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Archivio per il mese di Novembre 2006


giovedì 9 Novembre 2006, 15:21

Offerta belga

La derelitta aerolinea nazionale belga SN Brussels Airlines – ciò che rimane della storica Sabena dopo il crack del gruppo Swissair post-11 settembre – mi comunica per mail la sua grande rivoluzione commerciale: dal prossimo marzo incorporerà Virgin Express per diventare Brussels Airlines (senza il SN). Ma soprattutto, introdurrà sul mercato aereo una innovazione storica: la prima tariffa “lowest cost” al mondo. In pratica, acquistando online, Brussels Airlines ti garantirà la tariffa più bassa del mondo, e se troverai un’altra linea aerea che pratica un prezzo inferiore, ti rimborserà la differenza!

Peccato che ci sia l’asterisco con la scritta in piccolo, dove ti spiegano che loro ti rimborseranno la differenza solo se tu troverai un volo di un’altra linea aerea che parte dallo stesso aeroporto, arriva nello stesso aeroporto, e il cui orario di partenza è previsto non più di mezz’ora prima o dopo di quello del volo belga. Eh beh, sarà facile…

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mercoledì 8 Novembre 2006, 12:15

Filmoni

Ieri sera ero a casa mia con un amico, e dopo cena, tra una chiacchiera e l’altra, abbiamo fatto un sottofondo di zapping su Sky; e dopo un po’ di tempo siamo stati inesorabilmente attratti dall’imperdibile canale 132, denominato Fantasy. Partito a maggio con grandi annunci, questo canale è già assurto a stato di culto in modo involontario, per la sua capacità di imbastire una programmazione fatta solo ed esclusivamente di film di serie C.

Ieri sera, difatti, siamo stati inizialmente attratti da The Sculptress, un film che vorrebbe raccontare dell’interazione tra una giovane scultrice smodatamente gnocca e un pazzo demoniaco che parla con il parrucchino della mamma. Già qui, le premesse sono ottime, e il film le conferma ampiamente: trama inesistente, recitazione inesistente, dialoghi insensati, e ogni volta che ti stai per addormentare il regista ti fa vedere la tipa seminuda per motivarti a rimanere (niente nudo però, acc…).

Incuriositi, ci siamo messi con IMDB ad esaminare il curriculum degli altri film che venivano pubblicizzati come di prossima programmazione sul canale. Spicca tra questi la saga di Howling, un ottimo film dell’orrore (di lupi mannari, per la precisione) diretto da Joe Dante all’inizio degli anni ’80. Il problema è che dopo qualche anno decisero a tutti i costi che dovevano farne dei sequel, e quindi nacquero una serie di capolavori imperdibili, naturalmente in programmazione su Fantasy, che vi vado a elencare con una fredda serie di dati: Howling II – La lupa mannara puttana, voto 2.3/10, 33° posto nella classifica dei peggiori 100 film di tutti i tempi; Howling III – I marsupiali assassini, voto 2.4/10, 47° posto nella classifica dei peggiori 100 film di tutti i tempi; Howling IV – L’incubo originale, voto 2.7/10; Howling V – La rinascita, voto 4.1/10 (un capolavoro, rispetto agli altri); Howling VI – I mostriciattoli, voto 3.7/10 (già l’ispirazione è andata via); e infine, il mito assoluto: Howling VII – Luna nascente, voto 1.5/10, escluso dalla classifica dei peggiori 100 film di tutti i tempi perchè “c’è un limite anche a ciò che può essere considerato un film”.

Naturalmente io non ho mai visto Howling VII, ma ci sono sette pagine di recensioni utente una più bella dell’altra, che parlano da sole. Pare che uno degli attori minori del V e del VI – nonchè produttore esecutivo di altri filmoni come Il tagliaerbe (miracolo di realtà virtuale il cui protagonista è lo stesso di The Sculptress, perchè nel trash tout se tient) e soprattutto Il tagliaerbe II, voto 2.1/10, 26° posto nella classifica dei peggiori 100 film di tutti i tempi – abbia avuto non si sa come l’opportunità di scrivere, produrre, dirigere e interpretare il numero sette, e abbia scelto di stupire il mondo con una idea geniale: realizzare un film horror che fosse anche un musical country.

