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Archivio per il giorno 14 Luglio 2006


venerdì 14 Luglio 2006, 23:59

Altri posti nel mondo

Ieri sera, prima di uscire per andare al concerto, ero tranquillo sul divano, col portatile, a leggermi la posta; quando mi si è aperta la finestra di Gaim, e un contatto sconosciuto mi ha detto “Ciao, come stai?”.

Ora, non si trattava di una eventualità strana; in realtà, in queste ultime settimane, mi succede anche più di una volta al giorno di venire contattato su ICQ da gentili donzelle di varie parti del mondo – tipicamente, Russia, altri paesi ex sovietici, Turchia o Serbia – attratte dal mio status di maschio italiano trentenne single. Non tutte hanno lo stesso approccio; ci sono quelle che entro il terzo scambio di battute chiedono “Marital status?”, e sono interessate soltanto a trovare un matrimonio con una persona qualsiasi purchè comprenda un visto per l’Unione Europea; altre sono semplicemente interessate a conoscersi, e poi si vedrà. (Su queste ultime faccio regolarmente colpo, visto che la chat aiuta a vincere la timidezza e mette in mostra soprattutto le qualità intellettuali; peccato che siano tutte così lontane…)

Comunque, ho controllato senza grande convinzione il profilo, e sono sobbalzato: difatti la provenienza non era la solita Mosca, ma Tuzla, in Bosnia-Erzegovina.

La Bosnia, si sa, è la cattiva coscienza delle nostre Fallaci furiose. Un’estate fa, in Lussemburgo per un meeting di ICANN, ci fecero mettere sull’attenti a mezzogiorno, due volte (una in ora locale, una in ora britannica), per onorare i cinquantasei morti della metropolitana di Londra; e per quanto l’onore fosse dovuto e sentito, a nessuno tranne a me venne in mente che era anche esattamente il decimo anniversario del massacro di Srebrenica, in cui i morti (musulmani, uccisi dai cristiani serbi sotto l’indifferenza della NATO e gli sguardi impotenti dei militari olandesi) furono oltre ottomila. (Questo è giusto per darvi un’idea.)

Tuzla, invece, è ricordata per il relativo massacro, dove i morti (sempre musulmani bosniaci) furono soltanto 71, quasi tutti ragazzi o giovani di vent’anni. Avere l’opportunità di parlare con una persona di quelle parti non è tanto facile, e così l’ho sfruttata al volo.

Il dialogo è stato inizialmente normale, ma, aiutato dall’italiano ancora imperfetto della mia interlocutrice, è scivolato presto nel surreale. Ad esempio, ho scoperto che lei non abita veramente a Tuzla, ma in un villaggio denominato Crno Blato; che “crno” volesse dire “nero” l’ho capito da solo, ma “blato”? Alla fine ho scoperto che il villaggio si chiama Fango Nero, e, stando alla sua risposta alla mia domanda, “Adesso ha solo quattro persone che vivono.” (adesso, non prima).

Del resto, ad una delle prime domande – “Si vive bene adesso?” – la risposta, folgorante nella sua incomprensione, è stata “Sì sì sono viva”.

Ora, non vorrei sembrare troppo drammatico; la guerra è finita, e anche da quelle parti, faticosamente, l’economia cerca di sollevarsi. La mia corrispondente lavora in una concessionaria Volkswagen (“Molte Volkswagen, non molte Fiat”) e studia italiano grazie ad amici cooperanti. E così, prima di andarmene dopo aver scambiato gli indirizzi di mail, ho chiesto anche cosa fa la gente a Tuzla di lavoro: il dialogo è stato più o meno il seguente.

“Che lavoro fa la gente?”
“Ci sono gente a Tuzla, ma non lavorano”
“Perchè?”
“Perchè industria non lavoro”
“Nessuna?”
“No, ci sono poche lavorano: fabbrica di scarpe, e fabbrica di sale.”

E io, senza offesa per nessuno, mi son chiesto se gli operai della fabbrica di sale bosniaca (a non più di quattrocento chilometri dal Bel Paese) si sarebbero lamentati del posto di direttore di filiale alla Lidl.

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venerdì 14 Luglio 2006, 02:07

Traffic (day 1)

Sono appena tornato dalla prima serata di Traffic. Che dire? Sicuramente si tratta di un evento, il più grande festival gratuito in Italia; la serata di stasera è stata un successone di pubblico (direi almeno cinquantamila abbondanti, una marea che si stendeva a perdita d’occhio) ma mi ha lasciato parzialmente perplesso.

Sono arrivato tardi (il perchè ve lo racconterò domani) e così ho visto solo metà del concerto di Caparezza, che però ho trovato eccellente, persino sopra le attese. A me Caparezza piace parecchio, sia per la parte ritmica e musicale che per le giocolerie di parole; concede molto al fan service, tra citazioni anni ’80 e parolacce, e ha un numero limitato di temi, ma se li gioca bene.

Mi aspettavo però che dal vivo fosse tutto un set di campionamenti registrati, il che tra l’altro di solito provoca terribili problemi di mixer e risultati pessimi. Al contrario, Caparezza ha una band, e tra l’altro pesta anche parecchio! Di conseguenza i pezzi hanno un gran tiro; e segnalo la chiusura trionfante, prima con Dalla parte del toro, introdotta dicendo “E’ un piacere speciale suonarla qui a Torino”, mentre la band esibiva al completo magliette granata; e poi con Vengo dalla luna, che è stata cantata in coro dalla piazza in gran delirio.

