La casta
Stamattina, mentre ero in macchina con la radio accesa, ho sentito su Radio Flash l’intervista a un sindacalista della FIOM. Parlava della situazione del settore metalmeccanico a Torino, ovviamente piangendo miseria, lamentandosi dello scalone, battendo cassa su tutto e con tutti.
Comunque, la cosa che mi ha colpito di più è stata la chiosa finale, quando egli ha esposto il seguente ragionamento: siccome in Piemonte ci sono aziende metalmeccaniche che stanno chiudendo (come la Thyssen-Krupp di corso Regina Margherita) e altre che sono in espansione, pretendiamo dagli imprenditori un accordo per cui le aziende che si stanno espandendo si impegnano ad assumere innanzi tutto i lavoratori licenziati da quelle in crisi.
Ecco, questa proposta riassume perfettamente l’idea di industria e di società che i sindacati della sinistra tradizionale hanno in mente. Per prima cosa, i lavoratori sono dei numeri; dei pacchetti postali tutti uguali, tra loro intercambiabili, che si possono prendere e spostare di qua e di là . Che negli ultimi decenni anche gli operai siano diventati altamente specializzati, diversi uno dall’altro, è un concetto che sfugge; così come la possibilità che la crisi di certe aziende possa essere dovuta anche alla scarsa qualità o allo scarso impegno dei loro lavoratori, e che quindi prendere questi lavoratori e iniettarli in blocco in altre aziende possa non essere la cosa più furba da fare. E dire che la Fiat si è ripresa proprio quando (specie tra gli impiegati) ha spedito a casa in qualche modo le piante da ufficio cinquantenni, e ha assunto giovani al loro posto; ma questa cosa, naturalmente, va negata in tutti i modi.
Soprattutto, è agghiacciante l’idea che per essere assunto in una azienda metalmeccanica non conti quanto sei bravo o quanta voglia hai di fare, ma solo se eri già prima un metalmeccanico. Scoprii questo principio al Politecnico, quando protestammo per le aule sempre sporchissime per via della scarsa lena dello staff delle pulizie, e ci spiegarono che in Italia esiste una legge per cui, quando si toglie l’appalto a una ditta delle pulizie e lo si dà ad un’altra, quella nuova è obbligata ad assumere tutti i lavoratori di quella precedente; insomma, un sistema perfetto per garantire ai dipendenti un posto a tempo indeterminato, uguale per tutti indipendentemente dal merito, potendo nel contempo ogni tanto, al cambiar dei venti politici, cambiare il raccomandato che guadagna su di loro. (Questo è il motivo per cui in Italia qualsiasi cosa pubblica, dai treni agli ospedali, è irrimediabilmente sporca.)
Ma che la risposta dei metalmeccanici alle numerose caste che abusano del nostro Paese sia la proposta di crearne un’altra per sè, magari trasmissibile di padre in figlio, fa proprio tristezza.