa. Il fatto che ci abbiano smarronato per trent’anni con Porta Susa sotterranea nuova stazione principale progettata per l’alta velocità è, evidentemente, irrilevante. Il fatto che a Porta Susa salga normalmente l’80% dei passeggeri diretto a Milano evidentemente lo è altrettanto. Anche il fatto che per ogni passeggero che va in treno da Torino a Roma ce ne siano dieci che vanno da Torino a Milano non è degno di considerazione. L’importante è “competere con l’aereo”, mica offrire un servizio utile a prezzi decenti: quando si dice “orientarsi al cliente”.

Del resto, la linea alta velocità Torino-Milano è costata agli italiani circa 11 miliardi di euro: per fare un paragone, l’intera linea 1 di metropolitana torinese con i suoi prolungamenti a Rivoli e a piazza Bengasi costa circa 1,5 miliardi di euro, mentre raggiungere il 90% delle case italiane con una dorsale in fibra ottica – una infrastruttura che davvero cambierebbe il futuro del Paese – costa 18 miliardi di euro. Gli investimenti (pur molto minori) previsti per la fibra sono stati recentemente cancellati, però abbiamo una linea ad alta velocità talmente utile che ci viaggeranno solo sette coppie di treni al giorno. Anche supponendo di ammortizzarla in trent’anni, fa circa 70.000 euro a treno al giorno.

Intendiamoci, ho il sospetto che con un servizio che fermi nelle stazioni utili e sia disponibile una volta all’ora (ogni mezz’ora nelle fasce di punta) sarebbe possibile far viaggiare questi treni sempre pieni anche vendendo i biglietti a prezzi umani, rendendo l’infrastruttura davvero utile. Ma tanto l’obiettivo del progetto alta velocità era sfilarci gli 11 miliardi di euro, con un costo per chilometro circa quattro volte superiore al resto d’Europa; dopodiché farci girare qualche treno, così per bellezza, è solo un fastidio necessario.

[tags]torino, milano, treni, trenitalia, alta velocità, tav, sprechi[/tags]

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sabato 14 Novembre 2009, 20:29

Novecento (3)

Per caso, in queste ultime settimane, mi sono capitati sottomano contemporaneamente due romanzi che, in questo contesto di ventennale, si sposano in maniera piuttosto interessante.

Il primo è il romanzo d’esordio di Mauro Pagani, Foto di gruppo con chitarrista, uscito ormai da qualche mese. Suppongo che sappiate tutti chi è Pagani: uno dei musicisti che hanno fatto la storia della musica moderna italiana, partendo dall’epopea della Premiata Forneria Marconi – l’unico gruppo italiano che abbia mai sfondato le classifiche internazionali non alla voce “pacchianate” ma alla voce “rock” – per passare per il periodo anni ’80 di De André, ossia Creuza de ma, e poi tanti altri esperimenti musicali di ogni genere. Certo, il curriculum di Pagani si è macchiato con la recente Domaaaaaaaaaniiiiiiiiiii per l’Abruzzo, ma insomma, dagli eventoni musicali benefici non si può pretendere troppo in termini di originalità (forse che era bella We Are The World?).

Tempo fa ebbi anche occasione di finirci a pranzo, grazie a Fiorello Cortiana che abita nel suo stesso palazzo, e l’impressione fu ugualmente buona. Il romanzo, tuttavia, letterariamente non è granché; e l’immutata stima per il Pagani musicista non può nascondere il fatto che esso sia pieno di dialoghi in cui le persone parlano come in un libro stampato (alzi la mano chi di voi ha mai usato l’espressione “sciogliersi come neve al sole” parlando con un amico) e di donne immancabilmente gnocche e disponibili, e che alla fine esso si riveli come un sottile “veicolo” per permettere a Pagani di sfoggiare dubbia modestia sulle proprie abilità musicali e di ripetere l’annosa lagna sulla PFM che avrebbe conquistato il mondo del rock globale per sempre, se solo non fosse stato per un complotto pluto-giudaico-massonico e per l’inspiegabile cattiva reazione degli americani all’idea di mettere la loro bandiera accartocciata in copertina. Chicca finale, la citazione di De André in quarta di copertina: furbata dell’editore, in quanto questo romanzo parla di De André più o meno quanto una confezione di cioccolato Kinder parla dei bambini tedeschi.

Nonostante questo, è un romanzo piuttosto interessante da leggere: un romanzo di fantascienza ambientato a Milano tra il 1969 e il 1979, che racconta da vicino i cambiamenti sociali di quegli anni. Immagino che per chi in quegli anni c’era possa essere una interessante riflessione su ciò che è successo, sull’evoluzione dal movimentismo all’impegno politico e poi al terrorismo oppure allo sculettìo in discoteca come John Travolta. Per noi attuali trentenni, vale per estensione la chiosa di Leonardo“il ’68 ci ha strasfracellato i coglioni” – e però c’è un certo fascino perverso nel leggere queste storie improbabili di giovani che pur in età universitaria non facevano un cazzo nella vita se non menarsi, scopare e drogarsi, e infatti sono diventati la classe dirigente che ha mandato l’Italia a puttane (ormai nel senso letterale del termine).

