Lo ammetto: alla luce della mia opinione sulle primarie del Partito Democratico, è senza alcuna sorpresa che ho letto oggi su La Stampa che la vicenda dell’elezione del nuovo segretario regionale piemontese è andata a finire esattamente come previsto.
Ho osservato la storia sui giornali, e quindi ve la riassumo in breve: tutto inizia un paio di mesi fa, quando da Roma decidono che il primo segretario del PD in Piemonte dovrà essere Gianluca Susta, biellese, rutelliano. Perché? Perché si sono riuniti e si sono accorti che non ci sarebbe stata alcuna altra regione dove un uomo di Rutelli avrebbe potuto vincere le primarie locali; ragion per cui, in Piemonte deve vincere incontrastato un rutelliano.
Succede però che ad una parte dei diessini torinesi l’imposizione non va giù; vorrebbero invece un candidato espresso dal territorio. Nasce così la candidatura eretica di Gianfranco Morgando, sempre della Margherita ma della corrente popolare, che viene sostenuta non solo dai popolari ma da una parte dei diessini (ossia delle liste per Veltroni).
Apriti cielo: piovono fulmini da tutta la nomenclatura. Chiamparino, Bresso, Fassino, Violante eccetera sostengono Susta e vorrebbero addirittura vietare ai dissidenti di candidarsi sotto il nome di Veltroni. Volano parole grosse, e parte una lunga negoziazione; alla fine, per evitare l’esplosione del partito prima ancora che nasca, l’accordo è che il candidato ufficiale dei DS e di Veltroni è Susta, ma i dissidenti possono presentare Morgando sotto una delle altre liste associate a Veltroni.
Si arriva così alle primarie, ed ecco la sorpresa: contro ogni previsione, ha vinto Morgando di cinquemila voti. I dati ufficiosi parlano di quattro delegati di vantaggio per Morgando nell’assemblea regionale del PD. Chiamparino ha un diavolo per capello, i dissidenti cantano vittoria. Susta, con eleganza, telefona a Morgando e si dichiara sconfitto. Le agenzie battono intensamente la notizia. Il giorno dopo, La Stampa spara il titolo addirittura in prima pagina.
E poi? Poi, comincia il mistero. Nel resto d’Italia, due giorni dopo il voto ci sono già i risultati definitivi; non in Piemonte. Ci si giustifica con problemi tecnici, ma nel frattempo succede una cosa strana: uno dei membri dell’Utar, la commissione che conta i voti, si dimette improvvisamente, e a stretto giro di posta viene nominato al suo posto Mauro Laus, che solo pochi mesi fa si era alleato con Morgando per farsi eleggere segretario cittadino della Margherita, ma ora è uno dei sostenitori di Susta.
La commissione lavora e conta, conta e lavora, e dopo cinque giorni di tensioni e di polemiche incrociate esce con la notizia che tutti prevedevano: non era vero niente. Dopo il riconteggio, Morgando ha più voti, ma in termini di delegati Susta ha pareggiato. In più, Susta ha la fiducia della dirigenza nazionale del partito. Giusto in tempo per rovinare il festone che i morgandiani hanno organizzato per stasera a Hiroshima Mon Amour.
Non è chiaro cosa succederà adesso, se alla fine nomineranno comunque uno dei due litiganti, o se si rivolgeranno a un terzo salvatore; in queste situazioni qualunque cosa può succedere, e non dubito che ne vedremo ancora delle belle. Ciò che però si evince da questa storia – oltre al fatto che i votanti delle primarie sono essenzialmente coreografici, e comunque non devono permettersi di incasinare le direttive dall’alto – è come il partito democratico nasca senza alcun dubbio come un partito; sul democratico, vedremo.
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