Cose molto stupide
Ogni tanto capita, di fare delle cose stupide quando si è in viaggio. A me è successo ierioggi (lunedì e martedì per me sono stati una giornata sola, intervallata da cinque o sei ore di sonno a spezzoni sulla poltrona raddrizzata della business Lufthansa).
Già dovevo capire che non era giornata quando ho ordinato due birre per me e il mio compare Roberto, e la cameriera mi ha chiesto dieci dollari: io le ho dato venti, e lei mi ha riportato il resto sotto forma di una banconota da cinque e cinque da uno. Io la guardo un po’ strana, penso che debba disfarsi degli spiccioli, intasco e vado a sedermi. Lei mi guarda malissimo. A quel punto Roberto tira fuori un dollaro e glielo dà … ecco, non pensavo che negli Stati Uniti la mancia facoltativa obbligatoria vigesse anche al bancone dei pub irlandesi.
Comunque, subito dopo siamo andati al mio albergo a riprendere i bagagli per andare in aeroporto: in previsione della giornata in giro, avevo chiuso anche la borsa del computer dentro la valigia, a sua volta chiusa a chiave e lasciata all’hotel. L’avrò fatto sì e no due volte in sette anni di viaggi continui, perché non mi piace molto lasciare il computer in albergo, persino se l’albergo è di livello e ha tanto di talloncini e deposito chiuso a chiave.
E proprio questa volta, la chiave della valigia ha deciso di uscire in qualche modo dalla taschina del portafoglio dove la tengo, e perdersi nel nulla.
Dico proprio questa volta, perchè naturalmente io viaggio con una seconda chiave della valigia, che, per ridondanza, sta in un luogo separato rispetto al portafoglio e/o alle mie tasche… ovvero, nella borsa del computer. E no, non ci ho proprio pensato, quando ho chiuso il portatile in valigia al mattino, pure un po’ di corsa dovendo prendere il tram F per andare a imbarcarmi per Alcatraz, che sarebbe stato meglio prendere la seconda chiave anziché lasciarla dentro.
A quel punto, naturalmente ho cercato per ogni dove per dieci minuti, poi ho chiesto al concierge se avessero trovato la chiave nella mia stanza, ma nulla. Mi hanno chiamato un fabbro, che mi ha spiegato che poteva provare ad aprire la valigia per forza bruta, ma poi non si sarebbe richiusa; o a tagliare la cerniera, nel qual caso c’erano speranze di poterla poi risistemare. Tuttavia, il rischio di rimanere lì coi bagagli spatasciati e l’aereo in partenza era elevato; e ho deciso che valeva invece la pena di correre l’altro rischio, quello di imbarcare il tutto as is, col computer chiuso dentro: in fondo, la valigia è rigida e il portatile era dentro la borsa.
Ho incrociato le dita per tutto il viaggio, temendo di non veder spuntare la valigia, o di vederla spuntare spaccata e senza computer, o di vederla arrivare e scoprire poi che il computer non aveva retto alle bottazze dei gentili scaricatori d’aeroporto. In subordine, ero preparato a fare una scena alla Fantozzi alla dogana di Caselle, quando mi avrebbero chiesto di aprire la valigia per controllare il contenuto. E poi, anche giunti a casa con la valigia, restava comunque il problema di aprirla.
Eppure, non si è verificato nulla di tutto questo. La valigia, con tutti i suoi bei talloncini “priority” e “frequent traveller” (che da quando li ho messi compaiono segni di effrazione a ogni viaggio), è apparsa sul nastro addirittura per seconda, intatta. Nel corridoio in uscita di Caselle, mi sono astutamente infilato in mezzo a un gruppo che arrivava da Roma, e con passo deciso ho ignorato i finanzieri convincendoli ad ignorare anche me. A casa, c’erano effettivamente una terza e addirittura una quarta chiave, frutto di varie duplicazioni preventive. E il computer è partito al primo colpo, senza sembrare più malridotto di prima. Alleluja.
P.S. Colgo l’occasione per segnalare l’hotel dove ho dormito nella mia notte a San Francisco, il Chancellor Hotel: è centralissimo su Union Square, è di inizio ventesimo secolo ma rifatto a nuovo, sono stati gentilissimi – vedi sopra, ma anche per aver accettato di tenere il bagaglio di Roberto anche se non stava lì – e il tutto per 140 dollari a stanza a notte tasse comprese, che per un albergo di livello business in centro a San Francisco sono un affare, specie se siete in due. C’è persino il Wi-Fi compreso nel prezzo, almeno se riuscite a scrivere giusta la password in hex che vi detterà il concierge (lo ammetto, al primo colpo ho capito “8” al posto di “A”).