Noi trentenni, invece, rispondiamo con l’altro libro che mi è capitato per le mani: Studio illegale di Duchesne, pseudonimo sotto cui si è nascosto un praticante legale (aka precario della giurisprudenza) di un grande studio di Milano. Il libro è divertente e racconta con precisione l’ambiente affaristico di Milano di questi anni, tutto basato su paroloni inglesi usati a sproposito, mestieri la cui utilità nessuno riesce veramente a spiegare, ansie carrieristiche e necessità di apparire, e su una dose da cavallo di squallore e volgarità gratuite che solo la disponibilità di soldi e potere di chi la esibisce riesce a rendere accettabile per necessità. E’ un libro che riassume bene i motivi per cui nel 2002 scelsi di fare altre cose invece che trasferirmi a Milano a fare il manager: del resto, a un certo punto i protagonisti si trovano a fare una veloce “colazione di lavoro” davanti a un panino bresaola e caprino – e lì ho esultato come davanti a una tripletta di Rolando Bianchi.

Ai cinquantenni che ci strasfracellano i coglioni con gli anni ’70, io risponderei con la preghiera di leggere quest’ultimo libro: giusto così, per capire che bella società hanno messo in piedi per noi.

[tags]libri, letteratura, romanzo, mauro pagani, pfm, musica, anni ’70, de andré, studio illegale, duchesne, volgarità, una milano da inculare[/tags]

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venerdì 13 Novembre 2009, 12:48

Uniti nelle differenze, naturalmente ideologiche (2)

Scusate, non per essere monotono, ma non vorrei che vi foste persi le ultime puntate della telenovela Bresso-Chiamparino per la nomination a candidato presidente della Regione Piemonte per il centrosinistra; telenovela che sta mettendo a dura prova i nervi del PDmenoL torinese, al punto che Chiamparino l’altra sera, assediato dagli abitanti di Basse di Stura stufi delle proroghe sulla discarica, si è fatto scappare in pubblico un bestemmione – un “porca M…” che ha fatto cadere tutti i crocifissi delle aule scolastiche nel raggio di cinquecento metri.

In breve, ieri la Bresso – probabilmente preoccupata di risultare inferiore a Chiamparino per arroganza – ha rilasciato una bella dichiarazione spavalda al Corriere della Sera, chiudendo la sua intervista con una frase che taccia apertamente l’UDC di essere il partito della mafia. Vero o falso che sia – va bene Cuffaro, ma dubito molto che la vecchietta che vota Vietti a Viù lo faccia per foraggiare il traffico internazionale di droga – non è certo una cosa gentile da dire, ma è soprattutto una bella cannonata contro l’accordo tra centrosinistra e UDC, che l’avrebbe costretta al sacrificio della poltrona: la candidata deve essere lei, a costo di andare alle elezioni da sola e con la quasi certezza di perderle. Infatti, Casini ha subito risposto con una nota di agenzia che vi prego di trattare con precauzione, in quanto è talmente gelida che potrebbe congelarvi il computer.

In realtà, il senso di quella nota è anche quella di dire al PD “non faremo noi il lavoro sporco in casa vostra: riportate voi sotto controllo questa pazza e poi eventualmente ne riparliamo”. Tutto il PD si è subito cagato addosso: senza UDC si perde, e se si perde niente ciccia. Da Saitta in giù, tutti furibondi con la Bresso, non solo per l’uscita, ma perché essa sottintende la scelta “meglio perdere le elezioni che cedere il passo a Chiamparino”.

E infatti Chiamparino ha subito raccolto l’assist, e ha proposto di discutere della questione a Roma, tra le segreterie, nell’ambiente dove è più facile che la Bresso possa venire sacrificata; al che i bressiani hanno risposto che no, la discussione va fatta a Torino. Nel frattempo, dopo la contestazione sulla discarica, un altro pezzo del partito contesta Chiamparino, per la sua affermazione – probabilmente fatta per ribadire che no, il più arrogante è sempre lui – che “gli amministratori PD sono inadeguati“, naturalmente ad eccezione di lui medesimo.

Che dite, non sono carini? Non fosse che hanno in mano il destino della nostra città…

[tags]torino, elezioni, politica, pd, bresso, chiamparino, udc, correnti di partito[/tags]

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giovedì 12 Novembre 2009, 20:10

Novecento (2)

Circa vent’anni fa, più o meno mentre cadeva il Muro, apriva il Continente di corso Monte Cucco. Sembrava lamerica: enorme, prendeva tutto un isolato, col parcheggio sotterraneo e le corsie piene di ogni ben di Dio. Era il sogno consumista che avevamo covato per tutti gli anni ’80 e che diveniva realtà: e noi ragazzini, per le prime feste del liceo, usavamo andare a saccheggiare gli scaffali (soprattutto al settore birre).