Pare insomma che Howling VII consista di 90 minuti di paesani ubriachi della provincia americana, attori non professionisti, che interpretano se stessi passando il tempo a raccontarsi barzellette vecchissime e a ruttarsi in faccia, e prorompendo ripetutamente in dieci insopportabili minuti di noiosissimi balli country; intercalati ogni tanto da una sequenza in cui una immagine confusa e virata in rosso rappresenta il lupo mannaro che ne ammazza qualcuno. Anche dialoghi e trama sono leggendari, culminando nel momento in cui, per motivare il fatto che lo sceriffo si allontana lasciando inspiegabilmente sola una futura vittima, egli deve recitare la seguente battuta: “Possiamo continuare domani? Mi stai fornendo troppe informazioni rispetto a quante io ne posso assorbire in un giorno.”

E poi, dopo novanta minuti di attesa danzereccia senza nè mostri nè horror, compare infine il lupo mannaro. Nell’ultima sequenza. Per sette secondi. Ed è realizzato con un effetto ottico da filmino di casa, che prende la faccia di un tizio e la allarga un po’.

Non so se Fantasy manderà tutti gli Howling o soltanto i primi, ma quello che so è che, dopo che il mio amico è andato via e che The Sculptress è finito, ha trasmesso Un poliziotto sull’isola, titolo originale Beretta’s Island, film americano “con Arnold Schwarzenegger“, ma scritto, prodotto e interpretato da Franco Columbu, lo Stallone di Ollolai (NU). Per chi non lo conoscesse, è anche lui un ex Mr. Universo: insomma un tizio col fisico di Schwarzenegger, ma alto un metro e mezzo.

Dunque, veniamo ai fatti: Schwarzenegger compare solo nei primi tre minuti del film, in una scena in palestra in cui lui e Columbu si passano bilancieri e manubri come fossero patatine, girata come una televendita di fitness di quelle sulle TV locali. Le battute clou di Arnold sono “è bello allenarsi insieme”, “uno, due, tre…” (contando i sollevamenti a Columbu) e “Sai, mi piace il tuo vino della Sardegna, ma non sopporto il fatto che tu lo schiacci coi piedi: ogni volta che bevo il tuo vino sento puzza di piedi, per questo preferisco il mio vino austriaco, o quello tedesco.” (Schwarzenegger ci ha messo due giorni per memorizzarla tutta.)

Dopodichè, senza nessun collegamento credibile, Columbu – che sui titoli di testa cavalca una Harley Davidson per le strade della California – si trova a cavalcare una Harley Davidson per le strade di Ollolai (NU), in compagnia di una presunta poliziotta dell’FBI (tette grosse e cervello fino), inseguendo dei teorici trafficanti di droga che minacciano i poveri giovani di Ollolai (NU), aiutato da amici locali tra cui spicca la divina Jo Champa, in seguito luminosa stella del Festival di Sanremo sezione Giovani.

Il film, privo di una qualsiasi forma di trama, prevede quindi una serie di inseguimenti tra una potente Fiat Uno del 1983 targata SS, o in alternativa una Seat Regata altrettanto vecchia (erano i tempi in cui la Seat era Fiat) che ha la ripresa di un camion, e la Harley Davidson di Columbu lanciata a dieci all’ora in folle giù da una discesa. In alternativa, si vedono i banditi che scappano a piedi dopo vari ammazzamenti sanguinosissimi (era ancora l’epoca di Commando) inseguiti a due all’ora da Columbu, anche lui dotato della ripresa di un camion. E vi ho omesso l’effetto straniante di un bodybuilder alto un metro e sessanta, lampadato, ingioiellato e vestito Armani che corre per i terreni polverosi e scoscesi di Ollolai (NU).