Nel frattempo, però, il catino (ex pozza d’acqua cementata) della Pellerina si era completamente riempito, e così sono andato a farmi un giretto, ascoltando in sottofondo i francesi La Phaze, raccomandati da Manu Chao; all’inizio ero scettico, ma poi mi sono sembrati interessanti, con uno strano mix tra l’house-elettro-pop alla Subsonica e organini-chitarre anni ’70. Approfondirò; nel frattempo vi segnalo che sul retro, alla sinistra del palco, c’è una collinetta da cui si può vedere perfettamente il tendone sotto cui mangiano e si preparano gli artisti (ho visto la cena di Caparezza!).

Sono tornato per Manu Chao, che ha preso il palco alle undici e un quarto; a quel punto c’era il pienone, e io, pur essendo molto di lato, ai bordi del denso e avendo ancora parecchia gente dietro di me, ero ad almeno trenta metri dal bordo del palco (fosse che fossimo centomila?).

Bene, la prima mezz’ora mi ha convinto: Manu Chao è un bluff colossale! Io l’ho sempre apprezzato parecchio, sia per quel sapore anti-imperialistico e colorato dato dal mix continuo di lingue, sia per i ritmi ossessivi e ipnotici. Eppure, la prima mezz’ora, artisticamente parlando, è stata il nulla assoluto.

A quanto pare, Manu Chao per “concerto” intende il prendere una canzone indistinguibile dalle altre, eseguirne il ritmo solo strumentale per un paio di minuti per prendere tempo, cantarne una strofa, poi improvvisamente, proprio nel momento più struggente della canzone, raddoppiare il tempo e saltellare, infilando ogni tanto una esclamazione a caso tra “Canta!”, “Sube!”, “Oh-oh-oh-oh!” e “[insert city name here]!”. Alle volte anche mescolate, tipo “Canta [insert city name here]!”. Poi rallenta di colpo, fa la faccia compiaciuta perchè nessuno della band ha mancato il cambio di ritmo, e riprende il ciclo dal principio. Peccato che se avessi voluto fare dello spinning sarei andato in palestra!

Ogni tanto, comunque, inserisce anche qualche messaggio politico; a un certo punto arringa la folla a proposito di “el mas grande terrorista del mundo, el hombre mas peligroso, el presidente George W. Bush!” – e lì, ovviamente, centomila persone fanno buu all’unisono. Inoltre, all’inizio sale con la bandiera “No Tav”, che mostra anche alla fine; e devo dire che la coerenza nell’andare a fare la superpagata superstar a un concerto finanziato quasi interamente dal Comune di Torino e dalla Regione Piemonte, per poi fare l’alternativo anti-tutto e contro i progetti di quelle stesse istituzioni, mi sfugge alquanto. Da contribuente, mi sento un po’ preso in giro.

Arriva Me gustas tu; canzone delicatissima, con quel ritornello bilingue confuso e notturno:

Que voy a hacer je ne sais pas
Que voy a hacer je ne sais plus
Que voy a hacer je suis perdu
Que horas son, mi corazon

che ognuno in piazza dedica a una persona speciale (almeno, io l’ho fatto). Siccome questo gioiellino viene devastato eseguendolo in una versione speed metal funzionale ad ulteriore spinning, mi indigno e sto per metterci una pietra sopra; ma proprio allora il concerto decolla un pochetto. Lui esegue Clandestino (cantata in coro, anche se di “peruano clandestino” alla folla pare non fregare molto, quello che indigna e smuove le ugole è chiaramente solo “marijuana illegal”), e poi anche Desaparecido, canzone simbolo di chi nella vita cerca una casa e non la trova, non solo in senso letterale.

Proprio mentre la piazza ancora ondeggia cantando “cuando llegarè, cuando llegarè”, arriva a sorpresa sul palco Roy Paci e ribalta la situazione. Ecco, con un trombettista (e che trombettista) sul palco, finalmente si comincia a sentir della musica, e non un mix tra BGM da palestra e Il Peggio dei Gipsy Kings. Roy strega tutti con un assolo incredibile, e poi accompagna ancora un paio di pezzi.

A quel punto tutti pensano che sia finita, e invece no: Manu saluta la folla almeno dieci volte, ma ogni volta insiste nell’attaccare “a sorpresa” un nuovo brano, fino a che la gente sui lati, già visibilmente scemata, ha l’aria di voler cercare un fucile per abbatterlo da lontano e poter finalmente andare a casa. Nel frattempo, altra gente completamente strafatta comincia a cadermi sui piedi. Tra i bis, almeno c’è un pezzetto di Mentira“mentira la mentira, mentira la verdad”: quanto ci sono affezionato dai tempi bui – ma anche questo massacrato; e poi c’è il quinto o sesto finale con Bongo Bong, la canzone che lo lanciò, con quella linea di basso eccezionale.

Bon, il concerto finisce praticamente all’una, un’ora dopo il consentito: saranno contenti i vicini. Ma almeno abbiamo quasi completamente schivato la pioggia; in compenso, una massa di gente così non s’era mai vista. Vedremo domani e dopodomani, dove il livello secondo me sale, e quindi ci sarà meno gente.

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