Presto ne aprirono altri non molto distante, a cominciare da Le Gru: ma il Continente di corso Monte Cucco restò sempre il riferimento per uno dei quartieri più borghesi e benestanti di Torino – forse il più benestante tra quelli non così ricchi da non gradire un ipermercato sotto casa, tipo la Crocetta. Anzi, diventava pure una abitudine: anche abitando a Rivoli ci capitavo spesso, sulla strada da/per il Poli, con la mia prima Uno scassata o con la storica Punto azzurra. E ci capitavamo in molti: se per caso si commetteva l’errore di andarci il sabato pomeriggio, era inevitabile passare un buon quarto d’ora in coda nel garage sotterraneo, in mezzo ai gas, perché la coda del semaforo riscendeva a serpentone fin laggiù.

Fu un colpo al cuore quando, a inizio millennio, cambiarono l’insegna in Carrefour: ricordo una riunione di Naming Authority a Roma in cui io e .mau., ancora torinese, ci dovemmo consolare a vicenda. E poi vennero i discount, e poi un centro commerciale ogni tre isolati, e poi la crisi, e insieme il naturale invecchiamento di quel mostro di cemento, in cui cominciarono a gocciolare i soffitti e sbriciolarsi i gradini. Piano piano divenne un ipermercato sempre più triste; gli scaffali un tempo elegantemente disposti cominciarono ad affollarsi di roba da due soldi buttata alla rinfusa, cercando di reggere alla concorrenza dei prezzi.

Per risparmiare tagliarono il personale, e le code alle casse si allungarono a dismisura; è l’unico posto dove più di una volta sia andato via lasciando lì la mia spesa, per via della coda impossibile alla cassa. Alla fine i pochi rimasti si ribellarono, e qualche mese fa ci fu uno sciopero selvaggio, che diede il colpo di grazia.

Ci sono stato oggi e mi sono spaventato; intanto, metà dell’ingresso è transennato alla buona perché oggetto di lavori – evidentemente urgenti, per farli in piena stagione – e per entrare dal parcheggio è necessario inerpicarsi su per una scaletta di servizio indicata da un cartello scritto a pennarello. In più, il parcheggio è semideserto e anche l’interno è mezzo vuoto. Sono evidenti gli sforzi per disporre le cose in modo piacevole almeno nei settori a servizio, eppure qua e là compaiono interi pallet di questo o quel prodotto, messi alla buona a mo’ di discount. Anche sugli scaffali gli assortimenti sono sottili, ci sono zone vuote, c’è troppo poca merce per la dimensione. Non ci sono più le code alle casse, perché ora a poco personale corrispondono pochi clienti. L’esperienza, per chi ha conosciuto l’ipermercato come era una volta, è talmente triste che siamo scappati via più in fretta possibile, sperando che sia soltanto una situazione temporanea per via dei lavori.

Tutto invecchia – l’ipermercato ma non solo. Gli splendidi e prosperi quarantenni della classe media che ne riempivano le casse all’inaugurazione sono ora diventati sessantenni chiusi e spaventati dal futuro, invecchiati e aggrappati a quel po’ che sono riusciti a mettere da parte; i loro figli ragazzini sono ora trentenni disoccupati senza prospettive, che guardano l’etichetta per risparmiare cinque centesimi o che non la guardano per non sentirsi poveri. Tirare una riga diritta tra le due cose sarebbe una semplificazione eccessiva; eppure non è sbagliato notare che, vent’anni dopo che è caduto il Muro, siamo diventati noi la Bulgaria.

[tags]crisi, muro, economia, italia, torino, carrefour, continente, ipermercati, livello di vita, bulgaria[/tags]

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mercoledì 11 Novembre 2009, 12:10

Follie da stadio

Effettivamente, Toro-Lecce non è stata soltanto una partita folle per il risultato, un pareggio subito al novantanovesimo di quelli che solo il Toro può riuscire a far materializzare. Ancora più folle è stata la scena sugli spalti alla mezz’ora del primo tempo.