Il film ce la mette tutta per arrivare al suo originale e importante messaggio conclusivo, “la droga fa male”. A un certo punto si vedono persino i giovani dell’Ollolai (NU) che giocano a pallone sul campetto della parrocchia, finchè uno d’improvviso si butta clamorosamente in area. Simulazione? No, è morto per droga, colpito dai morsi della droga che uccidono i giovani per colpa della droga. Così, a cinque minuti dalla fine, e con le tre sostituzioni già effettuate.

Insomma, ho spento a metà film, eppure Franco Columbu è uno dei miei nuovi miti: pare che abbia fatto altri due o tre film, sempre con la stessa “trama” del poliziotto che porta le cineprese in Sardegna, prima che lo abbattessero per pietà come con i cavalli, e che un giudice gli ingiungesse di restare ad almeno cento metri di distanza da qualsiasi set cinematografico.

Ma non temete, continuerò fiducioso ad aspettare i filmoni di Fantasy.

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martedì 7 Novembre 2006, 09:21

Italiani ad ICANN

Per completare il quadro delle buone notizie dopo Atene, segnalo la nomina di un italiano, Roberto Gaetano, nel Board di ICANN (vedi annuncio). Per chi non lo conoscesse, Roberto (oltre che mio collega di comitato At Large sin dal 2003) ha partecipato a ICANN sin dalla fondazione; vive all’estero da molti anni e attualmente lavora a Vienna all’Agenzia Atomica dell’ONU (IAEA).

Separatamente, va rilevato come Roberto sia l’unico europeo tra i 15 membri votanti del prossimo Board di ICANN, visto che uno dei due europei uscenti è stato sostituito dall’ennesimo americano: certamente per l’Europa, dal punto di vista del peso politico su Internet, non è un complimento. Forse le dichiarazioni della commissaria Reding (il “ministro” europeo per l’ICT) sul nuovo accordo tra ICANN e governo americano erano un po’ troppo ottimiste.

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lunedì 6 Novembre 2006, 21:32

Un resoconto di Atene

Chiudo le cronache dell’Internet Governance Forum di Atene con un piccolo resoconto serio di quello che è successo.

La formula dell’IGF, in ambito di Nazioni Unite, è totalmente innovativa: prevede di trattare tutti alla pari e in quanto individui, indipendentemente dal fatto che rappresentino un governo, una azienda, una associazione o semplicemente se stessi. Si è partiti con il grande dubbio che non potesse funzionare, e invece è stato un buon successo: la partecipazione è stata elevata, e la maggior parte dei presenti ha capito lo spirito, dando luogo ad alcune scene piuttosto inconsuete – ad esempio il rappresentante del governo tedesco che arriva a un workshop, non trova posto e si siede per terra.

Certo, ci sono stati governi che hanno insistito per arrivare lì col discorso precotto da leggere a tutti i costi; soprattutto, si ha la sensazione che i rappresentanti di molti governi siano venuti a vedere cosa succedeva, ma senza sbilanciarsi troppo, contribuendo quindi piuttosto poco al dibattito. Il problema è che i governi non possono assumere posizioni ufficiali come faremmo noi, rispondendo agli input in maniera immediata. Trovare un modo che permetta a loro di partecipare senza sbilanciarsi in modo ufficiale – e senza nascondersi dietro a questo problema per rifiutare il dialogo – è una delle prime questioni da affrontare.

I quattro giorni del forum sono volati, organizzati in due filoni paralleli: da una parte sessioni plenarie sui temi principali e sulle questioni generali, e dall’altra una stringa di workshop (tre per volta) per approfondire i singoli temi.

