Live in Borgomanero
Li hanno presi subito, i rapitori di Borgomanero. Rei di aver rapito, sabato sera, la figlia di una delle famiglie danarose del paese. Lasciata libera, per paura, dopo ventiquattr’ore. Dopo due giorni avevano già beccato il telefonista. Al primo interrogatorio, lui ha confessato i nomi degli altri.
Basta guardarli in faccia, nelle immagini del telegiornale, per capire tutto. Questi non sono banditi, non sono certo le bande feroci che rapivano i bambini negli anni ’70 e ’80, e gli mozzavano pure l’orecchio. Ma non sono nemmeno gli sbandati del paese, quelli che fanno dentro e fuori dalla galera. Sono persone normali, con il solo problema di non riuscire più ad arrivare a fine mese. Una è una vecchia signora che potrebbe essere la nonna di chiunque; aveva una piccola sartoria, che poi è fallita. Uno è un muratore con troppi figli da sfamare. Il capobanda è l’ex giardiniere del padre della ragazza rapita.
Ora, senza dubbio, la giusta punizione; fino a vent’anni di galera. Ma viene da chiedersi come la società italiana intenda affrontare il lento ma inesorabile inabissarsi nella povertà di tanta gente che vent’anni fa stava perlomeno bene, ma che è rimasta vittima della fatica che fa l’Italia ad adeguarsi al ventunesimo secolo.
Altrimenti, è probabile che il sequestro di persona, così come tanti altri reati di discreta gravità , diventi sempre meno un affare da professionisti, e sempre più un tentato metodo di sussistenza, difficile da contrastare con la pura repressione; a meno di non trasformare anche la nostra in una società all’americana, con legioni di poveri rigorosamente segregate al di là di linee invisibili.