World of Papercraft
La scorsa settimana ho avuto un affascinante incontro con la burocrazia di Torino, nientepopodimenoche nel famoso “palazzaccio” di piazza San Giovanni, di fronte al Duomo (e devo dire che dentro è più bello che fuori, pur nel medio degrado di un ufficio pubblico costruito cinquant’anni fa; fuori peraltro l’hanno appena restaurato).
Lo scopo era concludere le pratiche edilizie per la mia mansarda, che si trascinano ormai da otto anni e che nel tempo mi sono costate svariate migliaia di euro. Stavolta dovevo andare a ritirare la bolla papale conclusiva del tutto; avevo un nome a cui rivolgermi e un numero di stanza.
Entrando, sulla destra, c’è un gabbiotto sopra il quale campeggia la scritta “informazioni” e un simbolo che se non è un punto interrogativo poco ci manca. Il simbolo è grigio ma è come se fosse giallo: interrogo il personaggio non giocante sito all’interno, che quasi con cortesia mi indirizza al primo piano, lato destro. Faccio le scale, trovo la stanza col numero giusto – cosa non ovvia, visto che la numerazione è divisa in pari e dispari a seconda del lato del corridoio, ma l’edificio è a forma di H – busso, entro, e chiedo della signora taldeitali.
Ping! Sulla testa di una delle due presenti compare un punto esclamativo giallo; mi avvicino, spiego la situazione, e lei fruga tra vari quintali di carta per recuperare la mia pratica. La apre, la legge, fa per darmela, ma poi esclama: “C’è un problema! Deve versare ancora una integrazione di bolli!”.
Pare difatti che, nel tempo in cui io salivo le scale, lo Stato italiano abbia aumentato l’importo del bollo sul tipo di pratica in questione. Mi preparo alla mazzata, e – dopo che il punto esclamativo è diventato interrogativo – ricevo da lei un foglietto con l’indicazione della cifra: ben tre euro e sessantadue centesimi.
La nuova missione è quindi quella di trovare la cassa dove pagare il dovuto, mentre medito su come l’incasso della suddetta cifra costi all’amministrazione pubblica ben più della cifra stessa. Individuo il distributore di foglietti, premo il pulsante giusto – ossia “H – Cassa edilizia, solo pagamento” -, attendo il mio turno, e quando scatta il mio numerino sul tabellone mi butto nel corridoio.
Già , perchè non ci sono gli sportelli: hanno numerato le varie porte del corridoio come se lo fossero, ma per arrivare al mio sportello in realtà devo percorrere una cinquantina di metri, evitando le persone ferme in attesa nel corridoio e le pile di carte, e cercando di individuare la porta giusta e di imbroccarla prima che l’impiegato, non vedendo nessuno, chiami il numero successivo.
Comunque, completo la missione: porgo il fogliettino e tre euro e sessantadue, ottengo la ricevuta, mi riavvio per le scale e torno dalla signora di prima.
E qui pensavo di avere concluso, e invece no: con mia sorpresa, quando le passo la ricevuta, il punto esclamativo diventa di nuovo interrogativo. Clicco sulla sua faccia con la mano destra e mi dice: “Bene, adesso che ha pagato questi, le posso dire che abbiamo rifatto i conti e ci siamo resi conto che ci siamo sbagliati: lei ha pagato quattromiladuecento (4200) euro in più del dovuto, che adesso può farsi restituire!”.
Io sbianco e non so se essere più contento per la pioggia d’oro che il NPC mi sta prospettando, o incazzato perché me l’hanno fatta abusivamente pagare per anni un tanto a semestre. La mia faccia deve essere perplessa perché la signora dice: “Scusi, non le tornano i conti?”.
Io mi rendo conto di aver violato la prima regola delle transazioni monetarie – “se qualcuno ti vuol dare dei soldi, non fare domande, ma incassali e allontanati il più in fretta possibile” – e dico “No no, non ho fatto i conti, ma avete sicuramente ragione!”.
Farsi rimborsare, però, non è così semplice: difatti la nuova missione richiede che io mi rechi al piano di sotto dall’altra signora taldeitali, che sta più o meno da quella parte là , e la placchi interrompendo il flusso dei numerini, per sapere come fare ad avere il rimborso. E così, fermo una terza signora, che mi dà il numero di stanza corretto, poi entro, aspetto che sia finito il numerino corrente, blocco la signora prima che prema il pulsante “e mo’ mandami il prossimo”, e apprendo le cose seguenti:
- Il mio credito è con lo Stato, non con il Comune.
- Per avere il rimborso dallo Stato, devo presentare all’Agenzia delle Entrate un certificato del Comune che dimostra che ne ho diritto.
- Il Comune, per emettere il certificato, mi richiede un obolo di quarantasette virgola quattordici euro.
- Per pagare l’obolo devo presentare una domanda in carta bollata da quattordici virgola sessantadue euro.
- Per presentare la domanda in carta bollata mi servono il modulo (che lei mi dà ) e la marca da bollo, ma soprattutto un numerino della fila “A – Presentazione di documenti al protocollo”.
- Per evitare il vago rischio che qualcuno debba saltare il pranzo, i numerini della fila A vengono distribuiti soltanto fino alle ore 11:00, e ora sono le 11:12.
Pertanto, mi tocca disconnettermi e riloggarmi qualche giorno dopo alle dieci del mattino, quando prendo il numerino e dopo mezz’oretta di attesa vado allo sportello. Finita la presentazione della domanda – “Eccole la domanda” “Eccole l’util foglio per il pagamento” – ammiro la perfezione della tecnica burocratica quando, premendo un bottone, l’impiegata dello sportello inserisce il mio bigliettino della serie A in mezzo alla coda dei bigliettini della serie H, permettendomi così di pagare i quarantasette virgola quattordici euro senza attendere più di un paio di minuti; e avrebbero persino il bancomat.
Ora, devo soltanto attendere un tempo indeterminato perché il Comune mi chiami – anzi mi scriva, visto che sul modulo avevano addirittura lo spazio per l’email, anzi ad essere precisi una misteriosa “@mail” – e mi consegni il certificato, in modo che io possa portarlo in corso Bolzano, e iniziare nuove fantastiche quest.
Chiudo comunque con i complimenti al Comune: a differenza di altri settori (ad esempio quello delle autorizzazioni per il commercio, che avevo dovuto testare mesi fa) questo dell’edilizia mi è sembrato molto ben organizzato, almeno per essere un settore pubblico potenzialmente in stile Le dodici fatiche di Asterix.
Segnalo inoltre di aver con soddisfazione sperimentato il nuovo parcheggio pubblico sotterraneo Santo Stefano, sito esattamente dietro il palazzo; ve lo consiglio non solo per ammirare come siano riusciti a far stare due rampe circolari una dentro l’altra in un cortiletto quattrocentesco grande come un fazzoletto – un capolavoro di ingegneria sabauda – ma perché nello spazio pubblico (piani -3 e -4) la sosta costa ancora 1,30 euro l’ora, contro gli 1,50-2,00 delle strisce blu circostanti.