Le sessioni plenarie sono state organizzate come dei panel, con un infinito elenco di relatori (scelti col bilancino per rappresentare tutti) e con possibilità di prendere la parola dalla platea importanti ma limitate, e soprattutto “spettacolarizzate”. In altre parole, i moderatori (degli ottimi giornalisti di testate come Economist e BBC) ricevevano foglietti con nome, qualifica e argomento dell’intervento, e poi sceglievano quelli che gli parevano più in linea.

Il risultato, ad esempio, è stato che il giornalista della BBC che moderava la sessione sulle libertà in rete ha concentrato la discussione, per due ore e mezza delle tre a disposizione, sulle violazioni dei diritti civili in Cina, relegando in dieci minuti tutti i temi relativi alla proprietà intellettuale, e in altri dieci la vicenda del blogger greco arrestato pochi giorni prima del Forum. Ora, è sicuramente interessante insistere sulle responsablità di Cisco e di Google (in realtà era Yahoo!, ma quel che conta è lo spettacolo) e sulla cattiveria dei cinesi, ed è certamente “di rottura” vedere un giornalista battere ancora e ancora su questo tema in un forum delle Nazioni Unite, ma allo stesso tempo nulla mi toglierà la sensazione che la seduta sia stata orientata su un comodo capro espiatorio proprio per evitare di toccare temi come il Patriot Act o i DRM.

Tuttavia, in questa sessione è emersa con chiarezza una delle grandi tensioni del prossimo futuro: dove si colloca il confine giusto tra libertà d’espressione e licenza inaccettabile? Tutti concordano che esistono contenuti che è corretto censurare, dalla pedopornografia agli inni al nazismo, ma come ci si accorda su cosa sia corretto censurare? E se è corretto censurare la pedopornografia, perchè non è corretto censurare le vignette danesi, che per una parte del miliardo di musulmani sono altrettanto rivoltanti?

I workshop sono stati piuttosto interessanti, anche se il primo problema era scegliere quali vedere: io ho visto quello sullo spam (pienissimo), quelli sui diritti umani, pezzi di altri qua e là. In generale, ho trovato eccessivo il tempo allocato alle presentazioni: il workshop medio, di durata prefissata a 90 minuti, era fatto da 85 minuti di presentazioni (spesso sbrodolate e noiose, oppure autocelebrative) dopo le quali si chiedeva, “Chi vuole intervenire in sala?”, si alzavano 25 mani, e c’era tempo per un solo intervento. Per il futuro, dovrebbe essere garantito spazio sufficiente per il dibattito.

Inoltre, molti workshop erano multistakeholder solo in teoria – ad esempio si sono viste parecchie presentazioni, da parte delle associazioni del business e dei governi dei paesi anglosassoni, di quanto sia importante la “partnership pubblico-privata” nello sviluppo dell’ICT nei paesi in via di sviluppo, dove la “partnership pubblico-privata” vuol dire naturalmente che il governo locale deve lasciare mano libera alle multinazionali americane nel fare ciò che vogliono, e magari sussidiarle pure. Forse sarebbe il caso di assicurare la presenza di tutti i punti di vista in tutti i workshop…

Veniamo ora alla partecipazione italiana: degli aspetti personali ho già parlato, per cui mi limiterò a una valutazione oggettiva. Io sono molto soddisfatto di essere riuscito a coinvolgere un po’ di più alcuni circoli nazionali in queste discussioni; allo stesso tempo, trovo significativo il fatto che, di ventiquattro italiani che in tutto o in parte hanno seguito l’IGF, io fossi l’unico che girava per le riunioni con un portatile. (Però c’era anche Arturo con la sua inseparabile videocamera digitale…) Ma il tempo risolverà anche questo, insieme all’annoso problema della scarsa familiarità con l’inglese dell’italiano medio.

