Rivoluzioni
Volevo esprimere il mio massimo rispetto per il senatore Fosco Giannini di Rifondazione Comunista, che l’altro giorno ha avuto la forza e il coraggio di indignarsi in Parlamento per un servizio del TG2 di mercoledì sera, dedicato al novantesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre.
Anche io avevo visto il servizio e ne ero rimasto allibito: descriveva la rivoluzione russa con una faziosità virulenta, chiaramente studiata a tavolino, ben lontana da qualsiasi possibile giudizio storico, e molto più simile a un bollettino della CIA degli anni ’50. La scelta e il racconto dei fatti, l’uso degli aggettivi e dei verbi erano studiati per denigrare il comunismo come nemmeno Emilio Fede avrebbe mai fatto. In pratica, la rivoluzione bolscevica veniva descritta come un colpo di stato minoritario, autoritario e sanguinario basato su idee “atee, materialiste e violente” (notare l’associazione tra ateismo e violenza). Secondo il servizio, poi, il comunismo russo sarebbe la causa diretta dell’avvento del nazismo in Germania, come a sottintendere che è colpa dei comunisti se c’è stato Hitler; le due ideologie vengono poi apertamente equiparate. Segue l’affermazione secondo cui “fascismo e nazismo crollarono con la guerra”, fattagli evidentemente dagli alieni e non anche dall’Unione Sovietica comunista: il ruolo del comunismo nella seconda guerra mondiale viene scientificamente ignorato, e anzi si dice che il comunismo alla guerra sopravvisse “abilmente”, come un criminale di strada. E così via.
Ora, voi sapete che io sono ben lontano dall’essere comunista, e anzi che mi diverto a denigrare quei vecchioni della sinistra conservatrice e i loro schemi ideologici, che sono certamente inefficaci, e molto spesso illiberali e autoritari. Eppure, un conto è instaurare un sistema sociale centralizzato ed autoritario – che però ha permesso la liberazione di mezzo mondo dal feudalesimo, dallo sfruttamento e dal colonialismo – e un conto è spedire gli ebrei nei forni.
Le rivoluzioni comuniste nel mondo sono nate per ideali nobili, per richieste di giustizia sociale, di equità economica, di maggiore libertà da preesistenti regimi oppressivi o dittatoriali. Che esse siano poi degenerate in altrettante dittature è innegabile, nè io vorrei mai vivere in un paese comunista; ma sostenere che il loro scopo fosse esplicitamente e sin dal principio la dittatura e il vantaggio personale è non solo oggettivamente falso, ma vergognosamente irrispettoso di chi per quegli ideali ha dato il proprio sangue (e sì, c’è stata in passato gente che moriva per un ideale, non solo per troppo alcool o troppo sballo).
Il problema è che al giorno d’oggi parlare di rivoluzione, qualunque rivoluzione, è pericoloso; per vent’anni ci è stato fatto un lavaggio del cervello continuo per convincerci che l’ideologia è un male, che l’ideale è un male, che quello attuale è il migliore dei mondi possibili e che chi domanda cambiamenti che non siano meramente estetici è necessariamente un violento e un terrorista, o perlomeno uno stupido che vive di sogni.
Eppure, proprio l’Italia dimostra come sia necessaria una grande rivoluzione, nel senso proprio di un cambiamento radicale e improvviso di classe dirigente. Una rivoluzione molto diversa da quelle passate, innanzi tutto perché pacifica, non violenta, tranquilla. Una rivoluzione glocale come il nuovo sistema economico mondiale, con un occhio alle grandi questioni planetarie, e l’altro ai problemi spiccioli e concreti di tutti i giorni. Ma pur sempre una rivoluzione, perché il sistema sociale attuale è ingiusto e insostenibile per tanti, troppi motivi. E quando una gerarchia non sta più in piedi prima o poi, volente o nolente, cade.
Rivoluzioni così sono successe, in questi vent’anni, proprio nelle nazioni ex sovietiche, che avevano lo stesso nostro problema di gerarchia sclerotizzata. Però preparatevi, perché nessun grande cambiamento storico è mai avvenuto stando col culo sulla sedia a guardare i Simpson, o a farsi rincitrullire dal televisore su come l’importante sia stare zitti e delegare ad altri il potere politico ed economico, in nome della lotta contro un profluvio di paure artificiali e in cambio di svariati specchietti e perline. Prima o poi, ci sarà da sedersi in una piazza e non muoversi più.
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