Infatti, dopo una prima mezz’ora di tifo gagliardo, la Maratona si è ammutolita: Paolo S. è caduto di sotto. Paolo S. è un signore che io, pur frequentando la curva opposta, conosco di vista da qualche trasferta e qualche riunione di tifo. E’ quello a destra in questa foto qui, trovata nel gruppo a lui dedicato su Facebook:

paolos.jpg

E’ uno di quelli che al calcio dedicano la vita, nel ruolo insostituibile di lanciacori della curva Maratona: la persona che, invece di godersi la partita, si mette in piedi sulla balconata, si gira verso gli altri e urlando a squarciagola dà gli attacchi per i cori. Senza queste persone, il tifo non potrebbe esistere: come farebbero migliaia di tifosi a intonare lo stesso canto tutti insieme? E senza il tifo non ci sarebbe nemmeno lo spettacolo del calcio; anche perché, nel calcio tattico muscolare e sceneggiato di oggi, se non sei in Champions League in campo c’è poco da vedere.

Per essere visibili ed udibili nel caos di una curva, queste persone devono mettersi in piedi, a cavalcioni della ringhiera: non c’è alternativa. La posizione ovviamente è precaria e pericolosa, basta vedere la foto… Da sempre si lega alla ringhiera un palo o l’asta rigida di una bandiera, spesso ricoperta di nastro da pacchi, in modo che la persona in piedi abbia qualcosa a cui tenersi mentre si agita per dare indicazioni: si vede anche nella foto, tra le due persone.

Purtroppo da qualche tempo – solo a Torino, dicono – la cosa non si può più fare: anche questo palo è stato considerato una potenziale arma contundente (non si sa per cosa, dato che il settore ospiti si trova dal lato opposto, a circa cento metri di distanza: a meno che il campione mondiale di giavellotto non sia un tifoso del Toro…). Dunque, niente palo e lanciacori in piedi a urlare e gesticolare reggendosi solo stringendo la ringhiera tra le gambe: e così, domenica Paolo è caduto di sotto.

Ancora più folle è stato quel che è accaduto dopo: mentre si soccorreva il caduto e lo si portava in ospedale (per miracolo non si è fatto niente di serio), la Digos ha ritenuto di arrestare e portar via uno dei pericolosi ultrà che stavano lì attorno… una vigilessa quarantenne del comune di Moncalieri. Non si capisce cosa sia successo: la polizia dice che la signora, che ha prestato soccorso al caduto, dopo aver accompagnato il ferito nell’antistadio ha resistito a non si sa cosa, con ciò costringendo gli agenti ad arrestarla e a diffidarla dal venire allo stadio, il che le vieterà di avere la tessera del tifoso per tutta la vita – dunque mai più partite di calcio – e magari le farà anche perdere il lavoro. Secondo la polizia, la signora era ubriaca e, perquisita, aveva in tasca un manganello da difesa personale, non si sa se portato apposta allo stadio o tenuto sempre in tasca come precauzione, dato che sia le aggressioni ai vigili che il disturbo delle donne per strada non sono certo eventi rari. Anche fosse, non pare che avesse cercato di usarlo.

Io non ho visto la scena dunque non posso esprimere giudizi, ma su Facebook girano commenti basiti: chi c’era ha detto di non aver visto alcuna ragione per arrestare questa persona, e anzi si cercano testimoni a sua difesa. Certo, o a Moncalieri le selezioni dei vigili sono molto poco serie o si fa davvero fatica a capire cosa mai possa aver fatto di tanto grave una persona con un ruolo di pubblico ufficiale, al punto da rischiare di rovinarsi la vita, soccorrendo un tizio ferito, tra tifosi tutti della stessa squadra.

Vero che allo stadio ci si sfoga e anche le persone migliori agiscono in modo inconsulto, ma al punto in cui siamo la paura di andare allo stadio te la mette non il rischio (ormai inesistente) di incidenti, ma la paura di incontrare un tutore dell’ordine un po’ esaltato.

P.S. Altrettanto folle è stata la scena di Renzo Rabellino, leader della Lega Padana Verdi Verdi Grillo Parlante No Euro Forza Toro Pensionati Democrazia Cristiana, che, davanti alla curva, raccoglieva firme “per il Filadelfia” (in realtà i presenti sospettano che le voglia usare per le elezioni regionali) fino a che un paio di ultras non sono andati a “dare il giro” al banchetto (sin dagli anni ’70, quando la cosa implicava potenziali pistolettate, tra i tifosi del Toro vige un rigido “no politica in curva”). Ha poi proseguito protetto da una ventina di poliziotti pagati da noi, con i comitati pro Stadio Filadelfia che picchettavano il banchetto spiegando alla gente perché non firmare.

Del resto, nel weekend precedente era stato avvistato davanti allo stadio per la partita della Juve, raccogliendo firme “per la restituzione degli scudetti rubati”. Io ci ho pure messo un po’ a capire che intendeva quelli rubati alla Juve dall’Inter: di primo acchito avevo pensato a quelli rubati dalla Juve al resto del mondo :-P

[tags]calcio, torino, toro, stadio, curva maratona, juve, paolo s., tifo, ultras, daspo, digos, arresto, rabellino, firme, elezioni, scudetti rubati[/tags]

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