E’ molto positivo il fatto che sia venuto da Roma il sottosegretario Magnolfi, e abbia diligentemente seguito e ascoltato i primi due giorni del Forum; siamo anche riusciti a farla intervenire nella prima sessione plenaria (dovrò pagare delle cene per questo…). Il nostro workshop, da me moderato, è stato molto ben seguito: la stanza era piena, e abbiamo fatto secondo me la scelta giusta nell’orientarlo più come una discussione che come una presentazione. I quattro panelist (Rodotà, Cortiana, Robin Gross di IP Justice, e Jose Murilo Junior in rappresentanza del governo brasiliano) hanno lasciato spazio agli interventi già dopo i primi 40 minuti; e abbiamo riscosso molti consensi. Quando io, nella plenaria conclusiva di giovedì mattina, ho ribadito l’idea e le motivazioni invero nobili che ci spingono a portarla avanti, sono arrivati persino degli applausi.

Il termine “Internet Bill of Rights“, insomma, è diventato già di uso comune nell’ambito del Forum, e il nostro annuncio sul lancio di una “coalizione dinamica” che ci lavorerà sopra, così come dell’impegno del governo italiano (che ora va rispettato…) nell’ospitare una conferenza internazionale sul tema in primavera, è stato ben ricevuto. Allo stesso tempo, ho visto anche qualche diffidenza da parte di chi si occupa di diritti della comunicazione da anni, sia per la paura che, di questi tempi, il bilanciamento tra libertà e sicurezza in un nuovo documento si sposti troppo dal lato della sicurezza, sia per la naturale diffidenza nei confronti dei “nuovi arrivati”. Ci sarà molto da lavorare, e non sarà facile.

Dei problemi pratici e organizzativi ho già accennato nei giorni scorsi; nulla che non si possa risolvere. La grande sfida per il futuro, invece, è stata sollevata da molti – me compreso – nell’ultima riunione: come evitiamo che l’IGF sia soltanto un bell’incontro di chiacchiere, e arriviamo a soddisfare anche quelle parti del mandato che prevedono che esso debba proporre soluzioni concrete, per quanto non vincolanti, ai problemi della rete?

La nostra risposta iniziale, come società civile, è stato il lancio delle “coalizioni dinamiche”, termine che indica un gruppo di persone e entità che vogliono lavorare insieme su un determinato tema; oltre alla nostra, ne è nata una sulla privacy, una sugli standard aperti, una sulla “convenzione quadro” (concetto non troppo diverso dal nostro), una sui problemi di genere, una per il finanziamento della partecipazione dei paesi in via di sviluppo. Le prime due sono serie (nella prima c’è il jet set del settore, nella seconda c’è Sun), le altre per ora sono solo sulla carta.

Ammesso però che in questi gruppi si riesca a lavorare e ad arrivare veramente a, che so, una proposta largamente condivisa di policy globale per l’adozione di standard aperti, il problema è: che se ne fa? Detto che su Internet una proposta di policy ha peso se è intelligente e non se è imposta dall’alto, chi la riconosce, la approva, le dà uno status formale che la sollevi all’attenzione di tutti?

Esiste un nocciolo duro di entità che vogliono evitare che l’IGF possa fare altro che chiacchierare: il governo americano, la “comunità tecnica di Internet” (ICANN, ISOC “centrale”…), le grandi corporation dell’ICT. Sono quelli che già ora, di fatto, controllano Internet, fanno il bello e il cattivo tempo, e non hanno certo voglia di doversi mettere a discutere con qualcun altro. Eppure, spero che prima o poi capiranno che un accordo generale conviene anche a loro: meglio condizioni ambientali certe e condivise, supportate da tutti, che la logorante guerra di posizione a cui assistiamo da anni ad esempio sulla proprietà intellettuale. Meglio una crescita condivisa e rispettosa di tutti, che il rischio della frammentazione incontrollata o degli sforzi concorrenti.

