Parigi val bene 90 minuti di treno
Eccomi, comincerò a raccontarvi del viaggio, da Torino a Marrakech via entrambi gli aeroporti di Parigi.
Il primo volo da Torino a Parigi è un teorico Air France; teorico, perchè (visto l’inarrestabile declino dell’appeal europeo di Caselle) è ormai svolto da una compagnia secondaria, con un aereo che dimostra almeno quarant’anni. Difatti, raramente ricordo di aver ballato così; certo, le ondate di calore non aiutano, ma mi faccio un viaggio piuttosto nervoso. In compenso, per una volta non ci sono nubi, e mi vedo in sequenza il Piemonte, le Alpi, il lago di Ginevra, e poi la pianura francese. Arriviamo a Parigi un po’ in ritardo.
Il terminal 2D di Charles de Gaulle è ancora in piedi; l’orgoglio francese è per il momento salvo. Tuttavia, ieri Parigi era tipicamente francese: inefficiente come l’Italia, ma con molta più spocchia. Le scale mobili di CDG sono rotte; alla stazione della RER si va a piedi, e un paio dei tapis roulant sono rotti anch’essi. Delle otto biglietterie automatiche, tre sono rotte, e le altre accettano soltanto monetine o carte di credito francesi, quelle col chip. “FRANCESI” è specificato su un foglio di carta aggiunto e sottolineato con ardore; ma non me la prendo, so che lo fanno essenzialmente per gli americani, che sono carta-di-credito-dipendenti. E quindi, mi tocca la coda alla biglietteria umana, per pagare soli 16,90 euro sola andata per un’oretta di metropolitana più trenino dalla RER a Orly. In compenso, però, almeno uno dei quattro sportellisti parla inglese; pertanto lo lascio al signore americano che cerca invano di capire il sistema di abbonamenti e zone della metro parigina.
Recuperato il biglietto, bisogna passare i tornelli (operazione di fronte alla quale una famigliola portoghese si arrende sconfitta; ma insomma, basta infilare il biglietto lì e riprenderlo là , suvvia…) e poi scegliere il treno giusto; sono tutte RER B, ma solo la metà ferma ad Antony, dove devo scendere per la coincidenza.
Salgo sul treno e comincia una specie di odissea, insieme a una bella ragazza polacca sommersa dalle borse e poi accerchiata dai banlieusards che salgono nelle stazioni intermedie. Il tempo stimato per tutto il percorso è di un’ora, ma dopo mezz’ora passiamo sotto la Gare du Nord, e siamo solo a un terzo. Il treno si riempie, e davanti a me si siede una signora nera con una bambinetta incontenibile, che comincia a rovesciare calci e pugni dappertutto; ma è molto simpatica.
Ad Antony si scende, e si percorre tutta la piattaforma fino in fondo, dove c’è la stazione dell’Orlyval; sì, come dice il nome, è proprio un’altra istanza della metropolitana dei puffi che ora abbiamo anche noi a Torino. Collega la RER ai due terminali di Orly, Ouest e Sud; attimo di panico, ma poi noto una piccola S accanto a Paris Orly sul mio biglietto e capisco dove devo andare. La VAL ha le carrozze piccole, ma tira parecchio; in pochi minuti siamo al vecchio aeroporto di Parigi. Peccato che ci abbia messo quasi due ore in tutto…
Dovete sapere che a Parigi gli aeroporti sono rigidamente suddivisi per razza; al nuovo, luccicante, moderno Charles de Gaulle i voli per l’Europa, l’America e l’Asia, pieni di uomini d’affari e turisti d’alto bordo; al vecchio, fatiscente e semiabbandonato Orly i voli per i negri, gli arabi e gli straccioni del low cost. Scopro così un po’ di nuove compagnie aeree (Air Burkina??) e, facendo lo slalom tra cartongesso cadente e poltroncine anni ’70, mi avvicino al check-in del mio volo, che sarebbe un Corsair (compagnia francese che serve Africa e Caraibi), ma si rivela in realtà un Jet4You.com. Voi vi fidereste a volare con una compagnia di tal nome? Io mi sono fidato.
Attendo il volo al ristorante del terzo piano, desolante nel suo semiabbandono; si distingue per un chiosco di “pasta italiana” dallo sconcertante slogan “Pasta… e tutti!” (ma cosa avranno voluto dire?). Mi redirigo sul cuscus, e perdo dieci minuti di coda dietro a un gruppo di otto africani diretti in Congo (cinque dei quali bambini, come da perfetta statistica del continente); hanno avuto il pasto gratis per ritardi, ma non sanno bene che fare, mentre i bambini giocano a tirarsi tra loro il pane in testa (pane che poi viene prontamente rimesso nel cestino per i clienti successivi). Al tavolo, però, incontro il mio collega di meeting americano, Milton Muller, che sembra più spaesato di me.
Facciamo la fila insieme, ma ci separa il controllo passaporti, dove per gli europei c’è una fila di venti minuti abbondanti. Sono ormai quasi le nove, e improvvisamente tutti diventano scortesi (beh, no: sono scortesi di default, in quanto francesi, ma diventano ancora più scortesi del solito). Ci metto un po’, poi capisco il motivo: stasera gioca la Francia! Il volo parte in ritardo, pare per mancanza di personale a terra per preparare il gate (chissà quanti si sono dati malati stasera…). L’aereo però è più che decente, meglio dell’Air France del primo volo. Ci danno persino una pseudocena mangiabile, per quanto confezionata il giorno prima (insalata di pasta, simil-tofu alle verdure e un dolcetto buonissimo). E poi, la chicca: a un certo punto si apre l’altoparlante e il pilota esclama: “Signori, sono il pilota, sono lieto di annunciare che la Francia è passata in vantaggio!” Ovazione! Ma mai come l’ovazione di quando ha annunciato il raddoppio… penso che su tutto lo spazio aereo franco-mediterraneo le torri di controllo ritrasmettessero la partita invece che le informazioni di volo.
L’atterraggio è stato tranquillo, e Marrakech in notturno dall’alto è molto bella. Naturalmente, recuperare i bagagli è stata un’impresa: ci sono due moli, su cui i bagagli vengono sparpagliati a caso, un po’ sul numero 1 e un po’ sul numero 2, finchè ci stanno; così decine di persone corrono da uno all’altro cercando di trovare le valigie di qua o di là , o più spesso un po’ di qua e un po’ di là .
All’uscita c’è un grande cartello “TAXI – 50 dirhams”, ma i taxi non sono in fila, nè sono distinguibili; ce ne sono di varie fogge e colori, parcheggiati a caso davanti al terminal, e gli autisti si contendono i clienti. Io ho chiesto a tre diversi, ma non ne ho trovato uno che accettasse meno di 200 dirham (20 euro), e così ho detto: va bene, basta che mi dia una ricevuta. Il modo di averla, naturalmente, è stato pagare in anticipo il mio autista, perchè lui pagasse un tassista ufficiale, che facesse la ricevuta, che poi finisse a me. Però alla fine mi ha portato nel posto giusto, intrattenendomi su quant’è bella l’Italia, dove lavorano due suoi fratelli.
Ma di Marrakech vi parlo nella prossima puntata!