Certo, è difficile immaginare come un forum a “porta aperta” – in cui chiunque può iscriversi ed entrare – possa prendere decisioni formali. Eppure, qualcosa possiamo immaginare. Mi ha fatto piacere sentire Nitin Desai – l’ex vicesegretario dell’ONU che presiede l’IGF – proporre nel discorso conclusivo il modello dell’IETF, che è quello secondo cui io e altri della società civile abbiamo sviluppato negli anni l’idea del Forum. Ovviamente è tutto da inventare, e qualsiasi meccanismo, giudicato secondo i paludati e formalissimi meccanismi del ventesimo secolo, risulterà illegittimo e attaccabile.

Eppure, la IETF, con i suoi gruppi di lavoro aperti e basati sul consenso di massima, e con il suo Board che verifica e approva formalmente, funziona; riuscire a portare un modello del genere dentro le Nazioni Unite vorrebbe dire non solo renderle compatibili ad avere un ruolo nel futuro di Internet, ma anche porre un seme per trasformare la maggiore istituzione politica mondiale in qualcosa di veramente moderno e partecipato.

Non sono l’unico a pensarla così: molti di noi sono consci che quello che stiamo facendo in questo esperimento potrebbe gettare le basi di nuovi modelli per la governance del mondo globalizzato. Forse è una ambizione eccessiva, ma è anche una delle ragioni che ci spinge a provare.

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domenica 5 Novembre 2006, 13:29

Saddamorì

La notizia del giorno è ovviamente la pena di morte sentenziata per Saddam Hussein dal suo tribunale iracheno.

Chi ha seguito le notizie a intermittenza di questo processo sa che, come sempre in questi casi, ci sono dubbi sulla sua serietà dal punto di vista legale; Saddam è rimasto senza avvocato per un anno e tre avvocati della difesa sono stati assassinati via via. Ci sono invece pochi dubbi sul fatto che il regime di Saddam fosse sanguinoso e autoritario, e che abbia commesso crimini di massa; crimini che, peraltro, hanno platealmente commesso anche i nuovi potenti di Baghdad e le stesse truppe occidentali di occupazione.

E’ difficile dall’Occidente capire la mentalità dei paesi arabi; sono paesi in cui sia la repressione violenta, sia la censura, sia il conformismo verso una rigida morale collettiva fanno parte della cultura generale, ed è sottile, spesso impalpabile, il confine tra le nostre pretese di un maggior rispetto dei diritti umani e il puro e semplice colonialismo culturale. Proprio come successe in Europa dopo la seconda guerra mondiale, solo una maturazione complessiva della popolazione locale può produrre un progresso stabile verso una cultura di pace e di tolleranza.

In quest’ottica, se è positivo il fatto che il processo sia avvenuto localmente, resta da capire a cosa servirà questa pena, ammesso che resti dopo i vari appelli e che si riesca a farla applicare: anche perchè tutti sanno che il vero motivo per cui Saddam deve morire è appagare la mentalità pistolera dei telespettatori texani, e risollevare i dubbi destini politici dei neoconservatori americani. Il problema vero è tutto lì: nel fatto che, a differenza dell’olocausto europeo, Pearl Harbor prima e le Twin Towers poi non sono state devastazioni sufficienti per impregnare la cultura americana dell’idea che la violenza legale e militare, pur necessaria in situazioni contingenti, non porta mai ad alcun progresso nella pacificazione e nella crescita del mondo.

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sabato 4 Novembre 2006, 16:10

Greci

Non ho avuto granchè modo di vedere Atene: i greci, difatti, hanno scelto di ospitare il meeting dell’IGF a Vouliagmeni, una delle zone più lussuose del litorale a sud della città, a trenta chilometri dal centro. Se quindi sulla strada principale ho visto sfrecciare alcune Ferrari (dalle velocità di tutte le auto, comprese le Punto, è evidente che in Grecia non hanno la più vaga idea di cosa sia un autovelox) e se comunque il meeting è andato accettabilmente, era del tutto chiaro che agli organizzatori interessava di più impressionare gli ospiti internazionali con il lusso dei propri alberghi migliori, che rendere il meeting efficiente e ben organizzato.

Peraltro, anche nell’impressionare hanno fallito: l’ambiente era bellissimo, ma gli alberghi erano vecchiotti, piccolini, pretenziosi e basta; e non puoi organizzare una conferenza per 1500 persone, con mezz’ora scarsa di pausa pranzo, e offrire come uniche opzioni-cibo il ristorante a cinque stelle a quaranta euro, dove ci vogliono minimo 90 minuti, oppure panini a dieci euro l’uno all’elegante bar. Centinaia di persone – non solo noi della società civile, ma anche i rappresentanti dei governi africani o asiatici, che spesso hanno meno soldi di noi – hanno saltato il pranzo regolarmente e poi sfogato il loro nervosismo nei meeting.

Comunque, questo vi riassume la mia opinione della Grecia: non pensavo che sarebbe stato possibile trovare un popolo più pigro, disorganizzato e casinista degli italiani, e finora le mie peregrinazioni per il mondo avevano confermato questa osservazione… e invece i greci ce l’hanno fatta. Per dire, la nuova e splendida metro che va dall’aeroporto (che sta praticamente in Turchia) alla città va a una velocità tale da venire sorpassata ampiamente dai camion che arrancano sull’autostrada adiacente; alle stazioni, poi, si ferma, riparte, riapre le porte, le richiude, fischia tre volte, e sembra sempre sul punto di gettare la spugna.

Le navette dell’organizzazione, invece, erano totalmente imprevedibili: gli autisti discettavano tra loro, deviavano per andare a prendere amici e parenti, cambiavano percorso ogni giorno, partivano senza aspettare gli utenti, e giravano sempre ad orari insensati (a che serve una navetta alle 8 e poi più niente, se la sessione quel giorno inizia alle 10?). Sul pullman dall’aeroporto, l’unica parola di inglese conosciuta dalla guida era “yes”, il che ha portato a caricare anche una signora americana che con il Forum non c’entrava nulla… mitico poi quando la guida ha cercato a gesti di far salire sul pullman tutti quelli che dovevano andare a un determinato albergo, che però si trovava esattamente di fronte a quello della conferenza: per fortuna uno degli ospiti lo sapeva, e ha dovuto trascinare a braccia la guida per cento metri a piedi e indicarle l’insegna col nome dell’albergo, per convincerla a lasciarli andare.

Ha molto divertito tutti noi anche l’implementazione greca della security. Per entrare al convegno c’era una fila di metal detector che funzionava così: arrivati al controllo, bisognava posare le borse su un tavolino messo a fianco del portale; dopodichè, si passava nel portale; il portale suonava; la guardia, invece di perquisirti, faceva cenno di andare avanti, e tu dall’altro lato riprendevi le borse (che non erano passate sotto alcuno screening) e proseguivi, potenzialmente con un intero arsenale o nella borsa o in tasca. Ma se per caso provavi a passare direttamente con le borse nel portale, senza posarle sul tavolino, cominciavano a urlare! Come variante, all’aeroporto – dove le cose erano leggermente più serie, ma di poco – superata la mezz’ora di coda con gente che si infilava e litigava a voce alta dappertutto, se il portale suonava, ti perquisivano; ma non avevano i metal detector portatili, e quindi si limitavano a tastarti un po’ in giro con le mani.

In compenso, il cibo era ottimo, anche se non molto vario (souvlaki, polpette, verdure, formaggio), e il mare molto bello. E trovo molto affascinante la lingua: mi hanno detto che il greco classico è inutile allo scopo, ma io ho passato i giorni come dentro una immensa Settimana Enigmistica, prima per essere sicuro della traslitterazione delle singole lettere e riuscire a leggere velocemente, e poi per capire i significati per paragoni etimologici. Ci sono alcune corrispondenze bellissime: l’uscita si chiama esodo, e sul foglio di registrazione la casella del cognome è intitolata epiteto. Ma il meglio l’ho visto in autostrada, dove il casello si chiama diodo, e sulla sede della manutenzione c’è scritto centro liturgia: se ci pensate, non fa una grinza.

E però, alla fin fine, tra le due offerte avanzate per ospitare l’IGF del 2010 (Lituania e Azerbaigian) ho visto molti pregare per evitare Baku: sarà un posto senz’altro bellissimo (lo cantava pure Battiato), ma per questo genere di incontri la cosa più importante è che NON vengano ospitati solo per autocelebrare le magnifiche e progressive sorti di una determinata nazione.

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venerdì 3 Novembre 2006, 20:57

Pecoraro Scandalo

Facevo zapping, e ho assistito per caso a questa pietosa esibizione del ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio, ospite da Ferrara:

Pecoraro Scanio: “Si parla di queste cose sin dai tempi del protocollo di Rio, trent’anni fa…”
Ferrara (stupito): “Ma veramente il protocollo di Rio è del 1992!”
Pecoraro Scanio (cercando di coprire il fatto che neanche sa quando è stato fatto il principale accordo internazionale sull’ambiente): “Eh, sì, vent’anni fa, anzi, ventiquattro anni fa…”

Ferrara, basito, non risponde. Ma sono sicuro che dentro di sè sta pensando che 2006 meno 1992 fa quattordici e non ventiquattro… e che deve esserci un motivo se in tutta Europa i Verdi sono un partito di opposizione che ha il 10%, mentre in Italia sono un partito all’1% ma saldamente attaccato alle poltrone.

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venerdì 3 Novembre 2006, 20:03

No, non è la Rai

È invece la BBC, che ha parlato del workshop che ho moderato ad Atene, e della nostra proposta della “Costituzione di Internet”. Se aspettate la Rai… mi hanno detto che ne ha parlato TGR Neapolis, facendo vedere qualche immagine presa da Internet. L’unico giornalista italiano ad Atene era Arturo Di Corinto per l’Unità.

Ad ogni modo, qualsiasi segnalazione di copertura sui media, dell’IGF in generale o della nostra iniziativa in particolare, sarà benvenuta!

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venerdì 3 Novembre 2006, 19:31

Alitalia

Alitalia è decisamente alla frutta. I voli non sono stati male, ma su quelli tra Roma e Atene, due volte su due, invece del pranzo (ed era l’ora) mi hanno dato un… panino di pane: due fette di pane da tramezzino ripiene di un’altra fetta di pane da tramezzino, però colorata; e un po’ di formaggio molle o di maionese in mezzo. Metà dei viaggiatori l’ha rifiutato e l’altra metà l’ha lasciato dopo due bocconi. In compenso, per darti questa delizia la avvolgono in uno strato di cellophane, con altre due o tre buste di cellophane per lo zucchero del caffè e il tovagliolo, il tutto in una inutile scatola di cartone: i venditori di imballaggi avranno fatto fortuna.

Siamo arrivati al punto che persino i passeggeri prendono la compagnia per il sedere: oggi, atterrati a Fiumicino e scesi dall’aereo, è arrivata una hostess gridando con forte accento romano (visto che il 95% dei dipendenti Alitalia viene da lì): “Pariggi!! Chi è che ha d’annà a Pariggi??”. E un signore dall’accento veneto le ha risposto sarcastico: “Pariggi no, ma se è Parigi, sono io…”.

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mercoledì 1 Novembre 2006, 19:45

Saluti

Oggi è stata una giornata campale, e ho solo due minuti per scrivere qualcosa, in attesa di andare a cena con il resto del gruppo.

Il workshop sulla Carta dei Diritti è andato bene, è piaciuto ai relatori, è piaciuto alla delegazione, è piaciuto al pubblico… sono riuscito a contenere gli interventi e a lasciare ampio spazio alla discussione dalla platea, che ha permesso di interessare un bel numero di persone, tra cui alcune che, a livello internazionale, non si può non avere a bordo. Spero di poter riferire qualcosa di più domani o venerdì.

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